Cellula. Colture di cellule e tessuti

Enciclopedia della Scienza e della Tecnica (2007)

Cellula. Colture di cellule e tessuti

Ranieri Cancedda
Anita Muraglia

Le tecniche di coltura cellulare hanno permesso di studiare il comportamento delle cellule al di fuori dell'organismo vivente in condizioni artificiali che riproducano, quanto più fedelmente possibile, il microambiente del tessuto o dell'organo da cui derivano. Gli esperimenti eseguiti su cellule in coltura vengono definiti in vitro per distinguerli da quelli in vivo che sono eseguiti sull'organismo vivente. Le colture tissutali e cellulari interessano molteplici aree della ricerca scientifica. Tra le possibili applicazioni ricordiamo: lo studio della regolazione della vita cellulare e della risposta a stimoli esterni in condizioni controllate; la verifica dell'effetto di vari composti chimici e farmaci su specifici tipi cellulari (per es., le cellule tumorali); lo studio dell'utilizzo delle cellule per la generazione di tessuti in provetta (per es., pelle artificiale); la sintesi di prodotti biologici su larga scala (per es., proteine per uso terapeutico). Numerose sono state le tappe nella storia dello sviluppo delle colture di cellule e tessuti.

Il primo esperimento di coltura tissutale risale al 1907, quando Ross Harrison (1870-1959) della Yale University prelevò un piccolo frammento di tessuto dal midollo spinale di un embrione di rana e lo depose in un coagulo di linfa. L'osservazione del tessuto al microscopio per diversi giorni permise a Harrison di scoprire che le cellule nervose si mantenevano vitali nel mezzo utilizzato. Poco tempo dopo, Alexis Carrel (1873-1944), Premio Nobel nel 1912 per la medicina e la fisiologia e considerato uno dei pionieri nella storia delle colture cellulari, dimostrò che si potevano mantenere le cellule al di fuori dell'organismo in condizioni di sterilità. Negli anni Cinquanta Harry Eagle diede un notevole impulso a questo settore di ricerca studiando le sostanze nutritive necessarie alle cellule in coltura. Dimostrò infatti che le cellule animali potevano crescere in un cocktail di sostanze a composizione chimica definita in presenza di siero. Le colture cellulari sono state e sono ancora uno strumento molto utile per lo sviluppo di vaccini. Nel 1949 venne mostrato che il poliovirus poteva crescere in colture di cellule umane. Il vaccino antipolio da virus disattivato divenne uno dei primi prodotti commerciali delle colture animali. Un'altra pietra miliare nella tecnologia delle colture cellulari venne posta nel 1975 con la messa a punto di una tecnica per la produzione di cellule ibride, tra cui cellule in grado di produrre anticorpi, macromolecole che hanno un importante valore sia per la diagnostica che per la terapia.

Le conoscenze e le tecniche nel campo delle colture cellulari accumulate nel tempo consentono oggi di coltivare in laboratorio moltissimi tipi cellulari. Da un piccolo frammento tissutale è possibile isolare, mediante specifiche procedure, singole cellule mantenute vitali grazie all'apporto di nutrienti forniti dal terreno di coltura. Grazie al processo della divisione, in coltura le cellule sono in grado di replicarsi originando nuove cellule identiche alla cellula madre per un numero definito di volte. Inoltre, sotto l'influenza di appropriati stimoli, possono andare incontro a differenziamento, cioè all'assunzione di una specifica forma e funzione. In ragione di questa proprietà è possibile oggi proporre le colture cellulari anche come strumento per la rigenerazione di tessuti artificiali, utilizzabili nell'ambito di nuove strategie terapeutiche. In appropriate condizioni sperimentali le cellule possono andare incontro a un processo di trasformazione che comporta una serie di modificazioni a carico del nucleo e del citoplasma, alterando le loro normali proprietà e in alcuni casi facendole assomigliare a cellule tumorali.

Come si nutrono le cellule

Nell'organismo vivente le cellule si mantengono vitali grazie all'apporto di sostanze nutritive, garantito dal sistema vascolare che, tramite la rete capillare, nutre il tessuto a livello cellulare e rimuove i prodotti di scarto, derivati dal metabolismo cellulare. In vitro le funzioni dell'apparato vascolare sono vicariate dal terreno di coltura, un mezzo liquido altamente nutritivo. Esso è costituito da sostanze di base, quali glucosio, amminoacidi, vitamine, sali minerali ed elementi presenti in traccia, necessari per le normali funzioni fisiologiche della cellula, e dal siero animale (solitamente siero bovino fetale), che sostiene la crescita e la proliferazione cellulare. Il siero viene nella maggior parte dei casi usato alla concentrazione del 5÷20% e contiene fattori di crescita, come il fattore di crescita piastrinico (PDGF), il fattore di crescita epidermico (EGF), fattori di crescita insulino-simili (IGF), ormoni (per es., insulina), lipidi (acidi grassi, fosfolipidi, lecitine e colesterolo), importanti come fonte energetica e per la sintesi della membrana plasmatica, e fattori adesivi, quali fibronectina e vitronectina, transferrina, importante per il metabolismo del ferro, e albumina, capace di trasportare vitamine e lipidi. Le cellule devono essere nutrite regolarmente in condizioni asettiche per garantirne la vitalità. Le cellule normali aderiscono a superfici di vetro o di plastica trattata e proliferano fino a formare un monostrato confluente che ricopre completamente la superficie del contenitore (capsula di Petri o fiasca). Per garantire il mantenimento delle cellule in un microambiente simile a quello nativo, le cellule in laboratorio sono tenute in incubatore a 37 °C ad atmosfera controllata (95% aria, 5% CO2), ciò che consente di mantenere il corretto pH cellulare. A seconda del tessuto di provenienza, le cellule possono necessitare dell'aggiunta al terreno di coltura di fattori specifici, in modo da conservare lo stesso grado di proliferazione e differenziamento.

La coltura di cellule vegetali

Le tecniche per le colture delle cellule vegetali furono sviluppate negli anni Cinquanta del XX sec., quando si iniziò a realizzare che le colture avevano il potenziale di produrre una vasta gamma di molecole utili in diversi ambiti, e attualmente molti tipi di cellule vegetali possono essere coltivati in provetta. Le cellule vegetali sono circondate da una parete cellulare piuttosto rigida, costituita prevalentemente da cellulosa, che conferisce loro un supporto meccanico, la forma e una barriera di permeabilità. Per poterle coltivare bisogna trattare le cellule con un enzima chiamato 'cellulasi', che degrada la cellulosa della parete liberando la cellula 'nuda', detta anche 'protoplasto'. I protoplasti vengono fatti crescere in un terreno di coltura a composizione chimica definita, che ne sostiene la crescita e la divisione. Il terreno deve contenere tra gli ingredienti anche ormoni vegetali, come per esempio le auxine, indispensabili per la divisione cellulare. Le cellule in coltura si moltiplicano e formano un ammasso di cellule indifferenziate detto 'callo', da cui, tramite opportuna stimolazione, possono originare radici, fusticini, foglie e anche una pianta intera. L'industria farmaceutica impiega le colture vegetali nella produzione di farmaci antitumorali, antinfiammatori, antibatterici; il settore agrario per la produzione di pesticidi; il settore alimentare per quanto riguarda la sintesi di additivi (per es., coloranti).

Come si prepara una coltura cellulare

fig. 2

La prima tappa nell'allestimento di una coltura cellulare consiste nell'isolare la popolazione di cellule desiderata a partire da un frammento di tessuto; a un'iniziale disaggregazione meccanica del tessuto si fa seguire la digestione enzimatica, per degradare la matrice extracellulare che circonda e mantiene unite le cellule. La popolazione cellulare così ottenuta è eterogenea, ma, utilizzando terreni di coltura selettivi oppure separando le cellule in base alle molecole espresse sulla membrana citoplasmatica (antigeni), è possibile isolare specifiche popolazioni cellulari. Le cellule isolate vengono poi fatte crescere in un terreno di coltura appropriato; queste proliferano e, raggiunta la confluenza, possono essere staccate e trasferite in un altro contenitore, per mantenerle in continua divisione. Le cellule possono essere coltivate a elevata densità (coltura di massa) oppure a bassa densità (coltura clonale), dando luogo alla formazione di singole colonie (fig. 2).

I differenti tipi di colture cellulari

Una coltura cellulare si definisce 'primaria', quando deriva direttamente dal tessuto, o 'secondaria', se proviene da cellule di un'altra piastra. In base alla capacità proliferativa la coltura cellulare è detta a 'termine' o 'linea cellulare continua'. La coltura a termine è formata da cellule che possono compiere soltanto un numero finito di divisioni dopodiché vanno incontro a morte per il fenomeno dell'invecchiamento cellulare, indipendentemente dalla presenza o meno degli appropriati nutrienti. La linea cellulare, invece, è una coltura le cui cellule proliferano indefinitamente in seguito a cambiamenti nel loro patrimonio genetico, insorti spontaneamente o indotti dal ricercatore. A seconda della capacità delle cellule di attaccarsi o meno a un substrato, le colture vengono distinte in 'aderenti' (per es., cellule dell'epidermide) o 'in sospensione' (per es., cellule emopoietiche).

La divisione cellulare

La maggior parte delle cellule va incontro a divisione, cioè alla formazione di due cellule figlie identiche alla cellula madre. Questo evento si verifica alla fine del ciclo cellulare, che rappresenta l'insieme delle modificazioni cui va incontro una cellula dal momento in cui si forma al momento in cui si divide in due cellule figlie. La divisione è preceduta da fasi in cui la cellula raddoppia il suo contenuto intracellulare. In base alla capacità di dividersi, le cellule vengono suddivise in tre categorie: (a) cellule in continua divisione, come le cellule della pelle, che hanno vita breve e devono essere rapidamente sostituite; (b) cellule stabili, ossia cellule che dopo il differenziamento entrano in una fase di riposo, dalla quale possono ritornare in ciclo se opportunamente stimolate (per es., epatociti); (c) cellule perenni, ossia cellule che dopo il differenziamento escono definitivamente dal ciclo (per es., neuroni).

Il ritmo della divisione cellulare è controllato da meccanismi parzialmente conosciuti, che permettono a una cellula di dividersi soltanto se sono necessarie altre cellule. Numerosi fattori proteici specifici regolano il ciclo cellulare, come gli ormoni e i fattori di crescita. La cellula agisce come un bersaglio, grazie alla presenza di sistemi di riconoscimento dello stimolo alla divisione. Normalmente il numero di cicli di replicazione è legato in modo inverso all'età dell'animale da cui è stato prelevato il tessuto. Per questo motivo le cellule derivate da tessuti embrionali possono replicare in vitro per un tempo maggiore rispetto alle cellule isolate da tessuti di organismi adulti. Le cellule spesso perdono la capacità di dividersi dopo un certo periodo di tempo; tale periodo è variabile per i diversi tipi cellulari e per le cellule umane è di circa 50 divisioni. Ciò venne dimostrato nel 1961 da Leonard Hayflick e Paul S. Moorhead, i quali osservarono che i fibroblasti umani morivano dopo un numero finito di divisioni in coltura.

Dalla cellula sana alla cellula trasformata

Alcune cellule derivate da organismi pluricellulari presentano una capacità di divisione illimitata in coltura e possono essere utilizzate per la produzione di linee cellulari. La linea cellulare è costituita da cellule trasformate, derivate da tessuti tumorali o da cellule in coltura primaria che siano state modificate in seguito a mutazioni spontanee o indotte dall'esposizione a virus, mutageni chimici o radiazioni. Bisogna tenere presente che le cellule trasformate presentano molte caratteristiche anomale che le differenziano dalle cellule sane. Le alterazioni che avvengono a seguito della trasformazione riguardano la presenza di un corredo genetico aberrante, la riduzione e l'alterazione dello scheletro cellulare (citoscheletro), modificazioni sulla superficie cellulare riguardo l'espressione di antigeni, la minore adesività al substrato e quindi l'aumentata abilità a proliferare in sospensione e a formare in piastra molteplici strati. Inoltre le cellule trasformate hanno una minore dipendenza dalla presenza di siero nel terreno di coltura e in alcuni casi possono produrre tumori se vengono iniettate in un organismo ospite adatto.

Nel 1951 George O. Gey e i suoi collaboratori hanno messo in coltura la prima linea cellulare umana, stabilizzata da una biopsia di tessuto tumorale della cervice uterina prelevato da una paziente di nome Henrietta Lacks. La paziente morì poco dopo ma le sue cellule tumorali sono state mantenute in coltura fino a oggi. Queste cellule furono chiamate HeLa in suo nome e vengono attualmente utilizzate in molti laboratori. Si possono ottenere linee cellulari continue tramite l'introduzione in cellule normali di geni specifici (oncogeni) mediante infezione virale. Se viene aggiunto il virus tumorale al terreno di coltura compaiono in breve tempo piccole colonie di cellule trasformate che proliferano in modo anomalo.

Differenziamento cellulare

Il processo attraverso cui una cellula relativamente non specializzata si trasforma in una molto specializzata si chiama 'differenziamento' e interessa sia l'embrione sia l'individuo adulto. Durante lo sviluppo embrionale vengono generati molti tipi cellulari a partire dalla cellula uovo fecondata, fino a ottenere la vasta gamma di cellule che caratterizzerà il soggetto adulto. La via di differenziamento seguita da ogni cellula embrionale dipende fondamentalmente dai segnali che riceve dall'ambiente circostante; questi ultimi, a loro volta, dipendono dalla posizione della cellula nell'embrione. Come risultato del differenziamento tipi diversi di cellule acquistano forme differenti ed esprimono proteine specifiche: per esempio le cellule del muscolo scheletrico contengono proteine contrattili particolari, le plasmacellule sono specializzate per la produzione di anticorpi, ecc. I processi di differenziamento continuano nell'organismo adulto in quei tessuti che sono soggetti a rinnovamento continuo (per es., le cellule emopoietiche).

Ogni tessuto si rinnova con un suo ritmo caratteristico, grazie alla presenza di cellule staminali indifferenziate che contribuiscono a mantenere costante il numero delle cellule nel tessuto. Le cellule staminali sono definite come cellule indifferenziate capaci di autorinnovamento, cioè di produrre cellule simili a sé stesse e di generare cellule destinate a differenziarsi. Esse rappresentano quindi un serbatoio di cellule cui l'organismo attinge per garantire il rinnovo delle cellule morte del tessuto. Un esempio di cellula staminale è fornito dalla cellula staminale emopoietica del midollo osseo, capace di dare origine a tutti i tipi cellulari del sangue. L'adulto contiene differenti tipi di cellule staminali, che danno origine alle cellule specializzate degli organi in cui si trovano. Recenti studi hanno però evidenziato che determinate cellule staminali di adulto sono dotate di plasticità, sono cioè in grado di differenziare in tipi cellulari diversi da quelli del tessuto di origine.

La costruzione di tessuti complessi

Lo sviluppo delle conoscenze della biologia cellulare integrate con quelle della bioingegneria ha recentemente aperto nuove prospettive nel campo ormai affermato dell'ingegneria tissutale, che propone l'utilizzazione delle cellule per la costruzione in laboratorio di tessuti biologici artificiali da usare come sostituti di quelli danneggiati in seguito a malattia o trauma. Ciò aiuterebbe a risolvere i problemi della ridotta disponibilità di organi per trapianto e il rischio di rigetto dell'organo trapiantato derivato da donatore. L'associazione di cellule con materiali biocompatibili e biodegradabili sta portando alla produzione di tessuti ingegnerizzati trapiantabili. Gli attori coinvolti nello scenario biotecnologico della rigenerazione tissutale sono fondamentalmente tre: le cellule, le molecole segnale e i biomateriali.

Per garantire il mantenimento della funzione delle cellule impiantate si utilizza un materiale o scaffold che agisce da impalcatura per guidare l'organizzazione tridimensionale delle cellule nel costrutto finale. Lo scaffold, sintetico oppure naturale, deve essere in grado di sostenere la crescita e il differenziamento delle cellule, cioè deve ricreare il più possibile il microambiente caratteristico del tessuto che si vuole sostituire. Una volta trapiantato, esso deve svolgere la funzione di guida nella ricrescita tissutale, prima di essere completamente riassorbito. Per la preparazione dell'impianto da trapiantare, le cellule sono derivate da un frammento di tessuto sano del paziente di cui si vuole ricostruire il tessuto danneggiato; segue la combinazione tra le cellule e il biomateriale opportuno, in presenza o meno di molecole segnale necessarie per il corretto differenziamento delle cellule. Recentemente grande entusiasmo hanno suscitato nella comunità scientifica le cellule staminali quale risorsa nella terapia rigenerativa, grazie alla loro capacità di dare origine a diversi tipi cellulari a seconda di come vengono stimolate.

L'applicazione della terapia cellulare alla clinica

La storia dell'utilizzo di tessuti artificiali quali sostituti di tessuti compromessi è nata negli anni Ottanta, quando sono state messe a punto le condizioni per espandere i cheratinociti, cioè le cellule dell'epidermide, per ricostruire in laboratorio lembi di tessuto da trapiantare in pazienti che avevano subito ustioni. Da una piccola biopsia cutanea del paziente vengono isolati i cheratinociti, coltivati in provetta fino alla formazione di un foglietto che può essere trapiantato sulla superficie ustionata. Altre interessanti applicazioni hanno riguardato la ricostruzione dell'epitelio corneale di pazienti che avevano subito ustione termica o chimica all'occhio. Più recentemente l'interesse degli scienziati si è rivolto alla rigenerazione e alla riparazione dei tessuti scheletrici, osso e cartilagine, tramite l'uso di cellule isolate rispettivamente dal midollo osseo o da una piccola biopsia di cartilagine. Nel caso di ampi difetti ossei la capacità rigenerativa dell'osso è insufficiente a garantire la riparazione della lesione e le attuali tecniche terapeutiche di trapianto di osso autologo o da donatore presentano limitazioni. Le cellule stromali derivate da midollo osseo possono in questi casi rappresentare un tipo cellulare idoneo nella rigenerazione di tessuto osseo, dato il loro potenziale osteogenico. Numerosi sono anche gli studi relativi all'uso delle cellule della cartilagine, i condrociti, per la riparazione delle lesioni cartilaginee. I progressi compiuti dalla ricerca scientifica hanno aperto nuove incoraggianti possibilità nell'impiego dell'ingegneria tissutale per il trattamento del diabete, la rigenerazione del tessuto muscolare cardiaco quando il cuore viene danneggiato da un infarto e l'utilizzazione di cellule endoteliali per il rivestimento di protesi vascolari. Anche le cellule nervose distrutte da malattie degenerative come morbo di Parkinson e malattia di Alzheimer potrebbero essere sostituite dall'impiego della terapia cellulare.

I bioreattori

Un bioreattore viene generalmente definito come un sistema in grado di fornire alle cellule l'apporto di sostanze nutritizie e la rimozione dei prodotti di rifiuto del metabolismo cellulare. Normalmente i bioreattori vengono utilizzati nell'industria per la coltura di batteri, lieviti, funghi, alghe, cellule vegetali e cellule animali su larga scala, grazie al vantaggio di poter ottimizzare il controllo dei parametri vitali rispetto alla coltura eseguita sulla piastra. L'ambiente in cui crescono le cellule è strettamente controllato dal punto di vista dei parametri chimico-fisici: grazie alla presenza di appositi sensori è possibile monitorare parametri specifici della coltura, quali la temperatura, la concentrazione di gas disciolti nel terreno di coltura, il pH, la concentrazione di ioni inorganici e di carboidrati. Nel caso in cui vengano rilevate alterazioni a carico di questi componenti, sistemi di controllo appositi garantiscono la loro correzione tramite la somministrazione di liquido o gas.

Le cellule possono crescere in sospensione oppure adese a un substrato; la distribuzione omogenea della sospensione cellulare attraverso il substrato viene garantita da un sistema di perfusione che sfrutta un flusso di liquido attraverso il substrato. Anche il flusso del terreno di coltura all'interno del bioreattore può incrementare la vitalità e l'attività cellulare. L'uso dei bioreattori è stato quindi proposto per la costruzione di tessuti artificiali in un sistema tridimensionale, dove anche la sollecitazione meccanica influenza lo sviluppo e il rimodellamento tissutale. A questo proposito il bioreattore può essere utilizzato per generare specifici stimoli fisici, per esempio compressione e tensione, che possono stimolare la crescita e la maturazione dei tessuti durante il loro sviluppo in vitro. Numerosi studi sono stati effettuati per la costruzione di tessuti in bioreattore quali la cartilagine, il tendine e i vasi sanguigni, come pure, anche se a livello ancora teorico, per la generazione di organi come fegato, pancreas e rene.

Bibliografia

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Karp 2004: Karp, Gerald C., Biologia cellulare e molecolare: concetti ed esperimenti, 2. ed., Napoli, Edises, 2004 (ed. orig.: Cell and molecular biology, New York-Chichester, Wiley, 1996).

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