Cellula. Flusso dell'informazione cellulare

Enciclopedia della Scienza e della Tecnica (2007)

Cellula. Flusso dell'informazione cellulare

Antonio Fantoni
Gabriella Minchiotti

di Antonio Fantoni

Gli organismi si formano sulla base di progetti molto complessi che rispondono a due requisiti fra loro in apparente contraddizione, cioè da una parte la stabilità dell'informazione, matrice del progetto, e dall'altra la continua modulazione delle strutture e delle funzioni, in attuazione del progetto e nel confronto con l'ambiente. In accordo con la precedente affermazione, la storia della vita sulla Terra, dagli aggregati molecolari prebiotici alle prime forme di organizzazione cellulare, fino alle estreme complessità degli organismi pluricellulari, risponde a logiche evolutive contrapposte: da una parte la costanza dell'informazione necessaria a fornire gli strumenti essenziali per il mantenimento della vita, dall'altra il dinamismo in risposta a situazioni ambientali sempre nuove. Entrambi i requisiti dell'informazione biologica, ossia la stabilità e la modulazione, vengono osservati in tutti gli organismi viventi e persino in semplici oggetti biologici quali i virus. La stabilità e la modulazione dell'informazione degli organismi semplici, privi del nucleo e unicellulari, quali i batteri, sono descritte in termini e per processi generalmente simili a quelli di organismi forniti di nucleo, pluricellulari e a maggiori livelli organizzativi, come i Mammiferi superiori.

La stabilità dell'informazione viene assicurata dall'organizzazione molecolare dei geni e dei cromosomi. La cromatina è un'aggregazione chimicamente complessa di acidi nucleici e proteine, in cui le seconde, largamente eccedenti, sembrano proteggere gelosamente nel nucleo l'integrità dell'informazione genetica. La struttura dei cromosomi assicura anche che l'informazione genetica, nel corso degli eventi riproduttivi, venga replicata fedelmente e poi egualmente ripartita e trasferita dai genitori ai figli. La risposta dell'informazione genetica alle diverse situazioni ambientali si esercita in due ambiti completamente diversi. Uno, di lunga e collettiva prospettiva, riguarda l'evoluzione della specie, per cui l'informazione genetica delle popolazioni è sottoposta alla selezione ambientale. Il secondo ambito, di breve momento, riguarda l'informazione per il progetto di ogni organismo, che viene stimolata dall'ambiente a dare in ogni cellula risposte immediate, modulate in qualità e intensità.

Per realizzare il progetto di un organismo, nelle sue cellule l'informazione genetica deve essere espressa attraverso due processi: la trascrizione dai simboli chimici del DNA (basi desossiribonucleotidiche) a quelli dell'RNA (basi ribonucleotidiche) e successivamente, mediante il codice genetico a tre lettere ribonucleotidiche, la traduzione di questi ultimi in quelli delle proteine (amminoacidi), capaci finalmente di costruire strutture ed esercitare funzioni cellulari. La modulazione dell'informazione è necessaria per realizzare, a partire da un'informazione costante, progetti cellulari sempre variati, capaci di servire alle funzioni specializzate degli organismi complessi e di rispondere a situazioni ambientali diversificate. Per questo motivo, il flusso dell'informazione da DNA (matrice del progetto), a proteine (realizzazione del progetto), non è un meccanismo spontaneo e automatico, ma viene regolato in modo diverso per ogni gene, per ogni processo di specializzazione cellulare, in ogni momento della fase di sviluppo dell'organismo e per ogni risposta a stimoli ambientali.

L'informazione genetica nel progredire delle conoscenze biologiche

Nel corso degli ultimi cento anni gli scienziati che hanno studiato questo tema si sono definiti come genetisti, biochimici, biofisici e biologi molecolari. Alla ricerca dei fini ultimi della vita capaci di giustificare regole comportamentali e liceità giuridiche, anche la bioetica ha voluto interpretare i risultati sperimentali in questo ambito. Attualmente queste ricerche sono definite a vario titolo come 'genomica', 'postgenomica', 'proteomica funzionale'. Domani verranno inventati nomi nuovi, altrettanto ansiosi di ingabbiare nell'ambito di una sola disciplina una realtà molto complicata e variegata. Per comprenderla nella sua complessità, si ricorre oggi a tecnologie di analisi integrate, che utilizzano reti di database e sistemi di equazioni, come proposto dalla 'biologia dei sistemi'. Grazie all'abbondanza di risorse scientifiche utilizzate, e dopo un secolo di lavoro, siamo oggi nella condizione di descrivere adeguatamente le strutture e i processi del flusso di informazione nella cellula.

Ma il paradigma dell'informazione scritta nel linguaggio biologico sembra legato a quello dell'informazione culturale. In entrambe le situazioni, l'emergenza di temi nuovi mette in causa quanto ritenuto oggettivo fino a ieri. Ne sono un esempio le scoperte degli ultimi trent'anni, le quali dimostrano che l'informazione genetica può fluire a rovescio da RNA a DNA; inoltre l'informazione contenuta nei genomi superiori è almeno venti volte più abbondante di quanto richiesto per la funzione dei geni e anche questi ultimi, unità elementari di informazione, sono veramente espressi solo in piccola parte, perché contengono , cioè inclusioni di grandi quantità di informazione apparentemente inutile e di origine evolutiva incerta. Infine, negli ultimi dieci anni, si è scoperto in modo sorprendente il ruolo essenziale di piccoli RNA nella regolazione dell'informazione. Proprio per la vivacità culturale di queste ricerche sembra tuttora impossibile dare risposte adeguatamente coerenti e definitive a tutte le domande poste dai comportamenti cellulari; quindi chi scrive e chi legge in questo ambito scientifico assume il dubbio metodologico come strumento per analizzare le molte complessità del messaggio genetico e della sua espressione nel 'progetto organismo'.

L'unità di informazione genetica

L'informazione genetica di un organismo intero, denominata , è chimicamente strutturata nella doppia elica del DNA. Come un testo scritto, ha un inizio, una direzione di lettura e un termine, e utilizza simboli chimici come lettere ricopiabili, trasferibili, interpretabili. L'unità elementare del genoma è il gene e contiene le istruzioni per costruire una catena polipeptidica. La dimensione di una proteina monomerica media è di 500 amminoacidi e quindi, sulla base del a tre lettere, l'informazione per costruirla è scritta in 1500 nucleotidi del gene. La struttura elementare del gene contiene anche altre brevi successioni di simboli chimici necessari per configurare le istruzioni per la sua espressione, cioè per definire quando quelle istruzioni siano da utilizzare, in quali cellule e per produrre quanti oggetti proteici. Queste brevi sequenze-istruzioni, definite genericamente come 'promotori', vengono riconosciute da complessi proteici specifici, definiti fattori di trascrizione, a loro volta innescati e guidati dai processi di comunicazione cellulare. Nel gene sono comprese altre brevi istruzioni chimiche, sempre in forma di DNA, che definiscono: (a) l'inizio e il termine delle sequenze che devono essere trascritte da DNA in RNA; (b) l'inizio e il termine delle porzioni dell'RNA trascritto nel nucleo che viene trasferito al citoplasma; (c) l'inizio e il termine del messaggio di RNA che deve essere tradotto.

La logica chimica del messaggio genetico e del suo flusso cellulare

L'informazione scritta del linguaggio umano utilizza concretamente due elementi, il substrato cartaceo (oggi elettronico) come supporto stabile e la successione lineare di simboli letterali (ventuno nella lingua italiana) come strumento per informazioni replicabili e interpretabili. Egualmente, ma in un'unica molecola, il DNA fornisce entrambe le funzioni, cioè la sua doppia elica è supporto stabile dell'informazione, mentre la successione lineare di basi desossiribonucleotidiche costituisce il messaggio genetico replicabile e interpretabile. I simboli chimici del linguaggio genetico sono solo quattro, le basi Timina (T), Adenina (A), Guanina (G) e Citosina (C), capaci di riconoscersi fedelmente in una logica binaria A-T e G-C, costituendo una doppia elica strutturalmente stabile.

Il flusso di questa informazione nelle cellule, necessario per realizzare il progetto organismo, è articolato, secondo uno schema semplificato, con sei passaggi: (a) tramite lo stesso processo di riconoscimento chimico che struttura la sua doppia elica, il DNA è capace di replicarsi nel nucleo in due molecole contenenti informazioni genetiche fra loro identiche e a loro volta identiche all'informazione originale; (b) l'informazione così duplicata viene distribuita in modo qualitativamente e quantitativamente preciso nel nucleo di due nuove cellule, come presupposto della proliferazione cellulare; (c) nel nucleo di ogni cellula l'informazione genetica viene trascritta in molecole di RNA, secondo una procedura egualmente fedele e basata sullo stesso riconoscimento chimico binario G-C e A-U, in cui l'Uracile sostituisce la Timina; (d) il messaggio genetico scritto sull'RNA (RNA messaggero, RNAm) viene poi trasferito dal nucleo al citoplasma a seguito di un'ulteriore selezione () che esclude porzioni molto vaste di ogni gene prive di un valido messaggio genetico; (e) le molecole di RNAm vengono tradotte in una successione lineare di amminoacidi costituenti le molecole di proteine, secondo la logica del codice genetico, per cui a tre specifiche basi nucleotidiche corrisponde un preciso amminoacido; (f) nell'ultima fase la successione lineare dei venti differenti amminoacidi viene convertita nelle diverse conformazioni tridimensionali delle macromolecole proteiche.

Ognuna di queste fasi viene regolata in risposta a stimoli esterni, nell'ambito di processi di comunicazione. Dall'esterno della cellula provengono segnali molecolari presenti nei fluidi extracellulari o trasferiti nel contatto con altre cellule. Questi segnali, per lo più proteine modificabili in una logica binaria 0-1, entrano in rapporto con recettori specifici di membrana che vengono modificati, innescando così una serie di reazioni sequenziali a cascata definite 'trasduzione del segnale' fino a giungere ai processi bersaglio dei segnali. I bersagli terminali della comunicazione sono soprattutto le fasi di replicazione del DNA e di trascrizione. In questo modo vengono continuamente attivati, regolati o inattivati i processi di proliferazione e di differenziamento cellulare, assieme all'esercizio delle singole funzioni specializzate. I processi di comunicazione cellulare costituiscono quindi il presupposto della regolazione del flusso informazionale, regolazione capace di diversificare le funzioni cellulari e integrarle nel progetto organismo. La regolazione avviene anche in risposta a stimoli interni, il cui significato è ancora oggi in tumultuosa elaborazione scientifica e quindi esula dall'ambito di questa trattazione. Si tratta del ruolo dei piccoli RNA e delle modificazioni post-traduzionali delle proteine studiate dalla proteomica funzionale.

Gli studiosi dell'evoluzione dei genomi si sono sempre chiesti come fosse possibile che Drosophila, minuscolo moscerino della frutta, gestisse il suo progetto con 13.767 geni, mentre all'uomo ne bastavano poco più del doppio. Solo recentemente le ricerche di postgenomica hanno portato l'attenzione sulle reali implicazioni delle fasi 4 e 6 dell'espressione genica, fino a ieri intese come momenti automatici e banalmente prevedibili. Al contrario, le modificazioni post-trascrizionali degli RNAm e quelle post-traduzionali delle proteine permettono l'esplosione della potenzialità informativa operativa da 30.000 geni a più di 450.000 diverse funzioni proteiche. Nei Mammiferi superiori l'aumento della potenzialità informativa avviene a livelli successivi alla trascrizione del gene, come segue: (a) il meccanismo di splicing può essere esercitato in modo alternativo selezionando, in risposta a segnali specifici, sequenze diverse da trasferire al citoplasma, in modo che da una singola informazione genica possano essere ottenuti fino a quattro messaggi diversi; (b) dopo la sua sintesi la catena polipeptidica viene sottoposta a modificazioni chimiche a opera di enzimi specifici (fosforilazione, acetilazione, ecc.) in siti diversi della molecola, che viene così condotta a esercitare altrettante funzioni diverse; (c) ogni singolo monomero polipeptidico può servire da modulo variabile per la composizione di differenti complessi proteici polimerici; (d) infine, le molecole proteiche neoformate incontrano altre proteine, denominate appunto , in grado di modificarne la conformazione e accompagnarle in organelli diversi della cellula, dove possono esercitare funzioni specifiche.

Flusso dell'informazione da genomi immensi a pochissimi messaggi utili alla cellula

Per visualizzare meglio la modalità del flusso dell'informazione dal DNA alle proteine, può essere utile cercare di rappresentare concretamente, in termini numerici, l'organizzazione del genoma con la metafora di una collezione di manuali pratici utilizzati per produrre i molti strumenti utili a costruire una struttura funzionante. Il testo intero del genoma umano, quello finora meglio studiato, contiene circa 30.000 diverse informazioni semplici (geni) in 3,3 miliardi di simboli chimici (le basi nucleotidiche). Questa massa di informazione è veicolata da 23 coppie di cromosomi, ognuno contenente in media circa 143 milioni di lettere del linguaggio genetico e 1300 geni. Leggendo le istruzioni date dai simboli genetici nel testo di ogni , si incontrano molte parole non interpretabili, spesso altamente ripetute, come fosse un 'bla bla bla' senza significato. Ma si incontrano anche sequenze di nucleotidi interpretabili come promotori, cioè l'inizio del gene (come il titolo di un capitolo), altri segnali e poi una successione di triplette nucleotidiche interpretabili come codice genetico, fino a segnali di fine del gene, come a girar pagina alla fine del capitolo. In media un gene è costituito da 10.000 basi nucleotidiche.

Ma dividendo per ogni cromosoma i simboli-lettere (143 milioni) per il numero dei geni (1300) otteniamo il valore di 110.000 basi per gene e non 10.000 come invece abbiamo osservato. Questi semplici calcoli, originati da analisi inequivocabili, ci permettono di concludere che solo il 9% del genoma è occupato da veri e propri geni, e che il resto del genoma è rappresentato da vaniloqui senza senso. Quindi, se nella metafora ogni cromosoma è un manuale, per realizzare compiutamente un uomo si devono utilizzare 23 enormi manuali di circa 35.000 pagine ciascuno, in cui ogni gene, cioè le istruzioni per realizzare una proteina, occupa soltanto tre pagine. Più di 30.000 pagine di ogni libro sembrano inutilizzabili. Ma non basta, poiché nelle tre pagine del gene medio, le vere e proprie istruzioni per produrre una proteina sono contenute in meno di mezza paginetta in quanto il resto (almeno l'85% del totale) è formato da introni, cioè da DNA che, pur essendo trascritto in RNA, viene distrutto dentro al nucleo (splicing), senza passare mai al citoplasma, né essere tradotto in una proteina. Per sopravvivere, proliferare ed esercitare le sue funzioni specializzate, ogni cellula ha bisogno di un numero basso di informazioni, quelle corrispondenti a un massimo di 2500 geni. Una parte di queste informazioni (ca. un migliaio) servono a determinare le funzioni di base di tutte le cellule e sono per questo denominate household genes, in quanto mantengono in efficienza la 'casa cellulare'. Le altre 1500 unità di informazione sono definite impropriamente luxury genes, ma dovrebbero invece essere chiamate 'geni delle attività specializzate', perché definiscono le funzioni specifiche di ogni cellula nell'economia dell'organismo. Questi semplici dati, scaturiti negli ultimi quindici anni di ricerche sul genoma, descrivono uno scenario impressionante, di non facile comprensione: quello di ogni cellula con un'enorme biblioteca di 800.000 pagine di potenziali informazioni genetiche, di cui 730.000 prive di senso. Le rimanenti 70.000 sono necessarie all'intero organismo, ma in ogni cellula solo circa 7500 sono prelevate dagli scaffali del genoma e servono alle sue funzioni. Ma ancora, di queste, almeno 6000 vengono stracciate prima di uscire dalla biblioteca e 1500 sono finalmente lette nel citoplasma per costruire gli strumenti della vita della cellula.

La grande curiosità degli scienziati della postgenomica, e il vero problema che devono risolvere, è come i processi di scelta dello 0,3% dell'informazione, diversa in ogni momento e differente in ogni cellula, possano avvenire con grande rapidità ed efficacia. Questa selezione accurata si produce nel corso del flusso di informazione dal genoma nucleare ai messaggi citoplasmatici. In conclusione, il flusso dell'informazione avviene quindi secondo una successione di eventi molecolari descrivibili come diminuzione progressiva della potenzialità informazionale e aumento progressivo della capacità operativa per rispondere alle necessità cellulari. Dal messaggio genetico, conservato interamente e stabilmente nel DNA, vengono selezionate poche porzioni geniche per essere trascritte in RNA, molecole strutturalmente instabili per potersi adattare rapidamente alle variazioni delle condizioni ambientali. Quelle istruzioni, poche e instabili, producono infine proteine, anch'esse caduche, il cui contenuto informazionale si limita a quello necessario ad assumere una conformazione finale a bassa energia libera. Dal punto di vista del lavoro informazionale, in questo processo si verifica quindi il flusso da molta informazione nel DNA _ stabile ma inutilizzabile direttamente _ a porzioni ridotte di informazione instabile nell'RNA, nel passaggio intermedio, fino agli strumenti proteici finali, pochi ma ben selezionati, a basso contenuto informazionale, tuttavia pienamente capaci di sopperire alle necessità cellulari.

Bibliografia

Alberts 2004: Alberts, Bruce e altri, Essential cell biology, 2. ed., New York, Garland Science, 2004.

Brown 2002: Brown, Terence A., Genomes, 2. ed., Oxford, BIOS, 2002.

Kim, Nam 2006: Kim, V. Narry - Nam, Jin-Wu, Genomics of microRNA, "Trends in genetics", 22, 2006, pp. 165-173.

Nielsen 2005: Nielsen, Rasmus, Molecular signatures of natural selection, "Annual review of genetics", 39, 2005, pp. 197-218.

Siti internet

http://www.functionalgenomics.org.uk/ (per la genomica funzionale)

IL DIFFERENZIAMENTO CELLULARE

di Gabriella Minchiotti

Nella gran parte degli organismi multicellulari, le cellule non sono tutte uguali; per esempio, quelle che formano la pelle sono differenti da quelle che compongono gli organi interni. Allo stesso modo, però, tutti i differenti tipi cellulari che compongono un organismo derivano da un’unica cellula, l’uovo fertilizzato, la quale darà origine all’intero individuo. Il differenziamento cellulare è il processo durante il quale le cellule non specializzate (immature) si trasformano in cellule specializzate, acquistando così una forma matura e una specifica funzione. Lo stato differenziato è caratterizzato da un’attività genica differenziale, che conferisce particolari proprietà biologiche a quel tipo cellulare ed è il risultato dell’attività di differenti combinazioni geniche che portano all’espressione di specifiche proteine. Durante tale processo, la morfologia della cellula può cambiare drasticamente, mentre il materiale genetico rimane pressoché lo stesso, con poche eccezioni, come, per esempio, i globuli rossi che perdono il nucleo. Inoltre, in alcuni e pochi organismi, Nematodi e Crostacei, la differenziazione cellulare somatica è acquisita attraverso l’eliminazione di porzioni di genoma o, ancora in casi eccezionali, attraverso l’amplificazione genica. Quindi, sebbene la maggior parte delle cellule contenga un identico set di geni, queste possono essere molto diverse tra loro sia dal punto di vista morfologico sia dal punto di vista funzionale. Il differenziamento cellulare è un processo biologico finemente regolato, che coinvolge numerosi aspetti della fisiologia cellulare fra cui la dimensione, la forma, la polarità, l’attività metabolica, la risposta a determinati segnali ambientali e/o cellulari e il profilo di espressione genica. È l’espressione o la repressione selettiva dei geni che determina le proprietà specifiche delle singole cellule, con specifici geni che vengono accesi o attivati mentre altri spenti o disattivati. L’espressione di molti di questi geni è controllata in modo predominante a livello trascrizionale, sebbene molti meccanismi di controllo post-trascrizionale, traduzionale e post-traduzionale giochino un ruolo altrettanto importante. Il rimodellamento della rappresenta uno dei meccanismi di controllo dell’espressione genica non codificato dalla sequenza di DNA di per sé (controllo epigenetico dell’espressione genica). Questo implica modificazioni covalenti del DNA, modificazioni covalenti degli (le proteine che legano il DNA, altamente conservate negli eucarioti) e riorganizzazione dei nucleosomi (subunità strutturali fondamentali della cromatina; ciascun nucleosoma consiste in circa duecento coppie di basi e in un ottamero di proteine istoniche). Per esempio, la metilazione dei residui di Citosina nel DNA è un evento cruciale per il silenziamento genico. Anche le modificazioni post-traduzionali degli istoni rivestono un ruolo chiave nel controllo epigenetico dell’espressione genica. Le scoperte più recenti in questo campo hanno dimostrato che l’alterazione di una delle componenti che sovraintende al controllo della regolazione epigenetica dell’espressione genica causa alterazioni dei processi di differenziamento cellulare che sono nell’uomo all’origine di malattie o sindromi. Negli eucarioti, il controllo dell’espressione genica a livello della trascrizione dipende da numerosi fattori che condizionano l’attività della RNA-polimerasi II. Esistono, per esempio, proteine definite master regulators che svolgono un ruolo di coordinamento in questa rete di controllo dell’espressione genica in quanto, da sole, regolano l’espressione di interi gruppi di geni. Un classico esempio nei Mammiferi di questi regolatori è rappresentato dalla proteina myoD1 che, in particolari condizioni sperimentali, è capace di trasformare un fibroblasto della pelle in una cellula muscolare. In questo caso, quindi, un solo gene è in grado di cambiare completamente il destino differenziativo di una cellula. Un esempio ancora più spettacolare è rappresentato dai geni cosiddetti ‘omeotici’ in Drosophila melanogaster, che ha rappresentato e rappresenta tuttora un ottimo modello sperimentale per studiare i meccanismi molecolari che controllano la morfogenesi e il differenziamento cellulare. Mutazioni in questi geni determinano la trasformazione di una parte del corpo del moscerino in un’altra, con un processo definito di ‘trasformazione omeotica’. In conclusione, quindi, l’azione combinata spazio-temporale dell’espressione genica, delle interazioni cellulari e delle interazioni ambientali determina l’acquisizione progressiva, da parte della cellula, di caratteristiche chimico-fisiche adatte a svolgere funzioni diverse a seconda del tipo cellulare. Nel corso dello sviluppo le cellule, differenziandosi strutturalmente e funzionalmente, acquisiscono specifiche caratteristiche morfologiche, biochimiche e fisiologiche tipiche della specializzazione tissutale finale. Il problema centrale della biologia dello sviluppo rimane ancora oggi la comprensione dei meccanismi che iniziano e regolano l’attività genica differenziale e il differenziamento cellulare. La morfogenesi è un processo strettamente correlato al differenziamento cellulare e determina la distribuzione nello spazio delle cellule e dei tessuti che originano durante lo sviluppo embrionale. I morfogeni sono molecole, per la maggior parte fattori solubili diffusibili, che si distribuiscono a formare gradienti di concentrazione. Generalmente i morfogeni agiscono attraverso il legame con specifici recettori di membrana, che funzionano da sensori cellulari in grado di innescare la cascata di eventi responsabile del destino differenziativo di una cellula. Ciò determina il fatto che non tutte le cellule possono essere indotte verso un certo destino, ma solo le cellule cosiddette ‘competenti’, quelle, cioè, che esprimono i recettori in grado di riconoscere il segnale induttivo.

Cellule staminali e differenziamento cellulare

Le cellule che sono capaci di rigenerarsi dando origine a cellule figlie identiche alla cellula madre ma che, allo stesso tempo, sono in grado di differenziare e generare tipi cellulari diversi, si definiscono, negli animali, ‘cellule staminali’, e, nelle piante, ‘cellule meristematiche’. Le cellule staminali che sono in grado di dare origine a qualsiasi tipo cellulare e all’intero organismo si definiscono ‘staminali totipotenti’; l’unica cellula che mostra tale caratteristica è lo , la cellula uovo fecondata. A oggi, le cellule staminali vengono classificate in cellule staminali adulte e cellule staminali embrionali o ES (Embryonic stem). Le cellule staminali embrionali sono contenute nella massa cellulare interna della blastocisti, una struttura specializzata che si origina dallo zigote dopo diversi cicli di divisione e poco prima dell’impianto nella mucosa uterina. Le cellule staminali embrionali si definiscono ‘pluripotenti’ in quanto possono dare origine a qualsiasi tipo di cellula specializzata dell’organismo, ma da sole non sono in grado di generare l’intero organismo. Tali cellule possono essere coltivate per lunghi periodi in laboratorio, in particolari condizioni, mantenendo il loro stato indifferenziato, e generano un numero elevatissimo di cellule figlie tutte pluripotenti. Le stesse cellule, però, in opportune condizioni sperimentali, possono essere indotte a differenziare nei diversi tipi cellulari fra cui i neuroni, i cardiomiociti, gli epatociti, ecc.

Tali procedure sperimentali hanno permesso, negli ultimi anni, di ampliare in maniera enorme le nostre conoscenze sia dei meccanismi molecolari che controllano il differenziamento delle cellule embrionali staminali, sia di quelli che ne determinano la pluripotenza. Sono stati identificati, per esempio, alcuni marcatori molecolari che servono a riconoscere le cellule staminali embrionali pluripotenti e a distinguerle dai progenitori delle cellule differenziate. Fra questi, per esempio, le proteine Oct4, Sox2 e Nanog; queste sono fattori di trascrizione il cui compito è quello di regolare l’espressione genica e mantenere l’identità delle staminali; infatti, qualora esse vengano eliminate o disattivate, la cellula comincia immediatamente a differenziarsi. Nell’embrione postimpianto e poi nel feto sono presenti le cellule germinali primordiali, che rappresentano lo stadio di differenziamento che precede la formazione delle gonadi. Tali cellule, se isolate dall’embrione, possono moltiplicarsi e produrre cellule pluripotenti dette EG (Embryonic germ) in grado, come le ES, di differenziarsi in quasi tutti i tipi cellulari presenti nell’adulto. Infine, le cellule staminali adulte, che comprendono anche le cellule staminali neonatali contenute nel cordone ombelicale, sono cellule non totalmente specializzate, che però risiedono in un tessuto adulto altamente specializzato e sono state isolate pressoché in tutti i tessuti adulti. Rispetto alle cellule staminali embrionali, le cellule staminali adulte sono più specializzate; per questo motivo si definiscono ‘multipotenti’ in quanto sono capaci di dare origine a tipi cellulari che hanno una particolare funzione; per esempio, le cellule staminali ematopoietiche, isolate dal midollo osseo, hanno la capacità di generare tutti gli elementi figurati del sangue. Questo concetto, però, recentemente è stato in parte modificato. A differenza delle cellule staminali embrionali, non sono stati finora identificati marcatori molecolari specifici che permettano di distinguere, in maniera inequivocabile, le cellule staminali adulte dai progenitori delle cellule adulte. Una delle scoperte più interessanti degli ultimi anni è stata certamente quella che ha dimostrato che le cellule staminali non sono solo presenti nei tessuti adulti soggetti a continuo ricambio come la pelle o il sangue, dove ci si immaginava servissero come reservoir di cellule necessarie per sostituire quelle che si perdono durante la vita dell’individuo. Infatti, sorprendentemente, anche i tessuti le cui cellule non si rigenerano o lo fanno molto lentamente nell’adulto, quali il tessuto nervoso o quello cardiaco, possiedono una riserva di cellule staminali. Per esempio, è stato dimostrato che il sistema nervoso centrale e quello periferico contengono cellule staminali, cosiddette ‘neurali’, in grado di generare i diversi tipi di cellule che compongono il sistema nervoso, come i neuroni e la glia. Inoltre, il concetto di potenzialità delle cellule staminali adulte ha subito negli ultimi anni una modifica sostanziale; infatti, è stato dimostrato che, in alcuni casi, le cellule staminali adulte possono dare origine a cellule differenziate di tessuti diversi da quelli di origine, introducendo così il concetto di plasticità o trasdifferenziamento delle cellule staminali adulte. È stato dimostrato che le cellule staminali del midollo osseo, che normalmente danno origine alle cellule del sangue, in particolari condizioni e attualmente con una efficienza molto bassa, possono differenziare in tipi cellulari molto diversi quali cellule epiteliali, neuroni e cellule muscolari. Accanto alle sorgenti appena descritte di cellule staminali (embrionali staminali, embrionali germinali e adulte), negli ultimi anni se ne è aggiunta una ulteriore, basata sulla possibilità di modificare il programma genetico delle cellule differenziate e indurne il de-differenziamento. Questa nuova possibilità si è sviluppata concretamente a partire dalla fine degli anni Novanta del XX sec., quando sono stati pubblicati i risultati di alcune ricerche che dimostrano come il programma genetico di nuclei di cellule di organismi superiori del tutto differenziate (somatiche) possa essere completamente modificato e riprogrammato. In realtà, i primi esperimenti pionieristici, tesi a studiare il grado di potenzialità delle cellule somatiche, risalgono ai primi del Novecento, quando Hans Spemann e Hilde Mangold pongono le basi della morfogenesi sperimentale, indispensabili per la comprensione dei fenomeni del differenziamento cellulare e tissutale durante lo sviluppo di un nuovo individuo. Successivamente, alla fine degli anni Sessanta, John Gurdon, utilizzando come sistema modello il rospo Xenopus laevis, dimostra, con esperimenti molto eleganti di embriologia molecolare, che i nuclei di cellule somatiche differenziate, trasferiti a contatto del citoplasma di una cellula uovo enucleata, sono in grado di modificare il proprio programma genetico fino ad assumerne uno nuovo, di tipo embrionale, e quindi sono capaci di iniziare e proseguire lo sviluppo larvale. Esperimenti recenti, fra i quali quelli condotti dal gruppo di Ryuzo Yanagimachi (Premio Internazionale per la biologia, 1996) sui topi di laboratorio, stabiliscono con chiarezza che il programma genetico di un nucleo di cellule somatiche terminalmente differenziate può essere riprogrammato, grazie al contatto con il citoplasma di una cellula uovo enucleata, così da acquisire di nuovo la capacità di iniziare e terminare lo sviluppo embrionale. Resta da chiarire quali siano i meccanismi e le molecole coinvolti in questo processo di deprogrammazione e riprogrammazione del genoma della cellula somatica dopo il suo trasferimento nel citoplasma della cellula uovo. Lo studio dei meccanismi molecolari che controllano la staminalità e le capacità differenziative delle cellule staminali è di grande interesse e attualità; esso offre, infatti, non solo l’occasione di approfondire la conoscenza dei meccanismi del differenziamento cellulare, tema di grande interesse per la biologia, ma sta anche aprendo la strada allo sviluppo di nuove strategie terapeutiche da applicare alla medicina rigenerativa.

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