Cellula. Riconoscimento e adesione tra cellule

Enciclopedia della Scienza e della Tecnica (2007)

Cellula. Riconoscimento e adesione tra cellule

Guido Tarone

La costituzione di organismi pluricellulari richiede la loro aggregazione in masse che, durante le fasi dello sviluppo embrionale, formeranno tessuti e organi. Questi processi morfogenetici implicano la capacità delle cellule di riconoscersi reciprocamente e di instaurare interazioni stabili, sia con altre cellule sia con la matrice extracellulare, un reticolato di proteine fibrose esterno alla cellula che funge da impalcatura di sostegno nei tessuti.

Il riconoscimento e l'adesione tra cellule sono controllati da 'recettori adesivi', proteine della membrana cellulare appartenenti alle famiglie delle caderine, delle Cell adhesion molecules (CAM) e delle integrine. Questi recettori adesivi assolvono a tre funzioni fondamentali: (a) costituiscono un sistema di ancoraggio fisico che fornisce stabilità meccanica ai tessuti; (b) permettono il riconoscimento tra cellule e quindi la formazione di aggregati cellulari omogenei necessari alla costituzione di un tessuto; (c) controllano il differenziamento e la proliferazione cellulare, garantendo un accrescimento corretto dei tessuti sia durante lo sviluppo embrionale sia durante gli eventi di riparazione delle lesioni nell'individuo già sviluppato.

I recettori adesivi appartenenti alle tre famiglie sono proteine che attraversano la membrana plasmatica della cellula da parte a parte; essi sono costituiti da tre porzioni distinte: una rivolta all'esterno della cellula, una che attraversa il doppio strato lipidico della membrana e una terza porzione che si affaccia nel citoplasma all'interno della cellula. Nel caso delle caderine e delle CAM, la porzione rivolta all'esterno della cellula può legare molecole identiche a sé stessa presenti sulla membrana di cellule adiacenti, permettendo così la formazione di aggregati cellulari. Nel caso delle integrine, la porzione esterna lega proteine della matrice extracellulare, ancorando così le cellule a questa impalcatura di supporto esterna. La funzione adesiva di questi recettori richiede, tuttavia, anche la loro interazione con le impalcature di supporto intracellulari. Questa funzione è svolta dalle porzioni dei recettori rivolte verso il citoplasma che legano diversi elementi del citoscheletro. In questo modo si realizza una continuità fisica tra strutture di sostegno interne ed esterne alla cellula, necessaria per garantire la stabilità di un tessuto e la sua capacità di resistere alle sollecitazioni meccaniche.

L'analisi molecolare ha evidenziato l'esistenza di un grande numero di recettori adesivi e ciascuna delle tre famiglie è costituita da decine di recettori differenti. Ogni recettore è assimilabile a una chiave capace di aprire una serratura specifica. Infatti, ciascuna caderina si lega solamente a una caderina identica a sé stessa, ma non alle caderine della stessa famiglia. Lo stesso concetto si applica ai singoli recettori delle altre due famiglie. Poiché ogni recettore è espresso in modo differenziale nel tempo e nello spazio durante lo sviluppo dell'organismo, questo sistema funziona da codice di riconoscimento basato sulla presenza di una determinata combinazione di recettori adesivi sulla superficie della cellula. Grazie a questo codice le cellule identiche sono in grado di riconoscersi e formare aggregati omogenei, condizione che permette l'organizzazione spontanea in tessuti e organi.

In seguito all'interazione cellula-cellula o cellula-matrice extracellulare, i recettori adesivi attivano circuiti biochimici di reazioni intracellulari che modificano sia l'organizzazione del citoscheletro sia la risposta cellulare a stimoli differenziativi e proliferativi. L'adesione cellulare esercita così un controllo sul differenziamento e sulla proliferazione cellulare, necessario allo sviluppo coordinato dei tessuti in un organismo pluricellulare.

Adesione tra cellule

La capacità delle cellule appartenenti a uno stesso tessuto di riconoscersi è stata suggerita inizialmente da una serie di esperimenti di aggregazione cellulare: quando cellule provenienti da tessuti differenti venivano mescolate in un mezzo adeguato, esse si aggregavano in agglomerati contenenti tipi cellulari omogenei. Era quindi chiaro che le cellule provenienti dallo stesso tessuto erano in grado di riconoscersi e di stabilire interazioni che permettevano la formazione di aggregati.

La capacità delle cellule di riconoscersi e di aggregarsi veniva meno se cellule isolate erano trattate con enzimi proteolitici, quali la tripsina o la pronasi, che rimuovono le proteine presenti sulla superficie cellulare. Questo indica che il riconoscimento e l'aggregazione cellulare richiedono l'interazione tra proteine specifiche poste sulla membrana e definite genericamente 'recettori di adesione'. Lo studio di queste proteine ha permesso di comprendere che esistono almeno tre differenti meccanismi molecolari di riconoscimento tra le cellule: un meccanismo basato su interazioni omofiliche, in cui il recettore di una cellula lega un recettore uguale a sé stesso sulla cellula adiacente; quello eterofilico, che si verifica quando i che mediano l'interazione tra cellule adiacenti sono di tipo differente; quello mediato da una molecola bifunzionale che fa da ponte tra due recettori su cellule adiacenti. I recettori che mediano il riconoscimento e l'adesione tra cellule appartengono a due gruppi distinti per struttura e proprietà: le caderine (Ca2+-aderine), che funzionano solamente in presenza di ioni calcio (Ca2+) e le molecole CAM (Cell adhesion molecules), appartenenti alla superfamiglia delle immunoglobuline, che mediano l'adesione in assenza di Ca2+.

Caderine

Le caderine costituiscono una famiglia comprendente una ottantina di molecole distinte, con una distribuzione tissutale caratteristica. La E-caderina (epiteliale), la prima molecola di questa famiglia a essere stata descritta, è espressa molto precocemente durante lo sviluppo embrionale, allo stadio di morula, dove è responsabile della reazione di compattazione, processo mediante il quale le cellule dello strato esterno della morula formano tra loro delle giunzioni, sigillando la struttura. In questo modo i fluidi pompati all'interno della morula da parte delle cellule degli strati più esterni permettono il rigonfiamento e la formazione di una sfera cava, la blastula, entro cui si organizzeranno le prime strutture embrionali vere e proprie.

Questo è uno dei fenomeni più precoci dello sviluppo embrionale in cui un processo di adesione cellulare permette l'organizzazione di cellule in strutture specifiche. La E-caderina è presente anche in diversi epiteli dell'animale adulto ed è localizzata in zone circoscritte della membrana, le 'giunzioni aderenti', che rappresentano siti di contatto specifici tra cellule adiacenti.

Oltre alla E-caderina, sono state identificate diverse altre molecole di adesione appartenenti a questa famiglia, tra cui le P- e le N-caderine, presenti rispettivamente nella placenta e nel tessuto nervoso, e le VE- e le M-caderine, presenti in modo selettivo nell'endotelio vasale e nel muscolo striato. Le caderine sono glicoproteine che attraversano la membrana da parte a parte e che presentano, nella porzione di molecola esposta al mezzo esterno, cinque moduli strutturali ripetuti, stabilizzati dal legame con ioni Ca2+. Nel modulo più esterno, verso l'estremità amminoterminale di molte caderine, è presente una sequenza di tre amminoacidi, istidina-alanina-valina, che interviene nel processo di riconoscimento omofilico tra caderine e quindi è importante per la funzione adesiva di questi recettori. Mescolando cellule che esprimono la E-caderina con quelle che esprimono la N- o P- caderina, si ottiene la formazione di aggregati omogenei contenenti cellule con un unico tipo di caderina.

Il legame omofilico e l'espressione di tipi differenti di molecole di adesione rappresentano, quindi, meccanismi che garantiscono la segregazione delle cellule in gruppi omogenei. Tuttavia, per generare un'adesione stabile, è necessaria anche la regione citoplasmatica della proteina. Questa porzione della caderina interagisce con i filamenti di actina del citoscheletro contrattile della cellula tramite tre proteine chiamate α-, β- e γ-catenina. L'interazione delle caderine con il sistema citoscheletrico è indispensabile per trasmettere la forza meccanica dell'adesione. Un tipo particolare di caderine, caratterizzate da una regione citoplasmatica molto estesa, è presente nei desmosomi, che rappresentano delle giunzioni specializzate tra le cellule epiteliali; qui le caderine sono in contatto con i filamenti intermedi di cheratina e formano giunzioni adesive, dotate di resistenza meccanica elevata, responsabili della coesione tra le cellule dei tessuti epiteliali.

Molecole CAM

Un secondo importante sistema di recettori di adesione cellulare è rappresentato dalle molecole CAM, che mediano il riconoscimento e l'adesione tra cellule grazie a legami di tipo omofilico indipendenti dagli ioni Ca2+. La prima molecola di questo gruppo a essere identificata è stata la N-CAM (Neural cell adhesion molecule), espressa principalmente sulle cellule nervose. N-CAM è costituita da moduli strutturali proteici di tipo immunoglobulinico e di tipo III della (FN), una proteina della matrice extracellulare (fig. 3). N-CAM è codificata da un gene unico che, tuttavia, può generare differenti forme proteiche mediante un meccanismo di splicing alternativo. Una di queste è una forma solubile, non legata alla membrana in quanto priva dei tratti transmembrana e citoplasmatico. Nonostante il significato fisiologico sia ancora oscuro, è stato ipotizzato che questa forma solubile abbia una funzione antiadesiva; legando le molecole di N-CAM sulla membrana, impedirebbe loro di interagire con le N-CAM presenti sulle cellule adiacenti.

Come tutte le proteine di membrana, N-CAM è una glicoproteina, tuttavia il suo grado di glicosilazione può variare considerevolmente. Infatti, N-CAM può portare, legate alla regione extracellulare, quantità variabili di catene oligosaccaridiche ricche di acido sialico, in grado di regolare la sua funzione adesiva. L'alto contenuto di acido sialico, grazie all'abbondanza di cariche negative che generano forze repulsive, ostacola l'interazione omofilica; e infatti le forme di N-CAM ricche in acido sialico sono presenti prevalentemente durante le prime fasi dello sviluppo embrionale, quando sono in atto notevoli processi di migrazione cellulare, e scompaiono con il progredire dello sviluppo, quando le cellule cominciano a organizzarsi in tessuti e formano legami stabili. Questa proteina può quindi fungere da recettore adesivo o repulsivo in funzione del grado di glicosilazione o dello splicing alternativo; ciò suggerisce che queste modificazioni proteiche siano utilizzate dalla cellula per regolare i processi di adesione. Durante lo sviluppo, la molecola N-CAM media l'adesione omofilica tra le cellule nervose. Le molecole CAM, tuttavia, rappresentano un gruppo molto numeroso ed eterogeneo di recettori di adesione e alcune di esse mediano interazioni di tipo eterofilico. Tra queste ricordiamo ICAM-1 (Intercellular adhesion molecule-1), e VCAM (Vascular cell adhesion molecule) che legano recettori della famiglia delle integrine e che mediano il riconoscimento tra l'endotelio vasale e i leucociti nella risposta infiammatoria. Mentre le caderine possono dare origine a giunzioni specializzate tra le cellule, come le giunzioni aderenti e i desmosoni, le CAM non organizzano giunzioni specializzate, ma mediano contatti 'non giunzionali' diffusi sulla membrana.

Interazione cellula-matrice

L'organizzazione dei tessuti richiede, oltre ai legami cellula-cellula, anche interazioni delle cellule con la matrice extracellulare. Quest'ultima è particolarmente abbondante nei tessuti connettivi dove, al contrario degli epiteli, le cellule non sono in stretto contatto tra loro. Le proteine principali che costituiscono questa strut-tura extracellulare sono i 'collageni', la fibronectina e le , molecole proteiche che presentano una struttura fibrosa e sono capaci di interazioni reciproche, garantendo in tal modo la formazione di un reticolato di supporto meccanico per i tessuti. Inoltre tutte queste proteine interagiscono con i recettori cellulari, permettendo l'ancoraggio delle cellule al reticolato proteico di supporto.

Collageni

Sono molecole costituite solitamente da tre catene polipeptidiche ricche di prolina e di glicina e avvolte a elica, in modo da formare una molecola allungata e rigida. Sono state identificate circa 25 catene polipeptidiche differenti, che si possono combinare generando 15 tipi di collagene, i quali presentano proprietà e distribuzione tissutale specifiche. Le molecole dei collageni di tipo I e III polimerizzano spontaneamente formando lunghe fibre, estremamente resistenti alla trazione meccanica. Le molecole di collagene presentano siti capaci di interagire con altre molecole della matrice, quali la fibronectina (collageni di tipo I e III), le laminine (collagene tipo IV) e i proteoglicani. I collageni inoltre presentano siti di interazione con i recettori localizzati sulla superficie cellulare, permettendo, in tal modo, un'interazione diretta delle cellule.

Fibronectina e laminine

Il reticolato di fibre collagene e la sua interazione con le cellule sono rafforzati ulteriormente dalla presenza di molecole quali la fibronectina e le laminine. La fibronectina è una proteina fibrosa costituita da due catene polipeptidiche legate tra loro da due ponti disolfuro all'estremità carbossiterminale. Entrambe le catene contengono tre siti di legame: uno per il collagene, un secondo per un recettore presente sulla membrana cellulare e un terzo per l'eparina, un glicosamminoglicano della matrice. Pur esistendo un unico gene, mediante un meccanismo di splicing alternativo la fibronectina viene prodotta in forme diverse, che differiscono per corti tratti di sequenza. Queste forme sono espresse in momenti differenti dello sviluppo e in tessuti diversi dell'organismo, suggerendo ruoli specifici per le singole forme. Le laminine sono molecole costituite da tre catene polipeptidiche avvolte a formare una struttura a croce latina.

Come nel caso dei collageni, esistono diverse catene polipeptidiche che, associandosi in varie combinazioni, formano almeno 10 tipi di laminine presenti in tessuti differenti. Inoltre, anche le laminine possiedono siti di interazione con il collagene e legano recettori cellulari. In associazione con il collagene di tipo IV le laminine formano reticolati planari, noti come 'lamine basali', che fungono da ancoraggio per gli epiteli; inoltre queste lamine basali avvolgono in modo continuo e sostengono meccanicamente le cellule nervose e muscolari; nel glomerulo renale, oltre alla funzione di sostegno, la lamina basale, posta tra l'endotelio capillare e i podociti, svolge una funzione particolare di controllo della filtrazione del sangue. La fibronectina e le laminine, formando legami crociati con le fibre di collagene, stabilizzano il reticolato e, interagendo con i recettori cellulari, forniscono alle cellule un ulteriore sistema di ancoraggio al reticolato di fibre collagene.

Proteoglicani

Un altro componente importante delle matrici extracellulari è rappresentato dai proteoglicani, proteine complessate in modo stabile con glicosamminoglicani, lunghe molecole polisaccaridiche acide. Questi polimeri interagiscono con siti specifici presenti sulla fibronectina, sulle laminine e sui collageni, stabilendo così un'associazione con gli altri componenti della matrice. Esistono differenti tipi di glicosamminoglicani, accomunati dalla proprietà di essere molecole idrofile ricche di cariche negative e, pertanto, estremamente avide di acqua e di cationi. Grazie a questa proprietà i proteoglicani svolgono due funzioni importanti nella matrice: trattengono grandi quantità di acqua e sali minerali, generando il turgore necessario a rendere la matrice resistente alla compressione meccanica; legano polipeptidi basici, quali numerosi fattori di crescita, di importanza cruciale per regolare diverse funzioni cellulari.

Le proprietà e le caratteristiche fisico-chimiche della matrice extracellulare possono differire enormemente a seconda dei tessuti. Ciò dipende dai rapporti quantitativi tra i vari componenti e dalla presenza di forme specifiche di collageni, fibronectina e laminine, nonché dalla presenza di altre proteine, quali la trombospondina, la vitronectina, l'entactina o la tenascina. La matrice dei connettivi lassi, come il derma, è caratterizzata dalla presenza di collageni di tipo I e III, dalla fibronectina e da un elevato contenuto di proteoglicani; nei connettivi densi, quali il tendine, la matrice è caratterizzata da un'elevata presenza di collagene e da una mancanza pressoché assoluta di proteoglicani; le lamine basali consistono di collagene tipo IV, laminina, entactina ed eparansolfato, un particolare tipo di glicosamminoglicano; in altri casi ancora, come l'osso, la matrice ha assunto una funzione specializzata trasformandosi in tessuto calcificato, a causa della deposizione, tra le fibrille di collagene, di fosfato di calcio insolubile.

Integrine

Le cellule si ancorano alla matrice extracellulare utilizzando particolari recettori noti come 'integrine', glicoproteine che attraversano la membrana da parte a parte, mettendo in connessione la matrice extracellulare con il citoscheletro, che rappresenta il sistema di filamenti intracellulari preposto al movimento cellulare. Le integrine sono state scoperte negli anni Ottanta del XX sec. grazie a studi finalizzati all'identificazione del recettore della fibronectina; costituito da due subunità glicoproteiche, α e β, associate in modo non covalente sulla membrana cellulare, il recettore della fibronectina ha una massa molecolare di circa 260 kDa ed è capace di legare la sequenza amminoacidica minima, arginina-glicina-acido aspartico, della fibronectina stessa. Questa proprietà è comune a diverse integrine. Le sequenze arginina-glicina-acido aspartico sono presenti non solo nella fibronectina ma anche in diverse altre proteine della matrice extracellulare dove sono in grado di legare integrine differenti.

Struttura molecolare e funzione delle integrine

Attualmente sono conosciute 18 subunità α e 8 subunità β che si associano formando 24 integrine dimeriche con attività recettoriale per differenti ligandi. La complessità della famiglia delle integrine è ulteriormente accresciuta dalla presenza di diverse isoforme di subunità α e β generate per splicing alternativo e con distribuzione tissutale e attività funzionale specifica. Le subunità α sono caratterizzate dalla presenza, nella porzione amminoterminale esposta all'ambiente extracellulare, di tre moduli strutturali ripetuti, omologhi ai cosiddetti 'motivi strutturali EF' in grado di legare cationi bivalenti, presenti in proteine che legano il Ca2+, come la calmodulina. Cationi bivalenti, quali Ca2+, Mg2+ e Mn2+, sono infatti indispensabili al legame integrina-proteina della matrice (ligando). Alcune subunità β presentano inoltre, in prossimità delle sequenze che legano i cationi, un tratto di sequenza definito 'modulo I', responsabile del legame al ligando. Sono, infatti, le subunità α a determinare la specificità di legame, come indicato dal fatto che integrine che legano differenti proteine della matrice condividono la subunità β ma presentano subunità α distinte. Le subunità β partecipano anch'esse al legame con il ligando attraverso una porzione amminoterminale che ha caratteristiche strutturali simili al modulo I delle subunità α.

Una caratteristica importante delle integrine è la bassa affinità con cui legano i rispettivi ligandi. Questa proprietà è in contrasto con l'elevata affinità di legame che caratterizza la maggior parte dei recettori; la bassa affinità di legame è tuttavia fondamentale per le integrine, che, durante la migrazione cellulare, devono stabilire interazioni dinamiche con la matrice: se l'affinità fosse elevata le cellule rimarrebbero in contatto stabile con la matrice, senza potersi muovere su questa. Una seconda proprietà importante delle integrine è quella di poter regolare il proprio stato di attivazione. Gli stimoli che giungono alla cellula possono agire, attraverso una serie di reazioni intracellulari, sulla conformazione spaziale dell'integrina: in tal modo, la proteina assumerà o una conformazione attiva, e potrà interagire con il ligando, o una conformazione inattiva, che non permetterà che tale evento si verifichi. Grazie a questa proprietà, una cellula può modificare lo stato di adesione alla matrice extracellulare regolando la funzione delle integrine. Questo processo avviene, per esempio, durante la divisione cellulare quando la cellula si arrotonda, staccandosi transitoriamente dalla matrice, per poi, appena terminata la mitosi, aderirvi di nuovo.

La regolazione dello stato di attivazione rappresenta quindi un importante sistema di controllo dell'adesività cellulare. Infatti, a differenza degli e dei , che vengono prodotti e rilasciati per brevi periodi, le proteine della matrice extracellulare sono presenti costantemente; la loro interazione con i recettori può essere regolata unicamente dalla capacità del recettore stesso di modificare lo stato di attivazione. Quando sulla membrana sono attivate tutte le molecole di integrina, la cellula sarà ancorata stabilmente alla matrice, con una forza identica alla somma delle forze delle singole interazioni. Inattivando un numero progressivamente crescente di integrine la cellula potrà indebolire il contatto con la matrice e, grazie alla bassa affinità di legame, le singole interazioni potranno rompersi, permettendo il movimento della cellula sulla matrice stessa. Questi meccanismi hanno un'importanza cruciale nel regolare la motilità delle cellule, non solo durante l'organogenesi embrionale, ma anche nell'organismo adulto qualora, in seguito a una lesione, si renda necessario riparare i tessuti.

La porzione delle integrine rivolta verso il lato citoplasmatico della membrana cellulare lega le molecole di actina del citoscheletro contrattile. Nelle cellule in coltura le integrine si trovano concentrate in siti specifici della membrana ventrale ‒ in stretto contatto con la superficie della piastra di coltura ‒ noti come 'contatti focali'. In queste zone confluiscono le estremità terminali dei filamenti di actomiosina che si ancorano alle integrine tramite una serie di proteine citoscheletriche quali la talina, la vincolina, la paxillina, la tensina e la α-actinina. La paxillina e la talina interagiscono direttamente con la regione citoplasmatica delle subunità α e β delle integrine e, a loro volta, legano la vincolina e, quindi, la F-actina. Come per le caderine, anche per le integrine esiste una forma molecolare specifica che media il legame alla membrana dei filamenti di citocheratine, anziché di actina. L'integrina coinvolta in questo processo è la subunità β4 che si localizza negli emidesmosomi, strutture di adesione specifiche delle cellule dell'epidermide alla lamina basale.

Gli esempi delle caderine e delle integrine indicano come i recettori di adesione cellulare siano in grado di esercitare correttamente la loro funzione, solo interagendo contemporaneamente con il ligando extracellulare e con il citoscheletro. In questo modo le sollecitazioni meccaniche esterne, cui una cellula è sottoposta nell'ambito di un tessuto (si pensi alla cute come caso estremo), possono essere trasmesse a una struttura intracellulare in grado di fornire una resistenza adeguata. In mancanza di interazioni con il citoscheletro, le forze applicate al recettore di adesione potrebbero essere sufficienti a estrarlo dal doppio strato lipidico della membrana stessa che, di per sé, ha una consistenza meccanica pressoché nulla.

Ruolo morfogenetico dei recettori di adesione

I diversi sistemi di adesione cellulare funzionano in modo coordinato determinando il destino delle cellule e la loro capacità di migrare, interagire e organizzarsi in tessuti. Un esempio classico di questi processi è rappresentato dalla formazione del tubo neurale durante lo sviluppo embrionale. Il tubo neurale, l'abbozzo del sistema nervoso centrale, si forma per invaginazione dell'ectoderma, lo strato di cellule più esterno dell'embrione che darà origine anche all'epidermide e alle strutture di rivestimento. Le cellule dell'ectoderma esprimono la E-caderina, ma nella zona dove si sta formando il tubo neurale le cellule cessano di esprimere questo recettore ed esprimono la N-caderina. Una volta formato, il tubo neurale dà origine, nella sua porzione dorsale, alle cellule della cresta neurale che, essendo molto mobili, si staccano dal tubo neurale e iniziano a migrare ventralmente formando strutture diverse nella porzione craniale e addominale dell'embrione. Nel momento in cui si staccano dal tubo neurale e iniziano a migrare, queste cellule cessano di esprimere la N-caderina. La migrazione avviene all'interno del mesoderma indifferenziato, ricco di fibronectina, e richiede l'attiva partecipazione in vivo delle integrine. Nel momento in cui le cellule cessano di migrare e iniziano ad aggregarsi, formando gli abbozzi dei gangli dorsali, le cellule esprimono nuovamente la E-caderina. Queste osservazioni indicano che, durante lo sviluppo, l'espressione dei recettori di adesione sulla superficie delle cellule è regolata in modo molto preciso e suggeriscono l'esistenza di un meccanismo di segregazione cellulare basato sull'uso di un codice di riconoscimento molecolare, definito dall'espressione differenziale di recettori specifici. D'altro canto, quando popolazioni cellulari differenti esprimono lo stesso recettore di adesione, possono entrare in contatto e organizzarsi in una struttura unica.

I recettori di adesione non sono importanti solamente per la formazione dei tessuti durante lo sviluppo embrionale, ma rivestono un ruolo rilevante anche nel mantenere l'integrità nei tessuti adulti, come possiamo osservare in alcune patologie umane, per esempio l'epidermolisi bollosa. La cute e gli epiteli di rivestimento interni degli individui affetti formano bolle e ulcerazioni gravi, in seguito anche ai più lievi insulti meccanici. Questo difetto è dovuto allo scollamento dello strato epiteliale dal connettivo sottostante causato da alterazioni genetiche a carico di vari elementi del sistema di connessione citoscheletro-matrice nelle cellule dello strato basale. Le analisi genetiche hanno dimostrato che le alterazioni possono essere a carico dei filamenti intermedi del citoscheletro costituiti da citocheratina, dell'integrina α6β4, che connette questi filamenti alla laminina, della laminina stessa o, ancora, di altre proteine della matrice extracellulare, quali il collagene VII. Anche nel caso delle caderine sono stati individuati casi patologici che dimostrano l'importanza di queste molecole nell'integrità tissutale. In particolare, la capacità delle cellule tumorali di alcuni di invadere i tessuti circostanti e di generare metastasi in tessuti distanti richiede la perdita di espressione della E-caderina da parte delle cellule tumorali. Questo ruolo è stato confermato dall'analisi di tumori sperimentali nel topo, dove il blocco dell'espressione della E-caderina porta a un aumentato grado di malignità del tumore in vivo e, di converso, la riespressione della caderina mediante transfezione produce una riduzione delle capacità metastatiche. La caderina funziona quindi come un gene oncosoppressore in quanto, impedendo il distacco dal tumore originario, previene la migrazione delle cellule tumorali nei tessuti circostanti e la generazione di metastasi.

Recettori di adesione e generazione di segnali all'interno della cellula

Finora abbiamo discusso il ruolo meccanico della matrice extracellulare e dei recettori di adesione nel mediare i processi di riconoscimento tra cellule e la loro aggregazione in masse funzionalmente omogenee. I recettori di adesione tuttavia hanno una funzione cruciale anche nel regolare i processi di differenziamento e di proliferazione cellulare. Uno degli esempi più chiari di questa proprietà è rappresentato dall'epidermide, un epitelio le cui cellule, i cheratinociti, sono disposte in strati sovrapposti. Lo strato basale di questo tessuto è costituito da cheratinociti proliferanti, che aderiscono alla laminina della lamina basale, mentre le cellule degli strati superiori non sono in contatto con la lamina basale e hanno smesso di proliferare, per intraprendere il processo differenziativo che le porterà a divenire cheratinociti maturi. Se una cellula degli strati superiori viene mantenuta in contatto forzato con la matrice extracellulare, si assiste a un blocco della sua capacità differenziativa.

Ciò suggerisce che le interazioni con le cellule circostanti e con i componenti della matrice extracellulare forniscono alla cellula informazioni che ne regolano il differenziamento, oltre che la posizione nel tessuto. Queste proprietà sono rese possibili dal fatto che i recettori di adesione, come i recettori per gli ormoni, funzionano da interruttori, capaci di attivare circuiti di reazioni intracellulari. Le prime dimostrazioni che le integrine, interagendo con le proteine della matrice, generano segnali all'interno della cellula risalgono all'inizio degli anni Novanta del XX sec. quando i laboratori di Richard O. Hynes, R. Juliano e J. Brugge, lavorando con fibroblasti e piastrine, hanno dimostrato che l'interazione delle integrine β1 e β3 con i loro rispettivi ligandi, fibronectina e fibrinogeno, porta alla fosforilazione in tirosina di due gruppi di proteine intracellulari con massa molecolare di 120÷130 kDa e di 60÷70 kDa. Tra queste molecole troviamo la p125Fak (Focal adhesion kinase), una tirosinachinasi citoplasmatica, e la paxillina, che è in grado di funzionare da adattatore molecolare.

La fosforilazione della p125Fak e della paxillina, stimolata dalle integrine, permette l'organizzazione dei filamenti di actina durante l'adesione e la migrazione cellulare. In aggiunta all'attivazione di tirosina-chinasi, le integrine attivano altri circuiti di segnalazione intracellulare, quali l'aumento dei livelli di Ca2+ citoplasmatico, l'alcalinizzazione del citoplasma e l'attivazione delle MAPK (Mitogen activated protein kinase); queste ultime sono chinasi attivate da stimoli proliferativi, che costituiscono un anello fondamentale nella catena di eventi che portano alla proliferazione cellulare. Tutti questi circuiti di segnalazione, e le proteine MAPK in particolare, sono anche attivati da molti recettori dei fattori di crescita. Queste proteine agiscono a livello del nucleo della cellula fosforilando, e quindi attivando, proteine, quali Elk-1, che regolano l'espressione in cascata di numerosi geni responsabili della proliferazione cellulare, tra cui fos e i geni che codificano le cicline D e A. In particolare le cicline, regolando l'attività delle chinasi dipendenti da ciclina (Cdk, Cyclin dependent kinase), controllano in modo cruciale l'avvio della sintesi del DNA e quindi l'inizio del ciclo di proliferazione. L'induzione delle cicline D e A richiede l'azione combinata dei fattori di crescita e dell'adesione alla matrice extracellulare. Infatti, cellule non aderenti alla matrice extracellulare stimolate con fattori di crescita non erano in grado di produrre cicline né tantomeno di proliferare; la sintesi di cicline è indotta unicamente se i fattori di crescita possono agire su cellule adese in contatto con la matrice.

Questi esperimenti hanno fornito una spiegazione molecolare alle osservazioni classiche di S. Penman e A. Moscona degli anni Settanta, secondo le quali la maggioranza delle cellule mesenchimali ed epiteliali prolifera in vitro solamente se adesa alla superficie della piastra di coltura. Se queste cellule vengono mantenute in sospensione, pur in presenza di fattori di crescita e di sostanze nutrienti appropriate, non si osserva la sintesi di DNA. La proliferazione cellulare è, quindi, controllata dalla combinazione di almeno due segnali: da una parte fattori solubili, che possono agire a distanza, quali i fattori di crescita e le citochine; dall'altra i fattori insolubili della matrice extracellulare, ad azione strettamente locale, quali la fibronectina, la laminina, i collageni, i contatti cellula-cellula. I meccanismi di segnalazione dei due sistemi recettoriali non differiscono in modo sostanziale in quanto sia le integrine sia i recettori dei fattori di crescita stimolano l'attivazione delle proteine MAPK. Tuttavia, solo quando queste chinasi sono attivate contemporaneamente da entrambi gli stimoli si raggiungono livelli di attivazione sufficienti a indurre le cicline e, di conseguenza, a innescare la proliferazione cellulare.

In questo modo si può spiegare, per esempio, come nell'epidermide solamente le cellule dello strato basale, che sono esposte agli stimoli mitogenici e ancorate alla laminina, siano capaci di proliferare. Questo doppio meccanismo di controllo fa sì che la cellula risponda agli stimoli proliferativi e differenziativi solo quando si trova nel corretto contesto tissutale. L'importanza di questo controllo è sottolineata in modo evidente dal comportamento della cellula tumorale che, a differenza della cellula normale derivata da un tessuto sano, è in grado di proliferare in assenza di adesione a una matrice extracellulare. Questa proprietà, nota fin dai primi anni Settanta come 'crescita indipendente da ancoraggio', permette alla cellula di crescere in modo smisurato anche in tessuti differenti da quello di origine, formando metastasi. L'indipendenza della proliferazione dall'adesione alla matrice è dovuta a mutazioni genetiche dominanti che si accumulano nella cellula tumorale portando a un'attivazione costitutiva delle proteine che trasmettono il segnale mitogenico all'interno della cellula, attivando in modo abnorme le proteine MAPK e, di conseguenza, le cicline.

Anche le caderine sono capaci di generare segnali intracellulari in risposta all'adesione fra le cellule. In questo caso è la β-catenina a giocare un ruolo molto interessante, anche se non ancora del tutto chiaro. Questa proteina citoplasmatica ha due importanti funzioni: garantire il legame dei filamenti di actina alla membrana, fungendo da ponte tra la regione citoplasmatica della caderina e i filamenti di actina stessi, ma anche regolare l'espressione genica. Infatti la β-catenina può legare LEF-1 (Lymphoid enhancer factor-1), un fattore trascrizionale, e, associata a questo, migrare nel nucleo, dove agisce regolando l'espressione di alcuni geni. La formazione di legami tra le cellule favorirebbe l'associazione della β-catenina alla caderina, inibendone l'interazione con LEF-1 e, quindi, l'azione a livello genico. La β-catenina può legare anche una proteina citoplasmatica nota con il nome di APC (Adenomatous poliposis coli), che ha la funzione di sequestrarla alle caderine e a LEF-1 e di indurne la degradazione. La perdita o inattivazione del gene APC è legata allo sviluppo del carcinoma del colon. Si può ipotizzare che la mancanza della proteina APC porti all'accumulo di un eccesso di β-catenina citoplasmatica disponibile per l'interazione con la proteina LEF-1; questo porta a una stimolazione eccessiva dell'espressione genica alla base della trasformazione neoplastica. I livelli di β-catenina citoplasmatica sono anche regolati dal recettore di Wnt-1, una proteina secreta che riveste un ruolo importante sia nell'oncogenesi sia nella formazione dei tessuti durante l'embriogenesi. Stimolando il proprio recettore, Wnt-1 attiva una cascata di reazioni che coinvolgono proteine come dishevelled e shaggy, inducendo un aumento dei livelli di β-catenina citoplasmatica. Wnt-1 produce, quindi, in modo controllato un effetto analogo a quello indotto dall'inattivazione o dall'assenza della proteina APC.

Si può affermare che la funzione dei recettori di adesione nell'organizzazione dei tessuti è duplice: agendo da sistemi di connessione transmembrana tra strutture citoscheletriche ed extracellulari, essi garantiscono processi di riconoscimento e di coesione cellula-cellula e cellula-matrice extracellulare. Allo stesso tempo però, svolgono una funzione cruciale nel determinare le caratteristiche differenziative e proliferative della cellula nel tessuto stesso. Questo processo è possibile grazie alla loro capacità di scatenare reazioni biochimiche intracellulari che portano alla regolazione dell'espressione genica. Come dimostrano i tumori, quando questa duplice funzione è in qualche modo alterata, la cellula perde sia il controllo della proliferazione sia l'interazione coordinata con l'ambiente circostante, necessaria per la formazione dei tessuti nell'organismo sano. La conoscenza più approfondita dei meccanismi di funzionamento dei recettori di adesione potrà portare a un approccio più razionale nella cura dei tumori, nonché allo sviluppo di tecnologie che permettano di 'fabbricare' in vitro tessuti utili per rimpiazzare quelli gravemente danneggiati o in degenerazione.

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