Staminale, cellula

Dizionario di Medicina (2010)

staminale, cellula

Sabina Chiaretti / Roberto Foà

Trapianto di cellule staminali ematopoietiche

L’infusione, per via endovenosa, di cellule staminali ematopoietiche identificate dall’espressione dell’antigene di superficie CD34 è una procedura impiegata nella cura di diverse patologie oncologiche e non oncologiche, come la talassemia, l’anemia aplastica e alcuni disordini autoimmuni. Possono essere utilizzati progenitori ematopoietici autologhi o allogenici, derivanti rispettivamente dal paziente stesso oppure da donatore sano.

Nel trapianto autologo vengono reinfuse cellule staminali prelevate dallo stesso paziente. Viene impiegato per la cura di neoplasie ematologiche e di alcuni tumori solidi, permettendo al paziente di ricevere dosaggi terapeutici altrimenti non tollerabili dal sistema ematopoietico, che viene rigenerato dalle stesse cellule staminali precedentemente raccolte e criopreservate. Le cellule staminali sono raccolte dal midollo osseo o dal sangue periferico dopo un programma di terapia, atto a indurre la remissione clinica del tumore; tali cellule sono criopreservate a −190 °C. Il paziente viene poi sottoposto a un ulteriore trattamento ad alte dosi e successiva reinfusione delle cellule staminali. I limiti sono legati alla possibilità che nella raccolta possano essere presenti cellule patologiche e al rischio di una ripresa di malattia perché manca l’azione immunomediata di controllo sul tumore.

Trapianto allogenico

Il trapianto allogenico è basato sull’infusione di cellule staminali provenienti da un donatore sano. Per verificare la compatibilità tra il ricevente e il donatore si effettua una tipizzazione HLA (Human Leukocyte Antigens), che studia gli antigeni di istocompatibilità di classe I e II del ricevente e del donatore per verificarne il grado di compatibilità. I donatori sono preferibilmente fratelli o sorelle del paziente, oppure possono essere identificati tra individui non familiari (MUD, Mismatch Unrelated Donor) attraverso le banche di donatori o di cordone ombelicale. Prima dell’infusione, si esegue un trattamento chemio-radioterapico (regime di condizionamento) che consente di distruggere il maggior numero possibile di cellule neoplastiche e di inibire la risposta immunitaria che potrebbe impedire l’attecchimento delle cellule staminali del donatore. Dopo il trapianto, viene instaurata una terapia immunosoppressiva per impedire la cosiddetta GVHD (Graft Versus Host Disease), complicanza frequente di cui si riconoscono due tipi: una GVHD acuta, che compare normalmente nei primi 100 giorni dal trapianto, con gravità variabile e danno a carico soprattutto di cute, fegato e tratto gastroenterico e una GVHD cronica, che si manifesta dal 3° mese con un quadro clinico simile alle patologie autoimmuni. Altre complicanze includono le infezioni e, raramente, il rigetto.Il trapianto allogenico è usato nel trattamento dei tumori ematologici (leucemia acuta mieloide e linfoide e, meno frequentemente, mieloma multiplo e leucemia linfatica cronica) e di alcune condizioni non oncologiche (le aplasie midollari e le talassemie) con un regime di condizionamento è a intensità ridotta, poiché la chemioterapia potrebbe indurre tossicità elevata. Il fine del trapianto allogenico è la cura definitiva della malattia: nei pazienti con neoplasie ematologiche, attraverso la rigenerazione del sistema ematopoietico e l’attività antitumorale esercitata dai linfociti T del donatore; nei pazienti non oncologici, attraverso la correzione del difetto dei progenitori ematopoietici del paziente con le cellule staminali del donatore. I limiti sono rappresentati dalla difficoltà di trovare un donatore compatibile e dalla tossicità della procedura stessa, associata a importanti effetti collaterali e a un rischio variabile di mortalità. Attualmente le procedure allotrapiantologiche per pazienti con neoplasie ematologiche sono in aumento, grazie all’allargamento delle banche di donatori e di cordone ombelicale, ai regimi di condizionamento a ridotta tossicità che consentono di trapiantare pazienti meno giovani e con comorbidità, e alla possibilità di effettuare anche trapianti solo parzialmente compatibili.

Sorgenti di cellule staminali: il midollo osseo

Il prelievo viene effettuato dalle creste iliache posteriori ed è ripetuto fino a ottenere un numero congruo di cellule. Le cellule possono essere direttamente reinfuse o congelate. La raccolta di cellule staminali dal midollo osseo è stata la prima procedura impiegata poiché il midollo osseo è la sede fisiologica ematopoietica. Queste cellule possono essere impiegate per trapianti sia allogenici che autologhi.

Sorgenti di cellule staminali: il sangue periferico

Le cellule staminali vengono messe in circolo dopo stimolazione per diversi giorni con un fattore di crescita granulocitario (G-CSF) e successivamente prelevate attraverso leucoaferesi. Possono essere impiegate per trapianti sia allogenici che autologhi.

Sorgenti di cellule staminali: il cordone ombelicale

Il sangue di cordone ombelicale è ricco di cellule staminali. Le cellule vengono raccolte dalla vena ombelicale dopo l’espulsione della placenta: non vi è alcun rischio per la madre e per il bambino. Il sangue di cordone ombelicale deve essere sottoposto a diversi test, tra cui quelli virologici. Le cellule staminali del cordone sono, rispetto alle altre cellule staminali, più immature e possono dare minori problemi di rigetto da parte del ricevente. Il limite principale è dato dal numero di cellule che si possono raccogliere: conseguentemente, l’impiego delle cellule staminali cordonali è spesso possibile solo per i bambini, o comunque per pazienti di peso contenuto, dove è mantenuto un buon rapporto tra peso corporeo del ricevente e numero di cellule infuse. Per renderne possibile l’impiego anche negli adulti e nei pazienti di peso più elevato, si stanno mettendo a punto metodiche di trapianto di due o più unità cordonali contemporaneamente, oppure di espansione dei progenitori ematopoietici. Le cellule di cordone sono impiegate esclusivamente per trapianti allogenici.

Sabina Chiaretti

Roberto Foà