VOLSINIESE, Ceramica

Enciclopedia dell' Arte Antica (1997)

Vedi VOLSINIESE, Ceramica dell'anno: 1966 - 1997

VOLSINIESE, Ceramica (v. vol. VII, p. 1197)

M. Harrari

Questa denominazione, volutamente ambigua (può riferirsi tanto a Volsinii Veteres, Orvieto, quanto a Volsinii Novi, Bolsena) designa una classe di vasi fittili decorati a rilievo e rivestiti da una pellicola bianco-grigia, che intendeva riprodurre l'effetto cromatico di una superficie argentata, così come, in un sottogruppo particolare, l'aggiunta di colori sovraddipinti (rosso, bianco, giallo) sembra tradurre tecniche d'incrostazione o intarsio in rame e in oro. Le analisi chimiche hanno individuato la presenza di stagno, che doveva essere applicato in foglia alla ceramica, su mordente organico, probabilmente chiara d'uovo (Cottier-Duboscq-Harari). Con la medesima tecnica si fabbricava altro instrumentum fittile, tra cui anche appliques decorative per mobili, in particolare per i cassoni lignei delle inumazioni.

La statistica delle provenienze ha indotto I. De Chiara a localizzare a Bolsena il centro di produzione, contro l'orientamento per Orvieto di larga parte della bibliografia precedente - non però del Beazley, che aveva nitidamente enucleato un Bolsena Group. Ciò comporta, è ovvio, un terminus post quem intorno al 264, «data di nascita» di Volsinii Novi: e in effetti la De Chiara, anche sulla base di una presunta dipendenza morfologica della ceramica a patina «argentata» da quella a vernice nera, supponeva una produzione di durata breve, tra la fine del III e gli inizî del II sec. a.C. Per una data assai anteriore (310-280 a.C.) si è invece espresso P. Mingazzini, con l'ipotesi (non accettabile) di un'origine apula dell'intero gruppo detto «di Bolsena».

In seguito, la pubblicazione di corredi tombali di Volterra (nel 1976) e - più significativamente - di Barbarano, nel Viterbese (1979), ha posto in grave dubbio la cronologia più bassa. La sicura pertinenza del contesto di Barbarano agli ultimi decenni del IV sec. ripropone infatti la possibilità di una produzione già orvietana, di cui il Bolsena Group sarebbe uno sviluppo successivo (Pianu).

Peraltro, nemmeno in questi termini il problema può dirsi definitivamente risolto, poiché i nove vasi «argentati» della tomba di Barbarano non sono volsiniesi, ma quasi certamente di origine falisca: le anse intrecciate e a testa di pistrice della coppia di stàmnoi sono caratteristiche della ceramica falisca a figure rosse (Pittore del Ganimede di Oxford, Pittore di Vienna O.449).

Una conferma decisiva viene dalla serie edita da G. Q. Giglioli nel CVA, con sei stàmnoi a pistrici e quattro crateri a volute simili a quello di Barbarano, tutti quanti da Falerii Veteres.

Anche la presenza di colori aggiunti (sulle anse plastiche; e poi onde, palmette, motivi vegetali e floreali) vale a distinguere chiaramente questi prodotti falisci, che d'altro canto già la De Chiara riconosceva come tali e il Beazley stesso aveva individuato con la denominazione di Group of Villa Giulia 2303. E pure di fabbricazione falisca - ma forse più tarda - sono l'idria e Yoinochòe dalla tomba IV di Valsiarosa (Civita Castellana, scavi 1886), notevoli per le dimensioni e l'esuberanza della decorazione plastica: qui le matrici utilizzate per l'Amazzonomachia sono differenti da quelle del Bolsena Group, e la policromia originaria - sebbene del tutto svanita - le distingue dalle vere ceramiche «argentate».

Ci fu anche una consistente produzione falisca, avviata per prima e forse più duratura, e solo per questa può considerarsi dimostrata la datazione alta suggerita da Pianu. E stata ormai accertata, sulla base di recenti e validi argomenti (Michetti), l'esistenza di un'altra fabbrica di ceramiche «argentate», da localizzare a Volterra, strettamente collegata alla produzione a vernice nera detta di Malacena. La presenza di tali ceramiche a Volterra era stata già del resto segnalata, con dati di contesto significativi (Maggiani) e l'ipotesi di una bottega locale già suggerita dubitativamente (Shepherd).

Un indirizzo di ricerca molto attuale concerne poi la funzione materiale e ideologica delle ceramiche «argentate» e la loro situazione nel quadro dell’artigianato ellenistico. L’uso è essenzialmente funerario - alcuni vasi, privi del fondo, non sono utilizzabili come contenitori - con imitazione consapevole del modello rituale aristocratico: le ceramiche «argentate» sostituiscono, a costo assai minore, il vasellame simposiaco di metallo prezioso, segno di ricchezza e di elevato rango sociale, ed esprimono pertanto eloquentemente «lo standard delle classi medie» fiduciose d'essere integrate nel sistema dei «ceti alti più tradizionali» (Pianu, Massa-Pairault).

La tendenza «toreutica», prettamente italica - secondo la contrapposizione, rilevata da J.-P. Morel, con la tendenza più «ceramica» dell'ellenismo - impronta caratteristicamente i prodotti volsiniesi (e falisci), rinviando a prototipi metallici che sono stati per lo più riferiti ad ambiente magnogreco, soprattutto tarantino, ma anche, di recente, all'artigianato di Alessandria. In realtà, i trovamenti delle tombe regali e principesche nelle necropoli della Macedonia (Derveni, Verghina) indicano che l'origine prima di questa toreutica di prestigio va ricercata in una straordinaria concentrazione, alla corte di Pella, di maestranze altamente qualificate: lì è il luogo di elaborazione di modelli rapidamente diffusi e ripresi anche in Italia, a Taranto come in Etruria, con itinerario di trasmissione che muove da Oriente diramandosi verso Occidente.

Bibl.: J. D. Beazley, Etruscan Vase Painting, Oxford 1947, pp. 281 s., 284 ss., 294; I. De Chiara, La ceramica volsiniese, in StEtr, XXVIII, 1960, pp. 127-135; ead., La ceramica volsiniese del Museo di Firenze, Firenze 1960; ead., Un gruppo di tardi vasi falisci, in StEtr, XXXIV, 1966, pp. 385-392; P. Mingazzini, Catalogo dei vasi della collezione A. Castellani, II, Roma 1971, p. 259 ss.; M. Cristofani, Volterra. Scavi 1969-1971 (NSc, Suppl. 27), Roma 1973 (1976), in part. p. 254 s.; D. Rebuffat-Emmanuel, À propos d'une coupe étrusque récemment acquise par le Musée de Leyde, in MEFRA, LXXXVII, 1975, pp. 583-590; M. Ricci, in StEtr, XLV, 1977, p. 441 s.; E. Colonna Di Paolo, G. Colonna, Norchia I, Roma 1978, pp. 268 s., 372 s.; G. Pianu, Contributo alla cronologia delle ceramiche 'argentate', in StEtr, XLVII, 1979, pp. 119-124; M. Cagiano de Azevedo, Una necropoli di provenienza della «ceramica argentata», in M. G. Marzi Costagli (ed.), Studi di antichità in onore di G. Maetzke, I, Roma 1984, pp. 161-164; F.-H. Massa-Pairault, Recherches sur l'art et l'artisanat étrusco-italiques à l'époque hellénistique, Roma 1985, pp. 77, ss., 127; ead., in M. Cristofani (ed.), Civiltà degli Etruschi (cat.), Milano 1985, p. 357; G. Pianu, ibid., pp. 331, 361 s.; M. Moltesen, A Group of Late-Etruscan Silver-Imitating Vases, in Proceedings of the 3rd Symposium on Ancient Greek and Related Pottery, Copenaghen 1988, pp. 435-444; U. Kästner, in Die Welt der Etrusker (cat.), Berlino 1988, D1. 55; Th.-M. Schmidt, ibid., D1. 56; S. Stopponi, in Gens antiquissima Italiae. Antichità dall'Umbria a Budapest e Cracovia (cat.), Città di Castello 1989, p. 29; G. Pianu, ibid., p. 109 s.; J.-P. Morel, Les céramiques de l'epoque hellénistique en Italie. Hellénisme et anhellénisme, in Akten des XIII. Internationalen Kongresses für klassische Archäologie, Magonza 1990, pp. 161-171.

Sulla fabbrica volterrana: A. Maggiani, Artigianato artistico. L'Etruria settentrionale interna in età ellenistica (cat.), Milano 1985, p. 40 s.; E. J. Shepherd, Ceramica acroma, verniciata e argentata, in A. Romualdi (ed.), Populonia in età ellenistica, Firenze 1992, p. 155; L. M. Michetti,in Atti del XIX Convegno di Studi Etruschi ed Italici, Volterra 1995, in corso di stampa.

Sulla fabbrica falisca (con indagini archeometriche): L. Ambrosini, L. M. Michetti, G. Parodi, «Sostegni» a testa femminile in ceramica argentata, in ArchCl, XLVI, 1994, pp. 109-168.

Altre indagini archeometriche: D. Cottier Angeli, B. Duboscq, M. Harari, La couleur de l'argent. Une enquête archéométrique autour des poteries à placage, in AntK, XL, 1997, in corso di stampa.

Per il problema dei prototipi metallici: G. Becatti, in StEtr, IX, 1935, p. 287 ss., passim; AA.VV., Treasures of Ancient Macedonia, Salonicco s.d. (1979), passim; M. Andronicos, Vergina. The Royal Tombs, Atene 1984, passim·, G. C. Cianferoni, in A. Maggiani (ed.), Artigianato artistico, cit., p. 148; M. Candela, Situle metalliche e ceramiche a beccuccio nel IV e III sec. a.C. Origine e diffusione, in BABesch, LX, 1985, pp. 24-61; L. Byvanck-Quarles van Ufford, Réponse à l'étude «Situle a beccuccio. Origine e diffusione», ibid., LXI, 1986, pp. 208-211; G. C. Cianferoni, I reperti metallici, in A. Romualdi (ed.), Populonia in età ellenistica, cit., p. 15.

Altre classi comparabili di ceramiche ellenistiche a patina metallica o pseudometallica: G. De Palma, La ceramica dorata in area apula. Contributo al problema delle ceramiche di imitazione metallica, in Taras, IX, 1989, 1-2, pp. 7-96; S. Ovidi, Un contributo al corpus delle hydriae di Hadra, in BdA, LXXXVI-LXXXVII, 1994, p. 12.

(M. Harari)