BECCARIA, Cesare

Enciclopedia Italiana (1930)

BECCARIA, Cesare

Ugo Spirito

Figlio del marchese Giovanni Saverio Beccaria Bonesana e di donna Maria Visconti da Rho, nacque a Milano il 15 marzo 1738. Fu educato nel collegio dei gesuiti di Parma, e nel 1758 si laureò in giurisprudenza nell'università di Pavia. Il 22 febbraio 1761, nonostante l'opposizione del padre, sposò Teresa de' Blasco, ma in breve tempo si ridusse in miseria, sì da dover chiedere al padre la concessione degli alimenti. A 22 anni, in seguito alla lettura delle Lettere persiane, si destò in lui un grande interesse per i problemi filosofici e sociali, e presto D'Alembert, Diderot, Elvezio e Buffon divennero i suoi autori preferiti. L'entusiasmo per le nuove ideologie lo fece entrare nel cenacolo di casa Verri e l'amicizia che strinse con i fratelli Pietro e Alessandro fu di fondamentale importanza per la sua formazione intellettuale. Dedicatosi, per consiglio di Pietro, agli studî di scienza politica ed economica, fu da lui indotto a scrivere il saggio Dei disordini e dei rimedî delle monete nello stato di Milano nel 1762 (Lucca 1762). Intanto il movimento culturale che faceva capo ai Verri s'andava allargando e nella casa di Pietro, divenuta nel 1764 sede della redazione del Caffè, si discutevano alla luce dei nuovi principî i più importanti problemi del tempo. Particolare attenzione era rivolta allo stato delle leggi criminali, poiché Alessandro, per il suo ufficio di protettore dei carcerati, aveva continue occasioni di stigmatizzare i frequenti errori giudiziarî, l'irregolarità dei processi, la sproporzione e la crudeltà delle pene, l'abuso della tortura, l'incertezza delle prove e degl'indizî, e insomma lo stato deplorevole del diritto e della procedura penale. Si venne pertanto alla decisione di trattare pubblicamente di tali argomenti e per comune consenso fu scelto il Beccaria, che dal marzo 1763 al gennaio 1764 scrisse, in casa stessa del conte Verri, il famoso libro Dei delitti e delle pene, pubblicato anonimo dalla libreria Coltellini di Livorno nel 1764.

Il successo del libro fu immenso: nell'agosto la prima edizione era già esaurita e nel 1765 si arrivò alla terza. Ma ancora maggiore fu l'entusiasmo destato in Francia, dove la traduzione del Morellet fu stampata due volte nello stesso anno (1766) con le supposte date di Filadelfia e di Losanna: D'Alembert, d'Holbach, Diderot, Elvezio, Buffon colmarono di lodi l'autore; il Voltaire scrisse un commento del libro. Se non che accanto agli elogi non mancarono le critiche aspre e violente: fra gli zelatori del vecchio regime si distinse in particolar modo il p. Ferdinando Facchinei, monaco vallombrosano, che nelle sue Note ed osservazioni sul libro intitolato Dei delitti e delle pene accusò esplicitamente l'autore di aver offeso la religione e l'autorità sovrana. Il B. ne rimase atterrito temendo un processo per eresia o per ribellione alle autorità pubbliche, ma i Verri lo confortarono e in pochi giorni (dal 15 al 21 gennaio 1765) scrissero la Risposta ad uno scritto che s'intitola: Noie ed osservazioni sul libro Dei delitti e delle pene, che fu subito pubblicata anonima a Lugano, e poi erroneamente attribuita allo stesso B.

Nel 1766 gli enciclopedisti di Francia, per mezzo del Morellet, lo invitarono a Parigi, e il B., dopo molte esitazioni e rinvii, si decise ad andarvi partendo il 2 ottobre in compagnia di Alessandro Verri. Giunto a Parigi il 18 ottobre, vi fu accolto trionfalmente, ma l'agitazione e le sofferenze che gli procuravano la lontananza dalla patria e dalla famiglia lo fecero decidere ad abbandonare Alessandro e a ritornare a Milano, dove giunse improvvisamente il 12 dicembre.

Intanto la fama del B., allargatasi in tutta Europa, finì col far mutare la sua situazione anche in Italia. I suoi meriti ebbero pubblico riconoscimento e il 1° novembre 1768 fu nominato professore nelle Scuole palatine di Milano, dove venne per lui istituita una cattedra di economia politica, detta di Scienze camerali. Il 9 gennaio 1769 lesse la prolusione, che fu stampata a Milano nello stesso anno. Le Lezioni, o Elementi di economia pubblica, videro la luce solo nel 1804 nella collezione Custodi. Contemporaneamente riprendeva i suoi studî sullo stile, su cui aveva già pubblicato un articolo nel Caffè, e diede alle stampe le Ricerche intorno alla natura dello stile (Milano 1770; rimaste incomplete: della 2ª parte fu rinvenuto tra i manoscritti il 1° capitolo, che fu pubblicato nella edizione del Silvestri, Milano 1809).

Il 29 aprile 1771 fu eletto consigliere del Supremo consiglio dell'economia, soppresso il quale divenne membro del Magistrato politico camerale, e finalmente il 17 gennaio 1791 entrò nella Giunta per la riforma del sistema giudiziario civile e criminale.

Mortagli, nel marzo 1774, la prima moglie, dalla quale aveva avuto due figlie, Giulia e Maria, il 4 giugno dello stesso anno sposò Anna, dei conti Barnaba Barbò, e da essa ebbe un figlio, il marchese Giulio. Morì a Milano, di un colpo apoplettico, il 28 novembre 1794.

Il B. è passato alla storia soprattutto come criminalista. Il suo libro Dei delitti e delle pene segna il punto di partenza della moderna storia del diritto penale, poiché in esso abbiamo il primo tentativo veramente sistematico di ricondurre la molteplicità delle norme giuridiche a un criterio informatore preciso. Quanto poi ai principî fondamentali della costruzione, essi vanno ricercati nella filosofia illuministica francese e in particolar modo nella teoria contrattualistica e utilitaria. Fine di tutta l'attività sociale è la "massima felicità divisa nel maggior numero", che si raggiunge mercé quel "contratto sociale" per cui gli uomini tengono uniti i loro interessi particolari. "Fu dunque la necessità", scrive il B., "che costrinse gli uomini a cedere parte della propria libertà; egli è dunque certo che ciascuno non ne vuol mettere nel pubblico deposito che la minima porzione possibile, quella sola che basti ad indurre gli altri a difenderlo. L'aggregato di queste minime porzioni possibili forma il diritto di punire: tutto il più è abuso e non giustizia; è fatto, non già diritto" (§ II). A questo fondamento utilitaristico si riportano tutti i criterî per la misura dei delitti e per la determinazione della pena, la quale non ha che lo scopo della difesa sociale. Né diversamente si spiegano le obbiezioni del B. contro la pena di morte, indirizzate a dimostrare per un verso ch'essa non è né "utile" né "necessaria" e, per un altro verso, ch'essa è in contraddizione con il principio contrattualistico. Se, infatti, argomenta il B., il contratto sociale risulta dalla "somma di minime porzioni della privata libertà di ciascuno" e rappresenta "la volontà generale, che è l'aggregato delle particolari", "chi è mai colui che abbia voluto lasciare ad altri uomini l'arbitrio di ucciderlo? Come mai nel minimo sagrificio della libertà di ciascuno vi può essere quello del massimo tra tutt'i beni, la vita?" (§ XVI).

Ma, più che per i suoi principî sistematici, il libro del B. ebbe eccezionale fortuna per la critica ai metodi giudiziarî del tempo, caratterizzati generalmente dalla ferocia e dall'arbitrio. La parola del B. trovava concordi in questo tutte le menti non asservite ai vecchi preconcetti, e valse ad affrettare quel movimento di riforme legislative che presto si verificò un po' dappertutto, e in particolar modo in Francia e in alcuni stati italiani. Perfino Caterina II di Russia volle che si procedesse alla riforma del codice e dettò istruzioni ispirate al libro Dei delitti e delle pene.

Come economista, il B. si ispirò in gran parte alla scuola dei fisiocrati non senza risentire in parte l'influenza dei colbertisti, ai quali si oppose. Fondamento di una buona economia è "la massima concorrenza sia dei compratori come de' venditori, sian pure nazionali o esteri come si voglia, e questa si ottiene col maggior grado di libertà a tutti di fare quel commercio che più piace, non limitata che da quella disciplina che piuttosto aumenta a ciascuno il potere di ben fare e toglie quello di far male altrui ed alla società. Questa concorrenza da sé sola distrugge ed annienta quelli che sono dannosi allo stato medesimo, ed al minor numero soltanto proficui; e distruggendo per legge di continuità ogni salto dal basso all'alto valore, impedisce il temuto monopolio, che in pochi ristringe l'industria ed il premio di quella" (Elem. di econ. pubbl., parte IV, cap. IV, § XXX). Questa fede nella libera concorrenza non era però assoluta nel B., che più di una volta è costretto ad allontanarsi da quel canone, specialmente in materia di commercio internazionale (commercio dei grani).

Le Ricerche intorno alla natura dello stile costituiscono un vivace tentativo di opporsi alle precettistiche tradizionali, sostituendo alle norme stilistiche, dedotte dalla comparazione delle opere d'arte esistenti, l'indagine dell'essenza dell'attività artistica; ma i presupposti della filosofia sensistica dai quali il B. prendeva le mosse gl'impedivano di giungere a una soluzione adeguata del problema. Per lui la diversità dello stile consiste ancora nell'"esprimere in diverse maniere la stessa cosa", e il dualismo di contenuto e forma rende affatto formalistico ed estrinseco il criterio di giudizio.

Bibl.: Un'edizione completa delle Opere fu pubblicata a Milano, in due volumi, nel 1821-22. In essa è inserita (pp. vii-lviii) una biografia dell'A. scritta dal Villa, ma pubblicata anonima, e un "Catalogo delle edizioni e traduzioni del trattato Dei delitti e delle pene" (pp. lxix-lxxix). La biografia del Villa è molto attendibile, anche perché egli ebbe modo di leggere l'epistolario dei fratelli Verri. Sulla vita e le opere del Beccaria cfr.: C. Cantù, Beccaria e il diritto penale, Firenze 1862; P. Villari, Discorso sulla vita e le opere di C. B., premesso all'edizione delle Opere, Firenze 1854; A. Amati, Vita ed opere di C. B., Milano 1872; e soprattutto E. Landry, C. B., Scritti e lettere inedite raccolti e illustrati, Milano 1910, con una larga e accuratissima bibliografia (pp. 21-33). Circa i rapporti tra il Beccaria e il Verri e per la dimostrazione della paternità della risposta al Facchinei cfr. le Lettere e scritti inediti di Pietro e di Alessandro Verri, a cura di Carlo Casati (voll. 4, Milano 1879-1881), ristampate in edizione molto più accurata e col titolo Carteggio di Pietro e di Alessandro Verri, a cura di F. Novati, E. Greppi e A. Giulini (Milano 1910-11-19-23, voll. 5). V. anche E. Bouvy, Le comte Pietro Verri (1728-1797). Ses idées et son temps, Parigi 1889. Sull'opera Dei delitti e delle pene e in genere sul posto che il Beccaria occupa nella storia del diritto cfr. U. Spirito, Storia del diritto penale italiano, I: Da Beccaria a Carrara, Roma 1925, pp. 49-78 (con ampia bibliografia). V. inoltre A. De Marchi, C. B. e il processo penale, Torino 1929. Tra le più recenti edizioni notevole è quella curata da R. Mondolfo (Opere scelte di C. B., Bologna s. a.) con uno studio introduttivo su C. B. e l'opera sua (pp. v-xli). Sugli Elementi di economia pubblica, ristampati nella Biblioteca degli economisti (s. 1ª, III, Torino 1852) cfr. il Ragguaglio biografico e critico, premesso al volume da F. Ferrara.

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