CREMONINI, Cesare

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 30 (1984)

CREMONINI, Cesare

Charles B. Schmitt

Figlio del pittore Matteo e di Mattea Pilanzi, nacque a Cento (Ferrara) e vi fu battezzato il 22 dic. 1550. Come suo padre, erano stati pittori il nonno paterno, Giovan Battista, e il fratello, anche lui di nome Giovan Battista: loro opere si conservano tuttora, specialmente in Emilia-Romagna.

Dopo essere stato educato a Cento, frequentò l'università di Ferrata. Secondo la tradizione, cominciò a studiare legge ma più tardi si indirizzò alla filosofia. Fra i suoi maestri c'era Federigo Pendasio; e, durante il soggiorno a Ferrara, fece la conoscenza di Giambattista Pigna, Torquato Tasso e Francesco Patrizi. Risulta che nel 1578 insegnava filosofia naturale all'università con uno stipendio di 200 lire all'anno, e continuò ad insegnare fino al 1589, quando guadagnava 800 lire, con un'indennità aggiuntiva di 200 lire per le lezioni supplementari sulla Sphaera di Sacrobosco e su Euclide.

Un decreto ufficiale del 23 nov. 1590 lo chiamò a Padova per insegnare filosofia naturale in secundo loco, sostituendo Iacopo Zabarella, che era morto nel 1589, mentre Francesco Piccolomini veniva promosso in primo loco. A Ferrara, il C. aveva avuto stretti legami con la vita di corte degli Estensi e mantenne il contatto con la famiglia durante i suoi ultimi anni, dedicando loro diversi libri pubblicati durante il suo soggiorno a Padova. Nella lettera di prefazione al Ritorno di Damone (Venezia 1622, c. 2v) egli ricorda la recita delle Pompe funebri al cospetto di Leonora d'Este durante i suoi anni a Ferrara. Il soggiorno ferrarese, però, non era senza opposizione dall'interno dell'università, come mostra una lettera ad Alfonso d'Este datata 20 maggio 1589 (G. Tiraboschi, pp. 588 s.).

Nel 1598 ritornò a Ferrara, come rappresentante della sua città natale di Cento, per partecipare alle celebrazioni per la visita di Clemente VIII. In quell'occasione pronunciò il 27 maggio il discorso Oratio habita Ferrariae ad Clementem VIII pro S. P. Q. Centensi (Ferrariae 1598), e inoltre partecipò attivamente alla missione diplomatica dei cittadini di Cento per ottenere varie concessioni e privilegi dal papa.

La carriera di docente del C. a Padova, che sarebbe durata quaranta anni, cominciò il 27 genn. 1591 quando pronunciò la sua prolusione, pubblicata con il titolo Exordium habitum Patavii VI Kal. Febr. 1591 (Ferrariae 1591). Lasciò l'insegnamento solo nel 1629 all'età di settantotto anni, quando era già gravemente malato.

Nel periodo in cui il C. arrivò a Padova, si stava profilando una minaccia seria all'autonomia dell'università; i gesuiti infatti cercavano di fondare uno Studio rivale. Il C. stesso ebbe un ruolo di primo piano nell'opposizione a questo tentativo, partecipando alla riunione del 30 nov. 1591 presso lo Studio, dove il problema fu discusso. Pronunciò pure una Oratione... in nome della Università di Padova nella quale elencò con precisione gli argomenti da opporre al tentativo dei gesuiti (in Decret de la Seigneurie de Venise contre les Jesuites, Paris 1595). Oltre a essere stampato due volte (1624), il lavoro circolava in numerosi manoscritti, e fu anche tradotto in francese.

Secondo il C., l'introduzione del nuovo Studio gesuitico avrebbe causato "una disunione delli scolari, essendoci di già le parti, ch'altri si dicono i Giesuitti, altri Bovisti, come i Guelfi e Gibellini". Egli considerava il nuovo istituto gesuita come superfluo e non necessario: "Padova... per insegnare le scienze non ha bisogno dell'aiuto de' Padri Giesuiti". Sebbene la lotta con la Società durasse molti anni e i gesuiti non fossero espulsi da Venezia fino al 1606, essi tuttavia non riuscirono mai a fondare una contro-università, anche se continuarono a insegnare nella città.

Già noto studioso quando arrivò a Padova, la fama e il prestigio del C. crebbero ancora considerevolmente durante la sua lunga permanenza nella città. A partire da un salario iniziale, nel 1591, di 200 fiorini, ricevette poi 400 fiorini dal 1599, 600 dal 1601, 1.000 dal 1607, e infine, con altri aumenti, arrivò a ricevere 2.000 fiorini nel 1629. Col ritiro di Piccolomini nel 1601, fu promosso alla cattedra di filosofia in primo loco. Il C.dava lezioni su molte opere aristoteliche di filosofia naturale, e i corsi di vari anni rimangono ancora manoscritti. Nel 1615 si diceva che avesse più studenti di qualunque altro maestro che insegnava a Padova. Se dobbiamo credere a Gabriel Naudé, che visitò il C. a Padova nel 1626-27, egli aveva quattrocento studenti quando morì. Naudé scriveva che "Cremonini a Padova aveva una casa tanto ben arredata quanto poteva esserlo quella di un Cardinale a Roma" (Naudaeana et Patiniana, p. 54). Oltre al normale insegnamento, il C. esercitava una serie di altre funzioni nello Studio. Nel 1593 fu eletto protettore della nazione germanica nella facoltà delle arti e, in seguito, il suo nome figurò spesso negli Acta nationis Germanicae artistarum.

Il 9 genn. 1600 venne eletto insieme con Galilei e Giambattista Pigna tra i soci fondatori dell'Accademia Padovana dei Recovrati. In almeno tre occasioni gli venne affidato l'onore di pronunciare una orazione di benvenuto per conto della facoltà delle arti dell'università in occasione della nomina di un nuovo doge: cioè, per Leonardo Donà (Oratio habita in creatione serenissimi Venetiarum principis Leonardi Donati, Venetiis 1606, e Lipsiae 1722), per Giovanni Bembo (Oratione al serenissimo prencipe Giovanni Bembo nella sua essaltatione al Prencipato, Venezia-Padova 1616) e per Antonio Priuli (Oratione al serenissimo prencipe Antonio Priuli nella sua essaltatione al prencipato, Venezia 1618). Fra gli altri onori, fu anche eletto vicesindaco del Collegio veneto degli artisti nel 1623, e poi presidente nel 1629.

Il C., insieme con il collega padovano Paolo Beni, pare fosse fra coloro che incoraggiarono e sostennero il giovane Giuseppe degli Aromatari, ex allievo, in una polemica letteraria con Alessandro Tassoni (1609-13). Il punto di vista di Aromatari era senz'altro simile a quello del C., in difesa dei principi aristotelici contro il saggio critico di Tassoni, il quale da parte sua sosteneva tenacemente che le pubblicazioni di Aromatari contro di lui erano state istigate dal C. (A. Tassoni, Lettere, Bari 1978, nn. 176, 179, 184, 187).

Fra i colleghi e amici del C., il più notevole fu Galileo Galilei, che era venuto a Padova un anno dopo il C., nel 1596. I due insegnavano nella stessa facoltà delle arti fino al ritorno del fiorentino alla sua città natale nel 1610. Nel 1608 il C. si servì della sua posizione e influenza per sostenere la richiesta del Galilei di ottenere in anticipo il salario di un anno. Più tardi, a sua volta, Galilei prestò al C. una considerevole somma di danaro; la corrispondenza di Galilei per il periodo 1616-1620 rivela le difficoltà che egli incontrò per essere rimborsato.

Il C. era fra coloro che consigliavano a Galilei di non lasciare Padova e si racconta dicesse "Oh quanto harrebbe fatto bene anco il Sr. Galilei, non entrare in queste girandole, e non lasciar la libertà Patavina" (Galilei, Opere, XI, p. 165). Comunque, quando Galilei lasciò effettivamente Padova, i due si scambiarono saluti e informazioni tramite amici comuni come Paolo Gualdo e Fortunio Liceti.

Sebbene molto amici, i due ovviamente erano in profondo disaccordo intellettuale. Citazioni dirette del C. nelle opere di Galilei sono rare, ma sembra chiaro che certe locuzioni come "alcuni peripatetici" e "un certo peripatetico" si riferiscono talvolta al centese (Dei massimi sistemi, in Opere, VII, pp. 68, 94, 111). Secondo il biografo di Galilei, Viviani, già nel 1604 Galilei dava tre lezioni su una stella nuova, prendendo posizione "contro l'opinione della scuola peripatetica e principalmente del filosofo Cremonino" (Galilei, Opere, XIX, p. 607). Piùtardi, dopo aver lasciato Padova, Galilei aspettava con interesse la pubblicazione della Disputatio de coelo del C., ma quando l'opera effettivamente uscì (Venetiis 1613) risultò che non c'era nessuna critica diretta al fiorentino, sebbene molte delle posizioni aristoteliche esposte nel libro fossero diametralmente opposte alle idee esposte da Galilei in opere come Sidereus nuntius e Delle macchie solari. D'altronde, senza dubbio il C. si mostrava ben poco entusiasta riguardo alle possibilità del telescopio di Galilei, e vari testimoni attestano che egli addirittura prendeva in giro Galilei per il suo uso degli "occhiali". Nonostante il loro disaccordo, entrambi avevano, forse per diverse ragioni, difficoltà con l'Inquisizione, e i loro nomi figurano insieme in almeno un documento del S. Uffizio (Galilei, Opere, XIX, p. 275). Una copia della Apologia dictorum Aristotelis de origine et Principatu membrorum adversus Galenum del C. è conservata a Firenze (Bibl. naz., Banco rari, n. 133) con annotazioni marginali di Galilei.

Come molti altri intellettuali contemporanei, anche il C., dunque, incontrava difficoltà con l'Inquisizione. La prima testimonianza che il S. Uffizio sospettava di lui è del 1604. Già nel 1608 lo accusavano di trasmettere "una cattiva dottrina" ai suoi alunni, un'accusa che includeva l'insegnamento della mortalità dell'anima. Tre anni più tardi era ancora sotto sorveglianza: lui e Galilei erano entrambi menzionati nello stesso documento del S. Uffizio. Le vere difficoltà, però, cominciarono nel 1613 con la pubblicazione della sua Disputatio de coelo, che fu segnalata al S. Uffizio e sottoposta a un controllo minuzioso. Una lista di Obiectiones fu compilata nel 1614, specificando i numerosi passi nei quali il C. risultava contrafidem. Questi includevano alcune ben note posizioni aristoteliche come l'eternità del mondo e il concetto di un dio non provvidenziale. Il C. replicò alle obiezioni in una Responsio, riaffermando una posizione già esposta in varie occasioni, cioè che lui aveva soltanto riportato la dottrina aristotelica, senza aggiungere un suo giudizio teologico. Nel 1616 pubblicò il suo Apologia dictorum Aristotelis, che cercava di venire incontro alle obiezioni dell'Inquisizione. Però, anche questa nuova opera fu considerata insoddisfacente, ed egli fu di nuovo censurato. Il C. rettificò la sua posizione in un'opera intitolata De coeli efficientia, che però ancora non accontentò il S. Uffizio, e che non fu mai pubblicata. Il suo scontro con l'Inquisizione continuò almeno fino al 1626, quando lo accusarono ancora di insegnare in aula la mortalità dell'anima. La linea di difesa del C., fosse genuina o simulata, consisteva nel ribadire che non era un teologo ma un filosofo incaricato di insegnare la dottrina di Aristotele. Sosteneva che insegnava soltanto il contenuto dei testi aristotelici, inclusi quelli contrari alla dottrina cristiana.

Il C. morì a Padova tra il 18 e il 19 luglio 1631, non di peste, come è stato spesso detto, ma di catarro accompagnato da febbre. Nel testamento stabiliva che i suoi beni temporali, inclusa la biblioteca, andassero ai monaci di S. Giustina, presso i quali fu sepolto, ma "Gli scritti di filosofia si doveranno mettere nella libraria dello studio che si va instituendo". Nel medesimo documento è un'ultima riaffermazione del suo impegno nel campo prediletto degli studi filosofici: - "Ad philosophiam sum vocatus, in ea totus fui, si aliquid philosophando peccavi, memento me esse hominem, cui innatum est peccare... " (Archivio veneto, XXV [1883], pp. 437 s.).

Gli scritti filosofici del C. sono abbastanza numerosi, sebbene inferiori alla produzione di alcuni contemporanei. Le sue opere lo presentano come interprete e difensore di Aristotele, con una spiccata riluttanza a speculare su questioni nuove o marginali. Tanto i suoi scritti pubblicati quanto quelli inediti rivelano un interesse fondamentale per i problemi della filosofia naturale e della logica, con un interesse solo limitato per la metafisica e, a quanto pare, con nessun interesse per la filosofia morale. Il C. sosteneva tenacemente che la filosofia è un "separatum opus", che si distingue radicalmente dalla teologia, e che essa deve servirsi di mezzi puramente naturali, senza ricorso a spiegazioni soprannaturali. Per lo più, la filosofia, come la intendeva lui, aveva in Aristotele, la sua massima autorità: in alcune opere si sforzava di dimostrare la superiorità di Aristotele su Galeno. Tale è il caso del De calido innato, per esempio, un'opera che può aver influenzato William Harvey, che era studente a Padova (1598-1600) e che probabilmente ascoltava le lezioni del Cremonini. L'approccio del C. alla filosofia presenta qualche affinità con le intenzioni della scuola di Padova dei secoli precedenti, e in particolare è simile alla posizione di Zabarella. Il C., però, dava scarso rilievo alle osservazioni nuove, e tutti i suoi scritti sono caratterizzati da un affidamento abbastanza rigido su testi letterari più che sulle osservazioni sistematiche che avevano caratterizzato il lavoro di Zabarella. Come Zabarella, il C. assegnava scarsa importanza all'applicazione della matematica ai problemi scientifici; tutti i suoi scritti in materia astronomica, per esempio, riflettono il metodo strettamente qualitativo di Aristotele. Nelle opere da lui pubblicate non menziona mai né Copernico né Galilei, perché, chiaramente, il loro metodo non era il suo. Il concetto che il C. aveva della filosofia e del proprio compito nell'insegnarla è evidenziato da una risposta all'inquisitore datata il 3 luglio 1619: "Ma quanto al mutar il mio modo di dire, non so come poter io promettere di transformare me stesso. Chi ha un modo, chi un altro. Non posso né voglio retrattare le espositioni d'Aristotile, poiché l'intendo così, e son pagato per dichiararlo quanto l'intendo, e nol facendo, sarei obligato alla restitutione della mercede" (Renan, p. 479).

Fra le altre opere filosofiche pubblicate dal C. si ricordano: Explanatio prohemii librorum Aristotelis de physico auditu... de paedia (Patavii 1596); De formis quatuor corporum simplicium (Venetiis 1605); Apologia dictorum Aristotelis de quinta coeli substantia (ibid. 1616); Apologia dictorum Aristotelis de calido innato adversus Galenum (ibid. 1626 e Leiden 1634); Apologia dictorum Aristotelis de origine et principatu membrorum adversus Galenum (Venetiis 1627). Dopo la sua morte, un ex allievo, Troilo Lancetta, pubblicò alcune altre opere, tra le quali: Tractatus tres. Primus est de sensibus externis. Secundus, de sensibus internis. Tertius, de facultate appetitiva (ibid. 1644) e Dialectica (ibid. 1663). Lancetta, con lo pseudonimo di Lootri Nacattel, compilò pure la Raccolta medica et astrologica (Venezia 1645), che contiene "Contro gli astrologhi giudiciari" (pp. 131-364), estratto dal commentario del C. sulla Meteora di Aristotele. Tre lettere del C. a un suo ex allievo, Caspar Hofmann, si trovano nelle Epistolae selectiores (a cura di G. Richter, Nürnberg 1622, pp. 800 s.).

Sebbene meno noti e meno voluminosi dei suoi scritti filosofici, i versi del C. godevano di qualche popolarità, e parecchi furono stampati più di una volta. Inoltre, anche nelle sue opere filosofiche, dimostrò una predilezione insolita per la poesia, facendo un uso estensivo della Commedia di Dante in varie occasioni. Fra le sue opere di poesia pubblicate si ricordano: Le pompe funebri ovvero Aminta e Clori Ferrara 1590, e 1591, 1592, 1599; Vicenza 1610; Paris 1634); Il nascimento diVenezia (Bergamo 1617; Venezia 1617), Il ritorno di Damone (Venezia 1622); Chiorindo e Valliero (Venezia 1624). Fra le sue opere non pubblicate, si deve menzionare in particolare Le nubi, una commedia satirica nello stile di Aristofane, che prende in giro in particolare il collega e avversario padovano Giorgio Raguseo [Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. Lat., cl.XIV, 47 ( = 4705) e Ital., cl. IX, 24 ( = 6476)].

Molte delle opere del C. rimasero inedite: dozzine di manoscritti sono sparsi inmolte biblioteche, specialmente a Padova e Venezia. Una gran parte di questi sono lezioni e appunti, ma c'è anche molto altro materiale. Oltre i manoscritti elencati da Rossetti, Lohr e specialmente Kennedy, possono essere menzionati i seguenti: Bologna, Bibl. comunale, XXII.6337 (Quietanza, datata 1583); Ibid., Bibl. univ., 58 (Oratione); 1881, cc. 9, 75-78v, 83, 1316 (undici poesie); Ferrara, Bibl. comunale, Autografi n. 920 (un documento del C. datato 1584); Firenze, Bibl. nazionale, Magl. IX-4 (Oratione) e XII. 24 (appunti del C. sul De anima di J. Gaddi); II, 252-263 (poesie); Ibid., Palat. 879 (trattati filosofici); Genova, Bibl. Brignole, Misc. 106.D.27 (Il nascimento di Venezia); Milano, Bibl. Ambr., D. 463 inf. (documenti sulla controversia con i gesuiti a Padova); Archivio di Stato di Modena, Archivi per materia, Letterati (una lettera e l'Oratione);Modena, Bibl. Estense, Est. Lat. 834 [alpha S I 36] (una lettera del C. pubblicata da Tiraboschi); Est. ital. 833 [alpha G I 15] (lettere autografe); Padova, Bibl. univ., Provv. 28 (Oratione); Padova, Museo civico, B. P. 1463, fasc. XI (Oratione); Pesaro, Bibl. Oliveriana, 1547 (Oratione); Reggio Emilia, Bibl. municipale, 12.J.I. (Perbreves... annotationes... in universam philosophiam) e Vari G. 32 (la stessa opera); Rovigo, Bibl. dell'Accad. dei Concordi, 238, cc. 58-77 (Oratione), 128 s. (testamento datato 16 luglio 1631); Udine, Bibl. comunale, Manin 1150 (Oratione); Bibl. Apost. Vaticana, Vat. Lat. 8263, cc. 407 s. (testam.); Venezia, Bibl. naz. Marciana, Lat. XIV, 288 (Oratione); Ital. VII, 227 (Oratione), VII, 677 (Oratione) e VII, 1795 (Oratione); Wien, Nationalbibliothek, Gr. 86 (una traduzione greca delle lezioni del C. sul De anima di Theophilos Korydalleus). Descrizioni più ampie di molti di questi e di altri manoscritti si trovano nell'Iter Italicum di Kristeller.

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