RIPA, Cesare

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 87 (2016)

RIPA, Cesare

Fabizio Biferali

RIPA, Cesare. – Nacque a Perugia intorno al 1555 da una famiglia illustre, come si evince dalla richiesta di un cavalierato inoltrata a papa Clemente VIII nel 1598 in cui Ripa è definito dal cardinale Gregorio Petrocchini «persona ben nata et meritevole» (Witcombe, 1992, p. 282). La sua data di nascita approssimativa si ricava dagli Stati d’anime del 1605-21 relativi alla parrocchia di S. Maria del Popolo a Roma che, pur non sempre concordanti tra loro, forniscono un margine di sicurezza affidabile. Quanto al luogo di nascita, in assenza del suo certificato di battesimo, esso risulta confermato più volte dallo stesso Ripa nei frontespizi e nel testo dell’Iconologia in cui, a titolo d’esempio, l’espressione «Perugia mia patria» viene utilizzata nelle voci Poesia (Iconologia, Roma 1593, p. 215) e Griffo (Iconologia, Roma 1603, p. 342).

Sin dalla tenera età, come avrebbe poi ricordato nella voce Corte dell’Iconologia, Ripa ebbe l’opportunità di frequentare il mondo delle corti, del quale si riteneva in grado di poter parlare «con qualche fondamento per lo tempo che vi ho consumato dal principio della mia fanciullezza fino a quest’hora» (Iconologia, 1593, p. 52). Se poco o nulla è dato conoscere sulla sua formazione, verosimilmente avvenuta nella natia Perugia e a contatto con l’Accademia degli Insensati con cui restò sempre in rapporto, sappiamo però che fu membro delle accademie dei Filomati e degli Intronati a Siena, entrambe dedite all’antiquaria e allo studio dei classici greci e latini, e che frequentò quella degli Incitati a Roma, tra i cui membri, nella voce Poesia dell’Iconologia, avrebbe citato Alessandro Guarnelli, «avezzo per molti anni a ricrear la mente de’ principi con le poesie», Cristoforo Castelletti, Baldo Cataneo, Antonio de’ Pazzi, «cavaliere gerosolimitano, al presente principe di detta Accademia», Pier Leone Casella, «eccellente compositore di poesia» nonché «di buonissimi costumi e di vita essemplare», Porfirio Feliciani, Luca Valerio, «ingegnioso nelle cose poetiche come raro nelle matematiche», Antonio Decio (pp. 215 s.).

Ripa dovette trasferirsi a Roma dopo il 1578, anno in cui Anton Maria Salviati, suo futuro protettore, vi aveva fatto ritorno dopo sette anni trascorsi in Francia in qualità di nunzio apostolico. È plausibile che il suo approdo a Roma fosse stato favorito dalla sorella del prelato fiorentino, Ginevra, che aveva sposato nel 1550 il condottiero perugino Astorre Baglioni.

Nato a Roma nel 1537, nipote del cardinale Giovanni Salviati, Anton Maria Salviati fu nominato vescovo di Saint-Papoul nel 1561, nunzio in Francia nel 1572 e infine creato cardinale da papa Gregorio XIII nel 1583 con il titolo di S. Maria in Aquiro. In ottimi rapporti anche con Sisto V, che lo aveva nominato legato a Bologna nel 1585 e al quale aveva donato la sua villa romana presso Termini, Salviati divenne nel 1592 consigliere personale del neoletto Clemente VIII, che si fidava più di lui che dei suoi nipoti. Durante il papato Aldobrandini, nel suo palazzo al Collegio Romano, il porporato fu l’animatore di una dotta cerchia culturale frequentata da letterati e antiquari tra i quali figuravano anche il suo segretario personale Porfirio Feliciani, di origini umbre come Ripa, Marzio Milesi, collezionista di epigrafi e tra i principali estimatori del Caravaggio cui dedicò vari epigrammi, e il cardinale Maffeo Barberini, eletto nel 1623 al soglio petrino come Urbano VIII.

Nella corte di Salviati, come documenta la «lista della famiglia» compilata il 3 giugno 1602, a poco più di due settimane dalla sua morte, Ripa risultava impiegato come «trinciante» (Stefani, 1990b, pp. 308, 310 s.), ossia tagliatore di vivande durante i banchetti. Ruolo tutt’altro che secondario a quell’epoca, comportava un rango sociale elevato, un’età non avanzata e un fisico robusto, una notevole discrezione e, quando richiesta, la capacità di saper intrattenere gli ospiti con competenze letterarie e artistiche. Nello stesso documento, Ripa veniva beneficato di un lascito di 300 giulii, la medesima cifra stanziata per il «maestro di stalla» e il «maestro di casa», ben al di sotto dei 500 e degli 800 giulii destinati invece agli intellettuali di corte come Feliciani, Giulio Benigno o Isidoro Ruberti (ibid.).

A cavallo dei due secoli Ripa frequentò anche l’Accademia di San Luca, dove ebbe modo di conoscere verosimilmente il matematico e prospettico domenicano Egnazio Danti, membro di un’illustre famiglia perugina, già impegnato come iconografo in alcune imprese artistiche commissionate da Gregorio XIII e diventato poi un punto di riferimento per l’ideazione di molte allegorie dell’Iconologia. Danti non fu l’unico grande scienziato frequentato da Ripa, dal momento che nell’Accademia degli Intronati a Siena poté entrare in contatto e apprezzare Francesco Pifferi, monaco camaldolese e professore di matematica presso lo Studio senese dal 1594 alla morte nel 1611. In uno dei febbrili cantieri romani di fine secolo, inoltre, Ripa dovette fare la conoscenza anche dei due sommi architetti Domenico Fontana e Carlo Maderno, ricordati entrambi come «uomini di gran giuditio e di valore» nella voce Architettura della seconda edizione dell’Iconologia (Fara, 2013, p. 69). Noto nelle vesti di accademico con lo pseudonimo Cupo, l’impresa di Ripa era costituita da un «tronco d’amandola unito con uno di moro celso» e sin dall’edizione del 1613 dell’Iconologia fu associata alla voce Diligenza (Mandowsky, 1939, p. 283; Zappella, 2009, pp. 27, 156).

Il nome di Ripa è indissolubilmente legato all’Iconologia, la cui prima edizione, contenente 699 personificazioni allegoriche, ma priva di illustrazioni, apparve a Roma nel 1593 presso gli eredi di Giovanni Gigliotti con una dedica al cardinale Salviati (Iconologia overo Descrittione dell’imagini universali cavate dall’antichità et da altri luoghi da Cesare Ripa perugino. Opera non meno utile che necessaria a poeti, pittori et scultori, per rappresentare le virtù, vitii, affetti et passioni humane). Al nipote di questi, il marchese e governatore di Siena Lorenzo Salviati, morto nel 1610 e al cui servizio Ripa passò dopo la scomparsa del porporato nel 1602, l’autore dedicò la seconda edizione dell’opera del 1603, stampata anch’essa nella città papale, ma per i tipi di Lepido Facii (Iconologia overo Descrittione di diverse imagini cavate dall’antichità et di propria inventione trovate et dichiarate da Cesare Ripa perugino, cavaliere dei Santi Mauritio et Lazaro. Di nuovo revista et dal medesimo ampliata di 400 et più imagini et di figure d’intaglio adornata. Opera non meno utile che necessaria a poeti, pittori, scultori et altri, per rappresentare le virtù, vitii, affetti et passioni humane). Arricchita con oltre 400 nuove voci, l’edizione del 1603 risulta corredata anche da 152 illustrazioni xilografiche in buona parte tratte da disegni del modenese Giovanni Guerra, pittore senza dubbio noto al cardinale Salviati per il suo ruolo di primo piano nei cantieri gregoriani e sistini. Nel frontespizio del volume, Ripa è definito «cavaliere de Santi Mauritio et Lazaro», un’onorificenza concessagli il 30 marzo 1598 da Clemente VIII, su sollecitazione del cardinal nipote Cinzio Aldobrandini, per il suo ruolo di «inventor delle figure» della sala Clementina in Vaticano affrescata dai fratelli Cherubino e Giovanni Alberti (Witcombe, 1992, pp. 278 s., 282; Pierguidi, 2002, p. 437; Gabriele - Galassi, 2010, pp. VII s.).

Ad appena due anni dall’edizione impressa a Padova nel 1611 da Pietro Paolo Tozzi e Donato Pasquardi, contenente 201 immagini e 1086 allegorie, nel 1613 uscì a Siena presso gli eredi di Matteo Florimi una nuova edizione dell’Iconologia, corredata da 200 figure e 1214 allegorie e per la terza volta su quattro dedicata a un membro della famiglia Salviati, Filippo d’Averardo, amico e protettore di Galileo Galilei. Un’edizione accresciuta fino a 308 immagini e 1261 allegorie, destinata a diventare la più letta e utilizzata, fu pubblicata a Padova nel 1618 ancora dalla coppia Tozzi-Pasquardi con il titolo di Nova Iconologia, cui ne seguì nel 1625 una di poco postuma, pubblicata anch’essa da Tozzi nella città veneta, intitolata Novissima Iconologia e corredata da 351 illustrazioni e 1309 personificazioni allegoriche. In poco più di trent’anni, dalla editio princeps romana del 1593 a quella padovana del 1625, l’Iconologia fu stampata ben sei volte, a testimonianza della larghissima fortuna incontrata dal testo prima in Italia e poi, grazie alle importanti edizioni apparse a Parigi (1636), Amsterdam (1644, 1657, 1698), Amburgo (1659), Francoforte (1669-70), Augusta (1704), Londra (1709), Nürburg (1732-34) e Delft (1726, 1743-50), anche nell’Europa settentrionale, dove si sarebbe affermata come il principale prontuario figurativo per artisti, letterati e oratori, salvo poi cadere in disgrazia alla metà del Settecento con il neoclassicismo e la sua critica alla cultura barocca.

Esemplare dell’ostilità nei confronti dell’Iconologia, un testo considerato filologicamente scorretto, è il giudizio che Johann Joachim Winckelmann, nel suo Versuch einer Allegorie, besonders für die Kunst (1766), espresse in merito alle immagini di Ripa, «formate, inventate e sbozzate, come se appartenessero a monumenti antichi reali, ma si deve pensare che egli non abbia avuto nessuna conoscenza né di statue, né di marmi intagliati, né di monete» (Maffei, 2012, p. CXIV). La condanna senza appello formulata da Winckelmann «segnò il definitivo allontanamento dell’Iconologia dal mondo degli antiquari e degli studiosi dell’antico, che la ritennero un testo del tutto insufficiente ad introdurre e far conoscere la grandezza della classicità» (Ead., 2009, p. 10).

Lo scopo dell’Iconologia, dichiarato nel Proemio ai lettori, era di occuparsi di quel tipo di immagine «che appartiene a’ dipintori, o vero a quelli che per mezzo di colori o di altra cosa visibile possono rappresentare qualche cosa differente da essa» (Iconologia, 1593). Illustrate anch’esse nel Proemio, le qualità fondamentali che devono avere le figure dei pittori sono la «similitudine» e la corrispondenza con il testo da cui traggono l’ispirazione: «Et la definitione scritta se bene si fa di poche parole, et di poche parole par che debbia essere questa in pittura, ad imitatione di quella, non è però male l’osservatione di molte cose proposte, acciò che o dalle molte si possano eleggere le poche, che fanno più à proposito, o tutte insieme facciano una compositione che sia più simile alla descrittione» (ibid.). La conoscenza dei concetti per mezzo delle immagini simboliche è infine paragonata da Ripa a «una persona sapiente, ma versata nelle solitudini et nuda per molti anni, la quale, per andare dove è la conversatione, si riveste, acciò che gli altri, allettati dalla vaghezza esteriore del corpo, che è l’imagine, desiderino d’intendere minutamente quelle qualità che danno splendidezza all’anima, che è la cosa significata» (ibid.).

Come è stato spiegato, «la creazione del Ripa, che si basava su fonti culturali precedenti (poesia, prosa, antiquaria) sia antiche che a lui vicine, raccolte e coniugate con colta e intelligente sistemazione, aveva il proprio elemento fondante nell’uso della personificazione», ossia «una figurazione antropomorfa (o con caratteri antropomorfi più o meno marcati) di un’astrazione mentale, di un’idea, di un concetto» (Gabriele - Galassi, 2010, pp. I s.). Pur essendo un manuale per artisti, l’Iconologia non tratta mai di opere d’arte, occupandosi invece delle immagini simboliche come riflessi di «un linguaggio comunicativo» e utilizzandole «come veri ideogrammi da combinare e proporre in insiemi sempre nuovi» (Maffei, 2013, p. 13). L’opera attinge sia da testi tardoantichi quali la Psicomachia di Prudenzio (IV-V sec.) e il De nuptiis Philologiae et Mercurii di Marziano Capella (V sec.), in cui venivano esaminate rispettivamente le allegorie dei vizi e delle virtù cristiane e le Arti liberali, sia da opere rinascimentali quali la Polyanthea di Domenico Nani Mirabelli (XV sec.), contenente sentenze di celebri autori pagani e cristiani, e sia infine da opere dedicate a emblemi, imprese, geroglifici quali l’Hypnerotomachia Poliphili (1499) di Francesco Colonna, gli Emblemata (1531) di Andrea Alciato, il Dialogo delle imprese militari et amorose (1555) di Paolo Giovio, le Symbolicae quaestiones (1555) di Achille Bocchi e gli Hieroglyphica (1556) di Pierio Valeriano, o incentrate sulla mitologia classica quali la De deis gentium varia et multiplex historia (1548) di Lilio Gregorio Giraldi, la Mythologia (1551) di Natale Conti e le Imagini de gli dei de gli antichi (1556) di Vincenzo Cartari.

Alcuni di questi testi, come quelli di Alciato e Cartari, ma anche la Genealogia deorum gentilium di Giovanni Boccaccio o l’Orlando furioso di Ludovico Ariosto, erano presenti nella ricca biblioteca del cardinale Salviati, dove Ripa poté consultarli senza difficoltà. La densa erudizione dell’opera tradisce una conoscenza profonda della cultura, dell’arte e della numismatica classica, filtrate però dai repertori rinascimentali. Appassionati di antiquaria, epigrafia, numismatica e letteratura furono Fulvio Mariottelli e Prospero Podiani, entrambi sodali di Ripa, membri dell’Accademia degli Insensati di Perugia e consulenti per alcune allegorie dell’Iconologia, come del resto Giovanni Zaratino Castellini, citato nel 1603 dallo stesso iconografo come suo «amico, veramente gentiluomo d’ingegno e di belle lettere» (Maffei, 2009, p. 263) e autore di molte voci enciclopediche confluite nella Novissima Iconologia stampata a Padova nel 1625. L’Iconologia è stata giustamente definita «un vero e proprio testo-mosaico» le cui «singole tessere, derivate da tanti autori diversi, danno vita ad un’opera corale e aperta»: un’opera che, pur «completamente nuova e non priva di una sua unicità», risulta «creata con materiali di reimpiego», secondo una pratica che non aveva la «connotazione negativa del plagio», ma che era avvertita «in termini creativi come una delle possibili azioni del lavoro dello scrittore cinquecentesco sul deposito dei saperi della tradizione» (Ead., 2013, p. 6).

Nutrito di un rapporto con le fonti classiche e rinascimentali i cui cardini sono «la smaterializzazione, la decontestualizzazione e la fedeltà ai modelli», il metodo di Ripa «si riscontra più in negativo, nella dinamica dei tagli e delle parti escluse, che nel suo apporto creativo e stilistico», anche perché nell’Iconologia «la parola è puramente denotativa, al servizio dell’efficacia comunicativa e dell’immediata comprensibilità» (Ead., 2012, pp. LVI-LVIII). Tale capacità comunicativa si riflette anche nella serialità e nella stilizzazione delle illustrazioni xilografiche, che «traspongono in figure i simboli descritti a parole da Ripa senza rappresentare oggetti specifici e reali e non rivelano ambizioni antiquarie» (ibid., p. LX). Il che costituisce con ogni probabilità il motivo principale per cui l’Iconologia si affermò tra Sei e Settecento come il manuale figurativo privilegiato dagli artisti di mezza Europa i quali, grazie alla semplificazione e alla standardizzazione di alcune categorie culturali e iconografiche classiche e rinascimentali operate da Ripa, furono in grado di avvicinarsi a un tipo di cultura altrimenti poco accessibile.

Il flebile astro di Ripa, la cui esistenza rimane tuttora avvolta in una fitta coltre di incertezza soprattutto per quanto concerne gli anni giovanili, si eclissò inesorabilmente dopo la morte nel 1602 del suo facoltoso mecenate, il cardinale Salviati. Quanto all’Iconologia, la cui fama supera di gran lunga quella del suo autore, essa iniziò il suo inarrestabile successo editoriale solamente dopo la scomparsa di Ripa. È stato osservato che i pochi dati certi sulla biografia dell’iconografo perugino «ci restituiscono un ambiente più che una personalità ben precisa» e che «l’opacità della figura di Ripa, in contrasto con la fortuna clamorosa del testo, è forse il segno più evidente della natura corale dell’opera che, come ogni enciclopedia, non vuol porsi come frutto dell’ingegno individuale ma, più anonimamente, come summa di un’epoca» (ibid., p. X).

Tra il 1611 e il 1619 Ripa abitò in una casa nella «strada Paolina» presso l’ospedale di S. Giacomo degli Incurabili, il che si spiega forse con lo stretto legame che esisteva fino a pochi anni prima tra l’ospedale e Salviati, cardinale protettore di S. Giacomo dal 1583 e per la cui chiesa aveva commissionato a Giovanni Battista Ricci da Novara la pala dell’altare maggiore. Nel 1620 Ripa è documentato nella «casa delli Vittorii» insieme con il barbiere Francesco Romano Binachi, la cui famiglia è citata come indigente negli Stati d’anime del 1614-1616 (Stefani, 1990, pp. 309-312; Gabriele - Galassi, 2010, p. VI).

Morì a Roma il 22 gennaio 1622, come attesta il Liber quintus mortuorum ecclesiae parochialis Sanctae Mariae de Populo Romae, secondo cui «in communione Sanctae Matris Ecclesiae animam Deo reddidit, refectis sacramentis, cuius corpus sepultum fuit in nostra ecclesia» (Stefani, 1990, pp. 310, 312).

Font. e Bibl.: C. Orlandi, Memorie del cavalier C. R., in Iconologia del cavaliere C. R. perugino, notabilmente accresciuta d’immagini, di annotazioni e di fatti dall’abate Cesare Orlandi patrizio di Città della Pieve accademico augusto, I, Perugia 1764, pp. XV-XXV; E. Mandowsky, Untersuchungen zur Iconologie des C. R., Hamburg 1934; Ead., Ricerche intorno all’Iconologia di C. R., in La Bibliofilia, XLI (1939), pp. 7-27, 111-124, 204-235, 279-327; G. Werner, R.’s “Iconologia”. Quellen, Methode, Ziele, Utrecht 1977; P. Hurtubise, Une famille-témoin. Les Salviati, Città del Vaticano 1985, pp. 240, 250-256, 294 s., 314; C. Stefani, C. R. «trinciante»: un letterato alla corte del cardinal Salviati, in Sapere e/è potere. Discipline, dispute e professioni nell’università medievale e moderna, Atti del 4° Convegno... 1989, II, Bologna 1990, pp. 257-266; Ead., C. R. New biographical evidence, in Journal of the Warburg and Courtauld Institutes, 1990, vol. 53, pp. 307-312; C. Witcombe, C. R. and the Sala Clementina, ibid., 1992, vol. 55, pp. 277-282; C. Stefani, Giovanni Guerra «inventor» e l’Iconologia, in Roma di Sisto V. Le arti e la cultura (catal.), a cura di M.L. Madonna, Roma 1993, pp. 17-29; S. Pierguidi, Giovanni Guerra and the Illustrations to R.’s “Iconologia”, in Journal of the Warburg and Courtauld Institutes, 1998, vol. 61, pp. 158-175; Id., Alle radici dell’“Iconologia”. I rapporti di C. R. con Ignazio Danti, Giovanni Alberti e Giovanni Guerra, in Arte cristiana, XC (2002), 813, pp. 433-448; Id., “Dare forma humana a l’Honore et a la Virtù”. Giovanni Guerra (1544-1618) e la fortuna delle figure allegoriche da Mantegna all’“Iconologia” di C. R., Roma 2008, pp. 60-62, 64 s., 211 s.; S. Maffei, Le radici antiche dei simboli. Studi sul’“Iconologia” di C. R. e i suoi rapporti con l’Antico, Napoli 2009; G. Zappella, L’“Iconologia” di C. R.. Notizie, confronti e nuove ricerche, Salerno 2009; G. Fornari, Aristotele e la rivalità delle immagini. Il “Proemio” dell’“Iconologia” e i paradossi dell’imitazione nell’aristotelismo del Cinquecento, in C. R. e gli spazi dell’allegoria. Atti del Convegno, Bergamo... 2009, a cura di S. Maffei, Napoli 2010, pp. 61-90; M. Gabriele - C. Galassi, Presentazione, in C. Ripa, Iconologia, I, Lavis 2010, pp. I-XVI; S. Maffei, Le fonti negate dell’“Iconologia”. I contributi di Vincenzo Cartari, Domenico Delfino, Giovanni Battista Rinaldi, Eustathius Macrembolites e un sorprendente apporto di Théodore de Bèze, in C. R. e gli spazi dell’allegoria. Atti del Convegno..., Bergamo... 2009, a cura di S. Maffei, Napoli 2010, pp. 131-161; Ead., Introduzione, in C. Ripa, Iconologia, a cura di S. Maffei, testo stabilito da P. Procaccioli, Torino 2012, pp. VII-CXV; G.M. Fara, L’“Iconologia” di C. R. e la letteratura scientifica del suo tempo, in L’“Iconologia” di C. R. Fonti letterarie e figurative dall’antichità al Rinascimento, Atti del Convegno..., Certosa di Pontignano... 2012, a cura di M. Gabriele et al., Firenze 2013, pp. 65-82; M. Gabriele, Per un’introduzione al R.: il catalogo e la catena di montaggio, ibid., pp. XI-XVII; S. Maffei, L’“Iconologia” di C. R. tra tradizione cinquecentesca e sensibilità barocca, ibid., pp. 1-13.

TAG

Johann joachim winckelmann

Hypnerotomachia poliphili

Accademia degli intronati

Lilio gregorio giraldi

Gregorio petrocchini