Cesura

Enciclopedia Dantesca (1970)

cesura

Gian Luigi Beccaria

. La struttura ritmica del verso, com'è noto, non è fondata unicamente sul numero delle sillabe e sugli accenti; il verso presenta delle pause interne. A parte le pause grammaticali e logiche richieste dal senso, i trattati di metrica fanno notare, in ispecie negl'imparisillabi, la pausa ritmica detta c. (latino caedere, " tagliare "), che stacca il verso in due emistichi. Il quinario e il settenario per es. sono stati considerati dai metrici come frammenti dell'endecasillabo; e s'è voluto anche presentare l'endecasillabo come il risultato di un quinario più un settenario (endecasillabo a minore), oppure di un settenario più un quinario (endecasillabo a maiore). I metricologi hanno illustrato i vari tipi di endecasillabo, a seconda delle combinazioni che ne risultano.

Nella Commedia per es. avremmo: A) tipi a maiore, con accenti principali di 6a e 10a e c. dopo la 6a, 7a e anche 8a sillaba: a) settenario tronco + quinario: di bella verità / m'avea scoverto; b) settenario piano + quinario cominciante per vocale: Allor distese al legno / ambo le mani; c) settenario piano + quaternario: Qual esce alcuna volta / di gualoppo; d) settenario sdrucciolo + ternario: per la similitudine / che nacque; e) settenario sdrucciolo + quaternario cominciante per vocale: io dico d'Aristotile / e di Plato. B) tipi a minore, con accenti principali di 4a, 8a e 10a, e cesura dopo la 4a, 5a, talvolta 6a sillaba: a) quinario tronco + settenario piano: noi fuggirem / l'imaginata caccia; b) quinario piano + settenario cominciante per vocale: O voi che siete / in piccioletta barca; Indi, a udire / e a veder giocondo; c) quinario sdrucciolo la cui ultima sillaba va a completare il settenario imperfetto [‛ acefalo ']: Tutti gridavano /: " A Filippo Argenti! "; che non paressero / impediti e lenti. Oppure, più raramente, con accenti di 4a, 7a e 10a: d) quinario tronco + settenario col primo accento sulla terza sillaba: come 'l tapin / che non sa che si faccia; e) quinario piano + settenario cominciante per vocale: Quali i beati / al novissimo bando; f) quinario piano + senario: e giugne 'l tempo / che perder lo face; Ivi è perfetta, / matura e intera; g) quinario sdrucciolo + senario cominciante per vocale: dicono e odono / e poi son giù volte.

Ma lasceranno comunque perplessi, rispetto al valore ritmico della c. , in D., tali tipi (o altri simili) di esemplificazioni schematiche (che non comprendono tra l'altro i tipi ‛ aberranti ': per esempio c. dopo 7a tronca: lf I 75 poi che 'l superbo Ilïón fu combusto). In D. anzitutto non c'è alcuna obbligatorietà di c.: il suo verso pare piuttosto organismo fortemente unitario, che non risulta dalla somma di due unità ritmiche appartenenti a versi differenti (Pernicone); la c. non è mai così forte da spezzare la salda unità ritmica del verso (anche se pare più netta nei versi con parola tronca, e avvertibile ancora con parola piana [ricominciaron / le parole mie], lo è meno quando avviene sinalefe: Ma se le mie parole / esser dien seme // che frutti infamia / al traditor ch'i' rodo). Si pensi per contrapposto alla c. del verso epico francese, che taglia nettamente in due emistichi il verso; l'endecasillabo italiano comporta piuttosto, sin dalle origini, la fusione dei due emistichi. Manca assolutamente nell'italiano la forte pausa dopo la 4a sillaba, caratteristica del décasyllabe francese. Può ricordare lontanamente il modello francese la pausa di 4a nel tipo B. a; per es. Pg I e canterò / di quel secondo regno; lo colpo tal, / che disperar perdono; a li occhi miei / ricominciò diletto; non viste mai / fuor ch'a la prima gente; Chi siete voi / che contro al cieco fiume; che purgan sé / sotto la tua balìa; che fatta fu / quando me n'usci' fora; come tu di', / non c'è mestier lusinghe; la giù colà / dove la batte l'onda; Così sparì; / e io sù mi levai; porsi ver' lui / le guance lagrimose; Venimmo poi / in sul liso diserto (o cfr. If I 4, 5, 7, 13, 17, 22, 39, 55, 66, 74, 76, 81, 90, 91, 92, 93, 95, 105, 107, 110, 115, 121). Ma l'orientamento verso l'obliterazione della pausa, mediante enjambement di senso tra un emistichio e l'altro, che è costante in ogni verso, è percettibile anche in questi tipi a c. marcata (cfr. ancora Pg I un poco me / volgendo a l'altro polo; fregiavan sì / la sua faccia di lume; uscendo fuor / de la profonda notte; Lasciane andar /per li tuoi sette regni; Or che di là / dal mal fiume dimora; Va dunque, e fa / che tu costui ricinghe; ministro, ch'è / di quei di paradiso; Noi andavam / per lo solingo piano; ond'io, che fui / accorto di sua arte). Nella maggior parte dei versi in effetti la pausa di 4a è obliterata dalla presenza di una sillaba debordante nel secondo emistichio (Avalle): per es. il tipo citato B, b O voi che siete / in piccioletta barca, con il -te di siete (che è tra l'altro in sinalefe con in), oppure Quali i beati / al novissimo bando, ecc., senza contare il tipo con accento di 4a su parola sdrucciola (cfr. B, c o B, g). Non c'è alcun carattere dicotomico nel verso italiano delle origini, tanto meno nel dantesco: lo esclude la sua sempre maggiore complessità di sintassi. Ci sono nella scansione elementi, è vero, che danno al D. giovane della Vita Nuova o delle Rime un tono di particolare arcaicità (per es. in rapporto col Petrarca): in D. stilnovista, la ‛ monotonia ' della c. che discende dalla linearità sintattica (cfr. l'alternanza schematica dei versi a minore e a maiore - salvo il v. 4, quasi senza c. - nel sonetto di Vn XXVI 5 1 ss. Tanto gentile / e tanto onesta pare // la donna mia / quand'ella altrui saluta, // ch'ogne lingua deven / tremando muta, // e li occhi no l'ardiscon di guardare; e, nella seconda quartina, il predominio dell'a minore [Ella si va / sentendosi laudare, ecc.], e poi, nelle terzine, l'a maiore che torna a prevalere [Fubini]; e vedi ancora l'analisi fatta dal Fubini della canzone Donne ch'avete, dominata da monotonia di c., consona del resto alla gravità del componimento; si tengano in conto infine le più marcate scansioni nei primissimi canti dell'Inferno). Ma già nelle Rime si è spesso incerti se considerare un verso a minore, oppure a maiore; soprattutto nelle ‛ petrose ', si nota un maggior movimento: alla linearità sintattica subentra un intreccio di rime rare, e forti c. senza monotonia di schemi che fanno pensare alla varietà ritmica dell'autore della Commedia (anche per la situazione drammatica che sottolineano [Fubini]).

Anche la c. dopo la 6a par netta soltanto dopo tronca (cfr. If I Nel mezzo del cammin / di nostra vita; ma per trattar del ben / ch'i' vi trovai; Io non so ben ridir / com'i' v'intrai; che mena dritto altrui / per ogne calle; che nel lago del cor / m'era durata // la notte ch'i' passai / con tanta pieta; che non lasciò già mai / persona viva; e 'l sol montava 'n sù / con quelle stelle; sì ch'a bene sperar / m'era cagione; e molte genti fé / già viver grame; mi ripigneva là / dove 'l sol tace; Quando vidi costui / nel gran diserto; e li parenti miei / furon lombardi; nel tempo de li dèi / falsi e bugiardi; ch'è principio e cagion / di tutta gioia; che spandi di parlar / si largo fiume, ecc.). In moltissimi versi le c. possono essere diversamente collocate, per es. che nel pensier rinova la paura, con pausa ritmica dopo pensier, ma anche dopo rinova. Le incertezze sono meno evidenti quando la c. coincide con la pausa grammaticale: ciò nonostante, in If I 54 ch'io perdei / la speranza de l'altezza, la pausa grammaticale non coincide con la c. ritmica, che dovrebbe essere ch'io perdei la speranza / de l'altezza. È il tipo che i metrici chiamano endecasillabo ‛ ancipite ', perché può essere a maiore o a minore, a seconda che in Pg V 100 si legga Quivi perdei la vista / e la parola, oppure Quivi perdei / la vista e la parola; oppure If I 105 e sua nazion sarà / tra feltro e feltro, o e sua nazion / sarà tra feltro e feltro (interessante comunque notare che la posizione della c. può confortare la bontà di una lettura rispetto ad altre; per es. l'interpunzione in rispuose poi, che lagrimar mi vide, rispetto a rispuose, poi che lagrimar mi vide, If I 92).

Accanto a versi con pause sensibili ne abbiamo in D. moltissimi in cui la posizione della c. non è chiaramente definibile, tipo a questa tanto picciola vigilia; poscia che tai tre donne benedette, ecc. Non è più avvertibile quando le parole non finiscono nel luogo dove dovrebbe esservi la c., e si creano nuove unità ritmiche, con particolari effetti espressivi (Fubini): per es. If VI 13-14 Cerbero, fiera crudele e diversa // con tre gole caninamente latra. Né sentiamo c. nella rapidità di Pd VII 8 e quasi velocissime faville, perché la pausa è dopo l'8a sillaba, per via della parola sdrucciola (cfr. A, d); oppure vedi Pg XXX 26 sì che per temperanza di vapori, o il difficilmente divisibile Pg XXX 29 che da le mani angeliche saliva (in contesti però di versi a c. sensibile, come Pg XXX 30 e ricadeva in giù / dentro e di fori, che segue un alternare di versi a maiore e a minore; XXX 22-25 Io vidi già / nel cominciar del giorno // la parte oriental / tutta rosata, // e l'altro ciel / di bel sereno addorno; // e la faccia del sol / nascere ombrata).

Il discorso comunque sulla c. in D. non può essere ridotto ad astrattezza di schemi (e cfr. Ritmo, § 1). D. s'è foggiato un ‛ suo ' verso, animato da un ritmo personalissimo e vario, che è l'atteggiamento musicale del suo sentimento che adegua lo schema all'interna necessità espressiva. D. ottiene, tramite la pausa, lo spostamento ‛ anomalo ' o la soppressione, una varietà che travalica le immobili astrazioni (sempre uguali a sé stesse) delle ‛ figure ' diverse (utili come preliminare didattico, prive in effetti di validità ermeneutica). Se la c. è spesso inavvertibile, in altri momenti essa si rileva con evidenza, quasi come nell'epica francese. Si pensi al " ritmo lentissimo, liturgico, volutamente monotono e costante, con la ripetizione dell'endecasillabo a minore, con la pausa dopo la 4a o 5a sillaba " (Fubini) nella preghiera di Pd XXXIII 1 ss. Vergine Madre, / figlia del tuo figlio, // umile e alta / più che creatura, // termine fisso / d'etterno consiglio, // tu se' colei / che l'umana natura // nobilitasti sì, / che 'l suo fattore // non disdegnò / di farsi sua fattura. // Nel ventre tuo / si raccese l'amore, // per lo cui caldo / ne l'etterna pace // così è germinato questo fiore.

La giustificazione di c. nell'endecasillabo dantesco pare dunque interiore e profonda. La fusione tra i due membri non si compie per giunture esterne; anzi, più che la c., governa il ritmo la sillabazione delle parole (cfr. Ritmo, § 4), l'accostamento di accenti. Si veda per es. la predilezione tipicamente dantesca pei rilievi sonori e ritmici al centro dell'endecasillabo e l'addensarsi delle acmi ritmiche entro un ristretto spazio sillabico: il verso, anziché suggerire i più normali tipi spaziati a minore o a maiore, lascia indecise le scansioni, come nei casi seguenti: essi, pur entro lo schema ortodosso con accenti di 4a, 6a e 10a, hanno di costante non tanto la c. (che a rigore può essere dopo 4a e 6a), quanto i due accenti parimenti marcati di 4a e 6a (un tipo frequentissimo: basti If I Ma poi ch'i' fui al piè d'un colle giunto; che non lasciò già mai persona viva; Poi ch'èi posato un poco il corpo lasso; sì che parea che l'aere ne tremesse; A te convien tener altro viaggio; ma sapienza, amore e virtute; fin che l'avrà rimessa ne lo 'nferno; e vederai color che son contenti; E io a lui: Poeta, io ti richeggio; per quello Dio che tu non conoscesti; che tu mi meni là dov'or dicesti; If II che ritrarrà la mente che non erra; Quando sarò dinanzi al signor mio; l'umana spezie eccede ogne contento; oppure Pd I Sì rade volte, padre, se ne coglie; per triunfare o cesare o poeta; che quattro cerchi giugne con tre croci; più a suo modo tempera e suggella; con l'armonia che temperi e discerni).

La c. sottolinea in D. anche particolari insistenze ritmiche e musicali: è per es. un tipo assai corrente il verso con squilibrio di accenti di 6a + 7a ottenuto con tronca (o apocope) che giunge sull'acme ritmica centrale dell'endecasillabo: come osserva il Mengaldo, c'è netta opposizione di un emistichio discendente che segue l'ascendente " rilevato dal momentaneo squilibrio che produce la ripercussione dell'accento subito dopo cesura " (Si apra Pg I che lascia dietro a sé / mar sì crudele; là onde 'l Carro già / era sparito; ch'i' 'l vedea come 'l sol / fosse davante; o è mutato in ciel / novo consiglio; come sa chi per lei / vita rifiuta; ché non si converria, / l'occhio sorpriso; Poscia non sia di qua / vostra reddita; El cominciò: Figliuol, / segui i miei passi; subitamente là / onde l'avelse; Pg II lo cui meridian / cerchio coverchia; per li grossi vapor / Marte rosseggia; e io, seguendo lei, / oltre mi pinsi; che la dolcezza ancor / dentro mi suona; Pg III lo 'ritento rallargò, / sì come vaga; a dir mi cominciò / tutto rivolto; Ora se innanzi a me / nulla s'aombra, ecc.; ed è spesso una sdrucciola a riprendere, dopo la c., l'emistichio decrescente, nei tipi di Pg I oh settentrïonal / vedovo sito; Questi non vide mai / l'ultima sera; Pg II gridando: Che è ciò, / spiriti lenti?; Pg III O ben finiti, o già / spiriti eletti; Pg IV che tegna forte a sé / l'anima volta, ecc.).

Le figure ritmiche infine rispondono a parallele insistenze di echi ritornanti e si dispongono secondo matrici simili: penso alle conformità (e corrispondenze di c.) tra figure ritmiche e sintattiche (cfr. Ritmo, § 3).

Vedi per es. le partizioni ritmico-sintattiche nel tipo dell'interrogazione (Or tu chi se' / che 'l nostro fummo fendi, Pg XVI 25; Or tu chi se', / che vuo' sedere a scranna, Pd XIX 79; Or tu chi se' / che vai per l'Antenora, If XXXII 88; Ma tu chi se' / che 'n su lo scoglio muse, XXVIII 43; Ma tu chi se', / che nostre condizioni, Pg XIII 130), dell'esclamazione (Ahi quanto a dir qual era / è cosa dura, If I 4; Ahi quanto cauti li uomini / esser dienno, XVI 118; Ahi quanto son diverse / quelle foci, Pg XII 112; Ahi quanto ne la mente / mi commossi, Pd XXV 136; Oh quanto fora meglio / esser vicine, XVI 52; Oh quanto mi pareva / sbigottito, If XXVIII 100; Oh quanto parve a me /gran maraviglia, XXXIV 37), o nell'esclamazione che tende all'invocazione (Frascino) e che si concreta in figure scandite quasi dallo stesso ritmo (O dolce padre mio, / se tu m'accolte, Pg XV 124; O cara piota mia, / che si t'insusi, Pd XVII 13; O santa suora mia / che si ne prieghe, XXIV 28; O Iacopo, dicea, / da Santo Andrea, If XIII 133; O anima che vai / per esser lieta, Pg V 46; O anima, diss'io, / che par si vaga, XXIV 40; O anima cortese / mantoana, If II 58; O caro duca mio, / che più di sette, VIII 97). Altri echi ritmici, e costanza di c., ora di 6a (da la cintola in sù / tutto 'l vedrai, lf X 33; e per le coste giù / ambo le braccia, XXXI 48) ora di 4a (Stavvi Minòs / orribilmente e ringhia, If V 4; non sonò sì / terribilmente Orlando, XXXI 18, a meno del più probabile Stavvi Minòs orribilmente, / e ringhia, e non sonò si terribilmente / Orlando); c. simili in figure simili (per es. le comparazioni: Quali colombe / dal disio chiamate, If V 82; Come l'augello, / intra l'amate fronde, Pd XXIII 1; oppure come le pecorelle / escon dal chiuso, Pg III 79, accanto a Come la navicella / esce di loco, If XVII 100, ecc.; oppure con l'ali aperte / e sopra; i piè leggero, XXI 33, accanto a con l'ali aperte / e a calare intesa, Pg IX 21, seppur con l'ali alzate e ferme / al dolce nido, If V 83). E accostando ancora, per questa via, matrici ritmiche dantesche ritornanti nel corso della Commedia, è possibile cogliere gran messe di affinità di ritmi scanditi dalla stessa c., soprattutto spostando l'attenzione all'edificio più ampio e unitario della terzina (per es., cfr. la c. nel secondo e terzo verso in If XIX 49-51 Io stava come 'l frate che confessa // lo perfido assessin, / che, poi ch'è fitto, // richiama lui / per che la morte cessa, accanto a Pd XXII 25-27 Io stava come quei che 'n sé repreme // la punta del disio, / e non s'attenta // di domandar, / sì del troppo si teme).

Bibl. - M. Casella, Sul testo della D.C., in " Studi d. " VIII (1924) 28-63; A. Levi, Della versificazione ital., in " Arch. Romanicum " XIV (1930); U. Sesini, L'endecasillabo: struttura e peculiarità, in " Convivium " XI (1939), e i trattati di metrica dello Zambaldi, Casini, Fraccaroli, Mari, Guarnerio, Leonetti. Ma si sono tenuti particolarmente presenti V. Pernicone, Storia e svolgimento della metrica, in Tecnica e teoria letteraria, Milano 19482; M. Fubini, Metrica e poesia, Milano 1962; P.V. Mengaldo, Appunti, in La lingua del Boiardo lirico, Firenze 1963, 234 ss.; D'A..S. Avalle, Preistoria dell'endecasillabo, Milano-Napoli 1963; G. Contini, Un'interpretazione di D., in " Paragone " 188, 1965.

Per la cesura dell'esametro dantesco, v. ESAMETRO.