Chiamata in garanzia [dir. proc. civ.]

Diritto on line (2017)

Sergio Menchini

Abstract

Il lavoro esamina la disciplina processuale dell’istituto sostanziale della garanzia. Compiuta la ricognizione dell’istituto, sono analizzati i profili concernenti: la costituzione del cumulo processuale; la posizione e i poteri del garante rispetto alla causa principale (o di molestia); l’estromissione del garantito dal giudizio; il litisconsorzio nelle fasi di gravame.

Ricognizione dell’istituto

L’istituto sostanziale della garanzia ha significative implicazioni di diritto processuale; prova ne è che più disposizioni del codice di rito, in modo espresso, lo prendono in considerazione (artt. 32, 106 e 108 c.p.c.), mentre altre, avendo portata generale, lo presuppongono (artt. 331, 332, 333 e 334 c.p.c.).

In epoca recente, le Sezioni Unite della Corte di cassazione si sono occupate, a più riprese, della disciplina di questa figura; in successione cronologica: a) Cass., S.U., 22.4.2013, n. 9686 ha stabilito quali siano gli effetti dell’interruzione (e della riassunzione), rispetto al giudizio litisconsortile avente ad oggetto la causa di molestia e quella di garanzia, in presenza di un evento (interruttivo) che colpisca soltanto una di esse (su tale pronuncia, Comastri, M., Le Sezioni Unite sull’interruzione del processo litisconsortile conseguente alla chiamata in garanzia dell’assicuratore, in Giusto proc. civ., 2014, 205 ss.); b) Cass., S.U., 4.12.2015, n. 24707 ha ri(definito) il perimetro di applicazione delle disposizioni sopra ricordate e, soprattutto, ha specificato il trattamento del cumulo in sede di gravame, ai sensi degli artt. 331 e 332 c.p.c. (su cui, Proto Pisani, A., Appunti sui profili processuali della garanzia, in Foro it., 2016, I, 2201 ss.; Gambineri, B., Una sentenza storica in tema di chiamata in garanzia, ivi, 2016, I, 2195 ss.; Carratta, A., “Garanzia propria” e “garanzia impropria” - Requiem per la distinzione tra garanzia propria e impropria in sede processuale, in Giur. it., 2016, 586 ss.; Consolo, C.-Baccaglini, L.-Godio, F., Le Sez. un. e il venir meno della distinzione tra “garanzia propria” e “garanzia impropria”: cosa muta (e cosa no) nella dinamica processuale, ivi, 2016, 593 ss.; Tiscini, R., Garanzia propria e impropria: una distinzione superata, in Riv. dir. proc., 2016, 835 ss.); c) Cass., S.U., 19.4.2016, n. 7700 ha determinato le modalità attraverso le quali può avvenire la devoluzione al giudice di appello della domanda di garanzia che sia stata proposta in via subordinata e la cui decisione sia rimasta assorbita, a causa del rigetto di quella principale ad opera del giudice di primo grado (al riguardo, Consolo, C., Breve riflessione esemplificativa (oltre che quasi totalmente adesiva) su riproposizione e appello incidentale, in Corrr. giur., 2016, 975 ss.).

Il legislatore si è preoccupato di prevedere uno strumento in grado di realizzare il coordinamento delle pronunce, il quale è costituito dal simultaneus processus: il giudizio cumulativo fa sì che il giudice, nel decidere la controversia (dipendente) di garanzia, prenda le mosse dall’accertamento compiuto in ordine a quella (pregiudiziale) relativa al rapporto principale. Invece, qualora il cumulo non sia realizzato e la domanda di garanzia sia esercitata dal garantito dopo essere risultato soccombente in quella di molestia, non è opponibile al garante il giudicato di accoglimento della domanda principale (così, Cass., S.U., n. 24707/2015, § 9; su questo tema, vedi Costantino, G., Garanzia - chiamata in, in Dig. civ., VIII, Torino, 1982, 396 ss., specie 396 s.).

La pretesa di garanzia si manifesta nel processo, comunemente, mediante la chiamata in garanzia (art. 106 c.p.c.); con questo atto, per lo più, è proposta una domanda (ed è esercitata un’azione), che si aggiunge a quella originaria, avente ad oggetto il diritto sostanziale di manleva o di rivalsa, in forza del quale il garante deve rispondere dell’eventuale soccombenza del garantito nella controversia principale. Il convenuto della causa di molestia chiama in giudizio il garante, allo scopo di essere tenuto indenne rispetto alle (eventuali) conseguenze pregiudizievoli, che è destinato a subire in ipotesi di esito per lui sfavorevole della lite originaria.

Peraltro, la chiamata in causa non costituisce l’unico strumento per fare valere giudizialmente la garanzia e il corrispondente rapporto giuridico, realizzando un cumulo, oltre che soggettivo, oggettivo; infatti, è possibile che il processo simultaneo tra la controversia di molestia e quella di garanzia sia attuato tramite l’operare di istituti diversi rispetto a quello previsto dall’art. 106 c.p.c., quali, in particolare, la chiamata del garante per ordine del giudice, ex art. 107 c.p.c., nella misura in cui si ritenga che essa possa determinare un’estensione anche oggettiva del giudizio, e la riunione delle controversie proposte separatamente, in forza degli artt. 40 e 274 c.p.c.

Inoltre, è anche consentito che il garante prenda parte al processo originario, senza che sia richiesto l’accertamento del rapporto di garanzia; in questo caso, è realizzato un cumulo soltanto soggettivo. Ciò può conseguire o all’intervento volontario del garante nel giudizio principale, ex art. 105, co. 2, c.p.c., o alla chiamata di questo in causa, vuoi per ordine del giudice, ex art. 107 c.p.c., vuoi su richiesta di parte, ex art. 106 c.p.c., quante volte il terzo è citato in giudizio, senza che sia proposta nei suoi confronti alcuna domanda, al solo fine di provocarne la partecipazione al processo, in modo da opporgli, nella successiva lite di rivalsa, la sentenza che verrà resa in ordine a quella principale (Cass., S.U., n. 24707/2015, § 9.1; Proto Pisani, A, Appunti, cit., 2203 s.; Gambineri, B., Una sentenza storica, cit., 2196 s.).

Sul piano sostanziale, più sono le fattispecie in cui ricorre il diritto di un soggetto ad essere garantito da un altro soggetto.

Nei trasferimenti dei diritti, di regola a titolo oneroso, non soltanto reali ma anche di credito, il cedente deve garantire il cessionario circa la titolarità e l’esistenza del diritto ceduto; tipica la garanzia per evizione, che si accompagna, per legge, al trasferimento della proprietà di una cosa o di un altro diritto verso il corrispettivo del prezzo (art. 1470 c.c., in materia di contratto di compravendita). Per l’art. 1485 c.c., il compratore convenuto da un terzo, che pretende di avere diritti sulla cosa venduta, deve chiamare in causa il venditore, allo scopo di essere difeso dalla domanda del terzo molestante; se il compratore subisce l’evizione totale o parziale della cosa, il venditore è tenuto a restituire al compratore, in tutto o in parte, il prezzo pagato, a rimborsarlo delle spese e dei pagamenti compiuti in esecuzione del contratto e a risarcirlo del danno subito (artt. 1483, 1484, 1479 c.c.). In difetto di chiamata in causa del garante, il compratore «perde il diritto alla garanzia, se il venditore prova che esistevano ragioni sufficienti per far respingere la domanda» (art. 1485, co. 1, c.c.).

In presenza di un vincolo di coobbligazione, il debitore che ha pagato l’intero debito può ripetere dai condebitori la parte di ciascuno di essi (art. 1299 c.c., rivalsa tra condebitori); nelle obbligazioni solidali ad interesse unisoggettivo (esempio, fideiussione), il garante e il responsabile dell’obbligo altrui hanno diritto di richiedere al debitore principale tutto quanto pagato al creditore nell’interesse di questo (artt. 1950-1952 c.c., regresso del fideiussore contro il debitore principale).

Nell’assicurazione per la responsabilità civile, «l’assicuratore è obbligato a tenere indenne l’assicurato di quanto questi, in conseguenza del fatto accaduto durante il tempo dell’assicurazione, deve pagare a un terzo, in dipendenza della responsabilità dedotta nel contratto» (art. 1917, co. 1, c.c.).

Nelle vendite a catena (e negli incidenti a catena), il venditore finale, chiamato a risarcire i danni al compratore per vizi o difetti della cosa venduta (art. 1490 c.c.), ha diritto di rivalsa nei confronti del produttore (o del suo dante causa), il quale ha titolo nei vizi denunciati dal consumatore e posti a fondamento della sua domanda.

In tutte queste figure ricorrono alcuni elementi comuni.

In primo luogo, sotto il profilo funzionale, la pretesa del garantito verso il garante ha un contenuto minimo costante: il diritto del primo ad essere manlevato, in tutto o in parte, in caso di soccombenza nella lite con il terzo (Cass., S.U, n. 24707/2015, § 8.1). Il garante è obbligato a ristorare il garantito della perdita economica subita, a causa della riconosciuta esistenza o dell’avvenuto soddisfacimento di un diritto altrui (Gambineri, B., Garanzia e processo, I, Fattispecie e struttura, Milano, 2002, 38 ss., 134 ss.).

In secondo luogo, dal punto di vista strutturale, ricorre sempre un nesso di pregiudizialità-dipendenza, con una relazione di successione cronologica; infatti, da un lato, fatto costitutivo del rapporto di garanzia è la sussistenza del rapporto garantito, e, dall’altro lato, il diritto del garante verso il garantito sorge soltanto allorché il secondo sia risultato soccombente nella causa di molestia, richiedendosi, a volte, anche che sia stata eseguita la prestazione dovuta a vantaggio del terzo (Proto Pisani, A. Lezioni di diritto processuale civile, VI ed., Napoli, 2014, 349 ss.; Gambineri, B., op. ult. cit., 159 ss., 177 ss.).

Tuttavia, si rinvengono, innegabilmente, anche aspetti peculiari in ciascuna delle situazioni sostanziali descritte; la dottrina e la giurisprudenza prevalenti, proprio facendo leva sui tratti distintivi ed anzi valorizzandoli, sono solite ricostruire più categorie di garanzia, attribuendo ad esse discipline processuali non (del tutto) omogenee.

Innanzitutto, viene in rilievo la differenziazione tra garanzia propria e garanzia impropria (su cui, vedi: Calamandrei, P., La chiamata in garanzia, Milano, 1913, 15 ss.; Costantino, G., op. cit., 597 ss.; La China, S., Garanzia - chiamata in, in Enc. dir., XVIII, Milano, 1969, 466 ss., specie 467, 470; Luiso, F.P., Diritto processuale civile, I, VIII ed., Milano, 2015, 346-347; Consolo, C., Spiegazioni di diritto processuale civile, II, Torino, 2014, 78 ss.; in senso critico, Gambineri, B, op. ult. cit., 134 ss.; Proto Pisani, A., Appunti, cit., 2202).

Le opinioni non sono concordi né circa il criterio discretivo, né riguardo alle fattispecie sostanziali da ricondurre alla garanzia impropria.

Secondo quanto affermato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 24707/2015 (§§ 8.1 e 8.2), la garanzia propria ricorre in quei casi in cui «la struttura tipica dell’azione di garanzia sotto il profilo funzionale … trova giustificazione già nella previsione di una norma che stabilisce essa stessa un collegamento fra il rapporto giuridico garantito ed il rapporto giuridico di garanzia»; la garanzia impropria, invece, è da ravvisare «in quelle ipotesi nelle quali l’operare del meccanismo strutturale della garanzia non ha un referente per così dire preliminare ed astratto in una norma che prevede il collegamento fra il rapporto garantito e quello di garanzia, ma emerge perché un fatto storico, insorto nell’ambito di un rapporto giuridico fra due soggetti e sfavorevole ad uno di essi, integra, come accadimento della vita ed in via del tutto occasionale, il presupposto per cui in un diverso rapporto, che lega quel soggetto ad un altro, è previsto che una certa tipologia di fatti, cui quel fatto risulta ex post riconducibile, dia luogo all’insorgenza a favore del soggetto dell’altro rapporto ad un dovere di prestazione di garanzia, cioè di farsi carico delle conseguenze negative del fatto sfavorevole». In estrema sintesi: la garanzia è propria quando è stabilita da una norma di legge o rinviene il suo titolo in una fonte convenzionale (Cass., S.U., 26 luglio 2004, n. 13968, in Foro it., 2005, I, 2385 ss., con nota di Gambineri, B., Notizie buone, cattive e pessime in tema di chiamata in garanzia); invece, è impropria allorché trova origine, in modo del tutto occasionale, da una vicenda storica, caratterizzata da ciò che il fatto costitutivo del diritto del terzo verso il garantito coincide con quello del diritto di quest’ultimo verso il garante.

Per l’opinione comune, la garanzia da evizione e quella da vincoli di coobbligazione sono da considerare figure di garanzia propria; quella da vendite a catena è reputata la fattispecie più rilevante di garanzia impropria (su quest’ultima figura, per tutti, Prendini, L., L’azione di c.d. regresso del venditore finale fra «garanzia propria» e «impropria». Profili processuali e comparatistici, in Corr. giur., 2005, 121 ss.). Invece, a lungo, è stata dibattuta la qualificazione della garanzia dell’assicuratore per la responsabilità civile; le Sezioni Unite, nel 2004, hanno fissato un punto fermo, stabilendo che debba essere considerata propria (Cass., S.U., n. 13968/2004; successivamente, Cass., 30.11.2011, n. 25581; Cass., S.U., n. 24707/2015).

Poi, sono individuate, all’interno della garanzia propria, due figure: la garanzia formale (o reale) e quella semplice (o personale). La prima è data dalle vicende traslative dei diritti (artt. 1483, 1266 e 1586 c.c.); la pretesa di garanzia ha un duplice contenuto: innanzitutto, il compratore ha diritto di chiamare in giudizio il venditore, affinché lo difenda dalle pretese del terzo e dimostri la validità e l’opponibilità a questo del suo acquisto; in secondo luogo, il venditore, ove non sia stato in grado di adempiere all’obbligo di difesa processuale, essendo stata accolta la domanda dell’attore in molestia, deve restituire il prezzo e risarcire i danni (artt. 1484 e 1479 c.c.). La seconda è rinvenibile, invece, in presenza di situazioni di coobbligazione: colui che ha estinto il debito ha diritto di ripetere, in tutto o in parte, quanto abbia pagato al creditore; dunque essa ha per contenuto la pretesa di rivalsa o di regresso verso gli altri coobbligati (art. 1950 c.c.) o nei confronti di colui nel cui interesse è stata assunta l’obbligazione di garanzia (art. 1298 c.c.; al riguardo: Calamandrei, P., op. cit., 1 ss., 7 testo e nt. 1; Luiso, F.P., op. cit., I, 340-344; Consolo, C., Spiegazioni, cit., II, 75 ss.; Monteleone, G., Garanzia: II - chiamata in garanzia - dir. proc. civ., in Enc. giur. Treccani, Roma, 1989, 1 ss.; La China, op. cit., 470).

Per l’impostazione tradizionale, seguita da parte della dottrina e soprattutto dalla giurisprudenza, alle eterogenee tipologie di garanzia corrispondono, in modo quasi meccanico, differenze di disciplina processuale: per il solo fatto che una vicenda sia ricondotta alla garanzia propria ovvero a quella impropria sono applicabili o meno le disposizioni del codice di rito (così, ad esempio, si è ritenuto che l’art. 32 c.p.c. non possa operare in caso di garanzia impropria; al riguardo, Gambineri, B., Garanzia e processo, II, Il procedimento, 373 ss. e, con riferimento all’art. 32 c.p.c., 402 ss.).

Tale metodo è stato abbandonato e superato da Cass., S.U., n. 24707/2015; con tale pronuncia, è stato affermato che «la distinzione tra garanzia propria e garanzia impropria debba essere mantenuta soltanto a livello descrittivo delle varie fattispecie di garanzia ma possa e debba essere abbandonata – sia agli effetti dell’art. 32, sia agli effetti dell’art. 108, sia agli effetti dell’art. 331 c.p.c. – a livello di conseguenze applicative» (§ 9).

Ritengo che sia sbagliato vuoi trarre, in maniera automatica, dagli elementi comuni la conclusione che le regole processuali sono ex necesse identiche (come fanno, invece, le Sezioni Unite nella sentenza da ultimo riportata), vuoi dedurre, in modo altrettanto apodittico, che l’applicazione alle fattispecie sostanziali di garanzia delle regole processuali dipenda dalla sola circostanza che esse siano ricondotte ad una piuttosto che ad un’altra categoria (propria ovvero impropria).

Il percorso corretto è un altro: innanzitutto, è necessario individuare lo scopo della norma e della disciplina che essa introduce e, poi, occorre chiedersi se, alla luce degli esiti di tale operazione, sussista una compatibilità o meno tra la regola processuale e la vicenda sostanziale in considerazione. In altri termini, non basta rilevare che il fenomeno A è diverso da quello B a causa del fattore X, ma si deve dimostrare che proprio la presenza o meno di questo fattore esclude che la norma Y possa essere applicata al caso A oppure a quello B.

Il cumulo processuale e l’estromissione del garantito

La garanzia, nelle plurime specificazioni sopra evidenziate, deve essere considerata con riferimento ai seguenti aspetti: a) costituzione del cumulo processuale; b) posizione e poteri del garante rispetto alla causa principale (o di molestia); c) estromissione del garantito dal giudizio; d) litisconsorzio nelle fasi di gravame.

Cass., S.U., n. 24707/2015, anche mediante il ricorso ad obiter dicta, ha preso posizione su tutti questi temi.

La Cassazione era chiamata a risolvere un conflitto interpretativo riguardante l’ambito di applicazione degli articoli 331 e 332 c.p.c., in presenza di cumulo processuale tra la controversia promossa dal terzo contro il garantito e quella di garanzia, introdotta da quest’ultimo nei confronti del garante; tuttavia, la Suprema Corte ha ritenuto opportuno ampliare il perimetro della sua attenzione, occupandosi, a tutto tondo, della disciplina della garanzia e concludendo per l’uniformità di essa rispetto alle diverse tipologie.

Prendo avvio dal primo aspetto.

Allorché un terzo abbia agito contro il garantito, costui ha diritto di chiamare in giudizio il garante, in forza dell’art. 106 c.p.c.; in tale ipotesi, il convenuto della lite originaria: i) può proporre la domanda di garanzia (a seconda dei casi, di evizione, di manleva, di regresso) contro il chiamato, dando vita, così, ad un cumulo oggettivo, oltre che soggettivo; ii) alternativamente, può limitarsi a citare in causa il garante, senza far valere contro di lui la pretesa di garanzia, al solo fine di opporgli, in un secondo tempo, nell’eventuale causa che andrà ad instaurare contro lo stesso, la sentenza di contenuto sfavorevole, provocando, in questo modo, un cumulo soltanto soggettivo e non anche oggettivo (cd. denuntiatio litis).

L’art. 106 c.p.c., inoltre, nella sua duplice portata applicativa (mera denuntiatio litis ovvero esercizio dell’azione), opera, indistintamente, in ordine a tutte le categorie di garanzia (propria ed impropria; reale e personale; con riferimento alla garanzia propria, confronta: Cass., S.U., n. 13968/2004; Cass., 1.12.2005, n. 27926; e alla garanzia impropria: Cass., 1.4.2003, n. 4893; Cass. 8.8.2002, n. 12029).

Questi principi sono stati riaffermati, con chiarezza, dalla Corte di cassazione, con la pronuncia del 2015, benché non vi fosse alcun contrasto al riguardo (si vedano, rispettivamente, § 9.2 e § 11).

Ben altro significato, invece, assume l’intervento delle Sezioni Unite in ordine all’interpretazione dell’art. 32 c.p.c., del quale è riconosciuta l’operatività rispetto a tutte le figure di garanzia e, in particolare, anche circa quella impropria.

L’art. 32 c.p.c., allo scopo di agevolare la realizzazione del cumulo, introduce regole speciali in punto di competenza: i) l’azione di garanzia può essere proposta al giudice competente per la causa principale, affinché sia decisa nello stesso processo, derogando alla competenza per valore del giudice inferiore e a quella territoriale (co. 1); ii) qualora la controversia di garanzia ecceda la competenza del giudice adito, entrambe le cause sono rimesse al giudice superiore; pertanto, la domanda principale e quella di garanzia sono trattate e decise nello stesso giudizio, per il quale è competente quest’ultimo.

Questa disposizione presuppone che sia stata esercitata dal garantito la pretesa di garanzia; perciò, essa non entra in gioco in caso di mera denuntiatio litis, originando essa un mero cumulo soggettivo (così, Cass., S.U., n. 24707/2015, § 12; criticamente, Tiscini, R., op. cit., 842).

Per molto tempo, la giurisprudenza prevalente ha valorizzato la distinzione tra garanzia propria ed impropria, allo scopo di escludere l’applicabilità dell’art. 32 c.p.c. in presenza del secondo fenomeno (Cass., 16.4.2014, n. 8898; Cass., 14.1.2004, n. 429; Cass., 12.12.2003, n. 19050; Cass., 5.8.2002, n. 11711).

Tuttavia, questo principio è stato eroso in varia guisa.

Ciò è avvenuto sulla base di due direttrici: da un lato, riconducendo alla garanzia propria fattispecie che, in precedenza, erano considerate di garanzia impropria: è questo il caso, specialmente, della garanzia dell’assicuratore per la responsabilità civile, rispetto alla quale è stata sostenuta l’operatività dell’art. 32 c.p.c., sul presupposto che trattasi di garanzia propria (Cass., S.U., n. 13968/2004); dall’altro lato, pur conservando la distinzione concettuale tra le due tipologie, escludendone la rilevanza ai fini della deroga alla competenza, ammessa in maniera generalizzata (si tratta di un indirizzo minoritario, ma che, di tanto in tanto, riaffiora: Cass., 17.4.1990, n. 3182; Cass., ord. 12.07.2004, n. 12899).

L’opera è stata completata dalla sentenza del dicembre del 2015, in forza del rilievo che «la giustificazione di un diverso trattamento fra i due casi non aveva e non ha base normativa», non rinvenendosi nell’art. 32 c.p.c. alcun indice che giustifichi la sua applicazione alla sola garanzia propria; in quest’ultima norma «assume rilievo soltanto la domanda di garanzia, la quale, nei sensi descritti, può essere proposta tanto in caso di chiamata in garanzia propria che impropria» (si veda, in particolare, il § 12 della sentenza).

La giurisprudenza più recente è pervenuta a risultati analoghi, con riferimento alla giurisdizione; la Cassazione, infatti, ha sostenuto che, ai fini della deroga alla giurisdizione, «la distinzione tra garanzia propria e garanzia impropria debba essere superata» (Cass., S.U., 12.3.2009, n. 5965; nello stesso modo, Cass., S.U., 2.4.2009, n. 7991; con riguardo all’applicazione dell’art. 6, co. 2, Convenzione di Bruxelles, oggi, art. 8, n. 2, reg. 1215/2012, si vedano: Cass., S.U., 28.5.2012, n. 8404; Cass., S.U., ord. 12.3.2008, n. 5965; contra, Cass., S.U., 7.8.2001, n. 10891).

Spostando l’attenzione sulla posizione del garante in ordine alla causa originaria, occorre considerare che sempre (quindi, in caso di garanzia impropria non meno che in presenza di quella impropria), la chiamata determina la soggezione del chiamato all’accertamento del rapporto principale, la quale non sussiste invece, se la domanda di garanzia è proposta separatamente (e successivamente) rispetto a quella di molestia.

Se si considera ciò e se si tiene presente che scopo del cumulo è di determinare un accertamento uniforme del rapporto principale rispetto a tutti i litisconsorti, la conseguenza è che, per un verso, al garante debbono essere riconosciuti poteri pieni (di allegazione dei fatti e di rilevazione delle eccezioni; di formulazione di istanze istruttorie e di produzione di documenti) in ordine a questo, con la sola eccezione di quelle attività che o sono riservate dalla legge sostanziale al titolare del diritto o presuppongono il potere di disporre di esso, e, per altro verso, gli effetti degli atti, da chiunque o contro chiunque posti in essere, rilevano a vantaggio o a svantaggio di tutte le parti, dovendo il giudice tenerne conto per rendere l’unitario accertamento del rapporto pregiudiziale (Cass., S.U., n. 24707/2015, §§ 9.3 e 9.4; in dottrina, vedi, specialmente, Gambineri, B., Garanzia e processo, cit., II, 530 ss., ed ivi riferimenti ulteriori).

Ciò posto, si pongono, tuttavia, due problemi.

Innanzitutto, occorre stabilire quale sia il regime degli atti di disposizione del rapporto principale, compiuti dal garantito; si pensi, in particolare, alla confessione giudiziale e al deferimento (o alla prestazione) del giuramento.

Il rispetto del diritto di difesa del garante, oltre al rilievo che, se egli non fosse stato chiamato in causa, l’efficacia tanto della sentenza, quanto di tali atti non sarebbe a lui opponibile, impongono di escludere che il chiamato debba subire pregiudizio dal comportamento del garantito; d’altro canto, però, non è sostenibile che, all’interno dell’unico giudizio, la confessione, ad esempio, valga come prova legale in danno del garantito che l’ha resa ed abbia un effetto diverso per il garante, in quanto, se così fosse, nello stesso processo, il giudice potrebbe essere costretto a pronunciare accertamenti difformi della medesima situazione sostanziale, la qual cosa non può essere ammessa.

Tra le più soluzioni in astratto ipotizzabili, la più ragionevole è quella di riconoscere che trovano applicazione gli artt. 2733, co. 3, e 2738, co. 3, c.c. e che, di conseguenza, la prova sia liberamente valutabile dal giudice riguardo a tutte le parti, permettendo, in questo modo, allo stesso di rendere una decisione unitaria (in modo analogo, Gambineri, B., Processo e garanzia, cit., II, 560 ss.). Questa soluzione appare preferibile, rispetto all’altra astrattamente prospettabile, che, pur muovendo dalle medesime premesse, ritiene che la confessione valga come prova legale per il garantito, ma il garante, nel successivo processo contro di lui promosso, possa contestare l’efficacia della sentenza nei suoi confronti, in quanto basata su un atto dispositivo (Luiso, F.P., Diritto processuale, cit., I, 336 ss.). Questa interpretazione, a tutto concedere, vale per il solo caso di cumulo soggettivo, mentre non può essere applicata se il cumulo è anche oggettivo, e, inoltre, rende inutile la conservazione del litisconsorzio, posto che è vanificato il suo scopo, che è quello di realizzare un accertamento in grado di operare per tutti coloro che abbiano preso parte al processo.

In secondo luogo, si deve verificare se il garante sia legittimato ad impugnare, autonomamente, la sentenza (o il capo di sentenza) concernente la causa di molestia, in presenza dell’acquiescenza del garantito.

Il tema era ed è dibattuto in ordine sia all’esistenza di siffatto potere, sia agli effetti della pronuncia di riforma di quella di primo grado, non da tutti considerati in grado di interessare anche le parti del rapporto principale, se rimaste inerti (per tutti: Costantino, G., Garanzia, cit., 599 ss., Gambineri, B., Garanzia e processo, cit., II, 589 ss., 599 ss.; in giurisprudenza, Cass., 13.3.2012, n. 3969, in senso favorevole all’ammissibilità dell’impugnazione del rapporto principale ad opera del garante).

La sentenza del dicembre 2015 riconosce al terzo chiamato il potere di interporre impugnazione, nonostante il comportamento omissivo del garantito, e che gli effetti di questa e della conseguente pronuncia investono tutte le parti del giudizio.

Passando all’esame dell’art. 108 c.p.c., le opinioni circa l’ambito di operatività dell’estromissione sono variegate. Per alcuni, questa norma interviene soltanto nei casi di garanzia propria e non anche in quelli di garanzia impropria (così, la giurisprudenza prevalente: Cass., S.U., n. 13968/2004; Cass., 4.6.2006, n. 5478; Cass., 8.11.1985, n. 5461); per altri, l’estromissione può essere disposta con riguardo a tutte le figure di garanzia, ma soltanto ove, con la chiamata, il garantito si limiti a provocare la partecipazione al processo del garante e non anche ove proponga azione di regresso o di rivalsa, in quanto il garante, a seguito dell’estromissione del garantito, rispetto alla domanda di garanzia, «verrebbe ad assumere contemporaneamente la qualità di convenuto e di attore, l’uno in proprio e l’altro come sostituto processuale: il che sarebbe palesemente assurdo» (Proto Pisani, A., Lezioni, cit., 356 s.; in maniera parzialmente difforme, Gambineri, B., Garanzia e processo, II, cit., 454 ss., per la quale l’estromissione è sì consentita anche allorquando, con la chiamata, sia stata esercitata la domanda di garanzia, ma, in tal caso, l’estromissione del garantito attua una semplificazione non soltanto soggettiva ma anche oggettiva del giudizio, implicando o presupponendo una rinuncia alla causa di regresso); per altri ancora, la norma deve essere interpretata in maniera restrittiva, potendo entrare in gioco solo se la chiamata sia avvenuta senza contestuale proposizione dell’azione di garanzia ed esclusivamente nelle ipotesi di garanzia reale (Consolo, C., Spiegazioni, cit., II, 88 s.; Luiso, F.P., op. cit., I, 356 s.).

La Cassazione, con la sentenza del 2015, ha rigenerato l’istituto, prevedendone l’utilizzabilità: i) sia nel caso di chiamata in causa del garante ad effetto soltanto estensivo della legittimazione, sia nel caso di chiamata in giudizio ad effetto estensivo dell’oggetto del giudizio, cioè con richiesta di accertamento del rapporto di garanzia; ii) in ordine a tutte le figure di garanzia, senza alcuna limitazione (vedi, § 13; sul punto, criticamente, Carratta, A., “Garanzia propria” e “garanzia impropria”, cit., 2016, 592 s.).

Ritengo che l’estromissione del garantito non possa essere disposta se è stata introdotta anche la causa di garanzia e se questa non è stata rinunciata; il chiamato, ancorché non abbia contestato il suo obbligo di garanzia, non può contraddire con sé stesso rispetto a tale domanda. Inoltre, l’istituto presuppone che, per disciplina sostanziale, il garante sia tenuto ad assumere la lite, qualora sia chiamato nel processo (art. 1586, co. 2, c.c.), ossia richiede l’esistenza di un obbligo di difesa processuale, il quale, però, è rinvenibile esclusivamente nella garanzia (propria) reale.

Ne deriva che l’art. 108 c.p.c. può essere applicato soltanto in presenza di garanzia reale e se la chiamata abbia determinato esclusivamente una estensione soggettiva della legittimazione e del cumulo e non anche, invece, quando il garantito abbia esercitato la pretesa di garanzia.

Il litisconsorzio in sede d’impugnazione

Il problema certamente più complesso è costituito dalla determinazione della disciplina della garanzia nelle impugnazioni.

Non si può che prendere le mosse dagli arresti delle Sezioni Unite, le quali, nell’ultimo decennio, hanno interessato l’istituto.

Dapprima, Cass., S.U., 27.11.2007, n. 24627, pur ritenendo le cause scindibili, ha riconosciuto al garantito, soccombente nella lite di molestia ma vincitore in quella di garanzia, in presenza dell’impugnazione principale effettuata dal garante, il diritto di proporre impugnazione incidentale tardiva, in quanto il suo interesse ad impugnare è originato dal gravame principale, il quale, contestando l’esistenza dell’obbligo di manleva, ha rimesso in discussione il complessivo assetto di interessi scaturente dalla sentenza di primo grado, di per sé soddisfacente per il garantito, nonostante la soccombenza da lui patita nella causa di molestia (così, in seguito, Cass. n. 3969/2012).

Poi, Cass., S.U., n. 24707/2015, ponendo nel nulla un consolidato orientamento della stessa Corte di cassazione, ha negato ogni rilevanza alla distinzione tra garanzia propria e impropria, ai fini dell’applicazione degli articoli 331 e 332 c.p.c., ed ha stabilito che sia il cumulo meramente soggettivo sia quello anche oggettivo, conseguenti alla chiamata in causa del garante, sono da ricondurre alla prima disposizione, ove l’impugnazione principale, da chiunque proposta, abbia ad oggetto la decisione relativa al rapporto principale.

Infine, Cass., S.U., n. 7700/2016, confermando l’interpretazione già accolta, in parte qua, dalla statuizione da ultimo ricordata, ha previsto che lo strumento per la devoluzione al giudice superiore della domanda di garanzia, proposta in modo subordinato e, per questa ragione, assorbita dal giudice di primo grado, a causa del rigetto della causa principale, è costituito non dall’impugnazione incidentale, ma dalla riproposizione, ex art. 346 c.p.c.

A mio parere, la chiave di volta del sistema è rappresentata dall’arresto del 2007: dopo che è stato riconosciuto, pur in presenza di cause scindibili, al destinatario dell’impugnazione principale (ed, eventualmente, anche alla parte che ne è estranea) il potere d’impugnare in via incidentale il capo di decisione che ha per oggetto la causa non investita dal primo gravame, il ricorso alla disciplina dell’art. 332 c.p.c. è maggiormente aderente, rispetto a quanto lo sia il richiamo di quella dell’art. 331 cp.c., ai principi relativi alla legittimazione e all’interesse ad impugnare (Menchini, S., La struttura (oggettiva e soggettiva) del giudizio di impugnazione in caso di chiamata in garanzia dell’assicuratore per la responsabilità civile, in Giusto proc. civ., 2012, 1077 ss.; Merlin, E., Inscindibilità dei giudizi e riproposizione di domande fra litisconsorti nelle fasi di gravame, in Riv. dir. proc., 2013, 1290 ss.).

Si consideri soltanto un esempio: respinta la domanda di molestia e, in maniera consequenziale, anche quella di garanzia, perché mai l’attore, risultato soccombente nella prima, dovrebbe essere costretto, a pena d’inammissibilità, a notificare l’impugnazione anche al garante, con il quale non ha alcun legame sostanziale?

L’art. 331 c.p.c. ha un campo di applicazione residuale; esso entra in gioco solo quando il passaggio in giudicato del capo non impugnato determina un conflitto pratico con la sentenza di appello, eventualmente di contenuto favorevole per colui che ha proposto il gravame. Tale evenienza si verifica quando, accolte entrambe le domande, sia il garantito ad impugnare la statuizione relativa alla causa principale, mentre il garante rimane inerte; infatti, il rigetto della pretesa di molestia, eventualmente pronunciato dal giudice superiore, è incompatibile, dal punto di vista sostanziale, con il riconoscimento dell’obbligo di manleva, risultante dalla pronuncia di primo grado, in parte qua non colpita da impugnazione e, quindi, passata in giudicato.

Fonti normative

Artt. 32, 106, 108, 331, 332, 333, 334 c.p.c.

Artt. 1299, 1485, 1586, 1917, 1950 c.c.

Bibliografia essenziale

Calamandrei, P., La chiamata in garanzia, Milano, 1913; Carratta, A., “Garanzia propria” e “garanzia impropria” - Requiem per la distinzione tra garanzia propria e impropria in sede processuale, in Giur. it., 2016, 586 ss.; Comastri, M., Le Sezioni Unite sull’interruzione del processo litisconsortile conseguente alla chiamata in garanzia dell’assicuratore, in Giusto proc. civ., 2014, 205 ss.; Consolo, C., Spiegazioni di diritto processuale civile, II, Torino, 2014, 78 ss.; Consolo, C.-Baccaglini, L.-Godio, F., Le Sez. un. e il venir meno della distinzione tra “garanzia propria” e “garanzia impropria”: cosa muta (e cosa no) nella dinamica processuale, in Giur. it., 2016, 593 ss.; Consolo, C., Breve riflessione esemplificativa (oltre che quasi totalmente adesiva) su riproposizione e appello incidentale, in Corr. giur., 2016, 975 ss.; Costantino, G., Garanzia (chiamata in), in Dig. civ., VIII, Torino, 1982, 396 ss.; Gambineri, B., Una sentenza storica in tema di chiamata in garanzia, in Foro it., 2016, I, 2195 ss.; Gambineri, B., Garanzia e processo, Milano, 2002; La China, S., Garanzia (chiamata in), in Enc. dir., XVIII, Milano, 1969, 466 ss.; Luiso, F.P., Diritto processuale civile, VIII ed., Milano, 2015; Menchini, S., La struttura (oggettiva e soggettiva) del giudizio di impugnazione in caso di chiamata in garanzia dell’assicuratore per la responsabilità civile, in Giusto proc. civ., 2012, 1077 ss.; Merlin, E., Inscindibilità dei giudizi e riproposizione di domande fra litisconsorti nelle fasi di gravame, in Riv. dir. proc., 2013, 1290 ss.; Monteleone, G., Garanzia: II) chiamata in garanzia (dir. proc. civ.), in Enc. giur. Treccani, Roma, 1989; Prendini, L., L’azione di c.d. regresso del venditore finale fra «garanzia propria» e «impropria». Profili processuali e comparatistici, in Corr. giur., 2005, 121 ss.; Proto Pisani, A., Lezioni di diritto processuale civile, VI ed., Napoli, 2014, 349 ss.; Proto Pisani, A., Appunti sui profili processuali della garanzia, in Foro it., 2016, I, 2201 ss.; Tiscini, R., Garanzia propria e impropria: una distinzione superata, in Riv. dir. proc., 2016, 835 ss.

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