CHIARAMONTE, Manfredi, conte di Modica

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 24 (1980)

CHIARAMONTE (Chiaromonte), Manfredi, conte di Modica

Salvatore Fodale

Secondo di questo nome, figlio di Giovanni (I), detto il Vecchio, e di Lucca Palizzi, dovette nascere agli inizi del sec. XIV: nel 1311, quando lo zio paterno, Federico (II), dispose per testamento in suo favore un legato di 25 onze, doveva essere infatti ancora in giovanissima età, perché compare nel documento col diminutivo di Manfreduccio. Nel 1337 il re Pietro II lo nominò proprio maggiordomo e gli concesse, in assenza del padre, di sostituirsi a lui quale luogotenente nelle funzioni di capitano e giustiziere di Palermo. Alla morte dell'infante Guglielmo (12 maggio 1338), il C. ricevette in legato il feudo di Spaccaforno. Nel 1339, quando morì suo padre, gli succedette sia nei domini feudali, sia nelle cariche vitalizie ricoperte a Palermo, sia nelle funzioni di siniscalco del Regno siciliano. Nel 1342 rimase a capo della famiglia e del potente partito ad essa legato, in seguito alla morte anche del cugino Giovanni (II) il Giovane, figlio di Manfredi (I), dal quale ereditò la contea di Modica.

La successione gli fu contrastata da Margherita Chiaramonte, unica figlia legittima superstite di Giovanni (II) e di Eleonora di Aragona, ma il C. fece valere contro di lei tanto i diritti che gli derivavano sulla contea dal testamento dello zio Manfredi (I), redatto nel 1321, quanto i diritti che il proprio fratello Enrico, maestro razionale del Regno, aveva acquistato sulla stessa in cambio o in garanzia dei 10.000 fiorini d'oro da lui pagati, dopo la sconfitta di Lipari (22 nov. 1339), per ottenere la liberazione dalla prigionia del cugino Giovanni (II). Il C., che era stato uno dei procuratori nominati dal prigioniero con pieni poteri di disporre dei suoi beni per raccogliere la somma del riscatto, si era poi fatto cedere dal fratello Enrico il credito e ogni diritto sulla contea, della quale era entrato in possesso prima della morte del cugino, anche perché già nel 1335 gli era stata concessa dal re Federico II, dopo la confisca dei beni di Giovanni (II) poi riabilitato nel dicembre 1337. La controversia familiare si concluse soltanto nel novembre 1347, dopo la morte di Margherita, con una transazione che assegnava 200 onze d'oro di alimenti alla vedova di Giovanni (II), anche se il C. aveva già ottenuto l'investitura della contea di Modica dal re Ludovico il 25maggio 1343.

In quello stesso anno il nuovo conte di Modica figura in testa al baronaggio siciliano nell'adoamento generale delle forze militari del Regno, ordinato dal vicario Giovanni, duca d'Atene e di Neopatria. Era allora infatti l'unico a dover pagare la cifra di 150 onze per 50 cavalli armati, distanziandosi notevolmente da tutti gli altri baroni. Con l'unione dei beni già appartenuti ai due rami della famiglia, il suo potere si estese su un vastissimo territorio. Comprendeva la contea di Modica, in Val di Noto, con Ragusa, Scicli e Chiaramonte, e l'eredità paterna con Caccamo e Misilmeri in Val di Mazara, Racalmuto, Siculiana e Favara in territorio di Agrigento. Come capitano e giustiziere di quella città, dominava poi Palermo, da vero signore di fatto nella generale crisi del potere monarchico che investiva l'isola. Attraverso i fratelli Federico (III) e Giacomo il potere del C. e della famiglia si estendeva inoltre rispettivamente ad Agrigento e a Nicosia. Il 15 sett. 1342, a Palermo, durante le cerimonie per l'incoronazione, il nuovo re Ludovico creò cavaliere il primogenito del C., Simone, investendolo del titolo di conte di Chiaramonte.

Nella guerra intestinale che divideva allora in due opposte fazioni il baronaggio siciliano, i Chiaramonte - i quali facevano risalire la loro origine alla dominazione normanna - si schierarono con la "parzialità latina", capeggiata da Matteo Palizzi, conte di Novara, e dallo stesso C., contro quella "catalana", guidata dal gran giustiziere Blasco d'Alagona. La lotta armata tra le due fazioni infuriò a partire dal ritorno del Palizzi, reduce dall'esilio pisano, nell'isola (giugno 1348). Palermo, Agrigento, Trapani, Sciacca e quasi tutto il Val di Mazara si sollevarono al grido "Viva Palizzi e Chiaramonte" e le forze ribelli, marciando dalla capitale del Regno verso Messina, raccolsero per via sempre nuove adesioni.

Il C. non era a Palermo, quando vi giunse il Palizzi, ma si trovava con ogni probabilità nella contea di Modica ed aveva affidato temporaneamente a due suoi fratelli, Federico ed Enrico, la responsabilità del governo della capitale del Regno. Tuttavia, non appena venne informato dell'arrivo del conte di Novara - che era, tra l'altro, suo zio per parte di madre - e dei progressi del movimento da quegli capeggiato, si affrettò a raggiungere l'antico esule, portandosi direttamente a Messina, e insieme con lui diresse le operazioni militari contro Catania, dove Blasco d'Alagona e la "parzialità catalana" avevano organizzato la resistenza. Intanto la zecca di Messina batteva moneta cogli stemmi intrecciati dei Palizzi e dei Chiaramonte. Fallito, nella battaglia del 18 giugno 1349, l'attacco in forze contro Catania, la base delle operazioni militari fu trasferita a Lentini, da dove il C. mosse contro Paternò; subì tuttavia un nuovo insuccesso, perché le truppe al suo comando finirono vittime di un'imboscata. L'incapacità di portare militarmente a conclusione l'impresa con la conquista di Catania, da un lato, e, d'altro canto, il timore che dal Regno d'Aragona giungessero alla "parzialità catalana" gli aiuti che essa aveva richiesto, indussero i capi della fazione latina ad intavolare trattative di pace, che si conclusero nel novembre 1350, con una spartizione di fatto del governo dell'isola, corrispondente alla situazione venutasi a creare sul piano militare, e l'assunzione da parte dell'Alagona, del Palizzi e del C. del titolo di vicari generali del re. La carica di gran giustiziere veniva mantenuta da Blasco d'Alagona, ma veniva pure ricoperta - evidentemente per il territorio sotto il controllo della "parzialità latina", cioè grosso modo il Val Demone e il Val di Mazara - da Federico (III), il fratello minore del C., il quale, anche attraverso questa via, vedeva accresciuta, unitamente a quella della famiglia, la propria forza politica.

Contro la signoria del C., capitano perpetuo della città, tuttavia, il 13 dic. 1350 scoppiò a Palermo un tumulto capeggiato da LorenzoMurra, un antico servitore dei Chiaramonte, che era stato allontanato per punizione dalla capitale e relegato a Trapani, ma che in seguito era stato perdonato e riammesso in città. Il C. trovò scampo nello Steri, il grandioso palazzo di famiglia, e il Murra assunse l'ufficio di capitano del Comune. I ribelli ebbero l'appoggio di due tradizionali avversari dei Chiaramonte: Francesco Ventimiglia, conte di Golisano, e Matteo Sclafani, barone di Adernò e Ciminna. In soccorso del conte di Modica, da Caccamo, dove avevano riunito le loro forze, giunsero intanto a Palermo il figlio Simone con il cugino Manfredi (III). Il 25 gennaio del 1351 la rivolta fu domata nel sangue. Secondo il cronista Michele da Piazza, tuttavia, essa non sarebbe stata però altro che uno stratagemma ordito dallo stesso C., d'accordo con Lorenzo Murra, per avere modo di eliminare i suoi avversari interni.

Nel giugno 1353, ammalatosi gravemente, il C. redasse testamento. Il 4 ottobre veniva intanto rinnovato l'accordo, concluso tre anni prima, tra le due fazioni avverse. Matteo Palizzi lo sottoscrisse per la "parzialità latina", a nome anche del conte Manfredi Chiaramonte. Nel novembre il C. fu ancora presente alle nozze del figlio Simone con Venezia Palizzi, figlia del conte di Novara, che si celebrarono a Messina alla presenza del re Federico IV.

Fu il suo ultimo atto ufficiale: morì infatti poco dopo a Palermo, e qui il suo corpo venne inumato, nella cappella di famiglia in S. Niccolò la Kalsa.

Aveva sposato in seconde nozze Mattia d'Aragona, una discendente in via naturale del re Pietro I; da lei ebbe un solo figlio, Simone, che gli succedette nella titolarità della contea di Modica, ricevendone l'investitura il 15 dic. 1353.

Fonti e Bibl.: Michaelis Platensis Historia Sicula..., in R. Gregorio, Bibliotheca scriptorum qui res in Sicilia gestas sub Aragonum imperio retulere, I, Palermo 1792, pp. 579, 594 s., 609 ss., 630, 635; Chronicon Siculum ab a. 820 usque ad a. 1343,ibid., II, Palermo 1791 p. 263; A. Inveges, La Cartagine sicil., Palermo 1651, pp. 245 ss.; R. Gregorio, Consideraziani sopra la storia di Sicilia, IV, Palermo 1807, pp. 157, 164 s.; V, ibid. 1810, pp. 2 s.; S. V. Bozzo, Un errore di data e la Cronica di fra' Michele da Piazza, in Arch. stor. sic., n. s., I (1876), pp. 259-75; G. Pipitone-Federico, I Chiaramonti di Sicilia, Palermo 1891, pp. 9 ss.; F. Giunta, Aragonesi e Catalani nel Mediterraneo, Palermo 1953, pp.29 ss.; V. D'Alessandro, Politica e società nella Sicilia aragonese, Palermo 1963, pp. 78 ss., 86s.; S. Tramontana, Michele da Piazza e il potere baronale in Sicilia, Messina-Firenze 1963, pp.181, 213, 265, 268 s., 301, 305 ss.; I. La Lumia, Matteo Palizzi ovvero i Latini e i Catalani, in Storie sicil., a cura di F. Giunta, II, Palermo 1969, pp. 61, 63, 65 s., 69, 86 s., 89 ss., 112, 114 s.; R. Solarino, La contea di Modica, Ragusa 1973, II, pp. 69, 72 ss.

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