CHIAVE

Enciclopedia Italiana (1931)

CHIAVE (lat. clavis; fr. clef; sp. clave; ted. Schlüssel; ingl. key)

Filippo TAMBRONI
Lina MONTALTO
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Guido Gasperini

Strumento di ferro o di acciaio, e talora di metallo più nobile, il quale introdotto nella toppa, serve a muovere la stanghetta, tanto per chiudere, quanto per aprire.

Non c'è museo che non possegga esemplari di chiavi antiche; Roma e Pompei ne sono ricchissime; interessante per la sua fitta dentatura è il tipo restituito dal recupero della nave di Nemi.

Le chiavi antiche sono alquanto differenti dalle nostre: alcune sono prive del cannello e consistono in semplici piastre metalliche variamente traforate, i cui vuoti corrispondono agli ingegni della serratura (n. 1 della figura); presentano in un certo modo il tipo delle chiavi delle moderne casseforti; altre hanno il cannello assai corto e la parte del cannello, che si salda all'anello o all'impugnatura, s'ingrossa considerevolmente e presenta una o più modinature (n. 2 della figura); moltissime poi hanno la mappa piegata da un lato ad angolo retto e terminata a denti. L'impugnatura spesso è lavorata artisticamente e rappresenta una testa d'animale. Alcune minuscole chiavi, come nell'esemplare cristiano che si vede al n. 3 della figura, sono fornite di un anello che doveva esser tenuto costantemente infilato al dito dal proprietario.

La chiave è spesso attributo di divinità; è in mano talvolta a Giano, più spesso a Portunus, significando in quello l'ufficio di aprire le porte verso terra, in questo le porte verso mare. La teng0no anche la divinità infernale Ecate e quella figura mostruosa, a testa di leone e col corpo attorcigliato da un serpente, con cui nella religione mitriaca si rappresentava il principio di tutte le cose, Saeculum cioè, o Saruturnus, il Tempo.

Nel periodo gotico fu lavorata con squisito senso d'arte, sia nel pettine sia nell'anello, in delicati trafori simili a quelli dei rosoni architettonici (v. Firenze, Museo Nazionale; Londra, British Museum, ecc.). Oltre che di ferro, si usarono chiavi di bronzo, di acciaio; il ferro fu spesso combinato col bronzo, l'ottone, il rame e persino l'oro nelle chiavi di parata. Nei secoli XV-XVI l'impugnatura si arricchiva di grifi, chimere, sirene e statuette spesso sostenute da un capitello di classica purezza. Nel sec. XVI l'ornamentazione si fece più ricca; talvolta armi o iniziali intrecciate, sormontate da corone, abbelliscono la chiave, che diventa un oggetto di lusso. Nel '600 e '700 lavoro a giorno, lavoro a cesello, dorature contribuirono a rendere ancora più varia l'esuberante ornamentazione composta di figure chimeriche, di cariatidi, di teste umane e di motivi tratti dalla fauna. Le collezioni del Museo Nazionale di Firenze, del Museo Civico e della casa Bagatti-Valsecchi di Milano dànno un'idea della varietà di tipi e di ornamentazione. Sempre più disadorna negli ultimi tempi, la chiave è oggi completamente priva di valore artistico.

V. tav. CCLIV.

Il "potere delle chiavi". - L'espressione è derivata dalle parole di Gesù Cristo, in Matteo, XVI, 19: "tibi dabo claves regni coelorum, et quodcumque ligaveris super terram erit ligatum et in coelis; et quodcumque solveris super terram, erit solutum et in coelis"; l'espressione è biblica e indica, con facile immagine, il possesso d'un'autorità assoluta. L'espressione fu tuttavia intesa, nel corso della storia cristiana, in due sensi: lato, e cioè del potere conferito alla Chiesa, in particolare quello di rimettere i peccati, e stretto, cioè del primato di giurisdizione e d'ordine e del potere di dare definizioni infallibili in materia di fede e di morale, che i cattolici riconoscono conferito da Gesù Cristo a San Pietro e da questo trasmesso ai suoi successori, i papi. Per il primo senso, v. Penitenza; per il secondo, v. papa.

Musica. - Prendono il nome di chiave alcuni segni che vengono posti al principio del rigo musicale allo scopo di indicare quale suono, preciso, della scala generale dei suoni sia rappresentato da una data nota posta sul rigo. Così una nota situata sulla linea seconda del rigo di cinque linee rappresenterà il sol centrale della scala generale dei suoni, qualora al principio del rigo sia posta la cosiddetta chiave di sol.

Le chiavi sono di tre specie: di fa, di do e di sol. Esse indicano, quindi, tre suoni diversi a distanza di una quinta l'uno dall'altro. L'ultima di esse, quella di sol, serve unicamente per la musica non liturgica; le prime due, invece, sono adoperate ugualmente per la musica non liturgica e per la liturgica; ma hanno forme diverse secondo che sono usate per l'una o per l'altra musica. La prima, la chiave di fa, ha nella musica non liturgica un segno derivatole dalla lettera F, simbolo del fa (v. notazione musicale), e,

posta sulla 4ª linea (se si tratti di musica per voce di basso) o sulla 3ª (se si tratti di musica per voce di baritono) del pentagramma, indica che su questa e su quella linea sta la nota che rappresenta il suono fa2 della scala generale dei suoni. Nella musica liturgica ha, invece, questa figura:

e si pone, secondo l'andatura del canto, su una delle tre linee più alte del tetragramma (ma più specialmente sulla 2ª e sulla 3ª).

La chiave di do ha, nella musica non liturgica, il segno seguente derivatole dalla lettera C, indicante il do.

Tale segno si pone sulla 1ª o sulla 2ª, sulla 3ª o sulla 4ª linea del rigo, secondo che si tratti di musica per soprano o per mezzo soprano, per contralto o per tenore; e in ognuno di questi casi indica il posto della nota che sta a rappresentare il suono do3 della scala generale. Nella musica liturgica, invece, ha questa figura:

si pone sulla 2ª o sulla 3ª o sulla 4ª linea del tetragramma, e indica, come nel caso precedente, il suono do.

Per la chiave di sol, infine, si usa il segno seguente, nel quale non è difficile raffigurare l'antico G, significante sol:

e si pone sulla 2ª linea a indicare il posto della nota che rappresenta il sol3 della scala generale. Essa si chiama, anche, chiave di violino; e, nella musica francese dei secoli XVII e XVIII appare, talvolta, trasportata, ma sempre con lo stesso significato, sulla prima linea del rigo.

È da notare poi che nella musica non liturgica hanno cessato di essere praticamente adoperate le chiavi di baritono, di soprano e di mezzo-soprano, essendo esse sostituite, la prima dalla chiave di basso, le altre dalla chiave di sol, mentre le chiavi di contralto e di tenore sono oggi esclusivamente usate per le musiche scritte rispettivamente per la viola e per il violoncello; e che in cambio, è, ora, di uso corrente in alcune edizioni la chiave seguente, dalle forme miste:

che viene adoperata per la voce di tenore e che indica doversi leggere le note come se fossero scritte un'ottava sotto.

L'origine delle chiavi ha stretti rapporti con lo sviluppo della scrittura musicale neumatica e con l'invenzione del rigo. Fu, infatti, quest'ultima che dette ai segni neumatici un significato preciso; ed elemento indispensabile a raggiungere tale scopo furono le lettere dell'alfabeto musicale che, poste in testa alle linee del rigo, assunsero quella funzione di chiave che ancor oggi esse compiono, sebbene totalmente cambiate nella forma. La lettera che prima fu adoperata come chiave fu la F; vennero, poi, la C e la G, nonché altre; esse segnavano, generalmente, il punto dove veniva a cadere il semitono. La mano dei copisti influì, poi, nel trasformare quelle lettere e nel dar loro una figura che andò facendosi sempre più diversa dalla primitiva.

Nel sec. XVI le chiavi normalmente usate a indicare il quartetto usuale delle voci (soprano, contralto, tenore e basso) furono talvolta sostituite da chiavi indicanti altre voci allo scopo di segnare il trasporto delle varie parti di canto a intervalli, superiori o inferiori, diversi. Tale sistema, che fu detto delle chiavi trasportate o delle chiavette, permetteva di adoperare toni con più diesis o più bemolli senza segnar questi in chiave, e di mantenere il canto entro l'ambito del rigo senza uso di tagli addizionali. Esso durò oltre il sec. XVI; ma presto scomparve di fronte alla semplicità del sistema modale moderno.

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