Chimica

Enciclopedia on line

Scienza che studia le proprietà, la composizione, l’identificazione, la preparazione e il modo di reagire delle sostanze sia naturali sia artificiali del regno inorganico e di quello organico.

Storia

La nascita della c. si fa in genere risalire alla seconda metà del 18° sec., quando si svilupparono le basi sperimentali e teoriche che la caratterizzano come scienza autonoma. Alcune premesse costituiscono tuttavia il riferimento essenziale per tale sviluppo. Si può tracciare una suddivisione comprendente: un periodo antico (dall’inizio dei tempi storici al 3° sec. a.C.); uno alchimistico (dall’età alessandrina fino al 17° sec. circa); uno caratterizzato dal prevalere della teoria del flogisto (18° sec.); uno moderno (dalla fine del 18° sec. alla seconda metà del 19°), in cui si ha la definitiva affermazione della teoria atomico-molecolare. Gli sviluppi ulteriori riguardano le diverse branche in cui la c. si è suddivisa dalla fine del 19° sec. in poi (con la parziale eccezione della c. organica che ha iniziato un suo autonomo sviluppo sin dalla prima metà di quel secolo).

Le origini

- La nascita e lo sviluppo delle conoscenze chimiche avvenne in modo spesso casuale e legato all’evoluzione delle capacità tecniche. I popoli che più svilupparono tali conoscenze furono i Sumeri, gli Ittiti, gli Egiziani, gli Ebrei, i Fenici, in Occidente e, in Oriente, i Cinesi e gli Indiani. Tra questi popoli erano note le preparazioni di alcuni metalli e leghe (rame, argento, piombo, elettro); più tardi i Greci e i Romani introdussero l’uso dello stagno, del mercurio e dell’ottone e affinarono i procedimenti metallurgici. In Egitto si conoscevano i sistemi per fabbricare il vetro e le terrecotte; era noto l’impiego di sostanze coloranti organiche naturali (indaco, robbia, porpora), di molti colori minerali (cinabro, minio, biacca, orpimento ecc.), preparazione dei saponi, di bevande fermentate e l’estrazione dei grassi, degli oli, delle essenze ecc. Questi processi erano condotti per mezzo di tecniche (distillazione, calcinazione, sublimazione ecc.) che saranno riprese e affinate durante il periodo alchimistico. Molte erano le sostanze usate come medicamenti, sia esterni sia interni.

L’alchimia

- La nascita dell’alchimia si data nel periodo ellenistico (3° sec. a.C.) e i suoi centri di origine furono in Mesopotamia e in Egitto; solo durante il Medioevo raggiunse l’Europa. Anche se lo scopo dell’alchimia, la ‘trasmutazione’ dei metalli in oro e la scoperta dell’‘elisir di lunga vita’, non permette di considerare questa millenaria attività umana come il diretto progenitore della c., è certo che l’enorme lavoro pratico degli alchimisti determinò l’accumulo di una enorme quantità di conoscenze sperimentali utilizzate in seguito dai chimici.

La fine del periodo alchimistico si può collocare nel 17° sec. quando il lavoro sperimentale si liberò del tutto dalle componenti magiche ed esoteriche. Il maggior protagonista di questo rinnovamento fu il chimico inglese R. Boyle che diede alla c. basi scientifiche, attribuendole il compito fondamentale dello studio delle proprietà e della composizione dei corpi, stabilendo che la natura di una sostanza è indipendente dalla materia prima da cui è estratta e dai procedimenti usati per la sua preparazione. Boyle può essere considerato il fondatore della vera c. sperimentale e il primo cui si debba l’introduzione in c. di concetti basilari, quali quello di reazione, di teoria corpuscolare della materia ecc.

La c. del Settecento

- Per diverso tempo dopo la fine della alchimia, la c. continuò ad accumulare una massa di dati sperimentali senza che esistesse una teoria unitaria in grado di spiegarli. Fu G.E. Stahl il primo a proporre, all’inizio del 18° sec., una spiegazione unitaria di diversi tipi di trasformazioni chimiche (combustione, calcinazione ecc.): si basava sul cosiddetto principio di infiammabilità o flogisto, secondo il quale le sostanze erano tanto più combustibili quanto più flogisto contenevano, che veniva liberato durante i processi di combustione e calcinazione. Questa teoria, pur dimostratasi in seguito priva di fondamento, spinse sia i suoi sostenitori sia i suoi oppositori a un più approfondito studio quantitativo delle reazioni chimiche, specie di quelle che avvengono con produzione o consumo di gas. Lo sforzo di sistematizzazione delle conoscenze analitiche condusse anche ad altri notevoli risultati: l’osservazione che le sostanze mostrano diversi gradi di reattività reciproca condusse al concetto di affinità chimica che permise la compilazione di tabelle di affinità, molto utili nella previsione delle possibili combinazioni fra le sostanze. Nella seconda metà del secolo inoltre, con la rivoluzione industriale si affermarono importanti processi chimici industriali quali la preparazione di soda e acido solforico, della porcellana e l’estrazione di coloranti naturali.

La nascita della c. moderna

- Alla fine del 18° sec., A.-L. Lavoisier chiarì molti dei fenomeni già osservati ma non chiaramente interpretati dai suoi predecessori e gettò le basi della nomenclatura sistematica. In particolare Lavoisier dimostrò che nei processi di combustione, ossidazione, calcinazione (nonché nella stessa respirazione) l’ossigeno dell’aria svolge un ruolo fondamentale, rendendo così superflua la teoria del flogisto; inoltre, utilizzando la bilancia come mezzo di indagine analitica, introdusse nello studio quantitativo delle reazioni il principio della conservazione della massa e degli elementi e fu in grado di esprimere le trasformazioni chimiche in termini di equazioni.

Agli inizi del 19° sec. J.-L. Proust dimostrò che gli elementi si combinano tra loro secondo rapporti in peso costanti. La legge delle combinazioni di Proust e quella delle combinazioni multiple di J. Dalton trovarono una spiegazione razionale nella teoria atomica dello stesso Dalton, il quale affermava che ogni elemento consiste di atomi omogenei di peso invariabile e che i composti chimici si formano per unione di atomi di diversi elementi secondo rapporti numerici semplici. Un ruolo fondamentale nello sviluppo delle conoscenze teoriche fu svolto dalle prime ricerche in elettrochimica di H. Davy, che seguirono la scoperta della pila a opera di A. Volta (1800); la decomposizione delle sostanze tramite elettrolisi permise l’isolamento di metalli reattivi come il sodio e il potassio (1807) e suggerì l’idea di una relazione tra la natura degli atomi e le proprietà elettriche della materia. Tra i primi a utilizzare le suggestioni della elettrochimica fu J. Berzelius, il chimico più rappresentativo della prima metà del secolo, il quale formulò la teoria dualistica (1819), fondata sulla ipotesi della opposta polarità tra gli atomi che formano le molecole. Sulla base di questa teoria e di quella atomica di Dalton, Berzelius introdusse, tra l’altro, l’uso delle formule per rappresentare gli atomi uniti nella formazione delle molecole che fu il primo argomentato tentativo di interpretazione fisica del legame chimico. Le ricerche elettrochimiche di Davy furono proseguite da M. Faraday (1832), il quale introdusse il concetto di ione ed eseguì studi quantitativi fondamentali sulla elettrolisi che portarono alla formulazione delle sue due leggi e che risultarono in seguito determinanti per la teoria della dissociazione ionica, elaborata da S. Arrhenius (1884). Altre scoperte rilevanti della prima metà del secolo furono la legge dei calori atomici (1819) di P.-L. Dulong e A.-T. Petit e quella dell’isomorfismo (1820) di E. Mitscherlich, che consentirono a Berzelius di elaborare un’attendibile tabella dei pesi atomici (1828) che comprendeva una ventina di elementi.

Malgrado questi progressi, permaneva una notevole confusione concettuale tra peso equivalente, peso atomico e peso molecolare che fu chiarita solo nella seconda metà del secolo per opera di S. Cannizzaro. Nella sua teoria molecolare, Cannizzaro individuò nella molecola, intesa come aggregato definito di atomi, l’unità fondamentale di una sostanza in grado di avere esistenza chimica indipendente: in tal modo egli recuperò l’ipotesi atomico-molecolare avanzata da A. Avogadro nel 1811 e che, per molto tempo, era stata scarsamente considerata dalla comunità scientifica. La teoria molecolare consentì a Cannizzaro di elaborare un metodo razionale per la determinazione dei pesi atomici e fu decisiva per l’esatta conoscenza delle formule brute. Quasi contemporaneamente D. Mendeleev esponeva il sistema di classificazione degli elementi che porta il suo nome, basato sul concetto che le proprietà fisiche e chimiche degli elementi sono una funzione periodica del peso atomico. Sulla traccia delle deduzioni ottenibili dal nuovo sistema periodico fu rapidamente realizzata la ricerca degli elementi ritenuti mancanti: la loro scoperta fu resa possibile anche grazie ai nuovi mezzi di indagine disponibili, soprattutto l’analisi spettroscopica introdotta da R. Bunsen e G.R. Kirchhoff (1860). Lo sviluppo della termodinamica, intorno alla metà del 19° sec., consentì di formalizzare il concetto di equilibrio chimico che era stato intuito nella prima metà del secolo da alcuni chimici come C.L. Berthollet e C. Deville-Sainte-Claire. Nel frattempo, la teoria della valenza, basata sul fatto che gli atomi di ogni elemento sono in grado di formare un determinato numero di legami, diede un grande impulso alla c. organica e sviluppò gli studi sulle strutture chimiche che portarono A. Butlerov e altri a sostenere (1861) che ogni sostanza è individuata da una formula di struttura caratteristica. Il problema dell’isomeria fu poi compiutamente risolto con l’introduzione delle formule configurazionali da parte di J.-A. Le Bel e di J.H. van’t Hoff (1871). Alla fine del secolo A. Werner, nei suoi fondamentali lavori sulla costituzione dei composti di coordinazione, utilizzò largamente le formule di Le Bel e van't Hoff e introdusse l’idea che alcuni metalli possono mostrare stati di valenza (da lui definiti come valenza secondaria) con valori molto più grandi di quelli fino allora ammessi.

Al termine del 19° sec. la c. è ormai in possesso dei suoi fondamenti e lo sviluppo autonomo delle sue varie branche è completamente avviato: le ricerche fisiche e chimiche, che si svilupparono rapidamente all’inizio del nuovo secolo sulla costituzione della materia, consentirono di reinterpretare le conoscenze acquisite nel secolo precedente sulla base della struttura atomica e molecolare (➔ atomo).

C. analitica

È probabilmente il settore di più antica tradizione tra le scienze chimiche. Può essere considerata la scienza atta a determinare la composizione dei corpi in termini di elementi o composti chimici in essi contenuti. Storicamente ogni progresso in campo analitico si può sempre fare risalire all’invenzione di un nuovo strumento di misura. Il primo procedimento di analisi, la gravimetria, fu reso possibile dal perfezionamento della bilancia, così come la volumetria fu permessa dall’introduzione di vetreria accuratamente tarata. Negli ultimi decenni del 19° sec. l’invenzione dello spettroscopio permise di sviluppare metodi analitici interessanti, anche se limitati nei primi tempi a indagini qualitative. La gravimetria e la volumetria rimasero per anni gli unici procedimenti disponibili per la determinazione quantitativa di quasi tutte le sostanze più importanti. Successivamente furono introdotti alcuni metodi colorimetrici e nefelometrici, soprattutto per il dosaggio di quelle sostanze per le quali gli altri metodi non potevano essere applicati o fornivano risultati scarsamente attendibili. Si scoprì infine che molte titolazioni potevano essere eseguite per via elettrochimica. Dalla fine del 19° sec. in poi lo sviluppo della c. analitica è stato caratterizzato dall’invenzione e messa a punto di nuovi strumenti che misurano le proprietà fisiche e chimiche di un composto per la sua determinazione analitica. Così ai metodi di analisi polarimetrici, rifrattometrici e spettroscopici si sono affiancati quelli basati sulla diffrazione dei raggi X, sulla spettrografia infrarossa e sull’effetto Raman, quelli spettrofotometrici e polarografici, quelli fondati sulla spettrometria di massa e sulla risonanza magnetica nucleare. Mentre alcuni metodi di analisi consentono una valutazione qualitativa o quantitativa dei vari elementi dei diversi composti presenti in un corpo in esame, anche selettivamente, altri permettono di indagare sulla struttura delle molecole e dei cristalli, consentendo anche la valutazione della forza e della natura delle numerose forme di legame chimico.

Notevoli vantaggi nella sensibilità di dosaggio sono stati ottenuti con le tecnologie moderne, come l’analisi per attivazione neutronica, la fluorescenza di raggi X, la fusione sotto vuoto, la diffrazione e la microscopia elettroniche, la spettrometria di massa, le spettrometrie di risonanza. Lo sviluppo, a partire dal 1930, dei sistemi di amplificazione, dei fototubi, dei transistori, dei semiconduttori, delle membrane ha permesso di elaborare e perfezionare ulteriormente nuovi metodi analitici. I microprocessori e gli elaboratori sono risultati indispensabili strumenti di sostegno a laboratori di analisi e di ricerca.

C. biologica

È quella parte della c. che studia la composizione degli organismi viventi, i processi chimici e chimico-fisici che in essi si svolgono in condizioni normali o patologiche, risalendo allo studio della struttura dei composti chimici, presenti o elaborati dagli organismi (➔ biochimica).

C. fisica

Nella seconda metà del 19° sec. la c. strinse rapporti con altre scienze affini, in particolare con la fisica. Si sviluppò così la c. fisica, che esordì con l’applicazione della termodinamica alle trasformazioni chimiche. Nel contempo si affermarono anche gli studi sulla struttura degli atomi e sulla natura delle forze che li tiene assieme nelle molecole. Questo approccio trovò piena affermazione a partire dalla prima metà del 20° sec. con l’avvento della meccanica quantistica, che offrì lo strumento indispensabile per la comprensione della natura del legame chimico e creò i presupposti per l’affermazione della chimica teorica. La c. fisica si occupa anche delle trasformazioni della materia fra i suoi vari stati d’aggregazione (solido, liquido, gassoso), della misurazione delle caratteristiche fisiche delle sostanze (quali densità, tensione superficiale, attività ottica ecc.) e delle loro relazioni con la struttura delle sostanze medesime. Sono di pertinenza della c. fisica, inoltre, lo studio degli equilibri fra fasi presenti nei sistemi eterogenei, lo studio della velocità con cui si svolgono i processi chimici e dei fattori fisici che influiscono su di essa ecc. La c. fisica si è con il tempo articolata in diversi indirizzi: termodinamica chimica, rivolta allo studio degli scambi di energia che hanno luogo durante le reazioni chimiche e delle condizioni di equilibrio verso le quali tendono; cinetica chimica, intesa allo studio dell’evoluzione nel tempo dei sistemi chimici reagenti attraverso la determinazione sperimentale e il calcolo teorico della velocità di reazione; la c. fisica delle soluzioni, che include la teoria della dissociazione elettrolitica e l’interpretazione delle variazioni di proprietà che si riscontrano quando in un solvente si scioglie un soluto. Recentemente ha acquistato importanza anche la termodinamica dei processi irreversibili volta allo studio del comportamento della materia quando non si trovi in condizioni di equilibrio.

C. industriale

Anche se le applicazioni della c. alla produzione di prodotti di interesse applicativo si possono far risalire al suo esordio quale scienza moderna, solo agli inizi del 20° sec. si sono aperti nuovi settori di indagine che hanno permesso l’affermazione di una grande industria chimica, con risvolti tecnologici complessi e sofisticati. Essi riguardano lo studio e la produzione di prodotti utili all’uomo che comprendono i coloranti, i polimeri e i relativi materiali, i materiali inorganici, i carburanti e i prodotti farmaceutici. Tutto ciò fruendo dei risultati degli studi di termodinamica e cinetica chimica e degli esiti dei primi esempi di applicazione alla tecnologia di concetti teorici attinti dalla c. fisica. Sempre più numerose e importanti sono le conquiste nel campo dei processi catalitici, fra i quali le sintesi dell’acido solforico, dell’acido nitrico, dell’ammoniaca, dell’urea, i vari processi di trattamento dei prodotti petroliferi ecc. Lo sviluppo della c. industriale ha favorito l’affermazione dell’ingegneria chimica volta alla progettazione degli impianti chimici e allo studio delle condizioni per ottenere le migliori rese dal punto di vista sia tecnico sia economico. Il numero dei composti prodotti su scala industriale a mezzo di reazioni chimiche è vastissimo: alcuni servono come materie prime o come prodotti ausiliari per altre lavorazioni, mentre molti altri vengono direttamente utilizzati come prodotti finiti. La produzione dell’industria chimica è in gran parte costituita da beni intermedi, da sostanze o prodotti, cioè, che entrano nel processo produttivo di altri comparti industriali. L’industria c. è caratterizzata sia dalla grande varietà di materie prime utilizzate (minerali, carbone, petrolio, gas naturale, oli e grassi animali e vegetali), sia dagli interscambi che avvengono al suo interno tra la cosiddetta c. di base e la c. a valle (una parte rilevante dell’industria c. impiega infatti come proprie materie prime sostanze chimiche trasformate da imprese a monte del processo produttivo).La c. industriale è anche correlata a una visione sistematica degli agenti chimici in parte diversa da quella tradizionale, poiché la classificazione dei diversi composti fa in genere riferimento alle attività industriali a essi relative, distinguendo fra prodotti chimici agricoli (fertilizzanti, insetticidi ecc.), alimentari (margarine, conservanti, coloranti ecc.), tessili (ammorbidenti, coloranti, sbiancanti ecc.), medicinali (antibiotici, antistaminici ecc.), concianti (tannini), petroliferi (additivi, lubrificanti, combustibili), fotografici (sviluppatori, fissatori, carte sensibilizzate, pellicole) e così via.

A partire dagli anni 1990 lo sviluppo dell’industria chimica mondiale ha mostrato un legame molto stretto con l’evoluzione economica generale, mentre nei decenni precedenti la crescita era avvenuta in modo quasi indipendente dallo sviluppo complessivo delle attività industriali. La principale linea di tendenza è stata la fusione fra imprese, sia nel settore petrolifero (Exxon-Mobil, BP-Amoco-Arco, Total-Petrofina, Chevron-Texaco ecc.) sia in quello chimico propriamente detto (Dow-Union Carbide ecc.), attuata al fine di sfruttare le sinergie e di razionalizzare le strutture produttive e commerciali. Un’altra linea di tendenza che ha cominciato a manifestarsi negli ultimi anni del 20° sec. è la netta separazione delle attività chimiche da quelle petrolifere (così, la Texaco ha venduto le altre attività, rimanendo soltanto nel settore petrolifero; la Du Pont ha abbandonato le attività petrolifere vendendo la Conoco ecc.). La Comunità europea, con 633 miliardi di euro annui di fatturato e 1 milione e 800.000 occupati (dati 2005), è il maggior produttore mondiale nel settore chimico-farmaceutico, seguita dagli Stati Uniti e dal Giappone. All’interno dei paesi della Comunità, il primo posto spetta alla Germania, seguita da Francia, Gran Bretagna e Italia (76 miliardi di euro di fatturato nel 2005). La c. di base contribuisce per il 41% alla produzione totale, la farmaceutica per il 28%, la c. fine per il 21%, e la c. per il consumo per il 10%.

In Italia l’industria chimica è caratterizzata dalla forte presenza di piccole e medie imprese (42% della produzione) e di multinazionali estere (35% della produzione), mentre un ruolo minore svolgono le grandi imprese italiane (23% della produzione). L’elevato numero di piccole e medie imprese in campo chimico, se da un lato è segno di vivacità imprenditoriale, dall’altro può diventare elemento di debolezza, in quanto tali imprese hanno spesso una dimensione al di sotto del valore critico richiesto per sostenere una competizione internazionale sempre più agguerrita. Questa carenza si manifesta in modo evidente nella ricerca e nell’innovazione, dove le imprese italiane risultano deficitarie in tutti i comparti rispetto ai grandi produttori europei.

A livello mondiale prospettive di sviluppo per un’industria chimica di nuova concezione sono costituite prima di tutto dai nuovi mercati legati a settori industriali ad alta tecnologia (elettronica, telecomunicazioni, energia, attività aerospaziali, trasporti avanzati), ai quali la c. può offrire prodotti e materiali ad alto contenuto tecnologico, mentre nell’ambito dei settori tradizionali (per es. la petrolchimica) l’innovazione di prodotto e di processo mostra chiari segni di rilancio, anche per effetto del ruolo trainante esercitato dalla catalisi. Inoltre, le acquisizioni scientifiche della biologia molecolare si sono tradotte nella crescita delle biotecnologie, con possibilità di intervento in aree di rilevante interesse per la c., quali la moderna agricoltura, la c. fine, il comparto agroalimentare, il settore della salute. La stessa problematica della difesa ambientale viene sempre più a configurarsi come un fattore di spinta innovativa, stimolando l’industria chimica verso lo sviluppo di nuovi processi più ecocompatibili. I grandi gruppi, un tempo caratterizzati da un ampio ventaglio di attività, hanno abbandonato i settori caratterizzati da una bassa posizione competitiva, rafforzandosi in poche e selezionate aree tradizionali o entrando in nuovi settori di frontiera, sia mediante una reimpostazione dei propri indirizzi di ricerca e di sviluppo, sia tramite acquisizioni di imprese.

C. inorganica

Il campo di studio della c. inorganica veniva originariamente limitato a quello della materia non derivante dagli organismi viventi; successivamente è stato esteso a tutti i composti chimici diversi dagli idrocarburi e loro derivati. La parte più tradizionale e più antica della c. inorganica ha riguardato la scoperta dei diversi elementi (➔) chimici e l’analisi sistematica delle loro combinazioni. Nella sua impostazione attuale la c. generale inorganica è volta allo studio della struttura dei solidi, delle leghe metalliche (soluzioni omogenee e fasi intermedie), della caratterizzazione isotopica, delle sintesi inorganiche, della caratterizzazione del sistema periodico degli elementi con particolare riferimento alla periodicità di alcune proprietà (potenziale di ionizzazione, affinità elettronica, elettronegatività), dello studio dei composti di coordinazione e dei composti metallorganici attraverso un’approfondita interpretazione della loro struttura elettronica.

C. organica

Oggetto di studio della c. organica sono i composti del carbonio, con poche eccezioni comprese fra i composti inorganici (acido carbonico e derivati, acido cianidrico e derivati ecc.). Gli esordi possono essere individuati nella seconda metà del 18° sec., quando T.O. Bergman (1777), ritenendo che le sostanze estratte dal regno sia animale sia vegetale differissero nella composizione e nel comportamento da quelle del regno minerale, tracciò una separazione, chiamando inorganiche queste ultime e organiche quelle provenienti da organismi viventi. Tuttavia a partire dalla prima metà del 19° sec. l’applicazione dei concetti chimici fondamentali anche alle trasformazioni organiche mise in discussione il punto di vista di Bergman, soprattutto dopo che F. Wohler nel 1828 sintetizzò l’urea da composti inorganici. C. Gmelin (1848) introdusse l’idea che la differenza essenziale tra sostanze inorganiche e organiche sta soltanto nel fatto che queste ultime contengono sempre carbonio; l’asserzione di Gmelin è quella attualmente usata per delimitare il campo di indagine della c. organica.

Nella prima metà del 19° sec. era già noto un gran numero di reazioni organiche e per padroneggiare e unificare un così vasto insieme di conoscenze empiriche furono proposte le prime teorie: tra queste ebbero notevole diffusione la teoria dei radicali di J. Liebig, F. Wohler e J. Berzelius (1832), estensione alla c. organica della teoria dualistica, e la teoria dei tipi (1848) proposta da C.F. Gerhardt e C. Wurtz. La prima postulava l’esistenza di gruppi di atomi (i radicali) in grado di trasferirsi inalterati da un composto all’altro e di unirsi gli uni con gli altri a causa delle differenze nelle polarità; la seconda, che si basava soprattutto sulle evidenze sperimentali delle reazioni di sostituzione, individuava nelle sostanze organiche alcuni raggruppamenti atomici fondamentali (tipi), tali da garantire la conservazione delle proprietà molecolari anche quando qualche altro atomo della molecola veniva sostituito. Anche se nessuna delle due teorie riuscì a fornire un’interpretazione del tutto soddisfacente delle reazioni organiche, entrambe contribuirono ai successivi sviluppi della c. organica: la teoria dei radicali all’individuazione delle serie omologhe e del problema della isomeria; quella dei tipi alla determinazione degli scheletri molecolari e dei gruppi funzionali. Un passo avanti importante per la determinazione delle formule organiche fu compiuto con l’introduzione delle tecniche di analisi elementare dei composti organici (1830) da parte di J. Liebig.

La peculiarità del carbonio di dar luogo a un così grande numero di composti fu spiegata da F. Kekulé (1858) postulando la tetravalenza dell’atomo di carbonio e l’esistenza di legami carbonio-carbonio; in tal modo si poteva prevedere l’esistenza di un numero pressoché infinito di catene diverse di atomi di carbonio. Una prima fondamentale applicazione della teoria di Kekulé fu la determinazione della formula del benzene (1865), da lui stesso compiuta, che aprì la strada alle ricerche sui composti aromatici, di grande importanza per i successivi sviluppi teorici e applicativi. La teoria di Kekulé, quella della struttura chimica di A. Butlerov e quella del carbonio tetraedrico di J.-A. Le Bel e di J.H. van ’t Hoff consentirono di individuare le formule di un numero sempre più grande di sostanze; E. Fischer riuscì a determinare (1890) la formula configurazionale del glucosio. Di grande importanza furono i contributi alla c. preparativa organica di V. Grignard (preparazione dei reattivi organomagnesiaci che portano il suo nome), di C. Friedel e J.M. Crafts (sostituzioni aromatiche), di J. Sandmeyer (sali di diazonio); queste ricerche ebbero una grande influenza nelle preparazioni industriali organiche.

Attualmente nella c. organica si può distinguere una parte sistematica da una parte interpretativa e teorica. La prima parte è dedicata allo studio delle proprietà, della preparazione e delle possibili applicazioni delle varie classi di composti, con riferimento all’influenza esercitata da eteroatomi e da gruppi funzionali sostituenti e al tipo di configurazione molecolare. Un particolare settore di questa parte riguarda le sostanze organiche naturali, soprattutto quelle sostanze non essenziali alla vita (metaboliti secondari) che comunque vengono prodotti nei processi metabolici e sono di interesse pratico, in primo luogo in campo medico. Tali sostanze sono studiate, oltre che dal punto di vista strutturale, anche per il processo biochimico da cui hanno origine e per il ruolo metabolico svolto. Questa branca della c. costituisce così il punto di incontro tra la c. organica classica e la biochimica. La seconda parte concerne invece la sintesi, con particolare interesse verso i casi di stereospecificità e di composti di interesse applicativo, e soprattutto l’interpretazione dei meccanismi delle reazioni organiche. Da segnalare dopo il 1960 il rapido sviluppo della fotochimica organica, seguente alla constatazione della selettività delle reazioni fotochimiche e alla loro utilizzazione crescente per sintetizzare sistemi e strutture non ottenibili per via normale.

Gli studi strutturali, condotti fino ai primi decenni del 20° sec. esclusivamente per via chimica, hanno avuto un grande impulso dai metodi chimico-fisici di analisi strumentale introdotti massicciamente a partire dagli anni 1950. In particolare è stato possibile determinare (tramite impiego dei raggi X) la configurazione assoluta di sostanze otticamente attive come, per es., quella dell’acido tartarico (1951) e quella della vitamina B12 (1956). In questo quadro hanno assunto grande interesse per lo studio delle proteine i calcoli delle conformazioni più probabili delle catene polipeptidiche. L’indispensabile contributo della c. fisica alla c. organica è stato recepito dai chimici organici, sia per sviluppare i fondamenti teorici della c. organica e quindi interpretare quantitativamente l’immenso patrimonio dei fatti sperimentali naturali, sia per approfondire in termini rigorosi le nozioni disponibili sulle strutture molecolari e sui meccanismi di reazione.

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