CHITARRA

Enciclopedia Italiana (1931)

CHITARRA (dal gr. κιϑάρα; fr. guitare; sp. guitarra; ted. Gitarre; ingl. guitar)

Maria Rita ARNONE BRONDI

Strumento a corde (in numero di sei), che vengono pizzicate con le dita. È costituito da tre parti: la testa, ove si fermano le corde per mezzo di cavicchi; un largo manico munito d'una tastiera segnata mediante sbarrette trasversali (tasti), lungo il quale con la mano sinistra si formano le note, e una cassa di risonanza la cui tavola armonica ha nel mezzo un foro circolare. Il ponticello (che serve anche da cordiera), incollato sulla tavola armonica, è basso e largo.

È assai probabile che lo strumento a forma di chitarra che vediamo figurato su antichi monumenti caldei, assirî ed egizî, abbia avuto origine nella Mesopotamia; in ogni modo appare evidente che la chitarra è strumento originale, non derivato da altri. In monumenti assiri, per es., sono riprodotti strumenti a corde pizzicate e col manico lungo. All'estremità superiore del manico si vedono le corde terminare con fiocchetti, sì da lasciar supporre che le corde venissero fermate, per la loro varia intonazione, annodandole entro forellini, tanto più che di strumenti con cavicchi non si trovano figurazioni in alcun documento caldeo od assiro. In Egitto figurazioni di chitarra compaiono già ai tempi dell'XI e XII dinastia ed altre (di chitarre a 2 0 3 corde) durante il Nuovo Impero. Sembra che la chitarra non abbia avuto diffusione nell'antichità classica. Nella Spagna, generalmente considerata la terra da cui la chitarra si diffuse in Europa, l'uso fu importato dagli Arabi. In Francia troviamo la chitarra, sotto i nomi di morache e di guiterne, già nel secolo XII, e anche in Italia essa dovette giungere assai presto.

Nel 1200 la chitarra aveva fondo ricurvo (che del resto conservò fin dopo la metà del 1600) e tre corde, come risulta dalle miniature con storie di Tristano, del ms. 1260 della Bibl. Nat. di Parigi. verso il 1400 le corde divengono 7, ma le note a vuoto non erano che 4 (do, fa, la, re, oppure re, sol, si, mi), perché, tranne una, le corde erano a coppie omofone. Una quinta corda venne aggiunta quale cantino nel sec. XV e s'ebbero nuove accordature, tra le quali quella di do, sol, do, mi, sol, riferita dal padre J. Bermudo nella sua Declaración de instrumentos (Osuna 1549-1555). Nel sec. XVIII con una sesta corda si prolungò l'estensione nel basso, e nella Sala di musica teorica e pratica (1741) del Mayer ne è data un'accordatura re, la, re, fa-diesis, la, re. Nel museo del conservatorio di Parigi vi è una chitarra costruita a Dresda nel 1790 da Martin Grieser, a sei corde semplici. In quel tempo un padre M. García, organista del convento cisterciense di Madrid, concepì una chitarra a 7 corde. Adottate corde semplici e non metalliche, lo strumento acquistò voce dolce, rotonda e pastosa, e guadagnò molto in varietà d'espressione. Le corde di budello sono tuttora preferite dai virtuosi.

La chitarra, dalle sue origini fino ai giorni nostri, ha sempre conservato la sua forma caratteristica; si può dire che tutte le tentate innovazioni (chitarra-decacordo, basso-chitarra, chitarra armonica, chitarra-arpa, chitarra-liuto, ecc.) non abbiano attecchito. Soltanto durante un cinquantennio, dal 1778 al 1830, ebbero una certa voga le chitarre foggiate a lira. Pochl esemplari ci restano delle belle chitarre antiche, il cui foro di risonanza era coperto da una rosa preziosamente lavorata e policroma, fatta quasi ad imbuto. La rosa para era poi lavorata sullo stesso piano armonico. Dei costruttori moderni, a partire dal primo Ottocento, vanno ricordate le firme italiane: Guadagnini, Melegari, Rovetta, Tadolini, Volpe, Silvestri, Manni, Malagoli, Manzini, Reggiani, Rivolta, Fabbricatore, ecc.; la francese La Côte, le spagnole Arias, Torres, Enrique García, Ximénez.

Tra le composizioni per chitarra (che per molto tempo - fino al 1700 circa - furono notate in speciale intavolatura) meritano menzione quelle degli italiani De Barberis, Corbetta, Giuliani, Pellegrini, Piccinini, Coriandoli, Asioli, Foscarini, Roncalli, Granata e Paganini; del francese Campion, degli spagnuoli Fuenllana, Sors, De Falla; dei tedeschi Kreutzer, Schulz, ecc.

Metodi assai rinomati furono quelli del Giaccio, del Colonna, del Millioni, del Monte (nei quali è trattata la tecnica dell'esecuzione a chitarriglia, cioè a striscio anziché a pizzico, in voga nel Seicento), quello del Carbonchi (1643), importantissimo perché segna il principio del ritorno alla tecnica del pizzicato, e quindi l'inizio di quell'ascesa dell'arte chitarristica, che raggiunse poi il suo vertice verso la fine del secolo XVIII. Quasi tutti i più celebrati chitarristi lasciarono, del resto, ottimi metodi. In Spagna, Sor, nel 1832, pubblicò un'opera quasi esclusivamente teorica. Aguado nel suo metodo (1825) curò assai la tecnica della mano sinistra. In Italia, Legnani (1790-1877) e Giuliani (1780-1828?) appaiono come i migliori, Carulli (1770-1841) nel 1825 pubblicò L'harmonie appliquée à la guitare, primo trattato di accompagnamento basato su una regolare teoria dell'armonia. Il Carulli non è molto ricco d'idee nella sua rigida meccanica, e il suo metodo è inferiore a quello del Carcassi (1792-1853). Nel metodo di Federico Moretti (fine del 1700) si riscontra una disposizione corretta e un procedere armonicamente giusto delle parti. Fra i moderni, buonissimi gli Esercizi e studî di Luigi Mozzani. Degli stranieri citiamo quelli del Bateman, del Bosch, del Praeger, del Withers, del Molitor.

Tra i concertisti sono giunti a buona notorietà negli ultimi tre secoli, F. Sor, L. v. Call, A. Carbonchi, M. Carcassi, F. Carulli, F. Corbetta, N. Coste, M. Giuliani, G. B. Granata, F. Huerta, L. Legnani, I. C. Mertz, S. Molitor, A. Moletti, N. Paganini, P. Porro, G. Regondi, M. A. Zani, e, tra i contemporanei, F. Tarrega, Llobet, A. Segovia, M. R. Brondi, L. Mozzani, ecc.

Bibl.: E. Schrön, Die Gitarre und ihre Geschichte, Lipsia 1879; H. Scherrer, Die Kunst der Gitarrenspiel, Monaco 1903; E. Biernath, Die Gitarre, 1907; M. R. Brondi, Il liuto e la chitarra, Torino 1926.

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