Wolff (o Wolf), Christian

Dizionario di filosofia (2009)

Wolff (o Wolf), Christian


Wolff

(o Wolf), Christian Filosofo (Breslavia 1679- Halle 1754). Insegnò nell’univ. di Halle (dal 1706), eccettuati gli anni 1723-41 in cui fu all’univ. di Marburgo, essendo stato espulso dalla Prussia per gli intrighi di colleghi e l’avversione dei circoli pietistici nei confronti del suo razionalismo. Nel 1740 Federico II, appena salito al trono, lo fece richiamare a Halle, dove W. rimase fino alla morte, divenendovi cancelliere dell’università e consigliere segreto di Prussia. Allievo di Leibniz a Lipsia, ne è considerato il continuatore tanto nel campo dell’etica quanto nel razionalismo, talora ingenuo, del suo atteggiamento, anche se, nel campo metafisico e speculativo, abbandonò la dottrina delle monadi. La sua filosofia continua in parte, e in parte sostituisce e rinnova, la filosofia tradizionale delle università tedesche, formando una nuova «scolastica», che esercitò larga influenza fino alla rivoluzione filosofica kantiana, la quale scosse gli animi dal «sonno dogmatico» del razionalismo wolffiano, tutto fondato sul metodo deduttivo e privo di ogni valutazione positiva dell’esperienza, e di ogni altro aspetto della vita dello spirito, al di fuori dell’intelletto astratto. Con il suo concetto della filosofia come «scienza di tutte le cose, del modo e della ragione della loro possibilità», W. ha dato vita a un sistema filosofico di carattere enciclopedico ed eclettico, culminante in un teismo fondato sulla dimostrazione «cosmologica» dell’esistenza di Dio. In generale, però, più che per le sue dottrine, W. ha avuto importanza per l’esigenza, posta e sostenuta, che la filosofia debba avere utilità pratica, e che quindi debba essere chiara e precisa. Rilevanza storica, più che teorica, ha avuto la dottrina politica di W., per l’influenza che essa ha esercitato su Federico II; il bene dello Stato (concepito contrattualisticamente, al pari della morale, come Stato di polizia, organizzato allo scopo di procurare la maggior felicità possibile al singolo) è l’unica legge alla quale deve sottostare il sovrano, che altrimenti, in quanto despota illuminato, ha poteri assoluti. La filosofia di W. ebbe larghissima diffusione in Germania (e anche in Italia), perché corrispondeva all’esigenza del tempo, e preparava il terreno alle principali idee dell’Illuminismo tedesco, e soprattutto ai suoi motivi di filosofia morale, pratica. Kant celebrò lo «spirito di coscienziosità» che gli scritti di W. avrebbero contribuito a creare in Germania, tanto per l’esattezza delle formulazioni, per cui W. è stato il creatore della terminologia filosofica tedesca, quanto per la minuziosa ricchezza di particolari nelle trattazioni. Famose, invece, le espressioni ironiche di Hegel a proposito di quelle minuzie e della ingenuità delle spiegazioni razionali che W. intese dare di ogni fatto e di ogni fenomeno, anche di secondaria importanza filosofica. Famosa anche la satira di questa filosofia offerta da Voltaire nel Candide (1759). Autore assai fecondo, scrisse buona parte delle sue opere in latino (23 voll., più volte ripubblicati), ma quelle composte in tedesco esercitarono maggiore influenza sui contemporanei. Del secondo gruppo si ricordano in particolare: Vernünfftige Gedancken von den ­Kräften des ­menschlichen Verstandes (1712, 9ª ed. 1738); ­Vernünfftige Gedancken von Gott, der Welt und der Seele des ­Menschen (1719, 5ª ed. 1732; trad. it. Metafisica tedesca: pensieri razionali intorno a Dio, al mondo, all’anima e anche a tutti gli enti in generale); Vernünfftige ­Gedancken von der Menschen Tun und Lassen (1720); Vernünfftige Gedancken von dem ­gesellschaftlichen ­Leben der Menschen (1723; 5ª ed. 1740).

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