Ciampolodi Navarra

Enciclopedia Dantesca (1970)

Ciampolodi Navarra

Eugenio Chiarini

Protagonista dell'episodio di If XXII 31-132, il barattiere del regno di Navarra nato. Di lui non sappiamo nulla oltre quello che ne riferiscono gli antichi commentatori sulla traccia di D.; il quale peraltro non ne cita il nome, Ciampolo o Giampolo (in Toscana non inconsueto: cfr. il sonetto Deh guata, Ciampol, ben questa vecchiuzza, attribuito all'Angiolieri; o il Ciampolino nominato in cinque sonetti di Meo de' Tolomei), che ricorre, non conosciamo su qual base, nei commentatori, primo nel tempo il Lana. Curiosa l'affermazione di Benvenuto, presentata però come ipotesi personale (" prout imaginor ") e desunta probabilmente dall'etimo (Jean Paul): " Dantes habuit istud novum Parisius [sic .per Parisiis '] cum ibi esset gratia studii post indignam expulsionem suam; et quia notaverat inauditas fraudes et profundas malitias istius diaboli, qui plus sciebat omni diabolo, decrevit facere perpetuam memoriam de eo ". Allo stato attuale degli studi, il problema dell'identificazione storica di C. resta, dunque, aperto.

" Nacque [Giampolo] ", così il Lana, " per madre d'una gentil donna di Navarra... 'l padre suo fu un ribaldo, il quale era distruggitore di sé e delle sue cose. Come fu un poco grandicello fu messo per sua madre a servire un signore, in lo quale officio elli seppe sì proficare ch'elli montò a essere famiglio del re di Navarra, il quale ebbe nome Tebaldo... E fu lo detto Giampolo tanto in grazia del predetto re Tebaldo [con ogni probabilità Tebaldo II, quinto conte di Champagne, re di Navarra dal 1253 al 1270]... ed ebbe tanto stato in sua corte, ch'elli avea possanza di dispensare de' benefici e grazie... li quali barattando per pecunia, elli dispensava in modo illicito e inonesto ".

Che D. abbia omesso di farne il nome espressamente per generalizzare la colpa di baratteria, come intese fare con l'anzian di santa Zita portato dal diavolo, è improbabile: non abbiamo alcuna notizia " delle baratterie navarrine per credere a questa tipicità " (Zingarelli); e i particolari biografici, che il personaggio fornisce al poeta, sono, pur nella loro sostanziale anonimia, troppo specifici per autorizzare una generalizzazione del peccato a tutto un ambiente. É probabile invece che tale omissione, legittimata - nella risposta del barattiere - dal tenore della domanda di Virgilio (domandollo ond'ei fosse), che traduceva in modo equivalente ma impreciso il desiderio espresso da D. (fa... / che tu sappi chi è), rispecchi semplicemente la concitazione psicologica del dannato sotto l'assillo della paura (Chiappelli); se non pure un istinto ‛ primario ' di occultamento, sotteso sia alla larghezza oratoria della risposta (eccedente la domanda: " quia ille [rileva Benvenuto] interrogatus de gente vel de patria, describit se a gente, a parentibus, ab officio, ac insuper a vitio, quo damnatus est "), sia allo " scaricarsi ulteriore delle denunzie sopra gli invisibili peccatori, segnati, secondo una tecnica di spostamento dal centro alla periferia... nel frate Gomita, / quel di Gallura e nel dorano Miche/ Zanche / di Logodoro " (Sanguineti).

Indugiando a ritrarsi sotto la pece, C. è colto dal ronciglio di Graffiacane, tratto su a mezz'aria per le 'mpegolate chiome ed esposto allo scherno e allo scempio dei diavoli, che, impazienti di ‛ disfarlo ', rompono a più riprese lo sviante dialogo di lui con Virgilio. Ma, sfruttando la curiosità dei due poeti, egli riesce dapprima a contenere l'impulsività famelica dei feroci aguzzini, poi ad attirarli nella buffa ragna del nuovo ludo: una gara di velocità, che Alichino propone per fatua spavalderia e che il navarrese corre e vince con un balzo fulmineo dentro la pece. Il suo gioco, sospinto dalla paura ma padrone di essa (fino ad assumer toni squisitamente istrionici), consiste in una schermaglia di risposte folte di puntuali dati e giudizi tra il cinico e il moralistico, ma accortamente tramate di omissioni, sospensioni, insinuazioni, lusinghe, che fa spicco in un contesto di similitudini animalesche e di elementari interventi diabolici, e ne risulta, insieme, incastonata, e coinvolta nell'acre, compiaciuto distacco del poeta. Una figura, il navarrese, di sottile disegno psicologico e di non comune interesse drammatico.

Benvenuto lo definì " baratarius minor ", al confronto dei diavoli, pur mettendo in rilievo " quomodo minor interdum seminat lites inter eos et fugit et evadit ". Per il Pagliaro, ‛ minores ' sono invece effettivamente i diavoli, " che del barattiere incarnano gl'istinti inferiori ": C., egli scrive, " qualifica la baratteria nel suo tipico aspetto umano di furberia e astuzia faccendiera, di contro alla versione grossolana e animalesca, rappresentata dai diavoli stupidi, crudeli e mentitori a vuoto ", che inseguono " una preda per essi intangibile [D. e il suo duca] non si sa con quale proposito ". Giudizio obiettivo, da rivedere, peraltro, sulla scorta del Bacchelli, in un punto di estrema importanza: in codesta asciutta valutazione dei diavoli come " mentitori a vuoto ", " senza scopo ".

Se è vero " ciò che era sfuggito ai dantologi tutti " (Apoll onio) e fu dal Bacchelli acutamente investigato e chiarito, che il nucleo drammatico dei canti XXI e XXII è " l'intellettualismo di Virgilio chiuso alla partecipazione della grazia " e che " antagonista dell'insidia dei diavoli, mossa con la frode, è la grazia di Dio "; la bugia di Malacoda e con essa tutto il contegno dei diavoli e la stessa partecipazione del navarrese alla " farsa dei ponti rotti " andranno profilati, in ultima istanza, sullo sfondo latente ma incombente di cotesto antagonismo irriducibile. L'intento diabolico " d'indurre D. a disperar della salvezza di fronte a Virgilio smentito e schernito " è irrinunciabile: " dramma eterno (trascendente la ragione) della mala volontà fiaccata che volge in ira e odio e malizia immortali la propria stessa umiliazione e sconfitta ". Ché se il ludo si chiude con danno e con beffa (If XXIII 14) dei diavoli (Alichino e Calcabrina, in rissa furiosa, finiscono impaniati nel mezzo della pece, mentre i poeti scampano con la fuga al secondo tempo dell'insidia di Malacoda), se " nell'esercizio della tentazione perditrice... celatamente opera... il limite predestinato insito nella loro stessa bizzarria ", questo " è il fato pur saputo e pur cercato " dai reietti; e non detrae alla " disperata e dannata passione " che è loro " essenza originaria ed ultima, soprannaturale e teologale ".

Bibl. - N. Zingarelli, rec. a O. Gori, Il c. XXII dell'Inferno, in " Bull. " XIII (1906) 17-18; si vedano inoltre le ‛ lecturae ' di L. Pietrobono, Torino 1952; F. Chiappelli, in Lett. dant. 417-428; M. Petrucciani, in " Lettere italiane " (1968) 3-16 (rist. in Nuove lett. II 205-223); e gli studi di R. Bacchelli, Da Dite a Malebolge, in " Giorni stor. " CXXXI (1954) 1-33 (rist. in Studi critici, Milano 1962, 845-878); E. Sanguineti, Interpretazione di Malebolge, Firenze 1961, 135-149; Pagliaro, Ulisse 311-324.