CIELO d'Alcamo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 25 (1981)

CIELO d'Alcamo

Niccolò Mineo

La prima notizia di un poeta di nome "Cielo" proviene dall'umanista Angelo Colocci, che, non sappiamo' in base a quali testimonianze, a lui assegna la paternità del famoso contrasto "Rosa fresca aulentissima", citato da- Dante nel De vulgari eloquentia (I, XII, 6) come esempio della lingua dei siciliani di media condizione.

Nessuna notizia di questo poeta si ha nei documenti del Duecento. Il Contrasto è l'unico componimento che gli si attribuisca, ma nel più antico codice che lo registri, il Vat. lat. 3793, è adespoto. L'attribuzione del Colocci - che indica il solo nome "Cielo" - è nella prima pagina (che è di sua mano), la 104v, dell'indice di questo stesso codice e anche in quello del Vat. lat. 4821 copia dello stesso Colocci del primo, e in una sua notazione del Vat. lat. 4817 (f. 171): "Io non trovo se non cielo dal camo, che tanto avanti scrivesse, quale noi chiamaremo Celio. Costui adunque fu celebre poeta dopo la ruina de gothi..." (cfr. Monaci, p. IX).

Un'errata lettura, probabilmente, del testo colocciano, che alterna due forme di e, una delle quali può esser scambiata per u, indusse l'Ubaldini a leggere "Ciulo di Camo" (così, il Monaci); tale lettura fu seguita dall'Allacci e dal Mongitore, che come già l'Auria, lesse "dal camo" come "d'Alcamo". Così si impose la denominazione "Ciullo d'Alcamo", che ha avuto fortuna sino ai nostri giorni. Il nome del poeta è stato correttamente definito nel contesto dei dibattiti - sul - Contrasto innescati dalle tesi del Caix, che, rifiutò l'attribuzione colocciana, ribadendo l'illegittimità della lettura "Ciullo" e al tempo stesso escludendo sia l'esistenza di un nome "Cielo" e di una località chiamata "Camo" sia la celebrità di un poeta in tal modo designato. Il Contrasto, secondo lui, andava invece attribuito a Giacomino Pugliese, trovandosi nel codice 3793 inserito tra un componimento attribuito a questo poeta dal codice e un altro attribuitogli, con argomenti piuttosto labili, dallo stesso Caix. La questione del nome sarebbe stata definitivamente risolta dall'Avolio che spiegò la formsi "Cielo" come derivazione da "Celi", a sua volta derivato da "Cheli", diminutivo di "Micheli". Quanto alla specificazione "dal camo" (che nell'indice del codice 4823 si legge "dalcamo"), sia il Cavazza che il D'Ovidio sostennero l'ammissibilità dal punto di vista palcografico di una lettura sia "dal camo" che "d'Alcamo". Nel primo caso il poeta sarebbe designato, stando ai significati di "camo" (specie di "panno" oppure "freno", "morso") in riferimento a fogge d'abbigliamento o a eccentricità caratteristicamente associate alla sua figura: ipotesi che troverebbe verosimiglianza ove C. fosse stato, come voleva il De Bartholomaeis, un istrione. Nel secondo caso il poeta è designato o in rapporto al luogo di nascita o, comunque, di provenienza, oppure al casato. Non è mancato chi, fondandosi soprattutto sul referto linguistico e sulla menzione di s. Matteo del V. 126 e presupponendo una immediata connessione tra lingua del Contrasto e parlata nativa del poeta ha pensato ad un'origine continentale di C., a "una qualche provincia del napoletano, forse a Salerno", di cui, tra l'altro, è patrono "Santo Matteo" (Cesareo, La poesia sicil. ..., 1894, pp. 307 s.). Niente in realtà impedisce di ammettere.la nascita in Alcamo; il cognome derivato dal luogo d'origine attesterebbe, ed è un dato di qualche importanza; che il poeta ne dimorasse lontano.

Ipotesi sufficientemente fondate sull'epoca della composizione del Contrasto e della vita stessa di C. consentono di fare i riferimenti storico-geografici interni al componimento, concentrati nei versi 21-30: si tratta della menzione dell'istituto giuridico della "difensa", di una moneta (gli "agostari", della città di Bari, dello "imperadore", del Saladino e del soldano. Chi ha riconosciuto in Saladino precisamente il famoso sovrano d'Egitto e di Siria, morto nel 1193, ma, sembrerebbe, ricordato come vivo nel testo, ha dedotto che la composizione del Contrasto non può scendere al di qua di questa data o comunque non può allontanarsene di molto. Chi non poteva risolversi ad ammettere una datazione così alta ha pensato o ad un errore del testo, come il Nannucci e il Grion (Ilserventese di C. d'A. ..., 1858, p. 15), o ad un'ignoranza da parte di C. (o della protagonista) della data esatta di morte del Saladino (D'Ovidio, IlContrasto di C. Dalcamo, p. 243), 0 che C. avesse scritto non "Saladino" ma "Sefadino", che gli successe nel regno (De Angelis, Lettera apologetica..., Siena 1818. p. 23). La soluzione generalmente accolta, già intuita dal Crescimbeni, è quella proposta dal Grion (Ilserventese..., 1871) e dal D'Ancona (Il Contrasto..., pp. 375 ss.), che mostrarono come il termine "Saladino" non fosse un nome, ma un titolo attribuito a tutti i successori del celebre Yūsuf, che lo portò per primo. Lo stesso si dovrà dire del termine "Soldano". Difficoltà sono derivate anche dalla forma"ambari" (come si legge nel codice) del v. 23, solitamente interpretata "'n Bari". Non sono mancate però proposte di emendamento della forma "ambari": chi ha letto "Nari" (Naro) invece di "Bari", come il Corazzini, chi "ampari" dal latino volgare "amparare" (= ereditare, acquistare, possedere), come il Cesareo (p. 315, chi "ammari" (= nel mare), come il Cavazza e, poi il D'Ovidio (IlContrasto..., pp. 239 s.) e il Pagliaro (IlContrasto..., in Saggi di critica semantica, pp. 248s.). Convincente appare l'interpretazione fornita da S. Santangelo (Ricerche su C. d'A. e C. Pugliese, in Boll. stor. catanese, IX-X [1944-45], p. 117), che considera "ambari" un congiuntivo presente, terza persona singolare da "ambarari" (= ammassare). Decisivi per la datazione sono gli altri riferimenti. Si è discusso súlla data di codificazione dell'istituto della difensa. In seguito alle argomentazioni del D'Ancona (pp. 334-51, si è imposto il collegamento con le costituzioni di Melfi del 1231, contro il Vigo, che aveva tentato di dimostrarne la maggiore antichità (Ciullod'A. ..., p. 24). In effetti recenti studi sembrerebbero dar ragione a quest'ultimo, su questo punto (E. Kantorowicz, Invocatio nominis imperatoris..., in Bollett. di studi filol. e linguistici siciliani, III [1955], pp. 36-39). È invece la connessione che nel testo si attua con l'invocazione all'imperatore e con la comminazione di una pena pecuniaria da parte di un privato che assicura del riferimento alle costituzioni di Melfi, poiché solo in queste un siffatto nesso trova riscontro. Ogni dubbio per di più è eliminato dalla menzione degli "agostari", di cui già il Nannucci si era servito, sia pur con errori di datazione, per riferire il componimento all'epoca federiciana (p. 8). La moneta infatti fu per la prima volta coniata e messa in circolazione dopo la codificazione del 1231 (cfr. Grion, Ilserventese... Esercitazione crit., pp. 8 s.; D'Ancona, pp. 349ss.). Né si può pensare agli agostari dello statuto di Enrico VII dell'anno 1312, ché a quella data il componimento era già noto (basti pensare alla citazione dantesca). La data del 1231 èpertanto un terminus post quem indiscutibile. Il terminus ante quem si ricava dalla menzione dell'imperatore, che, per quanto già detto, non può non essere Federico II. Poiché il senso del contesto porta a presumere che il riferimento sia a lui vivente, si deduce che il Contrasto è stato composto entro il 1250, anno della morte di Federico II. A questo punto può essere ricordato il rilievo del Bartoli (Iprimi due secoli..., p. 132) sulla marca federiciana dell'"alito di incredulità" che percorre il componimento. Tentativi di più precisa datazione entro l'ambito così delimitato, 1231-1250, non hanno gran fondamento.

L'interrogativo sulla condizione sociale di C. ha occupato a lungo la critica, ma è stato scorrettamente impostato, finché è invalsa l'identificazione tra autore e protagonista maschile del Contrasto. Solo un carattere di curiosità ha ormai la tesi della sua condizione magnatizia (estesa anche alla protagonista femminile del Contrasto, ritenuta una persona storica), foúdata sull'accenno ai "dumila agostari" del v. 22 e alle "mille onze", del v. 90: un mito costruito dal Grion e soprattutto dal Vigo. Più seriamente motivata la tesi della nobiltà di C. presso il Caix (Ciullo d'A. e gli imitatori ..., 1875). Convinto della derivazione del Contrasto dalla pastorella francese il critico doveva, per confermare l'analogia, poter riconoscere in esso una tipologia sociale dei personaggi riconducibile al modello presunto e cioè la nobiltà dell'uomo attore e. autore e l'umile rusticità della donna. E per questo faceva leva soprattutto sul "villana" del v. 75 e sul "maiuto" del v. 114, Una stoffa modesta. Letture più attente alla situazione contestuale dovevano far giustizia di tali fantasticherie, a partire dalla condizione dei personaggi. Nel Saggio critico sul Petrarca ilDe Sanctis non dubitava di scrivere: "è rappresentato un don Giovanni da taverna, che cerca di sedurre ed anche di far forza ad una giovane: l'una degna dell'altro" (Opere, VI, p. 48). Sulla "volgarità" dei protagonisti pose l'accento il Bartoli (p. 130). anche se la addebitava all'origine popolare dell'autore (Iprimi due secoli..., pp. 129 s.). Fu il D'Ancona che ridusse sia l'autore sia i personaggi alla dimensione della popolarità (IlContrasto di C. dal Camo, pp, 245 s.). Gli fu facile infatti dimostrare il carattere di iperbole vantatoria e di ironia, tipico del genere, delle battute dei personaggi allusive a condizioni economiche e sociali elevate. Ed è pure decisivo il motivo dei versi 86-90 (cfr. Bartoli, Storia della letter. ital., p. 132), che non possono interpretarsi se non come denuncia della modesta condizione dei corteggiatore. Chi ha voluto poi precisarne la collocazione ha ritenuto che in lui si debba riconoscere un giullare. Il D'Ovidio invece, convinto che l'autore avesse localizzato l'azione in Salerno, avanzò l'ipotesi che potesse trattarsi di uno studente di quella scuola medica, del che sarebbero prova il "cortel novo" del v. 142, che potrebbe essere un arnese chirurgico, e il "libro" dei versi 151-151 che invece dei libro sacro potrebbe essere un testo di uso scolastico (IlContrasto..., pp. 331 s.). Il riconoscimento della popolarità dei personaggi avrebbe esteso questa specificazione (ancora, ma non solo, per effetto dell'identificazione di cui si è più volte detto) allo stesso autore. E allora il discorso sulla sua condizione sociale e sulla popolarità o meno del componimento si sarebbe collegato a quello sulla posizione storico-letteraria e sulla lingua del Contrasto e sulla sua stessa qualità artistica. Punto di partenza è l'affermazione del De vulgari eloquentia:"... si vulgare sicilianum accipere volumus, secundum quod prodit a terrigenis mediocribus... prelationis honore minime dignum est, quia non sine quodam tempore profertur, ut puta ibi: Tragemi d'este focora, se t'este a boluntate"(I, XII, 6). Un passo da cui si deduce la sicilianità di C., secondo Dante, la sua fama (la citazione è anonima, ma per la notorietà del testo, così come sono anonime nello stesso capitolo quelle dei versi di Guido delle Colonne, lacopo da Lentini, Rinaldo d'Aquino) e la sua rappresentatività del livello linguistico-culturale del ceto medio siciliano (i "mediocres"). Una collocazione cui si è creduto di poter fare corrispondere, in termini di categorie socio-letterarie, l'ascrizione di C. alla categoria dei giullari (A. Gaspary, Storia della letter. ital., I, Torino 1887; p. 66; G. A. Cesareo, La poesia siciliana..., pp. 305 s.; 316). Un uomo di teatro, un "istrione" (sempre un giullare dunque), in dipendenza dalle sue donvinzioni complessive riguardo al Contrasto, avrebbe visto in lui il De Bartholomaeis (Origini della Poesia..., p. 48). Ma già il D'Ovidio non credeva di accogliere tale classificazione, convinto della natura non professionistica del poetare di Cielo. D'altra parte, facendosi strada gradualmente la convinzione che la condizione dei personaggi potesse non riflettere quella dell'autore, sempre meno si pote, vano utilizzare i dati offerti dal testo, anche quelli di ordine linguistico e stilistico-formale, per riferirli immediatamente all'autore. La stessa testimonianza di Dante è riferibile solo alla lingua del Contrasto (cfr. Jeanroy, p. 39, n. 1 e G. Folena, Cultura e poesia dei siciliani, p. 329) e non anche alla condizione sociale di Cielo. Dalla lingua del componimento non si può dedurre neanche la sua patria (cfr. A. Monteverdi, Rosa fresca aulintissima..., Studi..., 1954, p. 117). Sicché l'unico argomento di un certo peso per un'ipotesi sulla condizione sociale di C. rimarrebbe quello ex silentio, addotto dal Cesareo: il silenzio dei documenti, ufficiali e degli stessi documenti letterari coevi su questo poeta e l'assenza di un titolo o nobiliare o professionale anteposto al suo nome, che sarebbero indici di una estrazione modesta. Sono elementi tuttavia che, se quasi sicuramente escludono un'alta collocazione personale del poeta, non implicano però una sua totale separazione dalle zone dell'alta cultura e dell'alta dirigenza federiciane. Anzi, se è vero che la lingua del Contrasto ha forti caratteristiche messinesi, si può pensare a una sua vicinanza agli ambienti cortigiano-culturali, tra i più avanzati dell'epoca, della città peloritana. E ciò tanto più se si approfondisce il discorso sulla qualità stilistica del Contrasto, come ha fatto la critica contemporanea. D'altra parte la fortuna presto riscossa dall'opera potrebbe anche avere condannato all'oblio altri componimenti di C. di fattura aulica.

La tradizione critica, sino a tutto l'Ottocento, ha quasi costantemente ascritto il componimento di C., sul piano stilistico formale, al livello popolare, annettendo a tale collocazione valutazioni sia di ordine negativo che, più spesso, soprattutto dopo che si fu imposto il gusto romantico, positivo. Il Caix invece, in base ad argomenti non solo di ordine sociale, ma pertinenti alla struttura e allo stile, sostenne la non popolarità del Contrasto. Attenzione avrebbero meritato i suoi rilievi sulla presenza nel componimento di immagini, figure e stilemi del frasario trobadorico e di gallicismi e provenzalismi linguistici: il D'Ovidio avrebbe ammesso che tali rilievi devono "indurre a fare alla popolarità di esso restrizioni più esplicite e più gravi che non si sien fatte in passato" (Il Contrasto..., p. 191). Lui stesso, mentre poneva, nel saggio del 1910, i temi più validi della critica contemporanea, individuava il carattere di parodia dello stile cortese di certi tratti del Contrasto, di cui coglieva l'essenza nella costruzione fondata sul gioco di opposizioni di registri. La critica successiva, acquisita decisamente col De Bartholomaeis la nozione della non identificabilità di, autore e personaggio, ha sempre più sicuramente riconosciuto il carattere artisticamente elaborato del Contrasto, riproducendo però il discrimine valutativo in rapporto alla collocazione letteraria di C.: la sua ascrizione alla categoria dei giullari o a quella dei poeti di corte. Ma non manca, una varia gamma di posizioni intermedie. Quasi generale è comunque il rilievo attribuito ai due registri dell'opera, quello "aulico" e quello "popolare" e l'impegno a definirne la funzione. Una tematica, questa, intimamente connessa a quella della lingua. Mentre non hanno più credito sia la teoria della "mescidanza" di vari dialetti, sia quella dell'appartenenza all'area pugliese, magari nel senso di genericamente meridionale o all'area napoletana, è quasi generale iI riconoscimento (dando nuova validità al giudizio dantesco) della sua sicilianità di fondo, riconosciuta già dal D'Ancona ed ora ben confermata da Ugolini (Problemi, 1940). Quanto a ulteriori delimitazioni, prevale quella del Pagliaro (Il Contrastodi C. d'A., apparso in Saggi di critica semantica, pp. 254 s.), che ha isolato nel Contrasto tratti caratterizzanti riportabili all'arte linguistica messinese e spiega certe deviazioni come effetto della trasmissione meridionale e, naturalmente, della finale toscanizzazione. Va tenuta presente anche l'ipotesi del Monteverdi di un ecclettismo dialettale deputato a scandire l'opposizione alle forme di tipo cortigiano (Rosa fresca aulentissima..., pp. 115 s.).

Di ascendenza letteraria, anche se non spiccatamente cortese, sono i rari provenzalismi e i firequentissimi gallicismi, ma la componente colta e. letteraria penetra il testo a vari livelli (Segre, Polemica linguistica..., 1963; E. Pasquini, C. d'A.), sino all'impostazione tecnica del contrasto, compattamente serrato nella fitta rete di un duello verbale che, nella corrispondenza tra misura strofica e battute, propone con repentina mossa un nuovo motivo alla fine di ogni strofa, negli endecasillabi, e adibisce gli alessandrini immediatamente seguenti allo sviluppo della risposta (G. Folena, Cultura e poesia dei siciliani, p. 333). Una strutturazione cui si conforma, funzionalmente, la struttura bipartita delle strofe e lo schema a "coblas capfinidas".

Anche il metro del resto ha caratteristiche di tipo dotto. Superate le vecchie teorie del Colocci (di cui ci informa l'Allacci) che nella prima parte della strofa riconosceva dei distici di imitazione bizantina, e del Crescimbeni (Istoria della volgar poesia, I, p. 3), che la divideva in settenari sdruccioli, senza rima, e piani rimati, si è individuata una struttura strofica di tre versi alessandrini monorimi (Grion, Ilserventese... Esercitazione critica, p. 61), sdruccioli nel primo emistichio, e di due versi endecasillabi a rima baciata. Èuno schema metrico certamente non lirico, che rivela affinità però più che con quelli della poesia didascalica, della Italia settentrionale (Uguccione da Lodi, Gerardo Patecchio) con quelli di certi poemetti napoletani (più tardi però) come il Liber balneorum e il Regimen sanitatis (D'Ancona, IlContrasto..., pp. 326-33; Monaci, Sulla strofa del Contrasto..., 1875), ma può distinguersi dai primi per la presenza dell'emistichio sdrucciolo e dei due endecasillabi, da tutti inoltre per il numero ternario degli alessandrinì (cfr. Contini, 1960, p. 174). E se ne distingue soprattutto per la regolarità della struttura metrica, per la perfezione della rima e il legame a "coblas capfinidas". Più pertinenti somiglianze, crediamo. sono state viste col metro delle canzoni narrative francesi (jeanroy, La lirica francese in Italia ..., p. 51) e con quello di un inno latino del secolo XI-XII (Becker, 1935, pp. 329 ss.).

Ai modi letterari e cortesi sono giustapposti quelli "estremisticamente" vernacolari e popolgreschi (vv. 31, 72, 73, 143, 159): alternanza che è in verità un'opposizione. Eppure andrebbero ridimensionate la centralità e l'incidenza di questa forbice stilistica. E poi bisognerà pure, con Dante e grazie alle dimostrazioni del Pagliaro, riportare decisamente la componente "popolare" al livello cui veramente appartiene, che è quello "mediocre", con l'implicito collegamento ai "terrigenae mediocres".

Può darsi che un intento parodistico abbia mosso il poeta a rappresentare, inventando e realizzando una struttura propriamente teatrale. (data l'assenza di qualsiasi elemento narrativo), la situazione di personaggi di condizione probabilmente "piccolo borghese" (lui forse un giullare, stando al "canzoneri" del v. 39) che vogliono impreziosire il loro linguaggio col ricorso a moduli propri dei codici assunti dalle classi alte, ma non possono stabilmente trascendere la propria realtà culturale e linguistica e anzi non possono fare a meno, per esigenze espressionistiche, di ricorrere alla vividezza plebea del vernacolo. Una costruzione pensata ed elaborata per il divertimento, certo, di un pubblico intendente. Ma il soggetto cloveva rivelarsi così sorprendentemente dotato di autonoma forza generativa, per l'invenzione di una situazione tutta poggiata sulle determinazioni di un sanamente naturale e indomito impulso sensuale, da trasformare l'intenzione parodistica in oggettività di rappresentazione realistica da cui doveva uscire demistificata, al contrario, proprio l'ideologia cortese dell'amore, discoprendosi, al di là della sublimazione tematica e formale, la naturalità carnale dell'eros. Si spiega dunque come il componimento di C. potesse avere larga diffusione anche presso un pubblico popolare e potesse essere portato con fortuna per le piazze dai giullari. Così il "genere" erotico-contrastivo (la vecchia pastorella) subisce una accentuata variazione anche rispetto al Contrasto bilingue di Raimbaut de Vaqueiras (che è il modello più presente a C.), in direzione urbana (la scena sembra svolgersi nello sfondo di una città marinara) e in qualche modo "democratica", in quanto trovano rilievo d'arte, sia pur ambiguamente, personaggi di umile condizione. Si apriva una via che avrebbe condotto a Boccaccio.

La più antica ediz. è di L. Allacci, in Poeti antichi raccolti da codici manoscritti della Biblioteca Vaticana e Barberina, Napoli 1661, pp. 287, 408-16 (cfr. anche la Prefazione, pp. 21 ss.). Fondamentali le edizioni di A. D'Ancona, IlContrasto di C. d'A., in Le antiche rime volgari, secondo la lezione del cod. Vat. 3793, a cura di A. D'Ancona - D. Comparetti, I, Bologna 1875, pp. 165-367; e di R. D'Ovidio, Il Contrasto di C. Dalcamo, in Versificazione romanza. Poetica e poesia medioevale, Milano 1910, pp. 589-750, ora in Opere, IX, Napoli 1932, pp. 169-335. Tra le più recenti, le più importanti sono: F. Ugolini, Testi antichi italiani, Torino 1942, pp. 158 ss.; A. Pagliaro, IlContrasto di C. d'A., in Poesia giullaresca e poesia popolare, Bari 1958, pp. 195-232; G. Contini, in Poeti del Duecento, MilanoNapoli 1960, pp. 173-185; B. Panvini, in Le Rime della scuola siciliana, I, Firenze 1962, pp. 169-76.

Fonti e Bibl.: F. Ubaldini, in Francesco da Barberino Documenti d'amore, Roma 1640, nel verso della carta segnata * nel recto della carta segnata fr; V. Auria, La Sicilia inventrice..., V, Palermo 1704, p. 11; A. Mongitore, Bibl. sicula, I, Palermo 1708, p. 140; G. M. Crescimbebeni, Ist. della volgar poesia, I, Venezia 1731, pp.2-6; II, 2, ibid. 1731, pp. 7-11; G. M. Mazzucchelli, GliScrittori d'italia, I, 1, Brescia 1753, p. 352; G. Tiraboschi, Storia della letter. ital., VIII, Venezia 1823, pp. 513 s.; V. Nannucci, Manuale della letter. del primo sec. dellalingua ital., Firenze 1839, p. 9; G. Grion, Ilserventese di C. d'A. Esercitaz. critica, Padova 1858; L. Vigo, Sulla canzone di C. d'A. Disamina, Catania 1869; F. De Sanctis, Saggio criticosul Petrarca, Napoli 1869, ora in Opere, a cura di C. Muscetta, VI, Torino 1952, p. 48; Id.. Storia della letter. ital., ibid., VIII, Torino 1958, pp. 3-6; L. Vigo, Ciullod'A. e la sua tenzone. Commento, Bologna 1871; G. Grion, Ilserventese di C. d'A. Scherzo comico del 1247, Bologna 1871; V. Caix, Ciullod'A. e gl'imitatori delle romanze e pastorelle provenzali e francesi, in NuovaAntologia, 30 nov. 1875, pp. 477-521; E. Monaci, Sulla strofa del Contrasto di Ciullo d'A., in Riv. di fil. romanza, II(1875), pp. 113-16; A. D'Ancona, IlContrasto di C. d'A., cit., poi in Studi sulla lett. ital. dei primi secoli, Ancona 1884 (con l'aggiunta di un'Appendice bibliogr.), pp. 239-458;A. Bartoli, Diuna nuova opinioneintorno al Contrasto di Ciullo d'A., in Riv. europea, VII (1876), 2, pp. 281-94;A. Borgognoni, Gli antichi rimatori meridionali, in IlPropugnatore, IX (1876), 2, pp. 32-81(poi in Studi dierudizione e d'arte, I, Bologna 1878, pp. 109-96);N. Caix, rec. a D'Ancona, IlContrasto..., cit., in Riv. di filologia romanza, II(1876), pp. 177-91;Id., Ancora del Contrasto di Ciullo d'A., in Riv. europea, VII (1876), 2, pp. 547-58;F. Corazzini, Del Contrasto di Ciullo d'A., in IlPropugnatore, IX (1876), pp. 372 ss.;E. D'Ovidio, Della questione della nostra lingua e della questionedi Ciullo d'A. Risposta al Prof. Caix, in Saggicritici, Napoli 1878, pp. 466-538;A. Gaspary, Die Sicilianische Dichterschule des dreizehntenJahrhunderts, Berlin 1878, pp. 123-26;A. Bartoli, Storia della lett. ital., II, Firenze 1879, pp. 124-53;N. Caix, Chifosse il preteso Ciullod'A., in Riv. europea, X (1879), pp. 231-51;P. Cavazza, Ancora sull'ipotesi del Prof. Caix, in Rass. Palermitana, I(1879), pp. 42ss.; F. D'Ovidio, Altro contrasto sul Contrasto di C. d'A., in Giorn. napol. di filosofia, n. s., II(1879), pp. 59-108;L. Vigo, Appendice alla disamina e alcommento della tenzone di C. d'A., Alcamo 1879;A. Bartoli, Iprimi due secoli della lett. ital., Milano 1880, pp. 128-33;C. Cipolla, Una questione paleografica, in Giorn. stor. d. letter. ital., IV (1884), pp. 389-97; C. 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