CILICIA

Enciclopedia dell' Arte Antica (1994)

Vedi CILICIA dell'anno: 1959 - 1994

CILICIA (Κιλικία, Cilicia)

B. Pinna Caboni

Antica regione della penisola anatolica sud-orientale, attualmente integrata nel territorio della Repubblica Turca: il toponimo latino C. appare un adattamento del nome greco Κιλικία (Herodot., III, 89, I e 97, 1) derivato a sua volta dal toponimo di origine anatolica Khilakku (prima attestazione in documenti neo-assiri dell'858 a.C.) e usato ancora in età bizantina.

Nelle fonti, l'etnico «Cilici» (Κίλικες) compare fin da epoca molto antica, ma con diversi significati: in Omero (Il., VI, 397 e 415) designa una popolazione della Troade alleata dei Troiani alla quale appartiene fra l'altro, come rievoca Euripide (Andr., 1; Rhes., 540-542), Andromaca moglie di Ettore. Erodoto attribuisce l'etnico, invece, agli abitanti nella loro sede storica (II, 17); Strabone (XIII, 1, 7; I, 49; I, 60, 1) torna a parlare della Troade, dove colloca però addirittura due stati cilici. Il fatto che nella tradizione letteraria, storica e geografica si parli della Troade da una parte, della C. vera e propria dall'altra, può suggerire due diverse ipotesi: arrivo dalla C. stessa di contingenti di Cilici alleati di Troia, oppure migrazione dei Cilici a S dopo la lunga guerra. Se è vero che molte città della C. ancora in età ellenistico-romana legheranno le loro origini a imprese di eroi della guerra di Troia, i dati archeologici hanno rivelato un legame assai più antico tra la C. e l'Anatolia settentrionale, che può farsi infatti risalire alla prima Età del Bronzo, come hanno rivelato la analogie ceramiche tra i livelli di Troia I e II e i coevi ritrovamenti di Tarso e Mersin.

La C. si affaccia a meridione sul Mediterraneo ed è separata da Cipro da un breve tratto di mare noto come Stretto di C. (Αυλών Κιλίκιος) e terminante nel golfo di Isso (Issicus Sinus), l'odierno Iskenderun Körfezi. Imponenti barriere orografiche ne delineano invece i confini separandola nettamente dalle altre regioni dell'Asia Minore, dall'oriente mesopotamico e dalla Siria settentrionale: la catena del Tauro (Toros Dağları) a Ν e NO, l'Anti-Tauro (Bimboga Dag) a NE e i monti dell'Amano (Nur Dağları) a E. Protetta da queste barriere montane, si apre la fertile piana alluvionale cilicia (Çukurova), ancora oggi tra le più privilegiate per le coltivazioni e gli insediamenti in quanto attraversata da tre grandi fiumi, il Pyramos (Ceyhan), il Saros (Seyhan) e il Kydnos (Tarsus Çay) (prima attestazione in Xenoph., Anab., I, 2, 23 e I, 4, 4). Bassi rilievi calcarei (Misis Dağ e Cebelinur) dividono la pianura in due parti e, anche se questa separazione non appare rilevante dal punto di vista fisico, essa rappresentò una cesura culturale molto antica.

La parte occidentale della C., compresa tra il delta del Melas (Menavgat Çay) e il Lamos (Limonlu) (Strab., XVI, 5, 8), ha carattere decisamente montuoso; tale realtà ha determinato il maggiore isolamento dell'area e conseguentemente il suo minore sviluppo, specie in età pre-romana, eccezion fatta per alcuni insediamenti costieri che hanno sfruttato la presenza di alcune piane coltivabili, come nel caso di Seleucia (Silifke), sorta nel delta del Kalykadnos (Gök Su).

L'esistenza di due parti orograficamente ben distinte, quella pianeggiante e quella montuosa, in una regione comunque considerata unitaria, è già presente in Erodoto (II, 32: dove la óρεινή Κιλικίη è posta di fronte all'Egitto, ma vi manca una definizione specifica per la parte piana), mentre con Strabone (XIV, 5,1) le due parti ottengono oltre a una puntuale descrizione anche le definizioni toponomastiche di πεδιάς e τραχεĩα, corrispondenti al latino Cilicia Campestris e Cilicia Aspera.

L'isolamento orografico della C. rende importante l'individuazione dei valichi; chiamati «Πύλαι» o «Pylae», ossia «Porte», nelle ampie descrizioni che ne fanno alcuni autori greci e latini (Strab., XV, 5, 3; Mela, V, 7, 1; Plin., Nat. hist., Ν, 80-91), i valichi sono presenti nell'intero arco montano. «Porte» per eccellenza vengono considerate le Porte Cilicie (Gülek Boğazi) ossia le Κιλίκιαι Πύλαι (Strab., XXI, 2,7-9) o Portae Ciliciae, un lungo percorso (200 km c.a) che, attraverso il Tauro, collegava Tarso a Cesarea di Cappadocia (in Xenoph., Anab., I, 4, 4-5; I, 21; la prima descrizione autoptica del passo senza la precisazione del nome). Altri noti valichi attraversano l'Anti- tauro. Nell'Amano, oltre a vari passi secondari, sono da ricordare, presso Beylān, le «Porte della Siria» (le Πύλαι Σύριαι di Senofonte, Anab., I, 4, 4-5, citate anche da Strabone, XIV, 5, 17 e da Plinio, Nat. hist., V, 80), e, verso l'area assira, presso Bahçe, le «Porte dell'Amano», citate come Πύλαι Άμανίδες da Arriano (lI, 7, 1), Tolemeo (Geog., V, 8, 1), Polibio (XII, 17, 2) e come Portae Amani da Plinio (Nat. hist., V, 91).

Le risorse minerarie presenti nel Tauro e nell'Amano (oro, argento, piombo, stagno e rame) favorirono la formazione di insediamenti fin dall'epoca preistorica.

Va sottolineato che all'identità geografica chiaramente riconoscibile della C. non corrispose un'unità di carattere statuale; vi si alternarono infatti formazioni politiche di diversa natura con continue variazioni nei confini esterni e nell'articolazione interna della regione.

L'attività di ricerca archeologica, assai limitata fino alla prima metà di questo secolo, ha subito un relativo incremento non solo nell'ambito dello scavo ma anche in quello delle ricognizioni sul territorio che hanno permesso di evidenziare un gran numero di testimonianze antiche, specie di carattere epigrafico e monumentale, conservatesi nella regione soprattutto in ambito rurale o nei centri ormai abbandonati.

Preistoria. - L'evidenza archeologica ha dimostrato una forte concentrazione di siti preistorici nell'entroterra della piana cilicia (specie nell'area NE) e lungo la valle del Gök Su; la frequentazione di caverne e ripari nel Tauro e nell'Amano risale al Paleolitico e al Mesolitico (Yakar). Gli scavi sistematici condotti a Mersin/Yümük Tepe (Garstang) e Tarso/Gözlü Kule (Goldman II) hanno fornito la più completa documentazione stratigrafica per l'età neolitica e calcolitica, consentendo di ricostruire per intero le sequenze culturali e di individuare direttrici di interscambi permettendo così di definire aree di sviluppo e d'influenza.

Malgrado la scarsità dei resti architettonici (fondazioni in pietra a pianta rettangolare a Mersin), il materiale del Neolitico aceramico e ceramico (Mersin, livello XXXIN-XV) ha evidenziato il pieno inserimento della C. nello sviluppo delle coeve culture dell'Anatolia centrale in virtù dei rapporti commerciali con i centri della zona intorno al lago di Burdur (Hacılar) e della piana di Konya (Çatal Hüyük), promotori di quell'intenso commercio di ossidiana che, attraverso la valle del Gök Su e la piana costiera cilicia, raggiungeva l'area nord-mesopotamica e quella siro-palestinese (lungo le valli dell'Oronte e del Giordano) fino ai margini dei deserti arabico e sinaitico.

Si è quindi potuta verificare, nella fertile pianura della C. centrale, l'esistenza di una cultura ceramica neolitica (5500-4500 a.C.) che, sebbene marginale rispetto alle coeve culture anatoliche e alto-mesopotamiche, conobbe un'economia agricola di villaggio con ceramica lucidata e di colore scuro (talvolta con decorazione incisa con l'unghia o con un guscio di lumaca), con utensileria in ossidiana (punte di freccia e giavellotti) e conoscenza di tecniche relative alla filatura e tessitura (fuseruole di pietra).

Per i rapporti diretti e le numerose analogie con le culture ceramiche del Neolitico della Siria settentrionale (pianura dell' 'Amuq), questa cultura è anche nota come Neolitico «siro-cilicio» (Alkım, 1975).

Nel Neolitico Tardo, il sito di Mersin evidenzia un coinvolgimento con l'orizzonte culturale tipo Ḥalaf (Khābūr) che culmina, agli inizi del Calcolitico, nella produzione ceramica (sia policroma che lustrata) e negli sviluppi dell'aspetto insediativo. Il ruolo di mediazione svolto dalla C. si accrebbe nel corso del Calcolitico, allorché l'intenso sfruttamento dei giacimenti di rame, specie dell'Anatolia orientale (Ergani Maden) e della C. stessa, indirizzò i commerci anche verso i centri della Mesopotamia meridionale le cui diverse culture (el-'Ubayd, Eridu, Uruk) si irradiarono lungo la via dell'Eufrate, come hanno confermato anche gli scavi effettuati nella Turchia orientale in connessione con la costruzione delle dighe sull'Eufrate (Keban e Atatürk).

Per la piana di C. i dati di Mersin e Tarso hanno evidenziato tale ampliamento delle influenze culturali nell'architettura e specialmente nella ceramica dipinta che rivela aspetti tipici dell'area nord-siriana e mesopotamica. In particolare Mersin raggiunge, tra il Calcolitico Medio e Finale, un notevole sviluppo attestato da mura di cinta, utensili e armi sia di produzione locale che d'importazione (tipo halafiana e ubadiana).

Malgrado la prevalenza di influenze giunte attraverso la catena dell'Amano, non cessarono quelle provenienti dall'altopiano anatolico, come dimostra di nuovo la produzione ceramica, specie attraverso una caratteristica classe dipinta ( White Painted Black Burnished Ware) che permette di stabilire strette correlazioni tra le coeve stratigrafie di Mersin e Konya-Karahöyük dal IV millennio alle prime fasi dell'Antico Bronzo.

Età del Bronzo. - Le premesse calcolitiche si svilupparono nella prima fase dell'Antico Bronzo senza interruzioni nell'occupazione degli insediamenti la cui densità andò crescendo, specie lungo il percorso che unisce Mersin ad Adana e nella zona pedemontana del Tauro, tra le Porte Cilicie e il Ceyhan.

Il processo di urbanizzazione può farsi risalire in C. all'Antico Bronzo II, età nella quale emersero i primi elementi di una pianificazione urbana caratterizzata essenzialmente dalla presenza di un sistema di fortificazioni e dall'allineamento delle case ai lati di strade, come esemplificano nel modo migliore i resti architettonici di Tarso, divenuta sede di un regno locale. Numerosi insediamenti, anche di notevoli dimensioni, caratterizzano il corso dell'Antico Bronzo II-III. L'incremento dei contatti con l'oriente siro-mesopotamico, Cipro, l'Anatolia centrale (Konya) e occidentale (Troia) e, direttamente o indirettamente l'Egitto, è attestato dalle forme e dalla decorazione ceramica e dallo sviluppo della tecnica metallurgica; lo dimostrano gli elaborati gioielli di Tarso nonché le armi e gli oggetti rinvenuti in un deposito a Soli.

Verso la fine dell'Antico Bronzo, la C. fu sconvolta da una serie di cataclismi sismici e successivamente dall'invasione e dall'insediamento di genti provenienti dalla Siria, le cui caratteristiche culturali si fusero con quelle della popolazione locale, come mostra la progressiva sostituzione di tipi nuovi di ceramica rispetto ai precedenti.

Toccata solo marginalmente dall'espansione commerciale dei mercanti paleo-assiri (inizio del II millennio), ai quali risale la prima documentazione scritta dell'Anatolia, la C. entra nella storia attraverso le fonti ittite a partire dalla seconda metà del XVI sec., prima come «territorio di Adana» e poi come «regno di Kizzuwatna». Sembra ormai storicamente accertata una qualche forma di dipendenza della pianura di C. (territorio di Adana) dai primi re ittiti (XVII sec.).

Durante il regno medio-ittita il regno di Kizzuwatna, popolato prevalentemente da genti luvie e indipendente, appare come la più antica formazione politica della regione, comprendente la pianura cilicia e le parti montuose che la circondano a N, NE ed E (incluse successivamente nell'area delle provincie romane di Commagene e Cappadocia), mentre è incerta l'appartenenza della parte occidentale montuosa.

Dal XV sec. Kizzuwatna, come dimostrano i numerosi trattati, fu alleata degli Ittiti, quindi loro stato vassallo e poi parte integrante dei loro domini con Šuppiluliuma I. Sede del governatorato ittita fu Tarso che aveva probabilmente già svolto il ruolo di capitale del regno di Kizzuwatna. Nel XIII sec., Khattušili III creò, per un suo congiunto, il regno di Tarkhuntassa, su un'area corrispondente alla Cilicia Aspera e ali'Isauria classiche (Jasink, 1991).

I confini del regno di Kizzuwatna furono sempre mutevoli in quanto direttamente condizionati dal peso politico dei regni confinanti, quello ittita e quello mitannico: nel periodo della massima espansione di quest'ultimo, Kizzuwatna entrò, per poco tempo, nella loro orbita. Rimane comunque evidente una cesura dal punto di vista culturale, religioso e linguistico tra la parte occidentale della C. di tradizioni più tipicamente anatoliche, definite «luvie», e quella orientale con influenze hurrite e indo-iraniche.

Il nome di Kizzuwatna ricorre in alcune fonti egizie dell'epoca di Ramesse II nella forma Kzwdn e sembra potersi identificare con il regno di Kizzuwatna anche la denominazione Qode (Qdy) che compare in fonti letterarie egizie del II millennio. Un altro popolo presente in C. è quello dei Danuna, il cui nome compare in vari documenti egiziani e siriani del II e I millennio: con qualche riserva il popolo è considerato originario della C. e all'etnico è associato il nome della città di Adana.

Lo sviluppo della regione come polo commerciale e strategico ittita è ben documentato dai numerosi resti di costruzioni di carattere militare. Non solo vennero massicciamente fortificati i maggiori abitati, quali Tarso e Mersin, le ittite Tarsa e Pitura (?) (per Adana-Velican Hüyuk, l'ittita Adana, i dati archeologici sono molto scarsi), ma l'intero territorio fu militarmente attrezzato, come è emerso dalle ricognizioni compiute nelle zone dei valichi montani che hanno evidenziato resti di numerosi fortilizi, piccoli insediamenti strategici oltre che rilievi e iscrizioni con trattati e indicazioni di confine nonché di avvenimenti bellici. Nella regione dell'Amano (Alkim, 1969) è indicativo tra i tanti il sito di Tilmen Hüyük, nella piana di Islāhiye, che nel II millennio divenne un importante centro fortificato in un punto chiave presso il fiume Pyramos, tra C., Siria e Mesopotamia e dove la struttura delle fortificazioni del circuito esterno e di quello interno della cittadella, sulla cui sommità si trovava il palazzo, rivela strette analogie con quelle dei maggiori centri fortificati ittiti del periodo imperiale (XIV e XIII sec.) quali Boğazköy e Alaca Höyük. Una concentrazione di insediamenti è stata individuata (Seton Williams, 1954) anche nella zona delle Porte Cilicie, a conferma dei dati forniti dalle fonti ittite che enumerano qui molte città; di queste alcune mantennero importanza nel tempo, come nel caso dell'importante centro di Paduwanda (che in età romana si chiamerà Podanus, e sarà inquadrato nella provincia di Cappadocia), posto a controllo del passo. Scarse le tracce archeologiche nella zona montuosa occidentale della C. dove fonti ittite menzionano, presso la foce del Gök Su, il porto di Ura (identificabile probabilmente con Silifke) mentre la città di Tarkhuntassa, di incerta localizzazione, potrebbe essere stata fondata intorno a un antico santuario dedicato al dio di origine luvio-cilicia Tarkhunt, signore della tempesta. La presenza degli Ittiti nell'area del Gök Su è documentata per il periodo imperiale nel sito di Meydancik Kalesi (presso Gülnar, nell'entroterra di Silifke) da resti di fortificazioni e di una porta monumentale che conserva un cartiglio di Muwatalli.

Incerti o nulli sono i dati per la localizzazione di numerosi centri noti dalle fonti ittite. Mancano invece scavi sistematici per Kumanni, identificabile con il sito che sarà della romana Comana Cataoniae, nota per essere stata il più importante centro religioso di Kizzuwatna.

I caratteri anatolici riconoscibili nell'architettura, nella tecnica costruttiva e negli oggetti della cultura materiale, attestano la progressiva influenza culturale ittita su tutta la C.; la redazione dei trattati tra Khatti e Kizzuwatna in duplice versione, ittita e accadico, conferma che la regione, prima dell'espansione imperiale ittita, gravitava nell'area culturale siro-mesopotamica, specie per l'influenza degli stati nord-siriani. Gli scavi del palazzo nella cittadella di Tilmen Hüyük hanno permesso di evidenziare nei livelli più antichi, databili nella media Età del Bronzo, correlazioni nell'impianto e nella struttura architettonica col palazzo reale di Yarim-Lim di Alalakh (Teli Ačana) del XVIII sec. a.C.

L'ininterrotto sfruttamento delle miniere, specie del rame e dello stagno, mantenne attive nel corso dell'Età del Bronzo le direttrici commerciali anche verso l'Occidente, permettendo alla C. di entrare in contatto con i principali centri dell'Eubea, della Troade, di Creta e della Fenicia, come rivelano le forti influenze esercitate sulla produzione ceramica nei siti di Mersin e Tarso. I contatti col mondo egeo sembrano essersi intensificati verso la fine del Tardo Bronzo e con il crollo dell'impero ittita: ceramica del Tardo Elladico III C è stata rinvenuta in numerosi siti della piana cilicia.

Età del Ferro. - La ricchezza mineraria della regione continuò a essere una delle cause principali dello sviluppo e della relativa prosperità degli stati neo-ittiti di C. formatisi, come gli altri anatolici, dopo la crisi che nel XII sec. sconvolse l'intero assetto politico anatolico e vicino- orientale.

Le grandi invasioni dei «Popoli del Mare e del Nord», considerate una delle cause primarie della crisi, coinvolsero direttamente anche la C., citata probabilmente (Qode) tra i paesi invasi nell'iscrizione del tempio di Ramesse III, commemorante la vittoria del faraone (c.a 1190 a.C.) sugli invasori tra i quali sono nominati anche i Danuna.

La C., suddivisa nei due regni (noti da fonti neo-assire) di Que nella zona pianeggiante e Khilakku in quella montuosa occidentale, nel corso del IX sec. fu interessata da una politica di sviluppo autonomo che i re e i principi locali condussero nei confronti del vicino regno di Muski e contro le mire espansionistiche del regno neo-assiro, attirato dalle miniere d'argento, ferro e alabastro del Tauro, e dai vantaggi derivanti dal controllo sulla regione, considerata come uno strategico avamposto sul Mediterraneo. Ma anche a seguito della definitiva conquista assira con Sargon II e della progressiva provincializzazione della regione (prima Que, intorno al 715, poi, e forse solo parzialmente, Khilakku, nel 713), sia le fonti sia la documentazione archeologica ne attestano uno sviluppo costante. Questo fu favorito dai rapporti stabilitisi con l'area fenicio- siriana e con quella egea per l'intensificarsi degli scambi commerciali nel corso dell'VIII sec., culminati con la creazione dell'emporio commerciale di al-Mina che attivò una regolare rotta marittima verso Cipro e lungo la costa meridionale dell'Asia Minore.

La progressiva conquista degli Assiri (dalla fine del IX sec.) partì naturalmente dall'area orientale: nei loro resoconti militari sono infatti citati i passi (Bahçe e Beylān) e le principali località estrattive nell'Amano, nonché numerosi centri pedemontani lungo il Ceyhan, roccaforti di Que tenuti da principi vassalli. La conquista comprese il nucleo vitale della C., tra Adana, Mersin e Tarso, e si spinse anche fino alle foci del Gök Su dove è citata, tra le altre, la fortezza di Kharrua (Seleucia/Silifke?).

Le esplorazioni di superficie hanno evidenziato dal IX sec. un generale incremento della popolazione, degli insediamenti e dei fortilizi lungo il corso del Ceyhan e le pendici occidentali dell'Amano, che costituiva probabilmente il limite orientale del regno di Que·, ciò indica come sia di nuovo prevalente in questo periodo l'asse di collegamento che, attraversò le Porte dell'Amano, andava in direzione di Zincirli (Sam'al) oppure di Maraş, verso la Mesopotamia. Tale realtà trova inoltre conferma negli scavi delle fortezze di Domüztepe e Karatepe, rispettivamente sulla riva orientale e occidentale del Ceyhan, databili tra il IX e gli inizi del VII secolo. Karat epe, la fortezza costruita da Azatiwata, principe locale (fine VIII-VII sec.), evidenzia nelle caratteristiche generali del suo impianto, specie nel palazzo, chiare influenze assiro-siriane; il ritrovamento nello stesso sito della coeva iscrizione bilingue in luvio geroglifico e fenicio testimonia, oltre al perdurare delle tradizioni anatoliche nella regione pur dopo la perduta autonomia, anche gli stretti contatti coi Fenici i quali, per quanto attivi commercialmente sulle coste cilicie, non sembrano aver lasciato tracce dei loro insediamenti. Non modifica tale realtà il rinvenimento di un'iscrizione fenicia a Hassan Beyli (VIII sec. a.C.) e, recentemente, di un'altra, databile tra la metà del VII e gli inizi del VI sec., nel sito di Çebelires Daği (romana Laertes) nel quale lo scavo non ha restituito tracce pre-romane (Mosca-Russell). In Erodoto (VI, 91) la derivazione del nome C. da quello dell'eroe Cilix, figlio del fenicio Agenor può considerarsi testimonianza indiretta di un'attiva presenza fenicia nella regione, e forse proprio nella sua parte occidentale per la derivazione di Cilicia (Cilix) da Khilakku.

La presenza greca in C. è invece archeologicamente ben documentata specie da rinvenimenti ceramici e, più tardi, monetali. Tarso, in particolare, ha restituito una gran quantità di ceramica d'importazione (specie protocorinzia, radia, samia e cipriota) nei livelli occupati nel corso dell'VIII sec. fino a quello attestante la distruzione della città nel 696, attribuita a Sennacherib, che ne rifondò un'altra subito a NE, divenuta poi la Tarso classica sviluppatasi fino a oggi. L'abbondanza di ceramica greca a Tarso ha permesso di ipotizzare (Bing, 1971, 1979) la presenza di una colonia greca, tra VIII e VII sec., fondata probabilmente da Rodii provenienti da Lindo, gli stessi che avrebbero fondato anche Soli, come dimostrerebbe il ritrovamento di un'iscrizione in dialetto dorico, oltre che la tradizione straboniana (XIV, 5, 8) di una fondazione di Achei e Rodii. Malgrado il generale incremento delle testimonianze relative alla ceramica di produzione greca e d'imitazione locale nel corso della Media e Tarda Età del Ferro, evidenziato dagli scavi dei centri urbani (Tarso e Mersin) e dalle ricognizioni nella piana cilicia, rimane ancora aperto il problema sulla presenza di colonie greche in C. in periodo neo-assiro. La documentazione archeologica, pur testimoniando l'accresciuta attività commerciale dei Greci, non offre dati certi che confermino una loro effettiva presenza stabile sul territorio; questa inoltre trova incerti e controversi riscontri anche nelle fonti assire, databili all'età di Sargon II, e in documenti greci più tardi (Jasink, 1989).

La scomparsa del regno assiro alla fine del VII sec., consentì la riformazione in C. di uno stato autonomo, che sembra essersi sviluppato, fra alterne vicende, nella parte occidentale della regione, con capitale a Ura (identificata tradizionalmente con la classica Olba, ma recentemente anche con Silifke: Davesne, Lemaire, Lozachmeur, 1987), mentre la parte orientale piana era passata sotto l'egemonia del regno neobabilonese, le cui fonti indicano le due parti rispettivamente come Pirindu e Khume.

È incerto quale sia stata la reale natura della preminenza neobabilonese in C., se solo di carattere commerciale (in testi amministrativi viene citato il ferro di Khume) o anche politico-militare.

Il regno cilicio è noto agli storici greci (Herodot., I, 74; Xenoph., Anab., I, 2, 21-27.4,4; Hell., III, 1, 1) come regno di Syennesis, probabilmente dal titolo ereditario portato dai suoi dinasti. E ancora oggi dibattuta la realtà storico- geografica della C. tra l'estinguersi della potenza assira e l'affermarsi di quella persiana (metà VI sec.), alla luce delle notizie erodotee relative a un'unitaria realtà politica, chiamata «Grande Cilicia», della quale sono definiti confini ampi (includenti nella zona trans-taurica le aree di Licaonia, Isauria, Tianatide, Mitilene, Cataonia e Commagene) con dati sulla condizione politica, militare e tributaria. L'ipotesi prevalente, che tende a ridimensionare il valore storico dei dati erodotei, è che si possa parlare di un vero «regno cilicio», esteso non solo alla zona occidentale (suo nucleo originario) ma anche a quella pianeggiante, solo dopo la seconda metà del VI sec., allorché, a seguito del declino del regno neobabilonese, dal 539 divenne regno-vassallo dei Persiani, soggetto a tributo ma governato sempre dalla dinastia locale dei Syennesis. Solo dal 401 la C. sarebbe divenuta una satrapía persiana, fino alla conquista di Alessandro Magno, che proprio in questa regione strategica sconfisse Dario III (battaglia di Isso, 333 a.C.).

Quella numismatica può considerarsi come la documentazione più indicativa nel susseguirsi degli avvenimenti politico-militari che coinvolsero la C.: la monetazione, attestata dalla seconda metà del V sec. alla prima metà del IV, rivela l'esistenza di un sistema di zecche locali in otto città (Nagidos, Kelenderis, Afrodisiade, Holmi, Soli, Tarso, Mallos e Isso) le cui emissioni, nell'articolazione delle categorie riscontrabili (dinastiche, cittadine e satrapali) e negli aspetti linguistici e figurativi, evidenziano caratteri conformi al modello persiano e all'influenza greca. Questa, presente specie nelle emissioni di alcune di queste città, ripropone il problema dell'esistenza di colonie greche in C., delle quali mancano menzioni di storici coevi a eccezione di quella generica di ττόλις Έλληνίς, presente nel Periplo del Mediterraneo (datato al VI sec. a.C.) e relativa alle due città di Holmi e Soli. Quest'ultima ha restituito una stele funeraria a rilievo, datata al IV sec. a.C., che, unitamente ai dati monetali, attesta l'esistenza di un elevato strato sociale profondamente grecizzato. È indubbio invece che gli storici di Alessandro, nel quadro di una politica di legittimazione della conquista, esaltarono la presenza e le attestazioni greche nella regione, anche attraverso elementi storico-mitografici, alcuni già presenti nella tradizione epico-tragica greca, poi perpetuatesi nella storiografia successiva.

Età ellenistica. - L'apporto più significativo del dominio seleucide-tolemaico in C. può considerarsi l'intensa opera di urbanizzazione che, attraverso interventi sugli insediamenti già esistenti e fondazioni di nuove città, garantì il controllo sulla regione, divenendo anche il veicolo principale della sua ellenizzazione, specie nelle aree di maggiore interesse strategico e commerciale. Agli inizi del predominio seleucide risalgono quelle che si possono considerare le più significative fondazioni ellenistiche in C., attribuibili probabilmente allo stesso Seleuco I Nicatore. Esse evidenziano nella loro localizzazione precisi intenti strategici: due di esse infatti, Aigai (Yumurtalik) e Alessandria all'Isso (Iskenderun) assicuravano il controllo del golfo di Isso e quindi il passaggio per mare tra la Siria e la C., la terza invece, Seleucia al Kalykadnos (Silifke), popolata secondo Strabone (XIV, 5, 4) con gli abitanti trasferiti da Holmi, era posta alla foce del Gök Su, ne controllava la valle di collegamento con l'Anatolia centrale, e doveva certo anche garantire il virtuale controllo siriano sullo stato sacerdotale dei Teucridi a Olba, che era andato sviluppandosi fin dall'età persiana in una zona impervia sulle pendici meridionali del Tauro cilicio orientale, dove vivevano anche le indomite tribù dei Cennati e dei Lalassi. Se Aigai sembra sia stata una colonia militare, per Alessandria non è da escludere si sia trattato del sinecismo di due centri minori, Isso e Myriandos, oppure di uno sviluppo della città non dovuto all'intervento regio. Queste tre città definiscono di fatto l'area dell'interesse primario seleucide in C., concentrato essenzialmente nella parte pianeggiante occidentale, tant'è vero che ai Tolemei fu possibile affermarsi sulla costa e nell'entroterra della zona montana, ricca di legname per la loro flotta. Qui le fondazioni tolemaiche dovettero essere numerose, fin dal III secolo. La documentazione in proposito è molto scarsa, e acquista perciò particolare rilievo il sito di Meydancik Kalesi (presso Gülnar) dove, oltre a un consistente livello ellenistico, è stato rinvenuto anche un tesoro di oltre 5000 monete d'argento, di cui poco meno della metà tolemaiche (Davesne, Lemaire, Lozachmeur, 1987). Inoltre Strabone (XIV, 5, 3) menziona una Arsinoe, città presso Nagidos, la cui esistenza è stata confermata dal rinvenimento di un'iscrizione ellenistica che attesta la nuova fondazione e l'esistenza di un governatorato tolemaico in Cilicia.

L'influenza dei Lagidi dovette spingersi, quantunque per un periodo limitato intorno alla metà del III sec. a.C., fino a importanti città della pianura, quali Soli e Tarso. Complessivamente comunque, malgrado la scarsa conoscenza sulle condizioni interne della regione nel corso del III sec. e della prima parte del II, può rilevarsi che lo sviluppo storico dei due regni ellenistici fu causa determinante della progressiva divaricazione tra le due parti della Cilicia. Infatti la decadenza del regno tolemaico determinò, assieme al declino della sua supremazia navale nel Mediterraneo orientale, anche l'abbandono dei suoi interessi nella Trachèia, nella quale andarono quindi sviluppandosi il brigantaggio e la pirateria, fenomeni favoriti dalla natura geografica della zona, che determinarono il diretto intervento romano nella regione già dalla fine del II sec. a.C.

Il potere seleucide invece, anche a seguito del suo ridimensionamento in Asia dopo la pace di Apamea (188 a.C.), mantenne un saldo controllo sulla C., specie orientale, attuatosi prevalentemente a opera di Antioco IV Epifane. A lui può attribuirsi una serie di ridenominazioni dinastiche dei centri più importanti e già esistenti della Pediàs, i quali, oltre probabilmente ad alcuni vantaggi in ambito economico e politico e ad arricchimenti urbanistici, ottennero anche il diritto a una coniazione autonoma, che in C., escluso il caso di Soli, era stata interrotta dalla conquista macedone. Infatti anche il caso più antico di ridenominazione, quello di Tarso (tradizionale capitale della Pediàs) come Antiochia sul Cidno, è noto solo da iscrizioni delfiche della prima metà del III sec. a.C., e il nuovo toponimo figura solo sulle monete di Antioco IV. I dati numismatici, che per la mancanza di altre attestazioni divengono gli indizi più affidabili, permettono di individuare i principali centri oggetto di ridenominazioni, ossia Adana (Adana), Magarsos (probabilmente presso Karataş), Mopsuhestia (presso Yakapınar), Castabala (presso Bodrum) e forse Oinianda (presso Erzin), divenute rispettivamente Antiochia sul Saros, Antiochia sul Piramo, Seleucia sul Piramo, Hierapolis ed Epiphaneia.

La scarsità di testimonianze di età ellenistica nei principali centri è dovuta non solo alle successive occupazioni, specie di età romana e bizantina, ma anche all'assenza di scavi sistematici. Sono attestate comunque, in alcuni casi, mura di cinta (Magarsos, Alessandria), torri (Anemourion), necropoli (Kelenderis, Korykos). Una situazione particolare è presente invece nel territorio della Trachèia e specie in quello dell'ellenizzato stato sacerdotale teucride, dove, a poca distanza dall'antica capitale Olba (Ura) e nel sito dove si svilupperà la romana Diocaesarea (Uzuncaburç), sono ben conservate le rovine del santuario extraurbano di Zeus Òlbios e di una vicina torre isolata, nonché, poco lontano, quelle di una tomba a torre. Per il grande tempio di ordine corinzio entro períbolo, uno dei più significativi esempi di architettura religiosa ellenistica d'Asia Minore, la datazione, posta generalmente all'età di Seleuco I Nicatore, è stata recentemente portata, in base a criteri stilistici, intorno alla metà del II sec. a.C. Strabone (XIV, 5, 10) attribuisce la fondazione del tempio ad Aiace, figlio di Teucro (da cui il nome della dinastia). Anche Olba dunque, come molte altre città cilicie quali Mallos e Mopsuhestia (vol. V, pp. 207-209), faceva risalire le sue origini al periodo delle migrazioni dopo la guerra di Troia, il che ricondurrebbe a una fondazione greca del Tardo Bronzo, per la quale manca qualsiasi conferma, anche per l'assenza di scavi. Si ritiene che lo Zeus di Olba sia una versione greca di Tarkhunt, il cui culto sembra fosse assai diffuso in questa zona in età ittita.

La grande torre rettangolare a più piani, che conserva l'iscrizione di uno dei re-sacerdoti teucridi, databile tra il III e il II sec. a.C., sembra rientrare nel quadro di un sistema difensivo del territorio teucride del quale fanno parte anche un'altra torre simile (anch'essa con iscrizione) a Kanytelleis o Kanytella (Kanlidivane) e altre nei siti di Emirzeli, Barakçikalesi e Çatiören. La tomba a torre, con copertura piramidale, databile al I sec. a.C., evidenzia nella sua tipologia stretti paralleli con simili tombe siriane (Palmira). Di notevole interesse sono anche alcune tombe rupestri nelle necropoli di Olba ed Egriköyü (presso Uzuncaburç), con facciata architettonica e camera tombale a volta a botte e con arcosoli. Peculiari sono una delle due tombe di Olba, caratterizzata da un prospetto architettonico a semicolonne corinzie sovrastante l'accesso alla camera, e due delle quattro tombe di Egriköyü, con facciate di ordine dorico e relativa decorazione a triglifi e metope, articolazione questa che trova raro riscontro in prototipi ellenistici, generalmente ionici, in Asia Minore (Caria, Licia e Frigia).

Sempre nel territorio teucride si sono conservati anche i migliori esempi di mura difensive a grossi blocchi squadrati (Meydan Kalesi, Yeniyurt Kale e Adamkayalar); la stessa Olba conserva tracce di mura in opera poligonale sull'acropoli. Nella Trachèia costiera, poco lontano da Korykos, il luogo di culto noto come Korýkion àntron (Cennet Cehennem), mitica residenza di Tifone e teatro del suo combattimento con Zeus (Strab., XIV, 5, 5; Mela, I, 13) conserva le testimonianze di un santuario ellenistico, costituite da un muro perimetrale in opera poligonale all'interno del quale numerosi resti, reimpiegati in una chiesa, permettono di ipotizzare l'originaria presenza di un tempio dorico in antis, databile al II sec. a.C.

Il progressivo indebolimento dei Seleucidi aveva determinato anche per la C. il deterioramento dell'organizzazione ellenistica nella regione. L'intervento romano, caratterizzato da graduali annessioni all'impero, culminò poi nella creazione, sotto Vespasiano, della provincia imperiale di Cilicia (v. Provincie romane).

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