CINA

Enciclopedia Italiana (1931)

CINA

Filippo DE FILIPPI
Michele GORTANI
Augusto BEGUINOT
Giuseppe COLOSI
Gioacchino SERA
Pino FORTINI
Gaetano FRICCHIONE
Carlo DE ANGELIS
Anna Maria RATTI
Luigi GRAMATICA
Alfred SALMONY
Giulio BARLUZZI
Giovanni Vacca
*
Daniele Varè
Kwang-chi WANG

(A. T., 97-98; 99-100).

Sommario. - Geografia: Nome, delimitazione, estensione (p. 257); Storia dell'esplorazione della Cina propria (p. 258); Geologia (p. 261); Paleogeografia (p. 263); Struttura e morfologia (p. 263); Orografia, idrografia (p. 263); Clima (p. 264); Acque continentali (p. 266); Flora (p. 268); Fauna (p. 268); Regioni naturali (p. 269); Dati statistici, censimenti (p. 269); Antropologia (p. 270); Etnologia (p. 270); Suddivisioni storiche, amministrative (p. 276); Prodotti del suolo (p. 276); Industrie e commerci (p. 279); Comunicazioni (p. 280); Distribuzione e densità della popolazione (p. 282); Emigrazione interna ed esterna (p. 283); Espansione coloniale (p. 284); Ordinamento dello stato (p. 285); Forze armate (p. 286); Finanze (p. 287); Educazione e istruzione pubblica (p. 287); Storia (p. 289); Religione e filosofia (p. 298); Diritto (p. 301); Missioni (p. 301); Lingua (p. 303); Letteratura (p. 306); Arte: Scultura e pittura (p. 309); Architettura (p. 314); Musica (p. 317).

Geografia.

Nome, delimitazione, estensione. - Si chiama Cina (in cin. cinese Chung-hua min-kuo [Repubblica cinese]; spagnolo, ted., ingl. China; fr. Chine; lat. Sinae; gr. Σηρική, Σῖναι, Θῖναι), il più vasto impero dell'Asia orientale, il più popolato del mondo. Il nome Cina proviene dalla grafia China (leggi Cina) dei primi esploratori portoghesi, i quali appresero questo nome dagl'Indiani o dai Malesi. Il nome di Cina si trova nei libri buddhisti dal sec. V d. C. in poi, e probabilmente proviene dal nome della dinastia Ts'in (leggi Ch'in), durante la quale (255-206 a. C.) la Cina, riunendo e assimilando varî stati feudali, divenne un grande impero unitario. Attraverso i Portoghesi il nome si diffuse in Europa. Compare per la prima volta in un planisfero di Carlo V del 1537.

Ctesia, e più sicuramente l'ammiraglio Nearco (325 a. C.), conoscono il nome Σηρική. Ai Romani (Virgilio, Plinio) giunse la fama dei Seres e della loro terra Serica, produttrice di seta. Nel Periplus Maris Erythraei, verso la fine del sec. I d. C., si ha Θῖνα (acc.).

Nel Medioevo si diffuse in Europa il nome di Catai (Kathai, Kithai), dal nome d'un popolo tunguso il quale, verso il 1000 d. C., dominava la via della seta. Catai è il nome con cui Marco Polo descrive la Cina alla fine del sec. XIII. Il nome rimane vivo tra gli Slavi (russo Kitaj) fino ai giorni nostri.

I Cinesi chiamano comunemente il loro paese Chung-kuo cinese regno di mezzo, nome che forse indicava, durante il periodo feudale, la posizione centrale del regno in cui risiedeva l'imperatore. Lo chiamavano anche spesso Chung-hua "fiore (hua) di mezzo (chung)". Spesso i Cinesi chiamavano sé stessi e sono chiamati dai Giapponesi, dal nome di due celebri dinastie, Han-jen, uomini di Han, ovvero T'ang-jen, uomini di T'ang (Jen "uomo").

Il nome Impero Celeste è adoperato talvolta in Europa, in tono scherzoso, ma non ha altra base che l'appellativo figlio del cielo (Tien tzŭ), dato talvolta all'imperatore. Nel nome ufficiale Chung-hua è il nome sopra ricordato; min-kuo (min "popolo", kuo "regno") è la traduzione di "repubblica".

Il dominio politico della Cina comprende oggi, oltre alla Cina propriamente detta, la Manciuria, la Mongolia, il Turkestān cinese (Sin-kiang) e il Tibet. La Cina propriamente detta si estende da 18° a 43° di lat. N. e da 98° a 122° di long. E. Confina a N. e ad E. con la Manciuria, la Mongolia, il Turkestān cinese, il Tibet, a S. con la Birmania e col Tonchino, a NE. col Mar Giallo e col golfo del Chih-li.

La Cina propria è stata divisa in un numero variabile di provincie: quindici sotto la dinastia Ming, diciotto sotto l'ultima dinastia Ts'ing; la repubblica ha modificato e sta modificando questi confini. La superficie approssimativa delle diciotto provincie della dinastia Ts'ing (1911), di circa 4 milioni di kmq., dodici volte l'Italia, comprende il 90% dell'intera popolazione della Repubblica.

Bibl.: Per una bibliografia completa di tutte le opere europee sulla Cina fino al 1924 si veda: H. Cordier, Bibliotheca Sinica, Parigi 1904-1924, voll. 4 e suppl. Due repertorî di opere cinesi, utili anche per i non sinologi, sono: L. Wieger, La Chine à travers les âges (Index bibliographique), Hien-hien 1920; A. Wylie, Notes on Chinese Literature, Shanghai 1867, ristampe nel 1903, 1926.

Opere generali: S. Couling, The Encyclopedia Sinica, Shanghai 1917, utile repertorio alfabetico; sono sempre importanti ed utili da consultare: S. Wells Williams, The Middle Kingdom, voll. 2, New York 1901; F. Richthofen, China, Berlino 1877-1912, voll. 4, con atlante fisico e geologico al 1 : 750.000; L. Richard, S. J., Geography of the Chinese Empire, Shanghai 1908, di cui è in corso di pubblicazione l'ediz. francese, Shanghai 1923; E. Tiessen, China, Berlino 1902.

Monografie moderne, di carattere prevalentemente geografico; F. Otte, China, in Petermanns Mitt, Supplem. 194, Gotha 1927; L. H. Dudley Buxton, China, Oxford 1929; G. Wegener, China, Lipsia 1930; J. Sion, Chine, Parigi 1930; J. Joüon, Géographie de la Chine, Shanghai 1930.

Sono pure utili per il viaggiatore e gli studiosi le guide: Madrolle, Parigi 1911-1916, e Imperial Japanese Government Railways Official Guides to E. Asia, IV, China, Tōkyō 1924. Carte sommarie, che invecchiano rapidamente, 1 : 1.000.000 degli istituti geografici militari: prussiano (22 fogli, 1901-1904); inglese (8 fogli, 1905-1913); francese (39 fogli, 1899-1900); giapponese, in corso di stampa. Il primo grande atlante europeo della Cina, compilato su fonti cinesi ed illustrato da una descrizione della Cina precisa e chiara è dovuto a M. Martini, Novus Atlas Sinensis, Amsterdam 1655.

In Cina si pubblicano, dall'origine dalla stampa (oltre un millennio), numerose illustrazioni topografiche (chih), di città, di regioni, dell'intera Cina munite di carte topografiche accurate nei particolari, se pur difettose nella rete di riferimento, prima dell'introduzione dei metodi geografici europei nel sec. XVII per opera dei gesuiti. Negli ultimi anni dell'impero e sotto la repubblica si è iniziata la pubblicazione di rilievi regolari topografici a varia scala di varie zone della Cina, soprattutto per scopi militari, da uffici geografici impiantati con metodi europei.

Storia dell'esplorazione della Cina propria. - Roma non sembra essersi preoccupata per molto tempo di conoscere il paese di dove le arrivavano i tessuti serici. Gli annali cinesi ci hanno serbato il ricordo di un'ambasceria (probabilmente una semplice missione commerciale) inviata alla Cina da Marco Aurelio Antonino per via di mare (166 d. C.). Relazioni indirette continuarono, come apprendiamo da Cosma (sec. VI), e Bisanzio inviava ambasciatori nel sec. VII e nell'VIII, mentre pervenivano in Cina i primi missionarî, probabilmente nestoriani. La famosa epigrafe di Si-an fu riferisce l'arrivo in Cina di A-lo-pen (forse trascrizione dal siriaco Rabban "maestro"), nel 635-46. Si ha notizia d'un altro missionario, Kiho, arrivato dall'Occidente nel 744. Altre due missioni furono inviate da Costantinopoli sul principio del sec. XI.

Però, fin dal sec. VII, l'islamismo aveva dovunque chiuso il passo agli Europei verso l'Oriente, e l'ostacolo durò fino al sec. XIII. In questo lungo intervallo gli Arabi svilupparono per conto loro i viaggi e i traffici in Estremo Oriente, più intensamente alla fine del sec. IX. Le relazioni di Abū Zeid as-Sirāfī e di Suleimān "il mercante", siano esse racconti genuini di viaggiatori individuali o compilazioni formate da note di varî navigatori, descrivono la via marittima dal Golfo Persico al Mar Giallo e a Khānfū (la Quinsai di Marco Polo, oggi Hang-chow fu). Abū Zeid intercala anche un racconto del viaggio di Ibn Wahb alla corte cinese.

La formazione dell'impero mongolo e la sua irresistibile espansione atterrò la barriera islamica, mentre il terrore svegliato dalla loro invasione dell'Europa diede la prima spinta a cercare di conciliarli con mezzi spirituali e religiosi, e di trasformarli in alleati contro il turco. Qūbilāy, quinto Gran Khān, che nel 1259 aveva finito la conquista della Cina e trasferito la capitale a Khānbālīq (o Pechino), vi ricevette i primi Europei, i Polo. Prima di loro avevano portato in Europa il nome del Catai e notizie dei Cinesi i missionarî francescani Giovanni di Pian del Carpine e Guillaume Rubruquis (Guglielmo di Rubruck). I Polo furono in Cina, dapprima intorno al 1265, poi con Marco dal 1275 al 1292, e Marco fu il primo a descrivere adeguatamente nella sezione più lunga del suo libro l'Impero Celeste e le nazioni finitime (v. polo; asia).

Dopo i Polo, dal 1290 al 1340, è una corrente continua di viaggiatori all'Estremo Oriente, per la via siriaco-persica e il mare, o per la terrestre transasiatica, fino alla decadenza della dinastia mongola. Fra questi, tengono il primo posto i missionarî, la cui serie s'inizia col beato Giovanni da Montecorvino, frate minore, fondatore della chiesa latina in Cina. Quando già i Polo erano ritornati a Venezia, egli pervenne alla Cina, per la via di mare verso il 1293, dopo un lungo lavoro missionario in India, fatto insieme con Niccolò da Pistoia, dei predicatori. Era con lui il mercante Pietro Lucalongo, suo compagno di viaggio da Tabrīz in poi. Solamente dodici anni dopo gli arrivò un confratello, Arnoldo di Colonia; poi, nel 1307, quando Giovanni fu fatto arcivescovo di Khānbālīq, gli furono inviati sette vescovi suffraganei, francescani d'Italia, di cui solo tre arrivarono in Cina, Andrea da Perugia, Gerardo Albuini e Peregrino di Castello, i quali si succedettero come vescovi di Zaitūn dove già s'era stabilito un certo numero di mercanti genovesi. Altri seguirono nel 1312, e col loro aiuto furono edificate chiese e case di minoriti a Khānbālīq, Zaitūn, Ts'üen-chow, e in altri luoghi. Del Montecorvino possediamo solo due lettere integre, del 1305 e del 1306, che trattano dei lavori e dei progressi della missione.

Di ben altra importanza geografica è la relazione dei viaggi del beato Odorico da Pordenone, da lui dettata nel 1330. Odorico arrivò a Canton, indi a Zaitūn, da Madras, per mare. Di qui si recò a Pechino per la via percorsa in senso inverso dai Polo, e vi si fermò tre anni, nell'intervallo fra il 1323 e il 1328. Ritornò per la via di terra; ma l'itinerario è descritto in modo oscuro e frammentario, così che rimane dubbio se egli abbia veramente attraversato l'intiero Tibet. Fra i successori di Giovanni da Montecorvino, il più illustre è l'altro francescano Giovanni de' Marignolli, che andò in Cina per via di terra (tornandosene poscia per via di mare), inviato al Khān Ukhagatu da papa Benedetto XII. Stette in Cina dal 1342 al 1347. Egli dà contezza del fiorentissimo stato della missione, e anche della notevole colonia mercantile genovese, organizzata nel porto di Zaitūn già trent'anni dopo la partenza dei Polo (cioè due secoli prima della scoperta portoghese della Cina per le vie dell'Oceano del Sud). È significativa del resto la celebre Pratica della Mercatura di F. Balducci Pegolotti, fiorentino (circa 1340), che descrive le diverse vie commerciali di terra al più lontano Oriente, i mezzi di trasporto, le distanze, le dogane, i sistemi di pesi, di misura, le monete e gli articoli di commercio d'ogni paese, dall'Egitto alla Cina. Quando il Marignolli era in Cina, visitò le coste da Canton a Hang-chow anche il viaggiatore arabo Ibn Baṭṭūṭah; ma è dubbio se egli sia pervenuto a Pechino.

Ora interviene un'interruzione di circa due secoli nelle relazioni dell'Occidente con l'Oriente, causata dalla graduale islamizzazione delle provincie periferiche dell'impero mongolo, e dalla fine della dinastia mongola in Cina (1368), sostituita da quella dei Ming. Ritenuta oggi non vera la creduta visita in Cina del veneto Nìccolò dei Conti nel corso delle sue lunghe peregrinazioni (1419-1441), rimane solo da ricordare l'ambasceria mandata da Herāt da Shāh Rūkh figlio di Tamerlano, all'imperatore della Cina, della quale ambasceria stese la relazione Ghaith ud-dīn, membro della missione, descrivendo largamente città, templi, ecc. (tradotta dal Quatremère, in Notices et Extraits, XIV, parte 1ª).

Quando furono ripresi i contatti fra l'Europa e la Cina, nel sec. XVI, coi viaggi dei Portoghesi, s'erano ormai dimenticati i viaggi dei secoli XIII e XIV, e le scoperte sembrarono cosa nuovissima. Invece dei vecchi nomi Catai, Khānbālīq, Quinsay, Zaitūn e Ṣīnkalān, l'Europa sentì parlare di Cina, Peking, Hang-chow, Ts'ien-chow, Canton. S'era perduta persino la memoria dei primi francescani ed ogni traccia di cristianesimo quando i gesuiti ripresero le missioni. Cominciò allora a farsi strada la nozione che Catai e Cina erano un solo paese, per merito del padre Matteo Ricci che propose questa identificazione già nel 1596 e soprattutto del padre Bento (Benedetto) de Goes, che, inviato appunto a cercare il Catai (1603), raggiunse, per il Pamir e per il Han-hai, Su-chow sulla frontiera della Cina e quivi morì nel 1607.

I viaggi dei Portoghesi in Cina organizzati dall'Albuquerque e limitati a qualche città della costa non portarono alcun contributo alla conoscenza dell'interno. Primo toccò la costa a Taman, foce del Si-kiang, Giorgio Alvares nel 1514; seguì la visita a Canton nel 1516 di Rafael Perestrello. Nel 1517 pervenne a Canton Duarte Coelho, poco dopo seguito da una flotta mercantile sotto Fernão Peres de Andrade; ma gli abusi dei Portoghesi determinarono una forte reazione che fece parecchie vittime; così che dopo pochi anni le loro relazioni si limitarono al porto di Patane, salvo qualche spedizione clandestina penetrata più innanzi. Dell'avventuriero Fernão Mendez Pinto, condotto a Nanchino e a Pechino come schiavo (1550), rimane un racconto romanzesco con particolari così precisi su città allora poco conosciute e sulla vita indigena, che sembrano frutto d' osservazioni personali. A un Galeotto Perera, prigione con altri Portoghesi pochi anni dopo, dobbiamo un racconto pieno di particolari interessanti sulla giustizia e le pene dei Cinesi. Di Francesco Carletti e Giov. Francesco Gemelli Careri, pervenuti in Cina a un secolo di distanza uno dall'altro (1598 e 1694), v. le rispettive biografie.

Sullo scorcio del sec. XVI furono fatti varî tentativi per riprendere l'attività missionaria in Cina, alle cui porte, nel 1552, era morto S. Francesco Saverio. Nel 1565, stabilitisi fermamente i Portoghesi a Macao, i gesuiti ne fecero una base per il loro apostolato. Tra essi Alessandro Valignani da Chieti e, nel 1579 il padre Michele Ruggeri, pugliese; ma per i primi anni non fu loro concesso d'internarsi. Né miglior fortuna ebbero i padri agostiniani e francescani che tentarono di penetrare nel paese, sia dalla costa del Fu-kien, sia dal Kwang-tung. Alla stessa epoca si fondava a Macao anche un convento francescano per opera di Giovanni Battista da Pesaro, venuto in Cina dalle Filippine nel 1579 e autore poi d'una relazione sulla Cina. Solamente nel 1583 i gesuiti ottennero il permesso di soggiornare a Canton, dove furono raggiunti da altri loro confratelli, fra i quali Antonio de Almeida, portoghese, e l'italiano Francesco de Petris di Monte S. Maria e poi ancora dall'agostiniano spagnolo Juan Gounzales de Mendoza, che pubblicò nel 1585 un'accurata relazione sull'impero cinese, tutta basta sulle relazioni dei missionarî. L'Almeida e il Ruggeri riuscirono a penetrare per la prima volta nel 1585 nella Cina meridionale fino a Nan-ch'ang e a Hang-chow, ma furono costretti ben presto al ritorno.

Il più illustre dei missionarî di questo primo gruppo è il padre Matteo Ricci, di Macerata, venuto a Macao con tre compagni italiani. Egli aveva studiato geografia a Roma, ed era buon fisico e matematico. Nel 1583 poté fondare col padre Ruggeri la prima missione nell'interno, a Shao-king a O. di Canton. Fece un primo tentativo di raggiungere Pechino nel 1595; ma, pervenuto a Nanchino, dové retrocedere e fermarsi a Nan-ch'ang; solamente tre anni dopo poté raggiungere Pechino, ma fu respinto a Nanchino. Finalmente nel 1601 poté stabilirsi nella capitale, dove esercitò il suo memorabile apostolato e morì nel 1610. Insigne sinologo, conobbe il vasto paese come nessuno straniero da due secoli: i suoi Commentarî della Cina sono un'opera fondamentale, che rimise in luce il dimenticato Catai di Marco Polo; costruì mappamondi che fondevano le conoscenze cartografiche cinesi con quelle degli Occidentali (Vaticana, British Museum, ecc.). Continuarono l'opera sua il padre Emanuele Diaz, Giulio Aleni (v.) che scrisse il primo trattato di geografia europea in cinese, Johann Adam Schall (1628), autore d'una carta basata su quella del Ricci che ora si conserva in un monastero buddhista della Corea; Martino Martini da Trento (1633-1661), autore del Novus Atlas Sinensis (Amsterdam 1655), fondato su fonti cinesi, la prima opera che fece conoscere le provincie interne della Cina. ll padre Alessandro de Rhodes, francese, nel corso delle sue lunghe peregrinazioni in Oriente, visitò Macao e Canton dove soggiornò varie volte fra il 1623 e il 1645 (v. indocina). Meritano ancora di esser menzionati i gesuiti Prospero Intorcetta da Piazza Armerina (1659-1696), il primo traduttore di Confucio, e Johann Grueber di Linz (Austria), che, raggiunto lo Schall a Pechino, ne ripartì nel 1661 con Albert d'Orville, traversando tutta la Cina centrale per recarsi nel Tibet.

Ricordiamo ancora di passaggio il domenicano spagnolo Navarrete, il quale, pervenuto a Macao nel 1658 dalla Malesia, traversò tutte le provincie costiere fino a Pechino, e scrisse un lungo resoconto sull'impero cinese, pubblicato a Madrid nel 1676. Seguì il più illustre dei missionarî francescani in Cina, padre Basilio Brollo (v.) da Gemona.

Fra i successori del Ricci e dello Schall, ha grande importanza il fiammingo Ferdinand Verbiest, anch'egli matematico e astronomo, che ebbe larga parte nell'ispirare e promuovere i grandi lavori geografici iniziati allora in Cina. Egli aveva raccomandato all'imperatore K'ang-hsi la missione dei gesuiti matematici Gerbillon, Bouvet, Le Comte, Fontaney e Visdelou, inviati da Luigi XIV, e pervenuti dal Siam a Ning-po, e di qui per Hang-chow, Su-chow e il gran canale a Pechino. Arrivati quivi nel 1688, furono ricevuti dal padre Filippo Grimaldi, e messi a capo del tribunale d'astronomia e alla direzione del Consiglio per il calendario (v.). Bouvet e Gerbillon, che l'imperatore manciù K'ang-hsi, favorevolissimo alle scienze, volle sempre compagni nei suoi viaggi (soprattutto nella Mongolia e nella valle del Hwang ho), iniziarono il lavoro per la costruzione d'una carta dell'impero su un piano sistematico in base a precise osservazioni astronomiche; il lavoro fu poi terminato nel 1715 sotto la direzione di Jean B. Régis, che, sopraggiunto nel 1699 con altri missionarî, compì con lunghi viaggi il rilevamento di tutte le provincie dell'impero, compresa la Manciuria e la Corea settentrionale. Le osservazioni servirono di base a J. B. D'Anville per compilare il suo atlante dell'impero cinese. Insieme col secondo gruppo di gesuiti geografi, era andato in Cina anche il pittore bolognese Giovanni Ghirardini, invitato per ornare di dipinti le chiese della missione e poi stabilitosi e morto forse laggiù.

Nel 1698 partiva dall'Italia il francescano Carlo Horatii da Castorano (Ascoli Piceno) con un gruppo di fratelli. Venne ad Amoy, nel Fu-kien, per mare, e svolse opera missionaria nello Shan-tung e nel Chih-li, ed ebbe poi il vescovato di Pechino, rimanendo in Cina oltre 30 anni.

Nei primi anni del sec. XVIII si acuirono le controversie fra cappuccini, domenicani e gesuiti, e il papa affidò un'inchiesta sui metodi di propaganda adottati da questi ultimi al Maillard de Tournon, torinese, che partì da Roma nel 1702 e morì poi a Macao nel 1710; il padre Matteo Ripa, pittore e incisore, che lo aveva raggiunto laggiù, stette a Pechino fino al 1724, quando tornò in patria conducendo seco cinque giovani cinesi cristiani, che divennero i primi alunni del Collegio Cinese fondato dal Ripa a Napoli per preparare missionarî destinati alla Cina. Alla stessa epoca si trovava a Si-an fu il padre Giambattista da Serravalle, nato a Milano, che fu poi mandato a O. nello Shen-si e sui confini del Tibet, indi provicario apostolico a Hu-kwang, dove morì nel 1721.

Sotto i successori di K'ang-hsi, cessò il favore accordato ai missionarî, i quali furono tutti espulsi, salvo quelli che avevano incarichi speciali, come gli addetti all'osservatorio e al calendario. Vere persecuzioni si ripeterono a frequenti intervalli fra il 1746 e il 1778. Ne furono vittime, tra gli altri, i francescani italiani Giampietro da Mantova, fermato a Macao nel 1745, e G. B. da Bormio, tormentato e poi espulso nel 1748.

Durante questo periodo di lavoro missionario, geografico ed erudito, seguitarono le imprese commerciali, iniziate ai primi anni del sec. XVI dai Portoghesi, i quali si trovarono presto in lotta con nazioni rivali. Gli Olandesi inviavano cinque navi per la via di Magellano nel 1544, e una flotta di diciassette navi nel 1622 a Macao; respinti, s'impadronirono per breve tempo di Formosa. Un altro tentativo senza successo fecero nel 1653. Seguirono le ambasciate a Pechino di Pieter van Goyer e Jacob van Keyser nel 1655 da Canton, e di Pieter van Hoorn nel 1666-67 da Fu-chow. Anche prima dell'Olanda, la Russia aveva ripetutamente cercato d'intavolare relazioni con la Cina, inviando missioni per la via della Siberia e della Mongolia, come quella dei Cosacchi Petrov e Jalyšev nel 1567, di Evashko Pettliu nel 1619, del danese Ysbrandt Ides, inviato da Pietro il Grande nel 1692 a ratificare il trattato di Nercinsk concluso tre anni innanzi. Ysbrandt Ides lasciò del suo viaggio triennale una buona relazione, alla quale è da aggiungere quella di John Bell di Antermony, anch'egli ambasciatore di Pietro I in Oriente. Grazie poi a un trattato che al tempo di Caterina I autorizzò anche la Russia a mantenere una missione religiosa a Pechino, costruendovi una chiesa, si aggiunsero i primi missionarî russi nel 1808, e fra essi il padre Giacinto Bičurin (1777-1853) che soggiornò a Pechino dal 1807 al 1822 e lasciò varie opere storiche e geografiche tradotte dal cinese.

Rimane a dire dell'Inghilterra, che inviò le prime missioni commerciali sotto Elisabetta. Nel 1637 approdarono a Macao cinque navi, al comando del cap. Weddell; ma dovettero ritirarsi dinanzi all'ostilità portoghese, e più a causa dei tributi esorbitanti imposti dai Cinesi. Solamente dopo più d'un secolo, negli anni 1792-94, ebbe luogo l'ambasciata di lord Macartney, composta di diplomatici e d'uomini di scienza. Navigarono lungo le coste orientali tuttora ignote, esplorando l'arcipelago di Chu-san, e sbarcarono a T'ien-tsin, donde si recarono a Pechino. Parte della missione proseguì per Jehol, in Tartaria, dove era l'imperatore, ma nessun risultato pratico fu ottenuto; né miglior esito ebbe la successiva ambasciata di lord Amherst (1816-17).

L'esplorazione sistematica della Cina comincia veramente al principio del sec. XIX. Sono da ricordare le esplorazioni costiere e i lavori idrografici del tenente Macleod nel Mar Giallo, del cap. Basil Hall nel Golfo del Chih-li e sulle coste occidentali della Corea, del dott. Ch. Gutzlaff (1831-33) e di J. Berncastle (1848) sulle coste cinesi orientali. Nell'anno 1846, i padri gesuiti Huc e Gabet, traversato lo Sze-ch'wan, discesero il corso del Yang-tze kiang fino a Kiu-kiang, donde si diressero a S. fino a Macao. Una ricognizione del corso del Yang-tze kiang da Yo-chow a Ping-shan fu fatta nel 1861 dal cap. Th. W. Blakiston, e un rilevamento idrografico del tratto fra Han-k'ow e I-ch'ang, fu eseguito nel 1869 da Dowson e Palmer.

Lo Yün-nan fu meta di molti viaggiatori. L'esplorazione dello Yün-nan fu ostacolata per diversi anni dalla rivolta del sultano maomettano e dalla guerra che ne seguì. Francis Garnier, arrivato a Ta-li fu con la missione de Lagrée dal Tonchino (1866-68; v. indocina), sperava raggiungere di nuovo il Me kong e ricercarne le sorgenti; ma fu respinto dai ribelli. Seguì allora il Yang-tze fino a Han-k'ow. Un viaggio inverso, da Han-k'ow allo Yün-nan e nel Tonchino, fecero nel 1868-69 J. Dupuis e nel 1868 T. T. Cooper. Il Dupuis ritorna ancora nello Yün-nan nel 1872, il Garnier nel 1873 esplorò lo Yuen kiang, il Peï-ho e il Wu kiang.

Sono di questi anni, fra il 1868 e il 1872, i classici viaggi di F. von Richthofen, che penetrò in quasi ogni parte dell'impero, compiendo uno studio geografico sistematico, nel campo della geologia e della geografia fisica, di dodici provincie, escluse solo quelle di Kan-su e di Yün-nan.

Nel 1874 A. R. Margary, traversate le provincie SO. della Cina e lo Yün-nan, arrivò fino a Bhamo, sull'Irawady, ma tornato alla frontiera cinese perì assassinato (1875). Nello stesso anno, F. Grosvenor e Colborn Baber, inviati a investigare le circostanze dell'assassinio del Margary, rilevarono la via da Han-kow allo Yün-nan e a Momein. La missione russa comandata dal col. Sosnovskij nel 1874-75 seguì invece da Han-k'ow il corso del Han kiang, traversando le provincie di Hu-peh, Ho-nan, Shen-si e Kan-su, e pervenendo a Hami, nel Sin-kiang.

Il cap. W. J. Gill, nel 1877-78, partendo da Shanghai, seguì il Yang-tze e attraversò lo Sze-ch'wan fino a Batang, proseguendo quindi per le valli del Mekong e del Saluin, a Bhamo sull'Irawady. Anche nel 1877, i missionarî J. McCarthy e Cameron compirono separatamente la traversata dallo Yün-nan alla Birmania. Buona parte dei problemi geografici delle provincie occidentali della Cina furono chiariti da E. Colborn Baber, in varî viaggi fatti nello Sze-ch'wan e nello Yün-nan fra il 1877 e il 1880. Nello stesso periodo l'ungherese conte Béla Széchényi esplorava i confini fra lo Yün-nan e il Ko-ko-nor; da Shanghai andò a Si-an fu, Lan-chow, Su-chow, Tun-hwang hsien, poi, traversati i monti Tsin ling, entrò nello Sze-ch'wan, e, per Ta-tsien-lu, Batang e Ta-li fu, penetrò in Birmania. Una traversata in senso inverso compirono nel 1880 due missionarî di Bhamo, H. Soltau e J. W. Stevenson.

Ai gesuiti della missione francese nelle provincie di An-hwei e Chih-li, dobbiamo memorie, lavori e carte delle regioni, fondate su materiale raccolto dal padre Pfister fra il 1870 e il 1890; al padre Havret uno studio storico e geografico della provincia di An-hwei.

L'abate A. David fece vari viaggi d'esplorazione nel Kiang-si (1873). Dei padri Vial e Guébriant abbiamo varî contributi alla conoscenza dei Lolo. Il medio Yang-tze kiang, fra I-ch'ang e Ping-shan, fu rilevato dal padre S. Chevalier.

Negli anni 1879-81, il Michaelis traversò la Cina centrale e di NO. da Han-kow per Si-an e Lan-kow a Su-kow e An-si. Singolarmente fecondo di risultati geografici ed etnografici fu il viaggio intrapreso da A. R. Colquhoun nel 1882, da Canton a Mulmein (Bassa Birmania). A. Little e la moglie, in cinquant'anni di residenza nello Sze-ch'wan, raccolsero gran messe di materiali geografici ed etnografici. L'interno dell'isola di Hai-nan fu esplorato nel 1889 da B. C. Henry. Sono da ricordare i tre viaggi, fra il 1882 e il 1884 di sir Alexander Hosie, nello Sze-ch'wan, Kwei-chow e Yün-nan; la traversata della Cina del col. M. S. Bell da Pechino a Hami nel Sin-kiang; i viaggi del naturalista A. E. Pratt, nel 1889-1890, nello Sze-ch'wan occidentale fino a Ta-tsien-lu, e quello del russo Berezovskij nel Kan-su e nello Sze-ch'wan.

Nel 1895 il col. Cl. Madrolle, entrato nello Yün-nan dal Tonchino, seguendo il corso del Song-koi si diresse a Yün-nan fu, traversò la curva meridionale del Yang-tze, e la regione montuosa fino a Ta-tsien-lu, donde si rivolse a oriente e raggiunse la costa. Visitò poi anche l'isola Hai-nan, costruendo una carta e studiando gl'indigeni.

Un altro insigne viaggiatore francese, Ch. Eudes Bonin, esplorò nel 1895-96 l'alto Yang-tze scoprendone la grande curva a N. di Ta-li fu. Esplorò anche parte dello Ya-lung, e visitò per primo Li-kiang. Poi da Ta-tsien-lu e Lan-chow, seguendo lo Hwang-ho, passò in Mongolia. Ritornò quindi via Pechino e Shanghai a Hong-kong. Era di nuovo in Cina nel 1898-99, per completare il rilevamento del corso del Hwang-ho, cominciato nel 1896. Anche in Cina si svolse l'attività di Isabella Bishop, la quale, nel 1896, risalì lo Yang-tze fino allo Sze-ch'wan dove percorse estesi itinerarî, spingendosi oltre le frontiere del Tibet.

Una missione inviata dalla città di Lione nel 1895-97 fece una larga inchiesta economico-commerciale, visitando i centri principali della Cina meridionale e occidentale. Nello Yang-tze, sono da notare gli studî sulla idrografia e la geografia fisica fatti nel 1897 da E. Cholnoky (v. manciuria), la traversata da Han-k'ow fino a Canton, passando per lo Hu-nan e il Kwang-tung, fatta nel 1898 da W. Barclay Parsons.

Nella Cina occidentale vanno notate le esplorazioni di G. J. Litton, che visitò lo Sze-ch'wan settentrionale, e quelle nello Yün-nan di Fred. W. Carey nel 1898-99; della spedizione composta dal magg. Davies, dal cap. C. H. D. Ryder e dal cap. Watt Jones, nel 1898, che si spinse anche nello Sze-ch'wan e nel Tibet cinese; della missione Leclère, di G. J. Lytton nel 1902-03, di R. F. Johnston nel 1902 e nel 1906 che si spinse anche nel Tibet orientale, e quella del ten. col. C. C. Manifold nel 1900. Lo stesso Manifold nel 1901-02, partito da Pechino col colonnello Hunter, traversò la Cina raccogliendo nuovi dati topografici; infine, tornato nello Sze-ch'wan orientale nel 1904 da Shanghai, rilevò le valli del Han e ne costruì la carta. Nel 1900-1901 il magg. Renny Tailyour e il cap. Ryder rilevarono buona parte del Chih-li, costruendone una carta. La guerra dei boxers aveva tagliato la via del ritorno a una spedizione diretta da R. Logan Jack per studî minerarî nello Sze-ch'wan costringendolo a passare in Birmania per via in parte nuova.

Una spedizione americana, promossa dall'Istituto Carnegie e diretta dal dott. Bailey Willis, negli anni 1903-04, fece un'esplorazione geologica delle provincie di Chih-li, Shan-si e Shen-si, e di parte dello Shantung. Contributi molto importanti alla conoscenza del Hwang-ho diedero le spedizioni del geologo tedesco dott. Tafel. La prima, del 1904, nel Tibet (v.); le successive (1905 e 1908) nella regione fra il fiume Han e lo Yang-tze, e quella del corso medio del Hwang-ho, di cui fu rilevato il corso fra la curva di T'ung-kwan e Pao-ti (v. mongolia). Questo tratto del fiume era stato disceso l'anno precedente dal ten. von Mutius e dal cap. von Magnes; e, poco prima del Tafel, dagl'inglesi magg. K. B. McAndrew e cap. Kirkpatrick.

Un'altra traversata dallo Yün-nan all'Assam fu fatta nel 1905 da E.C. Young, valicando le catene divisorie dei grandi fiumi paralleli. Ma la prova definitiva dell'identità del Lu-kiang col Salween fu data dal Litton e da George Forrest, in un'esplorazione compiuta nel 1905 dalla Birmania alla porzione sconosciuta del fiume, fra 26° e 27°30′ lat. N. Il Brunhuber e Carl Schmitz, che alcuni anni dopo si diressero anch'essi all'alto Salween, perirono assassinati dagl'indigeni Lutzu.

Nel 1906, Cecil Clementi traversò le provincie di Kwang-si e Yünnan, seguendo il ramo principale del Si kiang dalla confluenza di Hsin-chow, quindi un affluente settentrionale sino a Yün-nan fu. Il ramo meridionale, Yu kiang, era stato esplorato nel 1882 dal Colquhoun e da un gruppo della missione lionese. L'anno dopo, partendo da Sin-kiang, traversò la Cina per il Kan-su, lo Shen-si, Sze-ch'wan, Kwei-chow, Kwang-si e Kwang-tung a Hong-kong, facendo numerose osservazioni astronomiche e ipsometriche. Basterà far cenno d'una traversata dalla Cina da Leh (Ladak) a Pechino, fatta dal magg. C. D. Bruce nel 1905-06.

Fra i lavori, compiuti durante una protratta residenza in Cina, sono da menzionare quelli del ten. col. A. W. S. Wingate (1897-1906), nel Chih-li settentrionale, nell'An-hwei e nel bacino del Yang-tze. Viaggio breve, ma ricco di risultati, fu quello del Wegener, nel Kiang-si, con l'esplorazione del lago Po-yang e del fiume Kan kiang.

Tornando alle provincie occidentali della Cina, sono da ricordare, nel 1906 e 1907 due viaggi nello Sze-ch'wan del NO. del missionario W. N. Fergusson, a O. dell'alto Min e nei bacini superiori del Li-tang e dello Ya-lung, che fruttarono note topografiche ed etnografiche sulle tribù semi-indipendenti che vi abitano, e una carta del paese dei Lolo. Il cap. H. d'Ollone, a capo d'una spedizione francese, era penetrato, nel 1907-08, dal Tonchino, nei paesi dei Lolo, Miao-tze, Sifan, ecc., e per lo Shen-si e lo Shan-si aveva raggiunto Pechino; esplorò anche la curva del Hwang-ho a NO. di Sung-p'an ting, riconosciuta già dal Tafel (1907), e traversò la regione selvaggia fra Sung-p'an ting e Lanchow, per vie nuove, riportandone abbondanti risultati. Contemporaneamente un altro francese, Jacques Bacot, esplorava la regione delle alte valli Yang-tze, Me kong e Salween, fra la lat. di Batang a N., e quella di Li-kiang a S.; vi ritornava nel 1909, per esplorare il misterioso paese Poyul, identificando le sorgenti dell'Irawady.

Una spedizione bene organizzata fu condotta da R. Sterling Clark nel 1908-09 nel Kan-su meridionale. Altra traversata del Kan-su fu fatta nel 1910 dal console inglese R. Coales, per recarsi nel Sin-kiang, rilevando la via fra Si-ning e Kan-chow fu. Una spedizione francese, condotta dal conte di Polignac, esplorò nel 1910 un tratto dell'alto Yang-tze e dello Ya-lung per studiarne la navigabilità.

Fra le precedenti spedizioni s'intercalano i varî viaggi compiuti da A. F. Legendre fra il 1903 e il 1912 nella vasta regione montuosa compresa fra le curve dello Yang-tze e dello Ya-lung, il più importante dei quali compiuto con Dessirier e Noiret all'alto Yang-tze.

Un altro tenace moderno esploratore del complicato territorio fra Yün-nan, Tibet, Birmania e Assam è F. Kingdon Ward. Nel 1911 esplorò le valli parallele dei tre fiumi fino a Me kong nella valle del Salween. Nel 1913 traversò l'altipiano Chung-hsien, fra Yang-tze e Me kong, e, a O. di esso, lo Tsarung. Vi tornò ancora nel 1914 e nel 1919, e di nuovo nel 1921-22, quando, dalla Birmania, traversò il Me kong per recarsi a raccogliere la flora dello Yün-nan. Altri viaggi a scopo di raccolte naturalistiche furono quelli dei botanici R. Farrer e W. Purdon nel 1914 e nel 1915, ai monti Chago-ling, nel Kan-su meridionale, e poi nel centrale. La guerra europea interruppe una spedizione francese nel Szech'wan e nello Yün-nan, diretta dal dott. Segalen, dal conte di Voisin e dal cap. Lartigue; e così pure quella del von Handel-Mazzetti, recatosi dal Tonchino nello Yün-nan e Sze-ch'wan meridionale, a esplorare le regioni montuose verso le frontiere di Birmania e del Tibet (v. queste voci).

Eric Teichmann nel 1916 pubblicò una carta del Kan-su e un'altra nel 1918 dello Shen-si. D'interesse geologico è la relazione di viaggio di J. W. e C. J. Gregory, i quali, nel 1922, si proposero di studiare il problema della continuità geologica fra il sistema himalayano e le catene tibeto-cinesi, concludendo per la probabile ulteriore estensione del sistema nella catena fra Yang-tze e Si kiang.

Singolare esempio di tenacia e di passione per i viaggi esplorativi è quello del generale G. Pereira. Più che cinquantenne, e con una gamba malsicura, lasciò Pechino nel febbraio del 1921 e andò in India traversando la Cina e il Tibet; ripartito per la Birmania tornò in Cina riattraversandola fino a Shanghai; quindi si recò nello Yün-nan passando per Li-kiang, le valli del Mekong e del Yang-tze e Batang, ma giunto nel Kan-su morì nell'ottobre 1923.

Una lunga esplorazione (1914-23) fu compiuta nel bacino dello Hwang ho, del Pai-ho e di altri tributarî del golfo di Chih-li dal missionario francese P. E. Licent, il quale ne ha riportato varie e importanti raccolte geologiche, etnologiche e naturalistiche. Nel 1918-19 compì anche un viaggio nel Kan-su e nel 1923 col padre Teilhard de Chardin giunse ai confini dell'Ordo. Infine, si hanno notizie preliminari della esplorazione del dott. H. Schmitthenner nelle catene di monti e degli studi sui depositi di loess nelle provincie di Shan-si, Ho-nan e Hu-pe.

Come risulta dal lungo elenco, la Cina è coperta da una fittissima rete d'itinerarî di viaggiatori. È da prevedere che l'esplorazione di essa, rivolta a uno studio intensivo delle risorse minerarie ed economiche del paese, procederà con intensità maggiore in avvenire.

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Geologia. - La geologia della Cina è conosciuta soltanto nelle grandi linee: il servizio geologico di stato vi ha iniziato solo da pochi anni un rilevamento regolare, e le spedizioni scientifiche straniere, pur bene attrezzate, hanno potuto cogliere solo in parte le caratteristiche stratigrafiche e strutturali delle varie regioni.

Serie dei terreni. - Nella Cina settentrionale, compreso anche il deserto di Gobi, e più a S. negli assi delle maggiori catene, affiorano estesamente scisti cristallini arcaici, derivanti da rocce ignee e da rocce sedimentarie profondamente metamorfosate, con ripetute intrusioni di grandi masse granitiche. Si possono riconoscere, nel complesso molto potente di questi terreni, parecchie serie scistoso-cristalline, discordanti l'una dall'altra; la discordanza più forte e più generale permette di dividere l'insieme dell'arcaico cinese in due principali gruppi: uno inferiore, o Taishano (dai monti T'ai-shan, nello Shan-tung), e uno superiore, o Wutaiano (dal distretto di Wu-t'ai, nello Shan-si).

Molto discordante dai precedenti terreni è poi una serie di rocce sedimentarie ancora precambriane, ma non molto metamorfosate, comprendenti argilloscisti, arenarie rosse, calcari e dolomie, depositati in un geosinclinale decorrente attraverso la Cina nord-orientale (Shan-tung, Chi-li, shan-si), con materiali terrigeni provenienti da una terra occupante la Cina orientale (Cataisia). A questa serie di terreni si è dato il nome di sistema siniano, corrispondente in complesso all'Algonchico dell'America Settentrionale. Anche qui, come nel Canada, sono state trovate alghe calcaree (Collenia), e si rinvennero alla sommità della serie, sotto il Cambrico discordante, depositi tipicamente morenici (tilliti) che attestano una vasta espansione glaciale.

Il Cambrico è bene sviluppato, con ricchezza di fossili e su vaste aree, in tutte e tre le sue principali suddivisioni (Georgiano, Acadiano, Potsdamiano): la prima nota soprattutto in Manciuria e nello Yün-nan, le altre due nella Cina settentrionale e nel Tonchino, con scisti, calcari, arenarie e conglomerati deposti in un geosinclinale esteso dalla Corea settentrionale e dalla Manciuria meridionale allo Yün-nan.

Il Silurico è pure largamente diffuso; si noti però che l'Ordoviciano si riscontra tanto nelle provincie settentrionali (con facies analoghe alle nord-americane), quanto nelle centrali e meridionali (con facies analoghe alle europee); il Gotlandiano invece sembra mancare, o quasi, nel nord della Cina, mentre compare su ampie estensioni al centro e specialmente al sud (con faune marine simili a quelle europee).

Il Devonico inferiore non è stato ancora segnalato in Cina; invece è noto il Devonico medio marino della Cina meridionale, e il superiore della Cina meridionale e centrale. Nelle provincie settentrionali il Devonico (al pari del Silurico superiore) manca su vastissime zone, dove il Carbonico superiore è trasgressivo direttamente sull'Ordoviciano.

Del Carbonico, la divisione inferiore (Dinantiano o Mississippiano) è largamente diffusa con facies marina nella Cina propria e nell'Indocina settentrionale; nel nord della Cina è più frequente invece la facies continentale, che racchiude banchi di carbone. Il termine medio (Moscoviano) per lo più manca, tranne che nello Yün-nan. Il termine superiore (Uraliano) segna un'ampia trasgressione marina nella Cina settentrionale e centrale.

Quivi il dominio marino perdurò anche durante il Permico inferiore, il quale vi è rappresentato da strati assai ricchi di avanzi fossili, mentre al nord ha carattere prevalentemente continentale. Tanto gli strati marini quanto i terrestri del Permico inferiore sono poi sormontati da conglomerati e arenarie rossigne del Peermico superiore, con lenti gessose e saline, che attestano clima desertico e regime continentale.

Col Permico si inizia la cosiddetta "serie dell'Angara"; si tratta di una serie prevalentemente mesozoica, nella quale dominano arenarie rosse molto potenti, con flore terrestri specialmente triassiche e giurassiche, aventi parentele strette con le flore delle terre australi (serie superiore di Goondwana). Cotesta serie dell'Angara tipicamente sviluppata nei bacini siberiani dell'Angara e della Tunguska, è largamente estesa nella Cina settentrionale, dallo Shan-si allo Shan-tung inclusi, e così pure nella Mongolia, dove racchiude anche strati di carbone giurassico e avanzi di dinosauri.

Parallela alla grande estensione dei depositi mesozoici continentali è la scarsezza di sedimenti marini: per il Trias, ci sono noti fossili analoghi a quelli del Muschelkalk germanico e alpino ai margini orientali del Tibet, al nord dello Yün-nan, mentre il Neotriassico marino non è conosciuto a nord del Tonchino; il Giurassico marino sembra mancare in tutta la Cina, e il Cretacico marino fu rintracciato solo nel T'ien shan occidentale.

Esclusivamente continentali sono anche i depositi terziarî della Cina, nei quali non è possibile, allo stato attuale, una netta distinzione di orizzonti, ma soltanto una divisione approssimativa in Paleogene e Neogene, secondo gli avanzi di vertebrati e di molluschi d'acqua dolce che vi si rinvengono. Nel deserto di Gobi i sedimenti continentali cretacici e terziarî, mal separabili in livelli distinti, raggiungono i 1500 m. di spessore.

Fra i terreni del Quaternario, ha grande importanza il loess, che su estensioni vastissime colma le depressioni del substrato roccioso: terreno molto fertile, finissimamente argilloso-sabbioso, occupa forse nella Cina e Mongolia un'area di 600.000 kmq., con prevalenza nel bacino del Hwang ho, che al colore giallastro del loess deve il nome (fiume giallo). Successivi studî hanno confermato che il loess risulta da deposizione eolica in regioni semiaride durante il Plistocene.

Quando si prescinda dalle numerose intrusioni granitiche dell'Arcaico, le rocce eruttive non hanno in Cina un grande sviluppo. Sono tuttavia da segnalare serie d'intrusioni ed effusioni di rocce ignee alla fine del Paleozoico, continuate fino al Giurassico medio (e comprendenti molte masse eruttive nella regione del Gobi, nonché la zona granitica delle colline di Nanchino); e inoltre le eruzioni basaltiche avvenute durante il Terziario antico nel Liao-tung, nello Shan-tung e ai margini della Mongolia.

Paleogeografia. - Per quanto sommarie, le conoscenze attuali hanno permesso la costruzione di cartine, nelle quali, in base al carattere dei sedimenti e ad un'analisi accurata delle faune fossili il Grabau poté delineare in modo schematico le principali tappe dell'evoluzione paleogeografica della Cina e delle regioni contermini. Riproduciamo le cartine relative alle fasi più caratteristiche. Nel Silurico superiore (cart. A a pag. 262) si deprimeva al nord il grande bacino di Irkutsk, persistente durante tutto il Paleozoico antico, e nel quale si continuavano a deporre sedimenti marini con fossili di tipo boreale che testimoniano un libero accesso verso nord. Prossima al bacino, una terra emersa gli forniva la parte terrigena dei sedimenti. Faune marine con tipi molto simili a quelli europei e himalayani si notano nell'estremo oriente e nella Cina meridionale, dove esisteva un ampio mediterraneo. Questo mare interno persistette durante tutto il Paleozoico antico, con comunicazioni aperte ora con l'Oceano Indiano, ora con il golfo siberiano.

All'inizio del Devonico, il corrugamento orogenico caledoniano porta un subitaneo cambiamento: i depositi marginali del bacino di Irkutsk, piegati ed emersi, vengono a formare le catene dei Saiani e dei monti del Bajkal. Più tardi, nel Devonico medio (cart. B) il geosinclinale di Tomsk con la sua fauna boreale si estende verso sud fino a congiungersi con un geosinclinale interno deprimentesi attraverso la Mongolia, così da formare un arco concentrico all'antico margine esterno del bacino di Irkutsk. Nella Cina meridionale un bacino interno si estende a occidente del Tibet fino al Van-shan, e un secondo geosinclinale si deprime a nord del Tibet in corrispondenza del K'uen-lun, entrambi fanno parte della Tetide, al pari del geosinclinale himalayano.

Grandissima importanza assume in tutta l'Asia centrale e orientale il corrugamento ercinico, alla fine del Paleozoico. Esso ebbe ad interessare vigorosamente non soltanto l'area dei geosinclinali di Tomsk e della Mongolia, concentrici all'antico bacino di Irkutsk, ma anche quelli meridionali: in questo complesso gruppo di movimenti cominciarono a formarsi anche le catene degli Altai occidentali, T'ien-shan, K'uen-lun, Nan-shan, Ts'in-ling (cart. C).

Durante il Mesozoico seguì la demolizione progressiva di tali corrugamenti, mentre nel periodo Giurese-cretacico si manifestarono piegature parziali nella zona più orientale e in quella del Gobi. Sottratto definitivamente al dominio marittimo, il paese si veniva spianando e livellando. Ma, durante il Terziario medio, l'intenso corrugamento orogenico alpino elevò le catene meridionali e quelle marginali al Pacifico, mentre sollevamenti e abbassamenti (o sprofondamenti) cospicui avevano luogo nelle regioni interne: il continente prendeva così la sua attuale fisionomia (cart. D).

Struttura e morfologia. - I sistemi orogenici più antichi di cui si ha traccia nella Cina sono riconoscibili soltanto in parte. Il poco che ne sappiamo indica almeno due periodi orogenici anteriori al Paleozoico, il primo più e il secondo meno intenso, accompagnati da vulcanismo; nella regione del Gobi, sembrano appartenere al secondo periodo (che ebbe corrugamenti semplici e regolari ma molto estesi) intrusioni batolitiche di enorme sviluppo.

Dei due parossismi orogenici paleozoici, quello caledoniano non sembra abbia interessato la Cina, mentre quello ercinico portò alla formazione di catene nella Mongolia, nella regione del Gobi e nella Cina meridionale. Con il piegamento mesozoico, sono invece connesse grandi dislocazioni per effetto di spostamenti verticali nella Mongolia e nel deserto di Gobi. E grandi spostamenti verticali sono pure connessi con l'orogenesi terziaria, o alpina, cui dobbiamo le maggiori fra le attuali catene montuose a pieghe.

Nell'insieme sono stati distinti tre principali tipi di struttura. A S. della grande catena del Ts'ing-ling shan, il Paleozoico è curvato in pieghe (aventi per lo più direzione NE.-SO.), sulle quali giacciono discordanti le arenarie mesozoiche di origine continentale. A N. della detta catena, sulla grande pianura cinese si erge d'un tratto l'esteso altipiano prepaleozoico, non curvato da pieghe posteriori all'Archeozoico. Faglie a gradinata interessano estesissime zone. Nel deserto di Gobi, sopra una piattaforma a struttura complicata per ripetuti piegamenti nell'Archeozoico, nel Paleozoico e nel Mesozoico si stendono (discontinui) potenti depositi continentali più recenti, la cui giacitura fu poco disturbata da movimenti successivi.

La morfologia attuale, quando si prescinda dalle più recenti catene, ha dunque una storia estremamente antica e complessa. Ma in fondo, si può dire che il rilievo attuale è relativamente moderno poiché nel lungo corso dei tempi le inuguaglianze altimetriche anteriori al Terziario sono state annullate, almeno in buona parte, dallo spianamento erosivo. Ringiovaniti dal sollevamento epeirogenico recente, i corsi d'acqua antichissimi hanno messo allo scoperto, con le nuove incisioni, le più antiche e profonde strutture; ma, per la maturità avanzatissima delle valli, i fiumi maggiori sono navigabili fino a distanze grandissime dalle foci.

Una nota speciale, nell'incisura recente delle zone livellate, è data dal paesaggio caratteristico del loess, con le sue alte pareti a picco, straordinariamente unite, le sue forme cubiche, i pinnacoli, i profondi intagli, i passaggi sotterranei da una valle all'altra.

Bibl.: Oltre alle opere generali (fra le quali ha capitale importanza l'opera del Suess, Das Antlitz der Erde) e alle pubblicazioni del Geological Survey of China e della Geological Society of China, vedi principalmente: F. von Richthofen, China, I-V, Berlino 1877-1912; L. von Loczy, Wissenschaftliche Ergebnisse der Reise des Grafen Béla Széchenyi in Ostasien, Budapest 1897-99; B. Willis, E. Blackwelder, Research in China, Carnegie Inst., Washington 1907; S. Yamane, Outline of Stratigraphy of Northern China, Tokyo 1924; E. Argand, La tectonique de l'Asie, C. R. XIII Congr. géol. intern., Bruxelles 1924; C. P. Berkey e F. K. Morris, Geology of Mongolia, New York 1927; A. W. Grabau, Stratigraphy of China, Pechino 1923-28; G. B. Barbour, The loess of China, Smithsonian Rep. for 1926, Washington 1927; J. W. Gregory, The structure of Asia, Londra 1929.

Orografia, idrografia. - Caratteri generali. - Conviene dar qui un breve sguardo d'insieme alle principali catene dei monti (cin. shan "monte"). Al N., dal K'uen-lun orientale, si diramano nel Kan-su tre sistemi principali: 1. A-la-shan (cin. Ho-lan shan) che continua verso NE., dall'altipiano degli Ordos, che ha un'altezza media di 1500 m. a 1600 m. e si abbassa verso N., al gomito del fiume Giallo, all'altipiano dello Shan-si, che ha un'altezza media di 2000 a 3000 m., e raggiunge a N. i 3500 m. e i monti Yin shan e Hsing-an (mongolo Khingan), a s. della Mongolia (v.), i quali sono formati da catene parallele e si elevano fino a 1800 m. A questo sistema sono riuniti i monti del Kan-su, a N. del Ko-konor (cin. Ts'ing hai), alte catene che salgono ad oltre 5000 metri e si abbassano a NO. e SE. 2. Il sistema del K'uen-lun orientale propriamente detto che divide le acque del fiume Giallo da quelle del Yang-tze kiang e assume, da O. a E., i nomi Si-k'ing shan, Ts'in-ling shan, dove raggiunge i 4000 m. e ha un'altezza media di 2000 m., Fu-niu shan, dove ha un'altezza media di 800 m. e giunge ai 2000 m., Hwai-yang shan, dove alcune cime giungono ancora ai 2000 m. Queste diverse catene sono difficilmente attraversabili eccetto che alle estremità e i valichi sono elevati. 3. Il sistema del Min shan e del Kiu-lung shan (monti dei nove draghi). Il primo limita a N. lo Sze-ch'wan, ha un'altezza media di 2500 m. e sale assai più verso O. Il secondo divide l'affluente Han ho dall'Yang-tze kiang, e ha un'altezza media di 3500 m. Tra le due catene vi è un solo valico attraverso cui passa il fiume Kia-ling kiang per entrare nello Sze-ch'wan.

Nel centro, l'altipiano di Ch'eng-tu nello Sze-ch'wan, fertilissimo, con un'altezza media di 500 m., circondato a E., O., e N. da alte catene di monti che hanno una direzione da NO. a SE., e salgono verso il confine tibetano a oltre 6000 m. Questi monti hanno valichi difficili, il principale dei quali è quello di Tsa-t'sien-lu vicino a Pa-t'ang (Batang). Al S., le catene dello Sze-ch'wan occidentale si prolungano a O. dello Yün-nan e si allargano a NO. e a E. di questa provincia in immensi altipiani, dello Yün-nan con una altezza media di 2300 m., del Kwei-chow, altezza 1300 m., e del Kwang-si con un'altezza media di 300 m., che si abbassano come tre immensi scalini. Questi altipiani, continuano con un sistema di alture che dividono il Si kiang e il Yang-tze kiang, e superano raramente i 1800 m., dapprima da NO. a SE. e poi da NE. a SO. Tre sono i valichi principali di questo sistema: quello di Kwei-ling tra Kwei ling e la valle del fiume Siang kiang; quello di Cheh-ling tra il Siang kiang e l'affluente Pe kiang del Si kiang; e quello di Mei-ling tra il bacino del Kiang-si e lo stesso Pe kiang.

Oltre a questi, altri due sistemi importanti si estendono lungo le coste della Cina. A N., il sistema che forma la penisola dello Shan-tung, la cui cima più elevata è il monte T'ai shan, 1545 m.: si espande in varie catene in tutte le direzioni, tra cui scorrono numerosi fiumi. A S. la catena del Ta-yü ling (ling "catena di monti") ricopre gran parte del Fu-kien e dal Che-kiang, segue la direzione delle coste e si eleva fino a 2000-3000 m.

Conviene ancora ricordare qui il culto dei monti che ha tanta parte nella storia religiosa della Cina. Cinque sono i monti sacri (cin. Wu-yo): il T'ai shan nello Shan-tung, il Hang shan nello Shan-si, il Sung shan nel Ho-nan, il Hwa shan nello Shen-si, e il Heng shan nel Hu-nan. Altri monti famosi sono il monte Wu-t'ai shan nel N. dello Shan-si, O-mei shan (Ngo-mei shan) nell'O. dello Szech'wan e i tre picchi di Dokerla vicino ad Atungtze a O. dello Yün-nan (centro di pellegrinaggi tibetani).

Tra le pianure, la più estesa a NE. occupa la maggior parte del Chih-li, Ho-nan, An-hwei, Kiang-su, Shan-tung. Le altre pianure principali sono quelle del lago Tung-t'ing, quella di Han-k'ow e quella del lago P'o-yang; sono più ristrette le pianure di Hang-chow e di Canton.

Clima. - Dal punto di vista climatico, la Cina, con l'India, l'Indocina e il Giappone, fa parte dell'Asia cosiddetta monsonica. Tutta la Cina infatti è più o meno sotto il dominio dei monsoni, venti periodici che soffiano alternativamente, nell'inverno, quali correnti continentali fredde e secche, dall'interno asiatico verso il Pacifico, e nell'estate in senso inverso, quali venti umidi e forieri di pioggia, dall'Oceano verso l'interno. Altri caratteri generali del clima della Cina sono le grandi escursioni di temperatura, specialmente nelle regioni settentrionali, rese più accentuate dal giuoco dei monsoni, fra la stagione calda, umida e piovosa, e l'inverno rigidissimo e secco, e la frequenza, nel periodo dell'inversione dei monsoni, di venti ciclonici, chiamati tifoni, che, provenienti dal mare, colpiscono con particolare violenza le zone costiere meridionali e centrali. Modificatore importante del clima è poi il rilievo del paese in gran parte pianeggiante o collinoso verso il mare e chiuso a SO. e a O. da imponenti catene e altipiani che riparano alquanto durante l'inverno dai freddi intensi dell'interno e fanno sì che i venti continentali, costretti a scendere lungo i loro fianchi, si riscaldino per la pressione a cui vanno incontro abbassandosi.

Per quanto riguarda la temperatura, la Cina è compresa tutta fra l'isoterma annua di o° e quella di 24°; dalla carta delle isoterme annue risulta inoltre evidente che la Cina a parità di latitudine è assai più fredda dell'Europa. Pechino, per es., che si trova alla latitudine di Otranto, ha la stessa temperatura media di Dublino, situata quasi a 13° più a N. Anche Nanchino ha un'anomalia negativa di 3° 7. Più accentuate sono le differenze di temperatura fra l'Europa e la Cina nei mesi invernali, quando il freddo, specialmente nella Cina settentrionale, si fa assai intenso, per la vicinanza dell'area anticiclonica siberiana. Nel gennaio infatti le isoterme corrono assai irregolari, e tra il Baikal e le coste fanno un'ansa tanto brusca e accentuata con la convessità rivolta a S., che l'isoterma di −10° corre poco a N. di Pechino, la cui media temperatura del gennaio è di −4° 7, pari quasi a quella di Riga (−5° 1), posta 17° più a N. Ai freddi intensi invernali contrastano talora i calori eccessivi dell'estate, tanto che l'isoterma di +20°, che nel mese più freddo passava poco più a S. di Hai-nan, nella zona intertropicale nel mese più caldo abbraccia tutta la Cina, spingendosi fino a Jakutsk, oltie il 60° parallelo. La regione dello Sze-ch'wan ha in questo mese le massime temperature di tutta la Cina, superiori ai 30°; e anche Pechino ha nel luglio una media di 26°. L'escursione annua si fa più accentuata con l'aumentare della latitudine; così, p. es., a Hong-kong essa è di soli 12° e a Quenming di 13°, mentre ad Aigun, nella Manciuria settentrionale, è di 46°, ad Urga di 45°, e a Lukchun, nel Sin-kiang, di 43°. L'alto grado di continentalità, coadiuvato dalla limpidezza del cielo primaverile, fa sì che molte località interne della Cina settentrionale e della Manciuria abbiano una media temperatura d'aprile superiore a quella dell'ottobre. Per lo stesso motivo, anche Pechino ha temperature medie primaverili superiori a quelle di Shanghai, situato a latitudine assai più bassa, ma con clima più oceanico e con un cielo primaverile meno limpido. Si veda in proposito il seguente specchio dove sono segnate le temperature medie di ottobre, aprile, maggio e giugno.

Il regime delle precipitazioni è vario per le differenti parti della Cina. Normalmente esse vanno diminuendo da S. a N. e con l'aumentare della distanza dal mare, e sono dappertutto o esclusivamente o almeno prevalentemente estive, mentre gl'inverni sono in ogni regione più o meno secchi. Una simile distribuzione delle precipitazioni è peraltro utile alla Cina, perché le piogge vengono a cadere quando son necessarie per le campagne. Purtroppo però esse non cadono sempre regolari nel tempo e nella quantità. Talvolta sono precoci, talvolta invece tardive, oppure cadono torrenziali in un periodo di tempo troppo breve, per cui quasi annualmente qualche regione dell'immenso territorio soffre o per la siccità eccessiva o per improvvise inondazioni. Questi pericoli sono più frequenti nella Cina settentrionale, dove non rari sono i casi di spaventose carestie, quali quelle del 1902 e del 1920, dovute a una diminuzione anche piccola delle già scarse precipitazioni annuali, attese nel periodo vegetativo, e dove d'altra parte non sono sconosciute neppure le inondazioni rovinose, come per es. quella del 1917 o quella del 1924, che allagò una superficie di migliaia di kmq., dovute a piogge diluviali cadute nel breve spazio di pochi giorni sopra un terreno in gran parte disboscato, tutto piano e tanto basso che i fiumi stessi assai spesso sono contenuti in letti pensili. Nella Cina settentrionale e nella Manciuria il massimo delle precipitazioni si ha di solito nel luglio, mentre l'inverno e la primavera sono assai secchi. Così a Pechino il 91% delle precipitazioni annuali cade fra maggio e settembre e un buon terzo nel solo mese di luglio. Nella vallata inferiore del Yang-tze kiang il mese più piovoso è il giugno e poi l'agosto, seguiti dall'aprile che è più piovoso del maggio. In questa regione la primavera è più piovosa dell'autunno che ha però piogge; come precipitazioni, quantunque scarse, ha anche l'inverno. Nella vallata superiore del Yang-tze, nelle provincie dello Sze-ch'wan e dello Yün-nan il regime delle piogge è simile a quello della Cina settentrionale. Nella Cina meridionale le precipitazioni sono più abbondanti che altrove e manca una vera stagione secca. Il mese più piovoso è di solito il giugno o l'agosto. La primavera è più piovosa dell'autunno.

Il regime dei venti è dominato, come si è detto, dall'alternarsi dei monsoni. I monsoni della Cina però sono meno regolari di quelli dell'India, essendo spesso interrotti da correnti cicloniche talvolta, e specialmente lungo le coste meridionali, assai violente. Nel breve periodo di 12 anni che va dal 1904 al 1915 ben 54 tifoni si abbatterono sulle coste della Cina, e di questi, 45 durante i mesi di luglio, agosto e settembre. Il più violento verificatosi nel primo quarto di questo secolo fu lo spaventoso ciclone di Swatow, dell'agosto 1922, il quale con la violenza del vento e delle onde che si abbatterono sulla città produsse la morte di 40.000 persone.

In base ai dati climatici esistenti, Coching Chu, per l'intero territorio cinese, ha distinto le seguenti zone climatiche:

1. La Cina meridionale, di clima subtropicale, comprendente le provincie di Kwang-tung e di Kwang-si e le regioni meridionali del Fu-kien e del Kwei-chow, ha una media temperatura nel mese più freddo, e cioè nel gennaio, superiore ai 10° e una temperatura annua di circa 18°. L'escursione oscilla fra i 12° e i 20°. Le precipitazioni, prevalentemente estive, sono abbondanti, superiori al metro e anche al metro e mezzo. I tifoni sono frequenti da giugno a settembre.

2. La Cina centrale, comprendente la vallata del Yangtze kiang, ha quasi quattro mesi dell'anno con una temperatura media inferiore ai 10°. L'escursione annua della temperatura è già fra i 18° e i 25° e le precipitazioni sono ancora superiori ai 75 cm. Durante l'inverno e la primavera sono frequenti i cicloni extratropicali, per cui l'inverno è relativamente umido, e nei mesi di aprile-giugno sono frequenti le piogge torrenziali. I tifoni sono violenti soltanto nel luglio e nell'agosto e flagellano solo la zona costiera.

3. La Cina settentrionale, che abbraccia le provincie di Shantung e di Ho-nan, la parte settentrionale del Kiang-su e dell'Anhwei e la meridionale di Shen-si, di Shan-si e di Chih-li, ha una temperatura media invernale intorno a 0° e annuale intorno a 10°, con un'escursione annua fra i 25° e i 35°. Le precipitazioni sono al disotto di 75 cm. annui e verso occidente il limite della zona è segnato dall'isoieta di 40 cm. Il mese più piovoso è il luglio, e l'inverno è del tutto secco. Le piogge variano poi moltissimo di anno in anno e spesso cadono tutte in un breve periodo.

4. L'altipiano dello Yün-nan, a causa della sua altitudine fra i 1000 e i 3000 m., ha un clima tropicale dei migliori: la temperatura media annua varia fra i 14° e i 18°, con escursioni annue fra i 12° e i 15°; le precipitazioni annue arrivano al metro e sono prevalentemente estive.

Oltre a queste quattro zone, proprie della Cina, Coching Chu distingue le quattro seguenti, trattate più ampiamente alle voci corrispondenti:

5. La Manciuria, eccettuata la parte estrema occidentale, ha per almeno 5 mesi dell'anno una temperatura media inferiore a o° e la media annua è inferiore a 10°; la stagione vegetativa perciò è di 5-6 mesi soltanto; gl'inverni sono rigidissimi: il fiume Sungari gela per 5, l'Amur per 6 mesi. Le precipitazioni annue variano fra i 40-60 cm., che per metà cadono in luglio e agosto.

6. L'angolo nord-occidentale della Repubblica cinese, l'Alashan, la Mongolia meridionale, la Manciuria occidentale, sono di clima steppico, con una media di temperatura annua di 5-100, con forti escursioni annue e con una media annua di precipitazioni di 20-40 cm., esclusivamente estive.

7. La regione tibetana, con un'altitudine superiore ai 3000 metri, ha clima per ciò che riguarda la temperatura di carattere quasi polare e per ciò che riguarda le precipitazioni assai scarse (meno di 250 mm.) di carattere quasi o del tutto desertico.

8. Il Sin-kiang ha in comune con la Mongolia un clima del tutto continentale, con fortissime escursioni di temperatura fra il mese più caldo e il più freddo e scarsità di precipitazioni, inferiori ai 200 mm.: è perciò un clima arido di steppa, in alcune regioni addirittura desertico.

Bibl.: Cocking Chu, Climatic Provinces of China, in Memoirs of the Institute of Meteorology, Nanchino 1929; C. E. Koeppe e N. H. Bangs, The climate of China, in Monthly Weather Review, gennaio 1928.

Acque continentali. - I fiumi. - Il sistema idrografico della Cina, come il sistema orografico, si riattacca strettamente al Tibet. I fiumi irradiano dal Tibet, come le montagne, da O. ad E. I fiumi della Cina sono generalmente chiamati ho nel N., kiang (pechin. chiang; cant. kong) nel centro e nel S.; talvolta shui, "acqua".

I tre grandi fiumi sono: il Hwang ho (Huang ho) a N.; il Yang-tze kiang nel centro; il Si kiang a S. I bacini di questi tre grandi fiumi con i loro affluenti occupano la maggior parte della Cina propriamente detta. Tre altri fiumi minori sono: il Pe ho, il Hwai ho e il Min kiang. Il Me kong (ovvero Lan-tsan kiang) e il Salween (ovvero Lu kiang) attraversano soltanto la provincia dello Yün-nan e poi scendono nell'Indocina (v.).

I tre grandi fiumi. - Il Hwang ho (fiume giallo, hwang "giallo"), nasce a circa 4200 m. d'altezza sul mare, in una depressione lacustre dell'altipiano del Tibet. Ha le sorgenti accanto ai laghi Tsaring-nor e Oring-nor, a S. della catena del Ko-ko-nor (cinese Ts'ing-hai). Il fiume, allo sbocco dei laghi, prende il nome di Machu ho; corre verso NE. e prende allora il nome di Hwang ho; entra nel Kan-su ed è allora disceso a 2500 m.; a Lan-chow fu è sceso a 1500 m. Passa attraverso un prolungamento del K'uenlun, costeggia l'A-la shan e si volge a N. dell'altipiano degli Ordo. Esce dal Kan-su a Ning-hsia, a 1000 m. s. m. Il corso medio si estende dal Kan-su fino ai monti del Ho-nan e dello Shan-si. Si allarga, diventa spesso navigabile e forma il confine tra lo Shan-si e lo Shen-si. Da questa provincia riceve il principale affluente, il Wei ho, navigabile in più punti. Scorre allora verso O, a 400 m. s. m.; costeggia a N. il monte Hwa shan, esce dalla gola di T'ung-kwan ("la porta delle onde") entra nella pianura a NO. dello Shan-tung e sbocca nel golfo del Chih-li. Nel corso inferiore trascina immense quantità di sabbie e di fango (loess) che rialzano continuamente il suo letto. Il fiume si è più volte spostato nella grande pianura del NE. Ha avuto il corso ora a N., ora a S. dei monti dello Shan-tung, riversandosi ora nel golfo del Chih-li, ora nel mar Giallo. Si è confuso talvolta col corso inferiore del Pe ho al N., o con quelli del Hwai ho e del Yang-tze a S. Nel 1851 si spostò, dopo due anni di incertezze, verso N. Nell'immensa inondazione del 1887 perirono un milione di abitanti. Nel 1898 furono devastati migliaia di villaggi. Nel 1921 una disastrosa inondazione distrusse centinaia di villaggi, vicino alle foci. Nessuna città importante è sulle rive nel corso medio e inferiore. Ha una portata media di 3000 mc. al secondo, vicino a Tsi-nan fu, nello Shantung. La portata è tripla nelle piene estive.

Il Yang-tze kiang è uno dei più grandi del mondo. Coi suoi affluenti, forma un'estesa rete di comunicazioni su cui si svolge intensa la vita economica della Cina. Il fiume prende il nome da quello d'un antico stato feudale Yang; gli Europei, seguendo i gesuiti del sec. XVII, lo chiamano spesso fiume Azzurro (francese fleuve Bleu, ingl. Elue River). Le sorgenti del fiume, a 4500 m. s. m., nel Tibet, qualche centinaio di km. a S. delle sorgenti del fiume Giallo, sono indicate nelle carte cinesi del sec. XVII, ma non sono state ancora visitate da Europei. Nella prima parte del corso è chiamato dai Mongoli Ulan-muren, dai Cinesi Chin-sha kiang ("fiume dalle sabbie d'oro") fino allo Sze-ch'wan, poi fino al lago Tung-t'ing è chiamato Ch'ang kiang (fiume lungo), nella sua ultima parte, Yang-tze kiang. La prima parte, torrentizia, si svolge in profonde gole, tra creste selvagge, scende a S. parallelamente al Mekong e al Salween. Piega poi a SE; a Batang il letto si è abbassato a 2700 m.; scende fino all'altipiano dello Yün-nan e risale attraversando lo Sze-ch'wan ove riceve numerosi affluenti; a Hsü-chow fu il letto è sceso a 300 m. In una seconda parte, seminavigabile, il fiume attraverso una serie di rapide scende a Ch'ung-k'ing a 180 m., e più a E. a I-chang fu a 40 m. Qui comincia il terzo tratto, che con larghe curve verso E. scende al mare con un percorso di 1500 km. Allora il fiume si allarga spesso più di un km. e mezzo ed è profondo da 9 a 30 m. Giunge all'estuario dopo 5000 km. di corso complessivo, è diviso in due rami dall'isola di Ts'ung-ming; ivi è largo 30 km. Con la piena estiva il livello del fiume s'innalza di 10 m.: le paludi e gli stagni adiacenti divengono laghi immensi. La portata media alla foce è di centomila mc. al secondo; il suo bacino è di due milioni di kmq., su cui vive oltre la metà della popolazione cinese. La marea è sensibile fino a Wu-hu a 600 km. dal mare.

Il Si kiang (fiume d'Occidente) nasce nell'altipiano dello Yün-nan piega a S., poi volge a N. verso il Kwei-chow, e in quel tratto ha il nome di Patah-ho. Costeggia il S. del Kwei-chow, dividendolo dal Kwang-si per 250 km., piega poi a SE. e attraversa il Kwang-si e il Kwang-tung. Prende il nome di Hung-shui ("acqua rossa") fino a un centinaio di km. dal confine del Kwang-si. Quindi prende il nome di Si kiang. Si divide in molti rami poco dopo la città di Chao-k'ing fu, e attraverso un immenso delta si getta nel mare della Cina meridionale. Si chiama Chu kiang (fiume della perla) il ramo settentrionale del delta, che passa attraverso Canton (v.). Il suo corso è ripido fino a Sün-chow fu, la sua portata variabilissima; è profondo appena un paio di metri durante la stagione asciutta, e sale fino a 8 m. nella stagione delle piogge. Scorre incassato in lunghe e strette gole, finché sbocca nel delta. La marea è sensibile a 300 km. dalle bocche. È navigabile fino a Wu-chow fu dai piroscafi di maggior portata nella stagione delle piogge; più oltre le rapide impediscono la navigazione: solo battelli a fondo piatto (ed ora motoscafi) possono giungere a Hing-i fu, vicino alla frontiera del Kwei-chow (v. anche Hwang Ho; Yang-tze kiang; si kiang).

I tre fiumi minori, Pei ho, Hwai ho, Min kiang. - Il Pei ho (fiume bianco) nasce nella Mongolia, tra i monti In-shan, costeggia la Grande Muraglia, entra nella pianura a N. di Pechino; diventa navigabile soltanto a T'ung-chow. Volge a SE. e acquista grande importanza a T'ien-tsin, quindi giunge al mare, dove una barra impediva il passaggio alle navi, finché grandi lavori hanno reso possibile l'accesso di T'ien-tsin.

Il Hwai ho e i suoi affluenti, di cui il principale è lo Sha ho, irriga la pianura del Ho-nan; quivi, arrestato dai monti dell'Anhwei, penetra in questa provincia e si getta nel lago Hung-tseh. È navigabile a partire da Sin-yang hsien. Il fiume, largo da 150 a 400 m., è soggetto a violente piene che inondano i paesi circostanti per una ventina di km. È desiderabile una sistemazione e un collegamento migliore dei suoi affluenti, in gran parte navigabili.

Il Min kiang ("fiume del serpente"), nel Fu-kien, è formato da tre principali tributarî che si uniscono a Yen-p'ing-fu: il Kien-k'i da NE., che passa per la città di Kien-ning fu, lo Shao-wu k'i da O., che passa per la città omonima, e il Ning-hwa k'i da SO., che passa per la città omonima. Più importante è il primo, navigabile quasi fino alla sorgente, nonostante le rapide.

Il Min kiang è però completamente navigabile soltanto da Shui-k'ow in poi; piega poi verso Fu-chow e sbocca nel Tung-hai ("mare orientale"), dividendosi in due rami. I piroscafi possono risalire fino a 15 km. a E. di Fu-chow soltanto a marea alta, a causa di una barra alla foce del fiume. Il Min kiang insieme col suo affluente Kien k'i ha una lunghezza di 550 km.

I laghi. - I laghi principali (cin. hu, "lago") si trovano nella vallata del Yang-tze kiang. I tre maggiori sono il T'ung-t'ing nel Hu-nan, il P'o-yang nel Kiang-si e il T'ai hu a S. del Kiang-su. A N. del Yang-tze kiang il più importante è il lago Hung-tseh, che si trova tra le provincie di An-hwei e Kiang-su; sono poi da ricordare i laghi dello Yün-nan.

Il lago T'ung-t'ing è lungo 120 km., largo 70 km. durante l'estate, nell'inverno il livello delle sue acque si riduce fortemente. È alimentato da numerosi fiumi da E. e da S., il più importante dei quali è il Siang kiang. Nell'estate la piena del Yang-tze kiang vi penetra e respinge le acque che esso riceve dal Siang kiang e dai suoi affluenti. D'inverno il lago versa le sue acque nel Yang-tze kiang, col quale comunica per mezzo del canale di Yo-chow fu. Malgrado queste variazioni il lago è solcato in ogni senso da migliaia di battelli, barche e immense zattere. Una fitta rete di canali lo circonda, ma pochi sono i villaggi sulle sue sponde, tutti circondati da alte dighe per proteggerli dall'elevazione del livello delle acque. A N. il canale T'ai-ping congiunge il lago col Yang-tze kiang.

Il lago P'o-yang, nel Kiang-si, lungo 140 km. e largo 32, è molto profondo, al pari del Tung-t'ing, specialmente verso S. Durante la piena sale 9 m. sul livello medio e inonda tutte le paludi circostanti. Contiene numerose isole. Le rive settentrionali piuttosto ripide sono ricche di villaggi e di alberi. Le sue tempeste sono temute. È solcato da piroscafi e motoscafi. Il canale Hu-k'ou ("bocca del lago") lo congiunge col Yang-tze kiang. Il Kiang-si è ricco di laghi e di stagni in cui si allevano pesci.

II lago T'ai hu, nel Kiang-su, ad O. della città di Su-chow fu, è una distesa d'acqua presso a poco come il P'o-yang, ma con minori variazioni di livello. Contiene una decina d'isole, di cui tre abitate. Nell'inverno getta le sue acque nel Yang-tze kiang, mentre in estate, dopo le grandi piogge, si scarica nel grande canale, ma, se non piove, riceve acqua dal Yang-tze kiang.

Il lago Hung-tseh, situato in parte nel Kiang-su e in parte nell'An-hwei, ha circa le stesse dimensioni del T'ai hu, ed è parimenti solcato da un'attiva navigazione. È alimentato ad O. dal fiume Hwai ho. La regione ad E., molto bassa, è protetta da una diga di pietra. Il. lago è ricco di pesce; è congiunto col grande canale a NE. e a SE. col lago Kao-yiu, che è ad O. del canale. Ad E. del lago Kao-yiu e del grande canale si trova il lago Ta-tsung.

Coste, isole, estuarî. - Le coste della Cina hanno la figura di un grande semicerchio con una lunghezza di 3500 km., ovvero di 8000 km. circa se si tiene conto delle piccole insenature. Il punto più orientale è un'isola in faccia al Che-kiang, a 123° di long. E. All'estremità N. il Golio del Chih-li e la penisola dello Shantung, a S. il Golfo del Tonchino e la penisola di Lei-chow, continuata dall'isola di Hainan, dànno una certa simmetria alla costa. La costa della Cina ha un doppio carattere: alluvionale e roccioso. Il primo offre linee rette e curve regolari, e la costa circostante è piatta, con laghi e paludi, il mare poco profondo; pochi porti, accessibili soltanto a piccole navi. Solo i grandi fiumi che tagliano un canale nella sabbia permettono il passaggio alle navi di grande portata; spesso banchi di sabbia si formano alle foci. Sono di questo tipo le coste del Chih-li nel N. e NO., dello Shan-tung e del Kiang-su. Le altre parti della costa sono rocciose, frastagliate, collinose; mare profondo. Invece di banchi di sabbia, innumerevoli isole e isolette formano porti naturali profondi e ben protetti. Le coste di questo tipo possono essere suddivise secondo che le catene dei monti sono parallele o perpendicolari alla costa: nel primo caso, lunghe catene d'isole sono parallele alla costa e le correnti nei canali così formati sono talvolta pericolose. Nel secondo caso le catene d'isole prolungano nel mare la configurazione del retroterra; le baie sono lunghe e profonde. Lo Shan-tung e il Chekiang hanno coste della seconda specie, il Fu-kien della prima e il Kwang-tung di entrambe le specie.

I mari della Cina (in cin. hai "mare") sono meno salati e meno profondi del Pacifico; l'altezza delle maree, appena sensibile nel golfo del Chih-li e a Hong-kong (circa 2 m.), sale a 5. m. nel Fu-kien. La temperatura del mare in febbraio è di 26° in faccia all'isola di Hai-nan, scende da 20° a 15° in faccia a Hong-kong, a 10° nel Che-kiang e da 5 a 0 nello Shan-tung. In agosto la temperatura del mare è da 30° a 27° in faccia all'isola di Hai-nan, da 25° a 20° da Hong-kong allo S-han-tung e da 20° a 15° più a N. (v. clima).

Il Poh "braccio di mare" ha una profondità massima di 45 m.; lungo la bassa costa si ha una profondità di 5-6 m. soltanto a 15 km. dalla costa, a meno che il fiume apra un profondo canale nella sabbia. I fiumi principali che permettono l'accesso alle navi sono il Liao ho che attraversa la Manciuria, il Pe ho, attraverso il Chih-li, e il Fiume Giallo che attraversa lo Shan-tung. Il Poh hai forma i due golfi del Chih-li e del Liao-tung.

Presso la costa del Chih-li vi sono lunghi banchi di sabbia, dei quali il più grande, lungo una quarantina di km., si trova a 15 km. dalla costa e a NE. della bocca del Pe ho. In faccia alla costa NO. dello Shan-tung l'arcipelago delle Miao tao (cin. tao "isola") comprende una quindicina d'isole: la più importante Ch'ang shan "monte lungo" è lunga un centinaio di km. e la sua maggiore altezza è di circa 1600 m.; più a N. l'isola di Hou-ki, più piccola, alta alla sommità circa 100 m., ha un importante faro. La costa della penisola dello Shan-tung bagnata dal Mar Giallo (Hwang hai, che deve il suo colore al fango del fiume), granitica e di natura vulcanica, vicino a Teng-chou è frastagliata, irregolare e contornata da scogli pericolosi alla navigazione. Di poca importanza sono l'isola Hai-lü tao a NO. e l'isola Su-shan tao a S. Notevole l'isoletta di K'ung-t'ung che protegge la baia di Chi-fu (Yen-t'ai), ceduta alla Francia nel 1860; le isolette in faccia alla baia di Wei-hai-wei, cedute all'Inghilterra nel 1898, insieme col porto, e l'isoletta di Ts'ing tao ("isola verde"), che dà il nome a un porto ceduto alla Germania nel 1898 e ricuperato dalla Cina dopo la guerra europea. La costa del Kiang-su è fiancheggiata da immensi banchi di sabbia, che formano con la costa canali, poco profondi. Il più importante, a SE. di Hai-chow, è chiamato Ta-sha "grandi sabbie", lungo 150 km. e largo 50. È stato formato dai depositi del Fiume Giallo. Merita di essere ricordata l'isola di Yü-tao ("l'isola della perla") a NE. di Hai-chow.

Alla bocca del Yang-tze kiang, che si estende per quasi 100 km. dall'estremità di Hai-men al capo P'u-tung, sono varie isole, tra cui la più importante è quella di Ts'ung-ming (pechinese: Ch'ung-ming). È lunga 65 km. e larga 8-12 km., ha una popolazione superiore al milione, ed è stata formata da un deposito alluvionale del Yang-tze kiang. È continuamente erosa a NO., mentre gradualmente cresce a SE. Produce cereali, cotone, canna da zucchero, ecc.

L'estuario del Yang-tze kiang ha tre canali; il più importante, quello meridionale, è unito al Hwang-p'u, il fiume di Shanghai.

A S. del delta, la Baia di Hang-chow, in forma d'imbuto, ha 100 km. ad un'estremità e si contrae gradualmente all'altra estremità. Quando la marea sale, l'acqua penetra con forza e a causa del fondo basso, circa 2 m., incontra la corrente del fiume che scende; si forma allora un vero muro d'acqua (barra) che nelle grandi maree sale a 8-9 m. e si precipita nel fondo della baia.

L'arcipelago di Chusan (è pron. dial. del cinese Chow shan, monte della barca") comprende più d'un centinaio d'isole (v.).

Numerose e profonde baie ed estuarî si aprono lungo la costa, dopo il fiume Ning-po, fino al Fu-kien. Le principali sono l'estuario del Yung kiang, il fiume di Ning-po (v.); la baia di Nimrod (cinese Siang-shan kiang "il fiume del monte dell'elefante"), la baia di Sanmen "delle tre porte", accessibile da tre passaggi, contiene varie isole e isolette ed ha eccellenti ancoraggi; situata però in una regione povera, non merita la fama che ebbe in passato. La baia di T'ai-chow, larga e poco profonda, forma l'accesso alla città di T'ai-chow fu, la baia di Wen-chow forma l'estuario del fiume Ou kiang, il fiume della città di Wen-chow fu, ha buoni ancoraggi, il migliore dei quali è in un gruppetto di isole (Bullock Harbour). Le isole qui sono numerose e generalmente di formazione granitica, di poca importanza. Verso S. segue la costa del Fu-kien ripida e rocciosa con porti eccellenti; i principali, Amoy (v.) e Fuchow. Notevoli le baie di Sansha e quella che forma l'estuario del Min kiang.

La costa del Kwang-tung, rocciosa come quella del Fu-kien, ha pure buone baie e possiede la più grande isola della Cina, Hainan, la lunga penisola di Lei-chow e i migliori porti della Cina, Hong-kong, Canton, Swatow, Hai-k'ow, Macao, Pak-hoi (pechinese Peh-hai) e Kwang-chow wan. La costa è bagnata dal mare del Sud (Nan hai) e dal Golfo del Tonchino. Notevole fra le isole in faccia a Macao quella di Lappa o Kung-pe (v. macao).

Flora.- La flora della Cina è straordinariamente ricca, oltre che per l'estensione del territorio e per la varietà dei suoi climi, per il fatto che essa fu poco disturbata dal periodo glaciale e poté così conservare molti antichi ceppi di piante che altrove furono distrutti o potentemente cribrati. Le sole Fanerogame ammontano a circa 10.000 specie e le Pteridofite a circa 400, delle quali i tipi più sorprendenti e singolari sono quelli che vegetano nello Yün-nan e nello Sze-ch'wan, paesi nei quali vi è anche una larga rappresentanza di specie malesi. Come in tutti i casi consimili, l'endemismo vi è molto elevato, ma sarebbe prematuro indicare il numero sia pure approssimativo di quanto la Cina ha di proprio. Altra caratteristica è l'abbondanza d'essenze legnose e d'arbusti i quali si associano a costituire masse forestali quanto mai eterogenee: è raro il caso che una o poche di esse prendano la prevalenza come avviene nei nostri boschi, ma anche in questo caso il sottobosco s'impone per la sua ricchezza e varietà. Le Conifere vi sono rappresentate da 16 generi, tre dei quali (Pseudolarix, Keteleria e Glyptostrobus) sono endemici mentre Cunninghamia è in comune con la Cocincina e Cryptomeria con il Giappone. Ricco di specie è il genere Pinus, delle quali il P. sinensis, spesso associato a Keteleria Davidiana, entra a caratterizzare formazioni boschive della Cina sud-occidentale da 1800 a 3800 m., con intercalate boscaglie e steppe a graminacee, mentre più in alto sino a 4450 m. un abete (Abies Delavayi) e un larice (Larix Potanini) si spingono sino ai limiti estremi del bosco insieme con due rododendri (Rhod. recurvum e taliense) che spesso li sovrastano. Appartiene a una famiglia affine alle Conifere il famoso Gingko biloba, che la Cina ha in comune col Giappone, albero sacro e che oggidì non si trova quasi più che allo stato di coltura, mentre i suoi antenati si spingono sino al Carbonico e occupano una vasta area; fu introdotto nei giardini e nei parchi d'Europa ed è nota la sua importanza filogenetica. Fra le latifoglie il primo posto è tenuto dal genere Quercus con 60 specie tra caducifoglie e sempreverdi e tra queste ultime è lo stesso nostro leccio, ma fra le Amentacee vi sono anche parecchie betulle, carpini, noccioli, tre specie di noci, tra cui la nostrana, quattro Pterocarya, due faggi diversi dal nostro, ma non costituenti faggete, parecchie razze di castagno più o meno distinte dalle europee e qualcuna propria. Boschi a parco sono nelle regioni montuose temperate, formati dalla Quercacea Lithocarpus thalassica. Di altre famiglie si ricordano Magnolia con 16 specie, delle quali ben 12 endemiche, parecchi aceri e, fra quelle introdotte in Europa per ornamento o per utilità, l'albero del gelso e del moro papirifero, l'ailanto, la Paulownia, la Sophora, la Gleditischia e l'albero della canfora che non oltrepassa, o di poco, le provincie meridionali.

Vi sono poi moltissimi arbusti, tra cui primeggia il genere Rhododendron ricco di ben 130 specie, mentre appena due sono sulle nostre Alpi, e si citano, tra quelli introdotti in orticoltura, Hydrangea, Deutzia, Camellia: di quest'ultimo la C. thea (o Thea chinensis), propria della Cina ma anche coltivata, fornisce le foglie per la nota bevanda. Fra gli arbusti si possono conusiderare le Bambusee rappresentate da una quarantina di specie.

Nei distretti della Manciuria e della Cina del Nord, a parte le conifere, non vegetano che alberi e arbusti a foglie caduche, mentre in quelli meridionali, dove esistono più o meno estese foreste pluviali e boschi e savane a carattere sub-tropicale, sono in assoluta prevalenza i sempreverdi. In qualche regione intermedia, come nel Tsing-ling shan, si può seguire il graduale passaggio dal bosco e dalla boscaglia a foglie estivanti alle corrispondenti a foglie persistenti. Si è già ricordato il genere Quercus, ma parecchi arbusti (Evonymus, Celastrus, Elaeagnus, Smilax) sono quanto mai espressivi di questo fatto in quanto posseggono specie caducifoglie e altre sempreverdi. Dove l'agricoltura ha condotto alla distruzione del bosco, esso è sostituito, là dove il terreno non è mosso, da una boscaglia formata da alcuni degli arbusti sopracitati a cui si aggiungono specie dei generi Rhus, Pistacia, Zizyphus, Paliurus, Lycium: boscaglia che per la sua fisionomia e per il fitto intreccio di liane erbacee e sarmentose (abbondantissime le Clematis) ricorda alquanto la macchia dei territorî circummediterranei (vi mancano, però, le eriche, i cisti, il corbezzolo) e più ancora la pseudo-macchia di quelli balcanici. Ma dove le liane diventano più numerose assumendo spesso gigantesche dimensioni, è nei boschi pluviali delle provincie meridionali e occidentali, e vi contribuiscono rappresentanti delle famiglie delle Lardizabalacee, Menispermacee, Apocinacee, Celastracee, Leguminose, ecc. È una leguminosa dal tronco arboreo, crescente però anche in Mongolia, la Wistaria sinensis, quella che, sotto il nome di glicine, è diventata forse la più comune delle nostre rampicanti. Nei boschi pluviali vi è pure, ma rara, qualche epifita delle Felci, Orchidacee e Gesneriacee, qualche cauliflora, qualche Ficus dalle radici fulcranti (coltivato spesso vicino alle pagode), e di Palme la Livistona chinensis che nei nostri giardini va sotto il nome di Latania borbonica, mentre il Trachycarpus excelsa, la più comune delle palme rustiche e introdotta da noi sotto l'erroneo nome di Chamaerops excelsa, è propria della Cina centrale e orientale extratropicale. Un'altra specie, il Trach. nana Becc., è nota sin qui solo in una località dello Yün-nan.

Straordinariamente ricca, dovunque l'altitudine lo comporti, è la flora alpina rappresentata da generi che quasi sempre coincidono con quelli delle catene alpine dell'Europa, ma spesso con un numero molto maggiore di specie, in modo da dare credito all'ipotesi che ci si trovi in presenza, soprattutto nella Cina occidentale e centrale, di uno o più centri di formazione di piante orofile, alcune delle quali hanno emigrato a lente tappe verso le nostre Alpi, dove pur esistono in forme identiche o leggermente divergenti.

Moltissime sono le piante indigene o esotiche sottoposte a coltura e a sfruttamento, a cominciare dai cereali: frumento, orzo, miglio, mais, ma il più diffuso è certo il riso. Notevoli sono pure le colture del tabacco, del cotone, del tè; in gran parte abbandonata quella del papavero da oppio. Nei settori più caldi la coltura del mango, della papaia, delle banane, degli ananassi, della canna da zucchero e quella più intensificata degli agrumi infondono al paesaggio colturale un'impronta tropicale. Molto diffusa è la coltivazione della soia (Glycine soja) che si è tentato d'introdurre in Italia, ed abbastanza estesa è quella della vite e più ancora quella del gelso adoperato per l'alimentazione del baco da seta. Sono spontanee, ma anche sottoposte a coltivazione, fra le piante medicinali più accreditate, le più importanti specie di rabarbaro. Abilissimi nel giardinaggio, i Cinesi hanno impresso in svariate piante ornamentali le orme del loro genio estetico: basti citare le numerose razze di crisantemo, di papavero dei campi, ecc.

Bibl.: A. Franchet, Plantae Davidianae ex Sinarum imperio, Parigi 1884; L. Diels, Die Flora von Central-China, in Bot. Jahrb. di A. Engler, XXIX (1901), pp. 169-659; id., Beiträge zur Flora des Tsin ling shan und andere Zusätze zur Flora von Central-China, ibid., XXXVI (1905), Beibl. n. 82; id., Untersuchungen zur Pflanzengeogr. von West-China, ibid., XXXIX (1913), Beibl. n. 109; H. Christ, Les collections de Fougères de la Chine au Musée d'hist. nat. de Paris, in Mém. de la Soc. Bot. de France, I, Parigi 1905; R. Pampanini, Le piante vascolari raccolte dal Rev. P. C. Silvestri nel Hu-peh ecc., in Nuovo giorn. bot. ital., XVII (1910) e XVIII (1911); H. Hadel-Mazzetti, Übersicht über die wichtigste Vegetationsstufen und Formationen von Yunnan und S. W.-Setschuan, nel Bot. Jahrb. di A. Engler, LVI (1921), p. 578.

Fauna. - La fauna cinese è ricca e varia. Non meno di cento famiglie di vertebrati terrestri vi sono rappresentate, ed è notevole in essa l'infiltrazione di numerosi elementi prettamente orientali tra i dominanti elementi paleartici.

Tra le scimmie è da ricordare un cercopiteco (Rhinopithecus) esclusivo della regione. L'Ailuropus melanoleucus è un orso parimenti caratteristico: altri carnivori degni di menzione sono una sorta di cane, il Nyctereutes procyonoides, l'irbis (Felis uncia), che per altro si estende ad occidente fino alla Persia, e la tigre. Forme notevoli s'incontrano tra i ruminanti: l'Hydropotes inermis è un piccolo cervo acquatico limitato al Yang-tze kiang; l'elafodo è esclusivo della Cina e del Tibet, con due specie (Elaphodus cephalophus e l'E. michianus).

Notevole nella fauna ornitica è la grande ricchezza di fagiani che abbondano in tutto il territorio cinese più che in qualsiasi altra regione; segnaliamo il magnifico fagiano dorato (Chrysolophus pictus) e il non meno bello fagiano di Amherst (Chr. amherstiae) delle montagne della Cina meridionale e occidentale, il Phasianus torquatus e il Ph. elegans diffusi a occidente, il Ph. decollatus della Cina orientale e centrale, il Ph. Ellioti proprio della zona orientale, il Ph. Reevesi che abita la Cina settentrionale e occidentale, il fagiano argentato (Gennaeus nycthemerus) della Cina meridionale, il Crossoptilum mantchurium del nord della Cina, i Ceriornis, gli Ithaginis, ecc. Notevoli sono l'Anatra mandarino (Lampronessa galericulata) e l'anatra della Cina (Anser sinensis).

Fra i rettili ricordiamo dei coccodrilli nella parte meridionale e un alligatore (Alligator sinensis) localizzato nelle acque del Yang-tze kiang. Particolarmente notevole fra gli anfibî è la salamandra gigante (Megalobatrachus maximus) che vive anche nel Giappone e può superare un metro di lunghezza. I pesci d'acqua dolce sono abbondanti e di svariate specie. Tra le forme più caratteristiche ricordiamo un poliodontide (Psephurus gladius) proprio del Yang-tze kiang e del Hwang ho e il pesce dorato (Carassius auratus), introdotto anche iu Europa (v. carassio).

Regioni naturali. - La Cina propriamente detta si può naturalmente dividere in tre grandi regioni: 1. Settentrionale, comprendente il bacino del Pe ho e del Hwang ho; 2. Centrale, comprendente il baciuo del Yang-tze kiang; 3. Meridionale, comprendente il bacino del Si kiang e del Min kiang.

Queste regioni non sono separate da delimitazioni nette, ma si passa spesso per gradi insensibili dall'una all'altra. Questa mancanza di divisioni precise si ripercuote in tutte le manifestazioni della vita vegetale e animale e altresì nello sviluppo storico del popolo. Le divisioni politiche e amministrative hanno spesso variato e continuano a subire cambiamenti ancor oggi.

E possibile un'ulteriore suddivisione, fino a un certo punto naturale e simmetrica, la quale trova riscontro nelle vicende storiche della Cina.

La Cina settentrionale si può suddividere in tre parti:

a) Bacino superiore del Hwang ho, che comprende le due provincie Kan-su e Shen-si. Queste provincie, che sotto l'impero avevano lo stesso viceré, sono per la maggior parte montagnose, ricoperte in gran parte dal loess, con un clima asciutto e molto freddo verso N., più temperato verso S. Attraverso queste due provincie passano le più comode vie che congiungono la Cina all'Asia centrale.

b) Bacino medio del Hwang ho. Comprende le due provincie Shan-si e Ho-nan. Le montagne di queste due provincie costituiscono una barriera unica a O. della grande pianura del NE.; entrambe sono bagnate dal Hwang ho, entrambe sono ricche di ferro e carbone e sono in parte ricoperte dal loess, e infine in queste due provincie si è svolta la prima civiltà feudale della Cina. Ma esse hanno differenze notevoli: lo Shan-si è quasi dappertutto montagnoso, ha soprattutto ricchezze minerali; il Ho-nan, in parte piano, è ricco di prodotti agricoli ed ha più facili comunicazioni.

c) Bacino del Hwang ho inferiore e del Pei ho. Comprende le due provincie Chih-li e Shan-tung.

La Cina centrale si suddivide pure in tre parti:

a) Bacino superiore del Yang-tze kiang. Questa regione, che si può anche chiamare Cina occidentale (Western China), comprende naturalmente la provincia dello Sze-ch'wan e ad essa dovrebbero essere aggiunte le parti settentrionali dello Yün-nan e del Kweichow. È una regione isolata, per la difficoltà delle comunicazioni, dalle regioni vicine. Gli abitanti hanno caratteristiche comuni, il clima è quasi uniforme e più nebbioso che nel resto della Cina.

b) Bacino medio del Yang-tze. Comprende le due provincie Hu-pe e Hu-nan, le quali costituivano una sola provincia Hu kwang, suddivisa in due dall'imperatore K'ang-hsi. Sotto l'impero esse avevano un solo viceré. Sebbene le due provincie abbiano note caratteristiche alquanto diverse (il Hu-nan è molto più montagnoso), sono strettamente unite dal fiume.

c) Bacino inferiore del Yang-tze. Comprende le tre provincie Kiang-si, An-hwei e Kiang-su. Sotto l'impero erano governate da un unico viceré che risiedeva a Nanchino. Strettamente unite dalle vie fluviali di comunicazione, la loro vita è in gran parte la stessa. Intorno a queste tre provincie, uno dei centri culturali più importanti, si viene ora formando la nuova Repubblica (1911-30).

La Cina meridionale si divide anch'essa in tre parti:

a) Bacino superiore del Si kiang. Comprende le due provincie Yün-nan e Kwei-chow. Sotto l'impero governate da un solo viceré, che nsiedeva a Yün-nan fu. Queste due provincie sono entrambe situate in altipiani, abitati in parte da Cinesi, in parte da popolazioni aborigene. Il clima semitropicale e le difficoltà delle comunicazioni sono comuni a entrambe.

b) Bacino medio e inferiore del Si kiang. Comprende le due provincie Kwang-si e Kwang-tung. Erano governate da uno stesso viceré che risiedeva a Canton. Entrambe irrigate dal Si kiang, con un clima semitropicale, più montagnosa la prima, con una vasta e fertile pianura la seconda, esse ospitano una popolazione densa e dotata di caratteristiche proprie.

c) Regione costiera del Fu-kien e del Che-kiang. Queste due provincie, che sotto l'impero avevano un unico viceré, sono irrigate da brevi fiumi e sono relativamente isolate dal resto della Cina. Il clima, tropicale nell'estate, è più dolce nell'inverno. Le popolazioni delle due provincie conservano dialetti proprî. Il Chekiang è però strettamente collegato verso N. alla regione confinante specialmente col Kang-su.

Bibl.: Per il fiume Giallo: G. Köhler, Der Hwangho (Pet. Mitt., Supplem. 203), Gotha 1929. Per l'Yang-tze kiang: S. Chevalier S. J., Atlas du haut Yang-tsé, Shanghai 1899; H. Havret, Lîle de Tson-ming, la province de Ngan-hoei, in Var. Sinol. 1, 2, Shanghai 1892-93; W. Gill, The River of Golden Sand, Londra 1883; J. Dautremer, Le Yangtseu, Parigi 1911. Per il Si kiang: Ch. B. Maybon, La vallée du Si Kiang, in Ann. de géogr. comm., Parigi 1908; G. Wegener, Ins innerste China, Berlino 1926.

Per le coste SE: M. Carli, Il Ce-Kiang, Roma 1899; R. Fortune, Tea Countries of China, Londra 1853; H. Simotomai, Reiseskizze aus Süd-China, in Zeitschft d. Ges. für Erdkunde, Berlino 1913, pp. 538-553.

Sullo Yün-nan e Kwei-chow: H. R. Davies, Yün-nan, Cambridge 1909 (con aggiunte di H. Brenier, Bull. Éc. Extr. Orient, 1910, pp. 233-253); A. Hosie, Three Years in Western China, Londra 1890; A. F. Legendre, Au Yunnan, Parigi 1913; De Mecquenen, Le Kouei-tcheou, in Bull. de Géogr. histor. et descriptive, XXIV (1909).

Dati statistici, censimenti. - Fin dai tempi più antichi i Cinesi facevano censimenti. Fino al 1712 d. C., essendo fatti a scopo fiscale e registrando soltanto le famiglie che pagavano imposte, esprimevano cifre inferiori al vero. Dal 1712 in poi, fissato in modo invariabile il numero delle famiglie soggette a imposte, le autorità locali ebbero interesse ad accrescere le cifre della popolazione, per dimostrare gli effetti d' una buona amministrazione e per accrescere l'importanza politica delle singole provincie.

Durante la dinastia Han si hanno dieci censimenti (Ma Tuanlin, Wen-hsien t'ung-k'ao). Il primo, dell'anno 1 d. C., registra 59.594.978 individui ripartiti in 12.232.062 famiglie; l'ultimo, del 156 d. C., dà 50.066.856 individui ripartiti in 16.070.906 famiglie. In un secolo e mezzo la popolazione appare stazionaria. Nel 606 d. C. è registrata una popolazione di 55.500.000 persone. Nel 756 d. C. un censimento dà 52.919.309 individui e 8.814.708 famiglie, esclusi i bambini e i vecchi, ed inclusa la Corea. Nel 1290, sotto i Mongoli, un censimento dà 13.196.206 famiglie e 58.834.711 abitanti,

Sotto i Ming, dal 1381 al 1578, si ebbero 21 censimenti. La cifra più elevata, nel 1403, è di 66.598.337 ab., la più bassa, nel 1506, di 42.802.005. Il censimento del 1578, anno di pace e di tranquillità, registra 63.599.541 abitanti. Sebbene la precisione di queste cifre non sia grande, è da credere che in questo periodo la popolazione sia rimasta press'a poco stazionaria.

Ecco le ripartizioni degli abitanti nelle 15 provincie, in tre censimenti di questo periodo, in migliaia di abitanti:

Durante la dinastia mancese quasi ogni anno si hanno valutazioni della popolazione (registrate nel Tung-hua lu).

Ecco alcune valutazioni, in migliaia di abitanti:

Queste cifre sottoposte a ingegnose e accurate critiche da W. W. Rockhill, sono certamente assai lontane dal vero, e peccano per eccesso.

La popolazione della Cina propriamente detta era, con ogni probabilità, nel 1900, inferiore, forse molto inferiore, a 275 milioni di abitanti. Lo stesso autore, criticando le cifre del censimento delle famiglie nel 1910, giunse ad ammettere una popolazione per l'impero di 330 milioni e per le 18 provincie di 311 milioni. Poco diversa può essere la popolazione della Cina nell'ultimo ventennio.

È però opportuno conoscere le cifre di alcuni censimenti e valutazioni ufficiali di quest'ultimo periodo. Sebbene assai superiori al vero, dànno però un'idea relativa dell'importanza delle varie provincie.

Bibl.: Sulla popolazione della Cina v.: W. W. Rockhill, Inquiry into the population of China, in Smithson. Misc. Collection, XLVII (1904), e The 1910 Census of the population of China, in Bull. Amer. geogr. soc., 1912, p. 668, in cui sono criticate e discusse le cifre ufficiali del governo cinese; P. M. Roxby, The distribution of Population in China, in Geogr. Review, XV (1925), pp. 1-24; The China Year-book, Londra 1928.

Antropologia. - Sino a poco tempo fa si possedevano dati assai scarsi sull'antropologia dei Cinesi, e dati consistenti, in gran parte, nella descrizione e nelle misurazioni di cranî e di qualche osso dello scheletro. Ma, grazie soprattutto ai lavori fondamentali dello Shirokogoroff, le nostre conoscenze ora sono alquanto migliorate.

Lo Shirokogoroff divide i Cinesi delle regioni da lui studiate nei gruppi seguenti: Cinesi di Manciuria (che vivono in organizzazioni sociali indipendenti dai Manciù), Cinesi dello Shan-tung, del Chih-li, del Kiang-su, dell'An-hwei, del Che-kiang e del Kwang-tung. Le misurazioni furono eseguite sopra 396 individui maschi per le prime tre provenienze e sopra 805 individui maschi per le restanti. Sebbene l'estensione geografica del territorio considerato sia assai grande, tuttavia il numero degl'individui è sufficiente per darci una certa garanzia di probabilità. In base a un'analisi morfimetrica assai accurata, lo Shirokogoroff arriva alla distinzione di cinque tipi, almeno, che entrerebbero nella composizione non soltanto delle provincie cinesi, ma degli altri territori sopraccennati. Questi tipi egli chiama A, B, Γ, Δ, E. Accenniamo le loro caratteristiche e la loro frequenza.

Tipo A. - È caratteristico delle regioni più puramente cinesi (e quindi può dirsi veramente il tipo cinese). Esso presenta: alta statura (175 cm.), basso indice cefalico (75), indice nasale alto (100), naso diritto o concavo, coscia moderatamente lunga, gamba lunga, assenza del lobulo dell'orecchio. Il colore della pelle sembrò allo Shirokogoroff più oscuro di quello d'altri tipi, eccetto il tipo E. I capelli sono rigidi, grossi, neri, con tonalità azzurra. La pelosità è quasi assente. L'occhio non pare presentare né plica mongolica né rima palpebrale stretta. Questo particolare è assai importante, denotando che il tipo cinese non si può senz'altro chiamare un tipo mongolico.

Tipo B. - Esso è presentato, nella maniera più accentuata, dai Coreani. Presenta: statura piccola (162 cm.), indice cefalico piuttosto alto (84-90), indice nasale alto (sopra 100). La faccia è media, il naso diritto o concavo, la coscia è moderatamente lunga, la gamba relativamente corta. Assenza abituale del lobulo dell'orecchio. Il colore della pelle sembrò allo Shirokogoroff più chiaro di quello del tipo A. I capelli sono neri, ma con tonalità bruna. La pelosità della faccia e del corpo è sensibile. Il naso è piatto, con aperture nariche ben visibili all'innanzi ed aperte. L'occhio mongolico è ben caratterizzato. Questo tipo lo Shirokogoroff ritiene assai antico, per molte ragioni, ma non esclude che esso risulti da un'amalgama assai remota. È probabile che in esso l'influenza aino sia sensibile.

Lo Shirokogoroff ritiene ancora che nelle provincie orientali e meridionali della Cina, un elemento, che è da lui ravvicinato a questo tipo, potrebbe invece essere un elemento a sé indipendente. In questa regione infatti il tipo in parola avrebbe faccia più rotonda, più piatta e naso più piatto, capelli più chiari.

Tipo Γ. - Questo tipo si presenta allo stato più accentuato presso i Tungusi ed è scarso presso i Cinesi. I suoi caratteri sono: statura assai bassa (155 cm.), testa lunga (75), indice nasale basso (75), gambe e braccia lunghe, naso diritto, lobulo dell'orecchio bene sviluppato, pelle chiara, capigliatura non mai nera, ma bruno-scura o bruno-chiara, colore degli occhi bruno-chiaro e persino grigio. Il naso è piatto, ma le narici guardano in basso. La rima palpebrale è stretta, al contrario è assente la plica mongolica. I dati forniti dallo Shirokogoroff sull'altezza del cranio ci fanno vedere che il cranio di questo tipo, a differenza degli altri (fatta eccezione di quello Δ), presenta una certa frequenza di forme basse. È da ritenersi che anche questo tipo non sia elementare, ma entri nella sua composizione una certa quantità dell'elemento xantocroide (a capelli chiari e occhi grigi o celesti) che del resto si trova in più luoghi dell'Asia (v. cefalici, indici).

Tipo Δ. - È il tipo mongolo di Mongolia. I suoi caratteri sono: statura relativamente alta (169 cm.), indice cefalico elevato (sopra 85), indice nasale basso (75), zigomi assai prominenti, testa bassa, braccio lungo, naso aquilino, orecchio rotondo, piccolo, con lobulo; colore della pelle più scuro che nel precedente, pomelli rossi, capigliatura rigida, spessa e di colore nero; pelosità scarsa; occhio mongolico caratteristico.

Tipo E. - È ancora imperfettamente determinato. Colore scuro, testa lunga, statura piccola, gamba lunga, naso largo, occhio aperto e rotondo, capello ondato e persino ricciuto. Questi caratteri fanno pensare al tipo Negrito, ma lo Shirokogoroff giustamente dice che essi potrebbero provenire anche da qualche altra sorgente.

Lo Shirokogoroff non fa alcun tentativo per inquadrare questi tipi nel territorio da lui studiato fra gli altri tipi esistenti in Asia e altrove. Invece egli dà un quadro della frequenza con cui s'incontrano i detti tipi fra i Cinesi delle diverse provincie. Nei Cinesi di Manciuria sarebbero fondamentali i tipi B e Δ, secondario il tipo A, presente in tracce il tipo Γ. Nei Cinesi del Chi-li fondamentale il tipo A, secondarî Δ e B, in tracce Γ. Nei Cinesi dello Shan-tung è fondamentale A, secondario Γ e B, in tracce Δ. Nei Cinesi del Kiang-su, fondamentali B e Δ, in traccia Γ e A. Nei Cinesi dell'An-hwei fondamentali Δ e B, secondario Γ, in tracce A. Nei Cinesi del Che-kiang fondamentale B, secondario A, m tracce Δ e forse E. Nei Cinesi del Kwang-tung fondamentali E e B, secondario A, forse in tracce Δ.

Bibl.: S. M. Shirokogoroff, Anthropology of Northern China, in Publications of the R. As. Soc. (North China Branch), Extra vol. II, 1923; Anthropol. of Eastern China and Kwangtung Province, ibid., Extra vol. IV, 1925.

Etnologia. - Abitazioni. - La Cina è fin dalle sue origini storiche uno stato agrario. Tra i campi sono disseminati nella pianura piccoli villaggi (villaggio tipo: venticinque capanne, duecento abitanti). I contadini vivevano nei villaggi soltanto d'invemo. A primavera si riunivano in capanne sparse nei campi (Li-chi, I, p. 356). Tra i villaggi sorgono i castelli, dove vive il signore del feudo, con le mogli, i figli, i servi, la corte d'indovini, scribi e guerrieri; castelli costruiti tutti sullo stesso piano: in fondo, l'abitazione delle signore, davanti tre cortili, quello centrale contiene la sala delle udienze rivolta a S., ad E. il tempio degli antenati, a O. l'altare del dio del suolo. Il palazzo è circondato da mura e da un fossato;. nel recinto granai, magazzini, depositi d'armi. A N. del palazzo il mercato, a S. le abitazioni degli scribi, indovini, artigiani. Spesso un muro e una fossa racchiudono l'insieme. In molte città cinesi e anche in Pechino ancor oggi si possono riconoscere le linee di questa disposizione. La capitale dei Chou, nel primo millennio a. C. aveva meno di un chilometro di lato.

Il tipo dell'abitazione varia molto nelle diverse regioni. Nel N. sono robuste e massicce. I tetti ricurvi, non (come è stato detto) stilizzazione d'una tenda, ma forse soltanto naturale conseguenza dell'incurvarsi dei travicelli sotto il carico delle pesanti tegole; diritti invece e leggieri nel centro e nel S. In quasi tutta la Cina le abitazioni comuni sono d'un sol piano. Il tetto di tegole ricurve, terminate da antefisse, appoggia direttamente sopra una gabbia di legno indipendente dai muri, i quali sono costruiti per ultimo con lo stesso metodo delle capanne (o anche case europee di cemento armato). Le colonne di legno non sono infitte al suolo, ma poggiano su basi di pietra e sono solidamente collegate da tiranti orizzontali. Nella provincia dello Shan-si sono comuni case di pietra, di più piani, con porte e finestre ad arco.

I cortili delle case delle città e dei villaggi sono ombreggiati, di guisa che una città o un villaggio cinese visto da lontano ha l'apparenza d'un bosco, tra cui s'intravedono i lineamenti delle costruzioni. Nelle case più ricche sono numerosi i cortili e i padiglioni, circondati da giardini, con fontane, chioschi, ecc.

Nella Cina del N. le case sono riscaldate in modo singolare: una piattaforma di mattoni (k'ang), sotto la quale si accende il fuoco dall'esterno, ricoperta di stuoie, serve come letto la notte e come divano il giorno. Sembra dovuta ai Cinesi l'arte di tappezzare i muri delle stanze di carta stampata a disegni colorati, giunta in Europa (Inghilterra) nel sec. XVII-XVIII.

L'arredamento delle case cinesi comprende stuoie, adoperate da tempi antichissimi. Poltrone, sedie, divani, più massicci dei nostri, risalgono al principio dell'era volgare (dinastia Han). I letti nel centro e nel S. sono di legno verniciato, dorati e scolpiti. I Cinesi non adoperano coperte di lana, ma soltanto di cotone imbottito; zanzariere a baldacchino; storini per le mosche avanti alle porte.

Caratteristica la forma dei guanciali, specie di prismi a base quadrata, imbottiti nell'inverno e leggerissimi, vuoti, di paglia intrecciata, in estate. L'uso della porcellana si estende in quasi tutta la Cina anche al popolo; nei luoghi più lontani dai centri di fabbricazione è sostituita da terraglie di vario tipo; è invece recente l'uso d'oggetti di vetro. Tavole quadrate, laccate, di solito rosse o nere, pochi soprammobili, qualche vaso di fiori, tappeti, pellicce, armadî e cassoni scolpiti. Le finestre sempre interne dànno sui cortili; invece di vetri, importazione recente, griglie ricoperte di carte colorate. Bracieri e scaldini, in bronzo o in terra cotta, sono adoperati nell'inverno nella Cina del centro e del sud. Nel nord il k'ang, cui si è sopra accennato.

Comunissimo in tutta la Cina l'uso di candele di cera vegetale, con anima di bambù. Ai lumi ad olio, in terra cotta o in bronzo, subentra ora rapidamente l'illuminazione a petrolio, anche nei più remoti paesi dell'interno, e la luce elettrica. Note in tutto il mondo per la varietà e l'eleganza delle decorazioni le lanterne cinesi di porcellana, di corno trasparente, di vetro, di carta, ecc.

Come ornamento della casa, vasi di fiori in porcellana, vasi di porcellana per i pesci rossi, sputacchiere sono noti in Europa.

Nella cura della persona, più trascurata tra i poveri, al N., più accurata al S., è caratteristico l'uso dei bagni, o meglio di abluzioni con acqua molto calda, delle quali si fa uso assai più che in Europa. D'estate si deterge spesso il sudore con asciugamani imbevuti d'acqua caldissima. Stabilimenti pubblici di bagni sono comuni, specie nelle grandi città del centro e del S. Le sorgenti termali, specialmente solforose, sono adoperate a scopo terapeutico e idroterapico; celebri quelle di Ling-tung presso Si-an fu, nello Shen-si.

Abiti e vestiti. - Nella Cina dei Chou (primo millennio a. C.) vesti ampie, di seta per i signori, di canapa per i poveri. Nel N. e nell'O. le pellicce sono d'uso comune; i bambini, il popolo si difendono dal freddo con abiti imbottiti d'ovatta. Malgrado un'infondata opinione, la moda cambia in Cina come da noi: una storia del costume può farsi con sicurezza dal principio dell'era volgare ai nostri giorni. Nel sec. XX la moda europea, adottata in parte dagli uomini, ha contribuito a dare una nuova direzione alla moda cinese, la quale conserva la sua originalità ed ogni anno cerca nuove forme. Colpiscono l'Europeo la lungnezza della veste maschile, che arriva alla caviglia (sotto portano camicia e calzoni), e i larghi e lunghi calzoni femminili, per cui il proverbio cinese dice, a rovescio del nostro, che portano calzoni gli uomini tiranneggiati dalla moglie. Le mode antiche sopravvivono nei vestiti dei monaci taoisti, nei Coreani, negli Annamiti e nelle antiche mode giapponesi, di origine cinese. Una storia dell'abbigliamento cinese non esiste ancora; ricco materiale se ne trova nella novellistica, nella poesia, nella pittura, ecc.

La scarpe cinesi di stoffa, con suola di feltro o cartone verniciato, costano pochissimo e si rinnovano spesso. I contadini portano spesso sandali di paglia e talvolta zoccoli e si difendono dalla pioggia con lunghi mantelli ricoperti di paglia. I Cinesi però adoperavano scarpe con chiodi per montagna, stivaloni di stoffa verniciata per la pioggia, ecc. L'uso delle scarpe di pelle comincia nel sec. XX. I cappelli di feltro per l'inverno erano sostituiti durante il grande freddo da passamontagna di lana rossa, e l'estate da cappelli di paglia, assai larghi e ombrelliformi nel S. I ventagli (v.), la moda dei quali varia ogni anno, adoperati da uomini e donne, risalgono alla dinastia Han: gli ombrelli (v.), di carta verniciata, sono ora noti anche in Europa.

L'acconciatura dei capelli negli uomini, conserva le forme più antiche nell'acconciatura dei monaci taoisti: capelli rialzati e annodati sulla sommità da un grosso spillone. L'uso della treccia e dei capelli rasati davanti è un'importazione manciù, imposta con la violenza ai Cinesi durante l'ultima dinastia (1644-1911). Era un omaggio al cavallo, di cui ricordava la criniera, ed è ora quasi scomparsa. Le donne hanno avuto acconciature di forme svariate: può considerarsi tipica, al principio del sec. XIX, una pettinatura liscia annodata sulla nuca, talvolta con frangette. Le nubili portano la treccia sulle spalle, i bambini durante la prima infanzia, quasi interamente rasati, conservano soltanto due ciuffi laterali. Gli specchi cinesi antichi, rotondi, in metallo, ricordano e sono forse in relazione con quelli greci e romani: così i pettini.

L'abito, sotto i Ming, era senza bottoni, incrociato sul petto, mantenuto con una cintura; sotto l'ultima dinastia Manciù, abbottonato da una parte: a sinistra per gli uomini e a destra per le donne.

Alimentazione, cucina. - L'uso del carbon fossile, comune in quasi tutta la Cina, rende necessario un soffietto a stantuffo, a doppio effetto, in una cassa rettangolare, assai semplice e leggiero, per rendere possibile la combustione. La cucina cinese è assai complicata (esistono nei più antichi libri ricette di culinaria per i pranzi rituali, e completi trattati di cucina si stampano da oltre un millennio). Strumento principale è la padella di ferro in forma di bacino, su cui si cucina con grasso di maiale, olio di sesamo e d'altri semi oleosi. Gli altri utensili da cucina somigliano a quelli europei. Il riso (cotto a vapore) decorticato ma non brillato, è una parte importante dell'alimentazione soltanto nel centro e nel S., è invece un alimento di lusso al N., dove è sostituito dal grano, miglio, segala. Nel N. si fanno eccellenti paste alimentari di grano duro da tempo antichissimo. Parte essenziale dell'alimentazione sono le leguminose, fave, fagioli, soia (v.) dalla quale si estrae una specie di formaggio, olio, ecc. Le carni adoperate più comunemente sono maiale, pollame. Assai a buon mercato le uova, quasi sconosciuti e ora importati dall'Europa in scatole il latte e il burro. Comunissimi i prodotti della caccia e della pesca; anche nell'interno si hanno vivai di pesce. Nell'O. sono comuni e a buon mercato fagiani e caprioli. Ovini e bovini sono di preferenza consumati dai musulmani che vivono in tutte le grandi città. Nei banchetti e pranzi di lusso, mangiano nidi di rondine; uova conservate nella calce via, di sapore dolciastro, non spiacevole. A tavola adoperano un paio di bacchette d'avorio, d'argento o di legno, oltre a cucchiai di porcellana, forchette a due denti; non adoperano a tavola coltelli, essendo tutti i cibi tagliati e preparati in modo da non averne bisogno; non adoperano di solito tovaglie, ma pranzano su tavole verniciate a lacca, di solito nere, lucide come specchi. Ricchissima è la varietà di dolci e conserve di frutta, frutta secche, canditi. D'uso comune, dappertutto, il pan di Spagna, forse introdotto in Europa dalla Cina. Il tè, molto leggiero e senza zucchero, è la bevanda più comune; la sua diffusione è probabilmente dovuta alla necessità di proteggersi dall'inquinamento delle acque, mancando nella vecchia Cina gli acquedotti. Si producono bevande alcooliche con riso fermentato, profumato in vario modo; famoso in alcune località. Si fa anche uso di bevande alcooliche prodotte dalla distillazione di grano, sorgo, miglio, ecc. L'ubriachezza è però rara nella vita comune; ne prende il posto l'oppio (v.), come vizio nazionale contro cui lotta la Cina moderna.

Utensili e strumenti. - Gli utensili hanno forme locali assai varie. Singolare nella sega l'orientazione dei denti, in due direzioni opposte, partendo dal centro della lama. Accenniamo soltanto agli strumenti di misura, bilance, piede da sarto, piede da falegname, pesi, misure di capacità, ecc., alle varie forme di coltelli, asce, scuri, ecc. Assai varie le forme di ceste da lavoro, da trasporto, ecc., adoperate nelle varie regioni. Le casse da viaggio e i mobili hanno forme di serrature, specie di lucchetti, di ottone che somigliano a quelle dei Greci e dei Romani.

Armi. - Nella Cina feudale l'elemento fondamentale dell'esercito era il carro da guerra, montato da tre nobili, accompagnato da soldati guidati da tamburi, con stendardi e pennoni. L'arco di corna di bue, con le frecce impennate, spade, alabarde, lance, mazze sono state per due millennî, con poche variazioni, le armi dei Cinesi. Si sono però venute evolvendo per influenza occidentale, attraverso l'Asia Centrale. Catapulte e baliste sono ricordate da Marco Polo come cosa nuova in Cina. Nel sec. XIV comincia l'uso delle armi da fuoco, perfezionate nel sec. XVII dai gesuiti al servizio dell'imperatore (v. verbiest), poi dagli Europei, finché, nella seconda metà del sec. XIX, cominciarono ad essere usate e studiate le armi e gli ordinamenti europei.

Industrie. - Si tesseva in Cina fin dai tempi più antichi, nella famiglia, la canapa e la seta. Gli abiti azzurri del popolo, tinti con indaco, tessuti a mano fin verso la metà del sec. XIX, sono stati sostituiti rapidamente da stoffe tessute in Europa (Inghilterra) e poi in America, India, Giappone e da qualche tempo da tessiture cinesi moderne. Sono rimaste invece intatte le industrie caratteristiche della Cina, l'inchiostro di Cina dell'An-hwei e Sze-ch'wan, le lacche, specialmente nella Cina dell'O. e del S., i ventagli, le stuoie, specialmente nel Kwang-tung, quasi dappertutto fabbriche di carta a mano, alle quali però fanno concorrenza le carte a macchina europee, americane e giapponesi, e le nuove fabbriche di carta a macchina sorte in Cina. Vi sono quasi dappertutto fabbriche di mattoni e terre cotte; caratteristiche le tegole verniciate a fuoco, adoperate nei templi e negli edifici pubblici. Le porcellane del Kiang-si continuano a provvedere quasi tutta la Cina; invece le sete e le garze di Su-chow, Nanchino e Hang-chow, sebbene ancora altamente stimate in Cina, cominciano a subire la concorrenza dei prodotti europei, americani e giapponesi. Merita di esser notato che i molti secoli durante i quali la Cina, malgrado le sue vicende storiche, rimase unita in un solo stato, hanno condotto le varie regioni a una specializzazione delle industrie e della produzione, creando attive correnti commerciali interne, le quali meriterebbero di essere studiate non solo per l'interesse che esse presentano, ma anche perché possono dare un'idea degl'inconvenienti (e anche dei vantaggi) che potrebbe produrre in Europa una più stretta unione economica dei varî stati.

Istituzioni domestiche. - È incerto, avendosene soltanto vaghi indizî, se in Cina una forma di matriarcato abbia preceduto l'attuale costituzione della famiglia. L'accenno leggendario: "gli antichi conoscevano le madri, ma non i padri" non sembra sostenuto da prove sufficienti. Al principio della storia cinese, la famiglia appare già solidamente costituita e forma ancor oggi, più che in qualunque altra nazione del mondo, una solida base della vita sociale, anche perché la Cina è uno stato essenzialmente agricolo. La regola fondamentale del matrimonio in Cina è quella dell'esogamia, cioè nessuno può sposare una persona dello stesso cognome. Il matrimonio è nominalmente monogamico, cioè con una sola moglie legale e principale, e più concubine, specialmente nel caso che la moglie legale non abbia figli. Durante l'ultima dinastia, condizioni essenziali del matrimonio erano l'invio d'un intermediario alla famiglia della sposa, il consenso dei genitori, la scelta d'un giorno di buon augurio per la celebrazione, l'accettazione dei doni nuziali e il condurre la sposa a casa per partecipare al culto degli antenati e la susseguente sua visita ai genitori. Il matrimonio non era obbligatorio, ma il celibato, considerato come un vizio, era rarissimo. La moglie ufficiale era considerata madre anche dei figli delle concubine. Il divorzio poteva avvenire per mutuo consenso (incompatibilità di carattere), adulterio della moglie, ecc. Il matrimonio delle vedove, sebbene permesso, era considerato sconveniente e si onoravano le vedove caste.

La rivoluzione del 1912 ha introdotto nuove idee. Già da molti anni, anche nella vecchia classe colta dell'impero, le ragazze desideravano sottrarsi ai vincoli della famiglia patriarcale. Conviene però aggiungere, come appare chiaro dalle novelle, romanzi e drammi dei secoli passati, che il modo di pensare delle classi più raffinate e colte della Cina era assai meno lontano, almeno negli ideali, da quello dell'Europa di quanto comunemente si crede. Un movimento femminista notevole esiste da oltre un ventennio, diretto e guidato dalle numerose laureate in Cina e soprattutto nelle università europee e americane. Il pericolo attuale, in questo avvicinamento ai costumi occidentali, consiste forse nell'indebolimento che la famiglia cinese può subire prima che il sistema sociale che essa sostiene possa trovare altri appoggi. Gli Europei trovano barbaro il sistema dei tribunali di famiglia, che, riuniti nella sala degli antenati, possono decidere questioni famigliari, decretare pene ed anche la morte, contro i membri della famiglia colpevoli. Questa istituzione ha però durante molti secoli rafforzato la famiglia. L'infanticidio (v.), più esteso in Cina che in Europa, ma più specialmente l'infanticidio femminile, non è egualmente diffuso in tutte le provincie. Il nuovo governo cerca di combatterlo con energia.

Istituzioni cerimoniali. Mutilazioni. - Il tatuaggio si trova piuttosto tra le popolazioni non cinesi: nella Cina feudale era una forma di pena. Altre mutilazioni gravi, considerate come pene, erano applicate ai delinquenti dalla Cina feudale fino a quella imperiale, con alternative di mitigazioni e di crudeltà durante le varie dinastie. Comune con altri popoli orientali l'evirazione. In guerra, nei tempi feudali, si tagliavano le orecchie ai nemici uccisi. Mutilazioni imposte dalla moda sono la foratura delle orecchie per gli orecchini. Molti secoli or sono anche la Cina ebbe la moda dei busti stretti. Durante la dinastia mancese (1644-1911) la fronte rasata e la treccia (omaggio al cavallo, animale favorito dai mancesi) furono imposte con la violenza ai Cinesi. Ma la deformazione più caratteristica è l'impiccolimento del piede della donna, che risale al sec. X d. C., e che soltanto negli ultimi decennî, e specialmente sotto la repubblica, va sparendo. Esso si ottiene col bendare i piedi delle bambine durante il periodo dello sviluppo. Secondo gli eruditi cinesi l'uso sarebbe derivato dal desiderio di rivaleggiare con la piccolezza dei piedi d'una favorita.

Funerali. - La letteratura ha conservato minuziose descrizioni dei riti funerarî, fin dal periodo feudale. Il cerimoniale ha variato col tempo; sono rimasti invariati l'uso di conservare intatto il cadavere, ponendogli, nella bara, del cibo accanto alla mano destra; la costruzione di solide casse, talvolta di marmo o granito, ma quasi sempre di legno massiccio, verniciato e laccato per i più ricchi, più semplice per i poveri. Non si adoperavano chiodi per la chiusura, ma soltanto stecchi di legno. Il cadavere si conservava in casa vario tempo nella cassa, in attesa della processione alla tomba, sopra un catafalco portato da molti uomini (imbavagliati nella Cina feudale), accompagnato da pennoni, stendardi, insegne corrispondenti al grado del defunto, col quale erano sepolti, oltre al cibo, seta, abiti, armi. Nei funerali dei principi e imperatori si seppellivano nelle tombe anche vittime umane: vedove, concubine, schiavi. Questo rito crudele, biasimato da Confucio, fu ancora seguito nel 1622 alla sepoltura d'una delle vedove dell'imperatore Shun Chih, insieme con la quale furono sepolte trenta persone. In seguito, addolciti i costumi, rimase comune l'uso, pure biasimato da Confucio, di seppellire col morto delle immagini di paglia, terracotta, carta, ecc., in sostituzione delle vittime. I mausolei imperiali hanno avuto spesso imponenti dimensioni. Sui tumuli di forma conica si piantavano alberi.

Precise e minuziose le regole del lutto dei sudditi, dei varî gradi di parentela, sia per la durata (ventisette mesi per i parenti stretti, fino a tre per i parenti di quinto grado), sia per l'abbigliamento. Gli abiti bianchi, sfilacciati perché privi di cuciture agli orli, corrispondono ai nostri abiti neri: sono bianchi perché non tinti, sfilacciati per significare la privazione d'ogni ornamento.

Soltanto i frati buddhisti vengono cremati. Comuni le tombe di famiglia, i cimiteri dei villaggi e delle città. Sotto la repubblica i funerali conservano la grandiosità dei riti antichi. Nel funerale di Yüan Shih-kai (v.), il primo presidente della repubblica, avvenuto il 28 giugno 1916, si ebbe una fusione di cerimonie e usi cinesi con cerimonie europee: i parenti vestiti di bianco, le autorità ufficiali di nero, ecc.; ma essenziale al rito era rimasta la tavoletta dell'anima, non ancora divenuta sede dell'anima del defunto, accompagnata dalla spada, dalle uniformi e decorazioni del Presidente, ecc.

Riti e cerimonie della vita sociale. Visite, inviti, ricevimenti, incontri. - Minuziosi i cerimoniali della Cina feudale (Chou li, I li, Li chi, tre opere classiche che si chiamano spesso i tre li: li "cerimoniale") per i ricevimenti a corte, le ambasciate tra le varie corti, per il modo di comportarsi con gli ospiti, coi conoscenti, a casa, per la strada, nei giuochi, a scuola, in visita. Lunghe erano le prescrizioni per la quantità dei doni e il modo di riceverli tra eguali, tra superiori e inferiori, ecc. Pure precisi e determinati i titoli da darsi alle autorità, ai superiori (per es., il titolo ta jen "grand'uomo", adoperato dal principio dell'era volgare fino ai nostri giorni, corrisponde abbastanza al titolo "eccellenza"; il titolo Hsien seng "nato prima" corrisponde al nostro titolo di "signore", ecc.).

Antichissimo l'uso delle carte da visita, bianche sotto i Ming (1368-1644), sotto i Ts'ing (1644-1911) rosse, paglierine o violette in lutto, ecc., simili alle nostre sotto la repubblica, la quale sta semplificando il cerimoniale oppressivo dell'ultima dinastia.

Feste. - Alcune grandi feste cinesi risalgono all'epoca feudale. Sono, in origine, feste agricole. A primavera, l'epoca dei fidanzamenti, all'inizio dei grandi lavori nelle campagne, danze, canti, gare. Un vivo sentimento del risveglio della natura, del fiorire delle piante, del risveglio della vita animale, delle passioni e dell'amore si riscontra nelle antiche canzoni raccolte da Confucio (Shih ching). Le feste autunnali corrispondono al periodo dei raccolti, della fine dell'anno agricolo, col rientrare dai campi nei villaggi, con l'inizio della vita famigliare invernale.

Durante l'impero le feste più importanti erano quelle del nuovo anno (luni-solare, v. calendario). Nel 1° giorno della 1ª luna i funzionarî della capitale presentavano omaggi nel tempio imperiale, davanti alle tavolette degli imperatori, poi nel tempio del cielo di Confucio, del dio della letteratura, del dio della guerra. Poi si scambiavano visite d'augurio, scambiando doni, facendo giuochi, durante i primi quindici giorni dell'anno. Feste speciali nel 4° giorno della 1ª luna, dedicato al dio della ricchezza e della felicità, ecc. Feste analoghe avvenivano nelle città di provincia. Il giorno della luna piena della 1ª luna dell'anno era la festa delle lanterme, in cui tutte le case di città e di campagna erano illuminate con lanterne in forma di draghi, ecc.; a primavera, nella 3ª luna feste annuali per il culto degli antenati; si visitavano le loro tombe, adornandole e offrendo sacrifici. Il 7° giorno della 7ª luna la festa delle due stelle, in cui nella notte, secondo la leggenda (della dinastia Han), le due stelle del pastore e della tessitrice (Altair dell'Aquila e Vega della Lira) si riunivano attraversando la Via Lattea.

Nel giorni di luna piena nella 7ª luna, la festa dei morti, in cui si fanno offerte alle anime dei poveri, dei morti annegati, senza sepoltura. Nel 9° giorno della 9ª luna, la festa dei cervi volanti. Il dio della cucina aveva la sua festa il 24° giorno del 12° mese.

Giuochi e divertimenti. - Già nell'epoca feudale sono ricordati giuochi di società, consistenti nel lanciare frecce in stretti anelli adornanti appositi vasi di bronzo. È pure ricordato un giuoco chiamato wei ch'i "giuoco dell'assedio", su una scacchiera di 361 caselle, con pedine bianche e nere, che ha per scopo di catturare, circondandole, le pedine dell'avversario. Proviene probabilmente dall'Asia Centrale o dalla Persia una variante del gioco degli scacchi hsiang-ch'i "scacchi con l'elefante" in cui, oltre a qualche varietà nei pezzi, la scacchiera è divisa in due da un fiume. I cervi volanti (v.). adoperati a scopo militare dai cinesi fin dai primi secoli d. C., di forma assai varia, procurano gioia ai bambini e anche agli adulti, e il loro lancio è oggetto di gare. Il giuoco del calcio, del polo a cavallo, delle corse dei cavalli appassionano pure i Cinesi. Battaglie di galli, di grilli hanno da molti secoli formato oggetto di scommesse. La pesca è uno dei più tranquilli e sereni divertimenti, cantata dai poeti più antichi. Il savio duca Chou pescava alla lenza senz'amo, dice la leggenda, per non ingannare i pesci. Il grande divertimento della Cina feudale era la caccia, che nel secolo XVIII, sotto l'ultimo impero, era ancora una delle grandi occupazioni degl'imperatori.

I giuochi di carte, dadi e altri giuochi di puro azzardo sono una delle più pericolose perdite di tempo della gioventù e delle classi popolari. L'alpinismo, la contemplazione dei paesaggi di montagna sono da molti secoli apprezzati in Cina; numerosi letterati, tra cui un imperatore dell'ultima dinastia, ne hanno descritto le gioie.

Corporazioni, beneficenza, società segrete. - Fin dai tempi più antichi corporazioni di mestieri e professioni, poi corporazioni regionali, hanno sempre avuto in Cina una vita complessa, tanto più forte quanto più debole era l'azione dello stato. Organizzazioni di beneficenza sono esistite in Cina piuttosto per opera di privati o di corporazioni che dello stato, il quale non è mai riuscito a intervenire, salvo che nei periodi di carestia, spesso in misura insufficiente. Le società segrete hanno formato una rete fitta, da cui hanno avuto talvolta origine rivoluzioni politiche, specialmente in tempi di disorganizzazione e di disordine (v. Storia). Nel sec. XIX alcune di queste società hanno preso contatto con analoghe istituzioni europee (massoneria). Specialmente sviluppate sono queste società presso i Cinesi residenti all'estero (America, colonie olandesi, ecc.), fino a poco tempo fa quasi abbandonati a sé stessi.

Istituzioni politiche, nobiltà, monarchia. - Ci limitiamo qui ad un cenno delle condizioni sotto l'ultima dinastia imperiale mancese. La classe dirigente in Cina è stata per lo più quasi esclusivamente costituita dai funzionarî dello stato, scelti sempre col metodo degli esami di stato (v. Istruzione). Tutti, eccetto alcune classi considerate infami (schiavi, delinquenti, carnefici, agenti di polizia, mendicanti, attori, barbieri, giocolieri, battellieri; v. canton), erano ammessi agli esami di stato. La schiavitù (v.), che è esistita in Cina fin dai tempi antichi, non ha mai avuto una grande estensione, ed è stata sempre mitigata dalle leggi e dai costumi.

Il potere dei principi, re, imperatori, non ebbe mai limitazioni di tipo rappresentativo come in Europa, ma ebbe spesso un freno efficace nell'azione dei funzionarî, i quali cercarono di conciliare la loro funzione e gli ordini ricevuti con la rigorosa educazione e istruzione classica che formava l'essenza della loro cultura.

La repubblica cinese, dopo varî tentativi di costituzioni europee, sta ora tentando col progetto di costituzione di Sun Wen (v.) di conciliare la tradizione cinese con la necessità dell'azione centralizzatrice e organizzatrice degli stati moderni occidentali.

Credenze popolari. - Accanto alle grandi religioni, confucianismo taoismo, buddhismo (v.), sono sopravvissute in Cina, più che in Europa, credenze popolari di varia origine, talvolta antichissime, studiate o piuttosto descritte, da molti secoli, dai letterati cinesi, e, nella seconda metà del sec. XIX, anche da studiosi europei.

Maghi (residuo d'un antico sacerdozio ufficiale, ricordato nella storia della Cina feudale) ed esorcisti sono ancor oggi chiamati dal popolo per allontanare calamità, sono interrogati per conoscere l'avvenire, per la scelta dei matrimonî, per la costruzione delle case, la collocazione e l'orientamento delle tombe, ecc. Nell'antichità, e anche in tempi più moderni, maghi e asceti ebbero talvolta nelle corti poteri grandissimi e talvolta pagavano con la vita l'insuccesso dei loro scongiuri.

Per dare un'idea di queste credenze, ricordiamo il gallo bianco legato sopra la cassa del defunto nel trasporto funebre; il sacrificio di un gallo al dio del fiume da parte dei battellieri che iniziano un viaggio; il gran numero di parole che è di cattivo augurio pronunciare in determinate circostanze (il nome del luogo di ancoraggio, navigando lungo un fiume, le parole omofone di fan "capovolgere", tao "cadere" che sono sostituite da sinonimi); il contare il numero delle persone a bordo di una nave; scavalcare le aste dei portantini; nascondere i vecchi sandali di paglia adoperati dai portatori; non attendere un giorno fausto per l'apertura dei negozî. Molte di queste pratiche lentamente cadono in disuso, e sono sostituite da altre, nelle nuove circostanze della vita moderna.

Popolazioni non cinesi. - Originariamente distinti dai Cinesi, ma ormai assimilati a questi nella lingua e nella cultura, sono gli Hakka e gli Hokko. Gli Hakka (pechin. Ko-chia "gli ospiti"), frequenti nel Kwang-tung e nel Kwang-si, si trovano altresì nel Fu-kien, Kang-si, Che-kiang, Formosa e Hai-nan. La loro lingua, che ha rapporti col cantonese, è parlata da 4 milioni di persone nel solo Kwang-tung. Sembra che siano popolazioni primitivamente residenti nello Shan-tung, Shansi, An-hwei, respinte gradualmente verso S. nel 200 a. C., nei 400 d. C., nel 600, nel 1000 e nel 1368.

Gli Hokko (pechin. Hsio, Hsio-lao), emigrati dal Fu-kien alcuni secoli or sono, formano nel Kwang-tung un gruppo di circa 3 milioni. La loro lingua è affine al dialetto del Fu-kien.

Nei monti meridionali dello Sze-ch'wan, nella valle di Kiench'ang, abitano i Lolo. Il nome è stato espresso interpretativamente nella scrittura cinese coi due caratteri lia-liao "cacciatori selvaggi". Si distinguono in Lolo bianchi e neri, dal colore dell'acconciatura del capo (una specie di turbante), e sono guerrieri, cacciatori e pastori, raramente agricoltori. Hanno tradizioni e leggende loro proprie e poco hanno in comune coi Cinesi, dai quali sono disprezzati come barbari. Si estendono nel Kwei-chow e nello Yün-nan. Quelli dello Sze-ch'wan sono chiamati Mantze (barbari meridionali). La loro lingua è suddivisa in gran numero di dialetti.

I Miao-tze "aborigeni", che nella loro lingua chiamano sé stessi Mong, tra la Birmania, il Siam e il Tibet, suddivisi in una cinquantina di tribù, si dividono in Pe Miao (Miao bianchi), Hei Miao (Miao neri) e Hwa Miao (Miao fioriti), dal colore delle vesti, bianche, nere e ricamate. Lolo e Miao-tze sono grandi bevitori di bevande fermentate.

I-kia (pechin. I-chia "barbari") è il nome dato dai Cinesi alle tribù del S. e SO., nel Kwang-chow e nel Kwang-si. Differiscono poco dai Miao-tze e sono spesso chiamati anche Shan, tribù confinanti con la Birmania e col Siam. Il nome Shan proviene dal siamese saym "rosso-bruno" dal colore della pelle.

Gli Yao "sciacalli", nel SO. del Kwang-tung e nel SO. del Hunan, vivono tra i monti; quelli del Kwang-tung sono circa 30.000. Sembrano d'origine birmana, e sarebbero emigrati dalla Birmania nel sec. XII.

I Sai, Si ovvero Li, tribù nei monti dell'isola di Hai-nan (v.), sono circa 100.000, indipendenti dai Cinesi, con lingua e scrittura loro propria.

I Moso, un ramo dei Miao, vivono nel NO. dello Yün-nan vicino a Li-kiang fu. Abitano in capanne, si nutrono di orzo, cacciano il muschio, i cervi e altri animali. Sono buddhisti. Costituivano in passato uno stato tra il Tibet orientale e l'attuale Yün-nan.

I Lisu o Liso, tribù del S. dello Yün-nan, cacciatori che vivono nelle gole dei monti della valle del Li-kiang.

I Min-kia (pechin. Ming-chia) vivono sulla riva del lago Erhhai a E. di Ta-li fu. Non hanno scrittura, ma molti di essi studiano il cinese.

I Sifan (barbari occidentali) vivono a O. e NO. dello Sze-ch'wan e ad O. del Kan-su. Sono governati da funzionarî cinesi e riconoscono la supremazia della Cina.

Lo studio della lingua e della cultura di queste popolazioni è assai importante poiché i Cinesi appaiono ora (Maspero) come il ramo più settentrionale delle popolazione sedentarie e agricole; il cui ramo occidentale è formato dalle tribù tibeto-birmane del Tibet, dello Sze-ch'wan e dello Yün-nan, il ramo meridionale dai Thai del S. della Cina e dell'Indocina e il ramo centrale dai Miao-tze dello Yün-nan e del Kwei-chow.

Ecco la classificazione proposta, prendendo a base la linguistica, dal P. W. Schmidt:

Altri tipi etnici esistevano in tempi storici nella Cina, e sono descritti dagli antichi scrittori cinesi. Dei nani sono descritti, nella provincia di An-kwei, nel periodo dei Tre Regni (sec. III d. C.). Nell'enciclopedia T'u shu chi ch'eng (lib. 1515) è descritta nelle montagne dello Yün-nan una tribù degli Hala, che corrisponde quasi esattamente ai Sakai della Malesia.

Bibl.: Per la Cina antica si vedano, come lavori d'insieme: M. Granet, Fêtes et chansons anciennes de la Chine, Parigi 1919; id., Danses et légendes de la Chine ancienne, Parigi 1926; id., La civilisation chinoise, Parigi 1929; H. Maspero, La Chine antique, Parigi 1927. Interessante la monografia: A. Conrady, China (Pflugk-Harttung, Storia universale, III), vers. ital., Milano 1925; E. T. C. Werner, China of the Chinese, Londra 1920. Un repertorio generale, non dedicato agli specialisti, è: J. Dyer Ball, Things Chinese, Shanghai 1903. Studî speciali molto accurati: P. Hoang, Le mariage chinois, Shanghai 1898. Sulle città cinesi: E. Tiessen, Die chinesische Stadt, in Deutsche geogr. Blätter, XXXV (1912), pp. 1-19; sulle abitazioni nei villaggi: M. L. Fuller e F. G. Clapp, Loess and Rock Dwellings of Shensi, in The Geogr. Review, 1924, pp. 215-226. Bibliografia sull'infanticidio in: P. Falcone, L'infanticidio in Cina, in Arch. di Antrop. crim., XLVIII (1928).

Per le credenze popolari sono ricche d'informazioni le raccolte di J. J. M. de Groot, The Religious System of China, Leida 1892-1921; H. Doré, Les superstitions chinoises, numerosissimi volumi illustrati nelle Variétés sinologiques, Shanghai 1903-1921; L. Wieger, Histoire des croyances religieuses ecc., Hienhien 1922. Gli studî monografici su argomenti speciali sono abbondantissimi, cit. ad es.: M. W. de Visser, The Dragon in China and Japan, Amsterdam 1913; Ed. Chavannes, Le jet des Dragons. Mémoires sur l'Asie Or., III, Parigi 1919; B. Laufer, Jade, a study in Chinese archaeology and religion, Chicago 1912; B. laufer, Ethnographische Sagen der Chinesen, in Fetschr. f. Kuhn; A. Forke, Der Ursprung der Chinesen, Berlino 1926, ecc. Per le popolazioni non cinesi nell'antichità, oltre alle opere citate in principio, si vedano: J. H. Plath, Fremde barbarische Stämme im alten China, Monaco 1874, raccolta diligente da fonti cinesi. Per i tempi moderni si vedano le opere citate nell'etnografia dell'Indocina, Siam, Tibet, ecc. Notevoli: E. C. Baber, A Jourey of Exploration in W. Szech'wan, Londra 1882. Sui Lolo: P. Vial, Les Lolo, Shanghai 1898; Abadie, Les races du Haut Tonkin, Parigi 1928; A. F. Legendre, Kientchang et Lolotie, Parigi 1911, ecc. Una classificazione alquanto diversa da quella sopra riportata del P. W. Schmidt, è stata proposta dal Dr. V. K. Ting, in un articolo del China Medical Journal, 1921.

Suddivisioni storiche e amministrative. - Le prime memorie sicure della civiltà cinese sono i ricordi dei re della dinastia Yin nel sec. XI o X a. C. Avevano la capitale Ta-yi presso Chang-te fu (ora An-yang hsien) nel Ho-nan settentrionale. Lo stato si estendeva sulle due sponde del fiume Giallo, dall'ingresso del fiume nella pianura, fino al piede del monte T'ai shan e ai confini del bacino del fiume Hwai; verso NE. era in relazione con lo stato di Ts'i, nella pianura a N. del T'ai-sh'an, verso E. combatteva coi barbari Yi (nell'attuale Shan-tung), a SE. con popolazioni barbare residenti nelle attuali provincie Kiang-su e An-hwei, a O. giungeva forse, verso la fine della dinastia, nella valle dell'affluente Wei del Hwang ho. Verso la fine della dinastia i coloni cinesi cominciarono ad allargarsi verso O. sulla valle del Wei e a SO. dello Shan-si.

Chou. vergo la fine del sec. X o al principio del IX a. C., la nuova dinastia dei Chou, continuando l'opera di colonizzazione, giungeva forse per la prima volta nel bacino del Yang-tze, soggiogando le tribù sulle rive del fiume Han e la pianura del Hu-pe.

Il re Hsüan (827-782 a. C.) a N. combatteva contro i barbari Hsien-yün (forse Unni) che abitavano sulle sponde del Hwaug ho a N. delle strette di Lung-men; a S. consolidava la colonizzazione del bacino del Hu-pe, il paese dei barbari Kiang (pechin. Ching). Nel SE. combatteva lungo il fiume Hwai contro i barbari Hsu.

Il dominio reale dei Chou, che ebbe dapprima la capitale in Hao (presso l'attuale Si-an fu) sul fiume Wei, trasferi la capitale a Lo-i (vicino all'attuale Ho-nan fu), andò poi restringendosi, riducendosi a un piccolo principato, che fu soppresso alla fine del sec. III a. C. Attorno al dominio reale, un centinaio di feudi o principati, indicati con la parola cinese kuo che ora significa "regno", e aveva allora il senso di signoria, principato, feudo. Il libro dei versi Shih ching ne ricorda 15, il Tso chuan più di cento, i cui signori formavano l'aristocrazia feudale (chu-hou con varî titoli: kung-hou, po, tse, nan, tradotti con "duca, principe, conte, signore barone"). I re di Chou avevano diviso questi feudi in nove provincie: Ki (parte S. dello Shan-si), Yen (N. del Chih-li), Ts'ing (N. dello Shan-tung), Hsü (S. dello Shan-tung), Yang (nel Kiang-su alla foce del Yang-tze), King (nel Hu-pe), Liang (nel bacino superiore del fiume Han), Yung (nella valle del fiume Wei nello zhan-si) e infine Yü (sul fiume Lo, nel Ho-nan).

Nel sec. VII e nel VI a. C., con l'indebolirsi del potere dei re, la regione centrale (bacino medio del Fiume Giallo) rimase, con un certo numero di piccoli principati, il dominio regio di Chou, gli stati di Cheng, Wei, Sung, ecc. Più lontano, ove il potere centrale si sentiva meno, si formarono, in vario modo, quattro grandi stati: Ts'in a O., Tsin a N., Ts'i a NE., Ch'u a S. Questi nuovi stati allargavano il dominio cinese, assimilando lentamente nuove tribù selvagge, mentre declinava il potere centrale.

Nei secoli VII e VI si succedono guerre e lotte, i cui periodi salienti sono costituiti dall'egemonia di Ts'i (681-639 a. C.) a capo d'una lega di stati, cui succede un'egemonia di Tsin (633-621), un'effimera egemonia di Ch'u (607-589), poi un'egemonia di Tsin, alleata al nuovo stato di Wu (582-506). Subentra un lungo periodo di guerre, chiamato "il periodo dei regni combattenti", durante i secoli V, IV e III a. C. Caduta l'egemonia dello stato di Tsin, alla fine del sec. V e al principio del IV le vecchie forme feudali decadono e cominciano a formarsi stati maggiori.

Alla fine del sec. V quattro grandi stati forti si trovano alla periferia della Cina: Ts'i a NE., riuscito a consolidarsi dopo la caduta dell'egemonia di Tsin, Ts'in a NO., Ch'u a SO. e infine Yüe a SE. Al centro e a N. numerosi piccoli principati: Yen, Chao, Wei, Han, Sung, Lu, ecc., deboli e gelosi gli uni degli altri, destinati a diventare preda dei loro potenti vicini.

Alla fine del sec. IV emergono i tre stati di Ts'i, Ch'u e Ts'in.

Ts'in. Alla fine del sec. III (221 a. C.) il re di Ts'in s'impadronì di tutta la Cina, prese il titolo di Huang-ti (Huang "augusto" ti "signore") che si traduce di solito "imperatore" e che è rimasto ai sovrani della Cina fino al 1912.

Han. Alla fine del sec. II a. C., durante il regno di Wu-ti (140-86 a. C.), i territori delle attuali provincie Fu-kien, Kwang-tung, Yün-nan, Sze-ch'wan, Liao-tung sono aggiunti all'impero. Avvengono spedizioni nell'Asia Centrale, fino al di là del T'ien shan.

Sotto Ho-ti (89-106 d. C.) in una guerra contro gli Unni una spedizione militare giunge a Kashgar e al Caspio.

Al principio della dinastia Han l'impero era diviso in 103 chün o principati, sotto la giurisdizione di 13 governatori a capo di altrettante provincie (chow).

I tre regni. - Nel periodo 221-265 d. C. la Cina si divide in tre regni indipendenti (san-kuo "tre regni"): Wei, che comprende le provincie del N. e del centro, con capitale Lo-yang (Ho-nan fu); Wu che comprende Hu-nan, Hu-pe, Kiang-su e Che-kiang, con capitale a Nanchino; Shu, che comprende lo Sze-ch'wan, con capitale a Cheng-tu. I tre regni, con amministrazione dello stesso tipo, sebbene in guerra fra loro, allargano continuamente l'influenza dell'impero.

Tsin. - Nel periodo 265-420 la Cina si riunisce in un unico impero con capitale a Lo-yang. Verso il 380 i Tartari invadono la Cina; dal 317 al 420 gli Tsin riducono il loro impero verso S., riportando la capitale a Nanchino. Sotto gli Tsin, la Cina fu divisa in 19 chow "provincie" rette da governatori.

Sui. - Dopo una serie di brevi dinastie, sotto quella dei Sui (590-620) la Corea, dopo una spedizione vittoriosa (612-14), divenne tributaria della Cina.

T'ang (620-907). - Sotto questa dinastia, forse la più gloriosa della Cina, i Tibetani furono sconfitti e respinti verso O., e la Corea annessa alla Cina divisa in 5 provincie (650-684). Durante questa dinastia tutti i popoli del S., incorporati all'impero, chiamano sé stessi T'ang jen (uomini di T'ang). In questo periodo la Cina è divisa in circoscrizioni chiamate tao.

Sung (960-1280). - Dopo cinque piccole dinastie, la dinastia Sung in un primo periodo (960-1197), con capitale a K'ai-fung fu nel Ho-nan, lottò contro i K'itan, stabiliti nella penisola di Liao-tung. Verso il 1000 sorge il regno dei Hsia a cui la Cina paga un tributo. La Cina è ora divisa in 26 lu "circoli amministrativi". I Tartari Kin (pechin. Chin), conosciuti col nome di Orda d'Oro (cinese kin "oro"), nel 1125, sconfitti i K'itan, fondano un nuovo regno con capitale a Pechino. Nel periodo 1127-1280 l'impero cinese si limita alle provincie a S. del Yang-tze kiang, con capitale a Hang-chow.

Yüan. - Sotto questa dinastia mongola (1280-1368), la Cina è unificata, la capitale è ristabilita a Pechino (Kambalu di Marco Polo) da Qūbilāy. La Cina è allora divisa in 10 provincie (sheng).

Ming (1368-1644). - Questa dinastia stabilisce una divisione in quindici provincie nella Cina propriamente detta. Sfuggono alla Cina la Mongolia e la Manciuria.

Ts'ing. - Dinastia mancese (1644-1911); l'impero si estende nuovamente, comprende la Mongolia, la Manciuria, e si allarga verso il Tibet. Guerre vittoriose ottengono un tributo dalla Birmania e dal Nepal. Nel 1895, dopo la guerra col Giappone, la Cina gli cede Formosa, la penisola di Liao-tung e le Isole Pescadores. Le Quindici provincie dei Ming diventano 18, dividendosi in due lo Shen-si, da cui si stacca il Kan-su; il Kiang-nan che si divide in Kiang-su e An-hwei, il Hu-kwang che si divide in Hu-nan e Hu-pe. Altre variazioni sono state apportate ai confini delle provincie sotto l'impero. Sotto la repubblica sono stati aboliti i fu, chow, t'ing, divisioni amministrative dei Manciù, conservati i soli hsien ("prefetture"), raggruppati in pochi tao ("intendenze"), in ogni provincia.

Prodotti del suolo. - Al principio della civiltà nella Cina feudale, le prime coltivazioni furono miglio, orzo, sorgo a N., riso a S., grano dappertutto; fagioli, soia, zucche, indaco, canapa. Pochi alberi nei campi; gli alberi piuttosto accanto alle case e nei cortili, prugne, giuggioli, gelsi, peri, ecc. I campi a forma quadrata di circa 600 m. di lato (tsing), divisi in nove parti uguali, coltivati da otto famiglie, mentre la nona parte coltivata in comune dava il prodotto dell'imposta al re e al signore. I Cinesi hanno successivamente importato piante nuove dai paesi coi quali venivano a contatto. Lo stesso riso proviene dal S. e, sebbene già noto in Cina nel sec. VIII a. C., può essere coltura importata. Nel sec. II a. C. vennero dall'Īrān e dall'Asia centrale la vite e l'erba medica. D'origine iranica sono pure molti legumi, il pistacchio, il melograno, il noce. Nel sec. VII d. C. i Cinesi appresero dagl'Indiani l'estrazione dello zucchero dalla canna, sotto i Mongoli la raffinazione. Il cotone, ancora oggetto di lusso nel sec. VI d. C., si diffuse in Cina verso il XII. Sotto i Ming, nel sec. XVI, fu introdotto il granoturco dai missionarî, e più tardi, ancora dai missionarî, la patata. Queste due piante americane si diffondono ora rapidamente nelle montagne, sui confini mongoli e tibetani.

Anche la coltura delle piante indigene ha compiuto una continua evoluzione. Il tè, noto forse nei primi secoli d. C. come rimedio, fu coltivato generalmente soltanto verso il sec. VIII d. C.

L'agricoltura cinese si estende soprattutto nella parte piana, sale nelle colline soltanto se è possibile una sistemazione a scalini, a terrazze, nei fondi delle valli. L'agricoltura cinese differisce profondamente da quella europea per la quantità insignificante di bestiame allevato dagli agricoltori. Forse è questa una situazione estrema moderna, perché nella Cina antica sembra che i cavalli, le pecore e anche i bufali fossero allevati in maggior numero. Ancora nel sec. XIII Marco Polo (è vero che egli viaggiava coi Mongoli conquistatori, pastori e cavalieri) sembra aver osservato nelle città cinesi una maggior quantità di cavalli e di carri che non oggi. Le epizoozie, ma piuttosto il forte reddito delle risaie, la rapidità e la facilità dell'allevamento del maiale, sembrano aver condotto i cinesi a trascurare l'allevamento del bestiame.

Risalgono ai primi secoli a. C., e sono venute perfezionandosi col tempo, numerose macchine per l'irrigazione e il sollevamento dell'acqua (come bilancieri, pompe con catene di secchi, mosse a braccia o coi piedi, grandi norie mosse dalla corrente dei fiumi, ecc.). Una fitta rete di canali, regolata da una ripartizione equa, da norme che si sono venute perfezionando nel tempo, ha reso l'agricoltura cinese estremamente sviluppata e complessa.

Nello Sze-ch'wan e lungo tutto il Yang-tze aranci, gelsi sorgono nei campi che producono spesso due raccolti l'anno. Le leguminose, fave, fagioli, soia, sono spesso coltivate sulle strette dighe che circondano le risaie. Il concime umano è diligentemente e razionalmente usato dappertutto. Al N. la terra gialla "loess" non ha bisogno di concime; i sali fertilizzanti solubili che essa contiene risalgono per capillarità e per effetto della vegetazione alla superficie dagli strati più profondi, purché l'irrigazione o la pioggia fecondatrice giungano in tempo opportuno; di guisa che i campi di grano della Cina del N. sembra che raggiungano la produzione del 100 per uno nelle buone annate. Caratteristica della coltivazione del grano e del riso è la semina in vivaio seguita da un trapiantamento a ciuffi, che assicura una maggior produzione, e una maggior rigidità ai gruppi di steli e comincia ora ad essere studiata e imitata dall'Europa.

Riso e cereali. - Sembra che al riso spetti un ottavo della superficie coltivata, specialmente nella Cina del S., del bacino dello Szech'wan, e, meno frequentemente, nelle vallate dei fiumi affluenti del corso medio del Fiume Giallo. A N. nel loess il grano è la sola coltura veramente estesa; ai confini della Mongolia succedono numerose varietà di miglio; il granturco si estende in tutta la Cina meridionale; l'orzo verso il Tibet; l'avena verso la Mongolia; un po' dappertutto il grano saraceno.

Olî vegetali, altri prodotti agricoli. - Sono prodotti dal sesamo, arachidi, mostarda, colza, fagioli (soia), cotone. Per illuminazione sono sostituiti gradualmente dal petrolio, ne rimane però l'uso alimentare. La canna da zucchero nella Cina del S. non risale a N. del bacino dello Sze-ch'wan. Il tè, esigendo tutto l'anno umidità costante, cresce soltanto nelle colline della Cina meridionale, del Kiang-si, del Fu-kien, del Che-kiang. La produzione del tè, di cui la Cina aveva il monopolio in tutto il mondo, è minacciata dalle colture razionali dell'India, della Birmania, di Ceylan, di Giava e del Giappone. Contribuisce alla diminuita esportazione il gusto europeo che preferisce un tè carico di tannino piuttosto che un profumo sottile e delicato.

Il cotone ha per centro principale di coltura le regioni di Ning-po, di Han-chow, le rive del lago Tai hu e l'estuario del Yang-tze, dell'An-hwei, lungo i fiumi Yang-tze e Hwai, infine del Hu-pe, attorno ai laghi a O. di Han-kow. La sua coltura si sta estendendo ora nelle provincie del NE. e il raccolto è accentrato a T'ien-tsin.

Sericoltura. - È una delle più antiche colture della Cina e si estende principalmente nelle basse pianure di Nanchino, Shanghai e Hang-chow, donde provengono le qualità migliori; nel Kwang-tung, nello Shan-tung, nello Sze-ch'wan. In varie regioni della Cina, tanto a N. quanto a S., si ha pure una considerevole produzione di seta cruda, da bachi che vivono all'aperto su varî alberi, specialmente querce. La sericoltura però si trova in condizione d'inferiorità rispetto a quella italiana e giapponese; le malattie dei bachi da seta rendono di qualità inferiore il prodotto cinese. I Cinesi fanno però sforzi per migliorare, con l'aiuto della tecnica scientifica, la loro produzione.

Altre fibre tessili importanti sono la canapa e la ramie (v.). Numerosi sono gli alberi che producono vernice vegetale, soprattutto nella Cina del S.; caratteristica la produzione della lacca, molto importante quella del sego vegetale e della cera vegetale.

La coltivazione del bambù in numerose varietà, in quasi tutta la Cina e specialmente nel S., sostituisce in buona parte nella vita comune l'uso del legno, assai scarso. I germogli di bambù formano un alimento delicato. Nella seconda metà del sec. XIX e ancora al principio del XX la coltura del papavero da oppio (v.) assunse in Cina proporzioni considerevoli, sebbene ora si cerchi di restringere o abolire la sua produzione. L'uso di fumare l'oppio, noto come medicinale nei tempi antichi, fu introdotto in Cina da Giava al principio del sec. XVIII. Il primo editto contro l'oppio è del 1729. La coltivazione del papavero comincia in Cina verso il 1830. Tra le frutta sono importanti le pesche, gli aranci, i diospyros kaki, le nespole del Giappone, e al S. il li-chi, la banana, ecc.

Gli animali domestici sono cavalli, asini, muli, bufali, cani (una varietà di cani del S. è usata come commestibile), conigli, maiali, capre, pecore e una grande varietà di pollame, galline, anatre, oche, piccioni. Al N. il cammello è pure adoperato come bestia da soma.

Piscicoltura e caccia. - In molte parti della Cina, specialmente nello Yang-tze kiang inferiore, si allevano razionalmente i pesci, dapprima in vivai, che servono a ripopolare fiumi, laghi e risaie. La pesca assume una grande estensione lungo i fiumi e lungo la costa del mare; sono stati adottati anche mezzi moderni (pesca a grandi profondità, con navi a vapore, ecc.). La caccia è abbondante nelle colline e nelle montagne dell'Ovest.

Miniere, metallurgia. - Considerevoli bacini carboniferi sono in Cina sfruttati con mezzi primitivi da molti secoli. Il carbon fossile sostituisce nella maggior parte degli usi domestici la legna e il carbone di legna, rari e costosi. Nel 1925 le miniere cinesi fornivano una produzione di oltre 20 milioni di tonnellate di carbone, in parte con metodi moderni. Il ferro esiste in quantità enormi; sono stati riconosciuti giacimenti d'un miliardo di tonnellate. Il Giappone importa dalla Cina una parte notevole del ferro prodotto.

La Cina produce il 75% dell'antimonio e il 50% del tungsteno in tutto il mondo. Nello Yün-nan si hanno importanti miniere di stagno. Le grandi regioni siderurgiche sembrano doversi sviluppare soprattutto nello Shan-si, per il carbone nella regione che fa capo a T'ien-tsin e a Mukden; nel Hu-nan dove il carbone, il ferro, e l'antimonio abbondano, nelle vicinanze del lago Tung-t'ing; infine nel Hu-pe, nelle miniere di carbone di Ping-yang e di ferro di Ta-yeh. Le grandi ferriere cinesi di Hanyang producono un milione di tonnellate di ghisa. La Cina importa però ancora acciaio.

Il rame si estrae nello Yün-nan e nel Kwei-chow, il mercurio, che serve specialmente alla produzione del cinabro, pure nel Kwei-chow. Nelle provincie dell'O. e del SO. si hanno pure miniere di oro, argento e piombo argentifero. Si raccoglie l'oro nei letti di molti fiumi, specialmente nel Yang-tze kiang superiore e nel suo affluente Han. Si trova petrolio nello Sze-ch'wan, nel Kan-su. Si hanno pozzi di sale nello Shan-si, dove è pure notevole un grande lago salato razionalmente sfruttato da tempi antichissimi, e si hanno numerose saline lungo la costa. La maggior parte di queste miniere sono coltivate con mezzi primitivi e potrebbero probabilmente dare una produzione molto maggiore coi metodi europei. Sembrano particolarmente importanti le miniere d'oro dello Sze-ch'wan occidentale e le miniere di wolframite della Cina del SE.

Industrie e commerci. - Eccetto certe industrie caratteristiche, porcellane, inchiostro di Cina, nella maggior parte del paese l'industria è ancora in gran parte di tipo arcaico e comincia a subire una crisi a causa dell'introduzione dei prodotti a macchina delle grandi industrie che si vanno sviluppando nei dintorni di Shanghai e di Canton e lentamente si espandono nell'interno. La guerra europea ha creato condizioni favorevoli allo sviluppo delle manifatture indigene, le quali hanno concorrenti formidabili non solo tra gli Europei ma tra gli Americani e Giapponesi. L'industria tessile, soprattutto quella cotoniera, non produce ancora tessuti fini, che vengono soltanto dall'Europa; la massima parte della clientela del popolo, vestita di cotone, si contenta però di stoffe grossolane. L'industria della seta si è venuta sviluppando con grandi filature non solo nel S. e nel basso Yang-tze, ma anche nella Manciuria meridionale. Lo sviluppo delle industrie cinesî è facilitato dal fatto che la mano d'opera intelligente e a buon mercato collabora utilmeme con la direzione europea. I capitali cinesi accorrono volontieri e collaborano con quelli europei, americani e giapponesi nello sviluppo delle industrie. Le condizioni della Cina, sebbene inizialmente assai simili a quelle dell'India, sembrano differirne profondamente nel loro sviluppo, poiché i Cinesi, omogenei come popolo, hanno capitalisti, uomini d'affari e tecnici che desiderano apprendere docilmente e seguire le iniziative europee. L'immagine del cinese misoneista e xenofobo appartiene piuttosto al bagaglio letterario degli osservatori dilettanti e superficiali e non corrisponde alla realtà se non in certi gruppi limitati (mancesi del sec. XIX, ecc.).

La produzione industriale della Cina è suscettibile d'un immenso sviluppo. Non soltanto gli Europei cercano di collaborare a quest'opera di civiltà, ma anche le migliaia di cinesi che in America e in Europa hanno apprezzato e capito l'importanza della tecnica europea desiderano e sono in condizione di compiere quest'enorme impresa, la quale progredisce nonostante le guerre civili e le calamità da esse dipendenti (1930).

Commercio interno. - Ha in Cina un'immensa importanza, poiché, a causa dell'unità del paese e della varietà delle sue condizioni, le varie regioni sono in gran parte specializzate. Il commercio all'ingrosso è monopolizzato da ricchi negozianti e da corporazioni. Essi rivendono ai negozianti al minuto i quali generalmente trattano una sola merce, per esempio riso, tè, pellicce. Si hanno in Cina i negozianti di tè dell'An-hwei, i negozianti di riso del Kwang-tung e del Kiang-su, i banchieri dello Shan-si. Talvolta il commercio è nelle mani di alcune famiglie. Erano famose al principio del secolo XIX la famiglia Fang nell'An-hwei per il tè e la famiglia Lu a Pechino per le bevande distillate.

Un'idea delle correnti commerciali interne è data dal carbone, che dal Hu-nan va al Hu-pe; dalle stoffe di cotone, dal Hu-pe al Sze-ch'wan, Kwei-chow e Hu-nan; dal Kwang-tung ventagli, inchiostro di Cina dall'An-hwei, e porcellane dal Kiang-si in tutte le provincie. Mancano però statistiche attendibili di questi movimenti.

Commercio col Tibet, il Sin-kiang (Turkestān Rinese), la Mongolia e la Manciuria. - La Cina propriamente detta vi esporta tè, seta, oppio, porcellane, tessuti esteri; importa pellicce, muschio, giada, cavalli (pony della Mongolia), semi dalla Manciuria.

Commercio con l'estero. - Fino al 1842, aveva luogo soltanto attraverso i due porti di Macao e Canton. Da allora sono stati gradualmente aperti circa cinquanta nuovi porti. Il commercio avviene con tutti i paesi del mondo; è andato crescendo rapidamente ogni anno e, nonostante i disordini e le guerre civili, dopo la costituzione della repubblica ha continuato a crescere. Tra le importazioni più notevoli vanno menzionati: i filati di cotone dall'India, i tessuti di cotone dalla Gran Bretagna e Stati Uniti, l'oppio dall'India, il petrolio dagli Stati Uniti e Sumatra, il riso dall'Indocina, i colori d'anilina dalla Germania, la farina dagli Stati Uniti, le vetrerie dal Belgio, ecc.

Notevole lo sviluppo dei porti aperti al commercio. Le condizioni di privilegio create alla popolazione residente nei porti aperti al commercio hanno contribuito a un considerevole sviluppo della popolazione che sale in questi porti a poco meno d'una decina di milioni d'abitanti ivi richiamati da tutta la Cina. Piccolo invece il numero dei residenti europei (ditte 7743; persone 336.841), come dalla seguente tabella data per il 1925 dalle dogane cinesi:

Ecco una tabella del commercio di tutto il mondo con la Cina, in milioni di taels delle dogane cinesi (un tael delle dogane vale circa 12 lire italiane) secondo il China Year-book, 1928, p. 1061:

L'Annuario statistico italiano (1928) dà le seguenti cifre del commercio della Cina con l'Italia (in milioni di lire, non compresi i metalli preziosi):

Lo Statesman's Year-book, 1930, dà per l'Italia cifre notevolmente diverse, ma dello stesso ordine di grandezza.

Monete, biglietti di banca. - La Cina feudale fino alla dinastia Ts'in (246 a. C.) ebbe per monete soltanto delle conchiglie (cinese pei). Con l'impero degli Ts'in comincia la circolazione delle monete di bronzo. Le prime monete erano in forma di coltello o di vanga. Si fissò ben presto un tipo di moneta (ts'en) tondo, con un buco quadrato, che si continuò a coniare col nome degl'imperatori delle varie dinastie, di vario peso e di varia lega. Un tipo medio è un disco di 22-24 mm. di diametro, del peso di gr. 3,78, composto d'una lega di rame 50, zinco 41½, piombo 6½, stagno 2. Questi ts'ien sono detti in inglese cash, dal portoghese caixa, piccola moneta di stagno proveniente dal Malabar, in uso a Malacca nel 1511; in francese sapèque (donde l'italiano, poco usato, sapeca). Mille ts'ien, valgono nominalmente un'oncia d'argento (liang). L'oncia liang (ingl. tael dal hindustani tola, attraverso il malese tahil) è l'unità di misura del peso dell'argento, 37,8 gr. circa, ma di fatto per un tael si potevano avere da 800 a 1800 ts'ien. La mancanza d'una unità fissa di peso ha fatto sopravvivere nell'uso pratico una certa quantità di once (liang) diverse nelle diverse regioni della Cina, a Canton, Shanghai, ecc. Una delle più importanti per il commercio europeo era l'oncia delle dogane imperiali (hai-kwan p'ing), del peso di gr. 37,72. Il suo valore è quello dell'argento; quindi ha variato col variare di questo. Ecco un'idea delle variazioni di valore in scellini inglesi: 1872, 6s, 1882, 5s, 8d.; 1892, 5s, 4d.; 1902, 2s, 7d.; 1906, 3s, 3d.

Una grande quantità di dollari d'argento furono importati in Cina dal sec. XVI in poi. Il più comune era il dollaro o scudo spagnolo con l'effigie di Carlo III e Carlo IV, fin verso il 1856, sostituito poi dal dollaro messicano d'argento, sostituito a sua volta al principio del secolo XX da numerosi dollari cinesi coniati da zecche provinciali. Ognuno di questi dollari (cin. yüan, giapp. yen, francese piastre) corrisponde presso a poco a sette decimi d'oncia. Negli ultimi anni dell'impero (notevole un decreto del 5 ottobre 1908) e sotto la repubblica, fu tentata più volte l'unificazione monetaria della Cina che sembra (1930) doversi attuare con l'introduzione della valuta aurea.

Una fitta rete di cambiavalute, di banchieri, di banche fin dal Medioevo provvede ai bisogni del commercio. Lo stato cinese ebbe biglietti di banca dal secolo VIII in poi e provò più volte gl'inconvenienti e i disastri d'inflazioni, di svalutazione della carta monetata e di fallimenti (cfr. Marco Polo: "Comant le grant kaan fait despendre chartre por monoie", ed. Benedetto, p. 91).

Monopolî. - La Cina ebbe fin dai tempi più antichi (feudali) monopolî del ferro e del sale. Il monopolio del sale dura fino ai nostri giorni. Furono altresì tentati nel secolo XI (v. wang an-shih) monopolî del tè, della porcellana e un esperimento di socialismo di stato, ripartizione delle terre, ecc.

Corporazioni. - Durano da tempo antico, e soltanto nel sec. XX sono scosse dall'introduzione delle grandi industrie, numerose corporazioni d'ogni specie, di arti, mestieri, regionali. ecc. Ricche e potenti, lontane dalla politica, hanno contribuito a supplire all'opera dello stato quando questa era deficiente, per es. nella manutenzione di strade, porti, ecc.

Comunicazioni. - Vie, ponti, canali. - Fin dai tempi più antichi, numerose vie per i corrieri, spesso lastricate con grosse pietre, talvolta sentieri, uniscono le varie località coi centri maggiori e questi con la capitale. Nel N. le vie nelle pianure si allargano e rozzi carri tirati da muli o cavalli possono percorrerle. Spesso corrono profondamente nel loess in stretti corridoi a pareti verticali. Nel centro e nel S., nelle zone montagnose, le vie sono larghe poco più di un metro, nello Yün-nan giungono a m. 1,50.

I ponti sono generalmente in pietra, con archi a tutto sesto, talvolta in legno. Nell'O., specialmente nello Sze-ch'wan, notevoli i ponti sospesi con grossi cavi di bambù intrecciato o con catene di ferro. In varî luoghi si hanno ponti di barche.

L'amministrazione imperiale non provvedeva a regolari riparazioni dei ponti e delle strade se non in modo saltuario, prelevando tasse speciali. Le corporazioni provvedevano spesso alla manutenzione delle strade e delle vie di alaggio lungo i fiumi e i canali.

La rete principale di strade che univa Pechino alle varie provincie, le vie dei corrieri, avevano ogni cinque km. una torre di segnalazione, ogni 50 km. una posta o luogo di ricambio dei cavalli, con un posto di soldati, alberghi, ecc. Il miglior modo di viaggiare era su carri tirati da muli o cavalli, ovvero in lettighe o portantine sospese tra due muli o portate a spalla da due, tre o quattro portatori (per le autorità o persone di grado elevato). I viaggiatori più modesti cavalcavano cavalli, muli o asini, o andavano in carrette a una sola ruota, spinte a mano. Per le merci le stesse carrette a una ruota, spinte a mano, talvolta aiutate da una vela; nel N. e nell'O. cammelli, muli, asini. Molto usato il trasporto a spalla, di solito col carico diviso in due parti sospese all'estremità di una stanga elastica, di legno o bambù.

Sotto la repubblica nuove vie automobilistiche a fondo artificiale cominciano ad essere costruite e abbreviano notevolmente i viaggi con camions da trasporto e automobili. Si stanno sviluppando più rapidamente delle ferrovie.

Il centro e il S. della Cina e anche una zona a N. hanno un'eccellente rete di canali. Importanti quelle connesse con l'Yang-tze kiang e i suoi affluenti, il fiume Han, i fiumi dello Sze-ch'wan, il Siang kiang e il Kan kiang. I grandi laghi offrono pure larghe e comode vie di comunicazione. Alcuni di questi canali sono navigabili soltanto durante il periodo delle piene, o, vicino al mare, ad alta marea. Complicata la rete dei canali dei due delta del Yang-tze kiang e del Si kiang. Altre reti di canali sono connesse col Min kiang nel Fu-kien, col Hwai ho nell'An-hwei, ecc.

Il canale imperiale (cinese yü ho "canale imperiale") si estende da Hang-chow nel Che-kiang fino a T'ien-tsin, con una lunghezza di circa 1600 km. Fu cominciato nel sec. VI d. C. La parte più antica è quella compresa fra l'Yang-tze e il fiume Hwai ho. La parte S. fino a Hang-chow fu costruita dal 605 al 617 d. C. Fu terminato, nella parte che va dall'antico letto del fiume Giallo fino a T'ientsin, dall'imperatore mongolo Qūbilāy (1280-1293). Difficile e complesso il sistema d'alimentazione delle acque del canale; il punto più difficile era il passaggio del Fiume Giallo che poteva essere compiuto dalle barche soltanto quando il fiume in piena saliva di m. 2,40 sul livello ordinario. Uno speciale governatore del canale, con dignità eguale a un viceré, dirigeva i lavori di manutenzione. Il posto è stato soppresso nel gennaio 1905. Il canale serviva per portare i tributi in natura, specialmente riso, da S. a N. La navigazione per mare e poi le ferrovie hanno reso inutile il canale in tutta la lunghezza. La parte S. e del centro continua però ad essere adoperata da migliaia di barche per il traffico locale.

Poste. - Le antiche poste imperiali riservate al governo erano effettuate con corrieri a cavallo, che ogni 40 km. (posta) senza fermarsi si trasmettevano i dispacci, racchiusi in un astuccio. Nel 1874 le dogane imperiali, dirette da Sir Robert Hart, iniziarono un sistema di posta con metodi europei, l'efficienza del quale va crescendo rapidamente. Lettere, cartoline, pacchi postali, con miti tariffe, circolano nei più lontani centri, con tutti i mezzi e tutte le risorse suggerite dall'esperienza cinese ed europea. Prima di questo servizio, agenzie private trasmettevano le corrispondenze da luogo a luogo, previo il pagamento d'una piccola tassa.

Telegrafi, telefoni. - La Cina antica aveva, come l'antica Grecia, torri che con fuochi accesi la notte e con fumo il giorno comunicavano rapidamente notizie gravi dai confini alla capitale. Questo metodo rudimentale fu il solo adoperato fino alla introduzione del telegrafo elettrico impiantato nel 1884. Nel 1892 la Cina fu collegata telegraficamente all'Europa via Siberia. I caratteri cinesi (8000) sono numerati e i telegrammi sono trasmessi in cinese per mezzo di numeri.

Reti telefoniche automatiche sono impiantate o in corso di impianto a Shanghai, Canton, T'ien-tsin, Pechino, ecc. Le comunicazioni telefoniche interprovinciali sono in progetto. Sono anche in progetto una rete radiotelefonica e una radiotelegrafica. Varî posti radiotelegrafici si trovano in varie località, come a Pechino, T'ien-tsin, Hong-kong, Shanghai, ecc.

Ferrovie. - La prima ferrovia, lunga circa 15 km., costruita tra Shanghai e Wu-sung nel 1876 da una società inglese, fu comprata dal governo cinese e distrutta: il materiale fu trasportato nell'isola di Formosa. Fu ricostruita da ingegneri tedeschi per conto di una compagnia cinese, il 6 agosto 1898.

La prima società ferroviaria imperiale, nel N., aprì il traffico nel luglio 1888 con una linea da T'ien-tsin a T'ang-ku, alla foce del Pei ho. Nel 1897 la linea fu prolungata fino a Pechino. Nel novembre 1905 era completata la grande ferrovia Pechino - Hankow (1225 km.) con una grande ponte di ferro di 2,5 km. (50 travate di 50 m.) sul Fiume Giallo, con capitali francesi e belgi.

Pechino è il centro d'una rete ferroviaria nel N. che congiunge varî centri minerarî (carbon fossile) coi centri principali e con la ferrovia transiberiana (v.). Importanti le vie di comunicazione con la Manciuria, attuale centro d'immigrazione cinese. Altre linee importanti, che costeggiano in parte l'argine del canale imperiale: la ferrovia Pechino - Ts'i-nan fu - Pu-k'ow, in faccia a Nanchino; collegata con essa, la ferrovia Ts'i-nan - Tsing-tao (393 km.). Nanchino è congiunta da una ferrovia a Shanghai, Han-kow, ecc.

Due tronchi importanti d'una ferrovia destinata a collegare Han-kow con Canton sono già costruiti. La ferrovia Canton - Kaolung (143 km.) è stata aperta nel 1911. Difficili ancora appaiono le congiunzioni ferroviarie con le ferrovie della Birmania e dell'Assam. La rete ferroviaria (1929) della Cina supera di poco 11 mila chilometri. Una complessa rete di navigazione fluviale a vapore in corrispondenza con le ferrovie facilita il traffico. La ferrovia Pechino-Mukden (840 km.), collega la rete cinese con la rete siberiana e con l'Europa. Mukden è pure collegata con le ferrovie giapponesi della Corea. Nel S. due linee ferroviarie francesi da Hanoi giungono l'una a Yün-nan, l'altra a Nan-ning, ma non sono ancora collegate con la rete cinese. Molti sono i progetti di collegamento ferroviario della Cina con l'Occidente. Completo sembra il progetto inglese che collega lo Yün-nan con la Birmania, ma non ne è ancora iniziata la costruzione.

Marina mercantile. - È costituita da 218 navi per tonnellate lorde 319.224, così ripartite. 207 piroscafi per t. 313.443; 4 motonavi per t. 1195; 7 velieri (escluse le giunche) per t. 4586. Accanto a questa flotta è da computare il naviglio addetto alla navigazione interna, la quale segue le Inland Steam Navigation Regulations del 1898 (rivedute dopo il trattato sino-britannico del 1902). Non è possibile dare cifre omogenee in proposito, poiché gli ultimi dati disponibili si riferiscono al 1925. In quell'anno erano iscritte 2554 navi (di cui 1715 sotto bandiera cinese). La bandiera cinese - giunche incluse - occupa il terzo posto nel traffico fra la Cina e i paesi esteri e fra i porti aperti cinesi: su 152.63 milioni di tonnellate entrate e uscite dai porti cinesi nel 1928 la bandiera britannica fu sempre al primo posto (56.04 milioni), la giapponese al secondo (39.07), la cinese al terzo (33.04; giunche escluse, ma si tratta di tonnellaggio non cospicuo e tale, comunque, da non variare la proporzione).

Le società di navigazione cinesi sono le seguenti: China Merchant Steamship Navigation Co.; Ching Kee S.N. Co.; North China Steamship Co.; San Peh Steam Navigation Co. La prima è di gran lunga più importante: 30 piroscafi per t. 60.309, adibiti a servizî fluviali. Essa nutrì grandi propositi di espansione dopo che il governo cinese la rilevò. Ma la gestione statale si è tradotta in disastrosi risultati per gli azionisti e gl'impiegati, tanto che un decreto del consiglio di stato, in data 16 settembre 1930, ha nominato un comitato di riorganizzazione, composto da nove membri, incaricato di riordinarla e amministrarla.

La più grande compagnia di navigazione che esercita il traffico in Cina è comunque la britannica China Navigation Co. (75 piroscafi per t. 150.000). Shanghai costituisce il più importante centro di costruzioni navali con i suoi quattro cantieri (due britannici, uno franco-cinese, uno di proprietà del governo cinese). La marina mercantile è amministrata dal Ministero delle comunicazioni.

Bibl.: Commercial Handbook of China, Washington 1925; The China Year-book 1928, T'ien-tsin 1928; A. N. Fox, Economic conditions in China (rapporto consolare), Londra 1930.

Aviazione civile. - Avvenuta l'unificazione della Cina sotto il governo nazionalista, è stato preso in esame anche il problema dell'aviazione civile, la cui organizzazione è stata affidata al Ministero delle comunicazioni. Il ministro ha riaffermato la necessità che la Cina debba avere un'aviazione commerciale molto sviluppata, che risolva il problema dei rapidi collegamenti fra le varie città, situate in genere a grandi distanze.

Fra gli elementi più caratteristici dello sviluppo aeronautico cinese nel 1929 è da annoverare la costituzione della China National Corporation, alla quale è stato concesso il controllo dell'aviazione commerciale nazionale. Questa compagnia ha un diritto di esclusivia nella conclusione di contratti con compagnie private, sia estere sia nazionali, per l'esercizio di linee commerciali nel paese e per i trasporti di posta aerea. Essa concluse, nel corso del 1929, importanti contratti con case francesi, tedesche, britanniche e nord-americane.

In data 9 luglio 1929 venne inaugurata, in via d'esperimento, una prima linea di trasporti aerei tra Shanghai e Nanchino, che non è stata fin ad ora stabilita con orarî fissi, per la mancanza di campi intermedî d'atterraggio. In data 21 ottobre 1929 venne altresì inaugurata la via aerea Shanghai - Nanchino - Han-kow per passeggeri e posta aerea. I servizî di questa sono effettuati da 5 apparecchi anfibî nord-americani, della capacità di 6 passeggeri. Il servizio è giornaliero. La distanza è coperta in 6 ore e 25 minuti. Gli apparecchi, muniti d'impianti trasmittenti e riceventi, di telegrafia senza fili, sono finora pilotati da aviatori nord-americani. La China Airway fu fondata agl'inizî del 1930 e si propone di esercitare un servizio di trasporti aerei Nanchino - Pei-ping e Shanghai - Canton.

La Cina non ha una vera industria aeronautica. Vi sono tre officine rispettivamente a Shanghai, Canton e Fu-kien dove si costruiscono solamente le ali e le fusoliere con materiale cinese. I motori sono importati dall'estero, particolarmente dagli Stati Uniti.

Basi aeree. - Gli aeroporti più importanti sono: Tai-sha tao (Canton, aeroporto con buona scuola di pilotaggio); Nanchino (aeroporto civile); Mukden (aeroporto militare); Tâi-yüan fu (aeroporto); Shanghai (aeroporto militare e civile); Pak-hoi (aeroporto); Yün-nan (aeroporto): Amoy (aeroporto e idroscalo).

Distribuzione e densità della popolazione. - Come abbiamo visto sopra (v. Dati statistici, censimenti), la distribuzione della popolazione in Cina è piuttosto incerta: diamo qui le cartine della densità della popolazione in Cina, compilate, con diversi metodi, dal Usher e dal Roxby, le quali dànno una sufficiente idea dello sviluppo e della densità della popolazione in Cina negli ultimi secoli.

La formazione delle città è in Cina assai antica e si ritrova già determinata con riti, cerimonie e regole che hanno una certa analogia con la fondazione delle città romane. Ciò nonostante, sembra che soltanto il 6% dei Cinesi vivano in città di oltre 50.000 abitanti, un altro 6% in città da 10 a 50.000 abitanti; il residuo, 88%, vive per lo più in villaggi molto piccoli. Si calcola che dovrebbero quindi esistere circa un milione di villaggi con meno di 250 abit. ognuno, e in essi, secondo G. Wegener, vivrebbero circa 200 milioni di Cinesi. Questi villaggi sono di solito fitte agglomerazioni di abitazioni, disposte non solo per i bisogni della vita, ma generalmente a scopo di difesa. Essi sono tra loro tanto vicini che, con immagine cinese, dall'uno all'altro si sente l'abbaiare dei cani e il canto dei galli. Case sparse e isolate si trovano in Cina eccezionalmente, ad es. nello Szech'wan. Questa forma di distribuzione della popolazione è collegata evidentemente col carattere strettamente agricolo della civiltà.

Le città cinesi erano, fino al principio del sec. XX, quasi tutte circondate da mura, ripetendo all'ingrosso, specialmente in pianura, uno stesso tipo, che subisce però considerevoli variazioni in dipendenza della configurazione del suolo.

Le città della Cina, oltre un migliaio, si sono sviluppate con leggi del tutto analoghe a quelle che hanno determinato la formazione delle città europee. Di rado in riva al mare, più spesso in riva ai fiumi o allo sbocco d'un affluente in un fiume, o al termine del tratto navigabile d'un corso d'acqua, nei nodi stradali, attorno alle stazioni postali, ai mercati, accanto alle miniere, ecc.

Le grandi città della Cina superiori al mezzo milione d'abitanti sono almeno una ventina. È difficile dare cifre esattamente corrispondenti alla realtà, che spesso differisce assai dalle indicazioni ufficiali e amministrative. Si hanno cioè cifre molto diverse secondo che si includono o no i sobborghi e i nuclei di base vicini alla città, e ad essa strettamente collegati moralmente ed economicamente. Così, ad esempio, Canton (v.) nelle vecchie mura conta circa 900.000 abitanti, ma altri 500.000 si trovano nel sobborgo poco lontano di Fu-shan; Han-kow forma con Han-yang e con Wu-chang (tre città separate o piuttosto unite dal Yang-tze kiang e dal suo affluente Han) un'unica agglomerazione di circa due milioni d'abitanti; così infine Cheng-tu ha forse non più di 400.000 abitanti, ma in realtà è strettamente collegata con una serie ininterrotta di sobborghi e di cittadine satelliti, in modo non dissimile da ciò che si verifica per Milano.

Nel sec. XX le mura delle città vanno sparendo, sostituite da ampî viali. Le vie delle città si allargano; il traffico delle automobili va crescendo e si estende ai sobborghi e alle campagne. Nei centri delle grandi città commerciali sorgono vasti edifici moderni a molti piani, di tipo americano, che contrastano vivamente con l'architettura cinese. Notevole la fusione dei due stili nel grande istituto Rockfeller di Pechino.

Emigrazione interna ed esterna; colonie di confine. - Come risulta evidente anche esaminando le cartine precedenti, lo sviluppo della Cina può considerarsi come un continuo e complesso moto d'espansione coloniale. È un movimento che ha qualche analogia con l'espansione dell'Impero romano; ed è probabilmente una necessità delle civiltà essenzialmente agricole, poiché le comunità floride, che hanno reso fertile una certa regione, organizzandola in un sistema agricolo, sono naturalmente portate, dall'aumento della popolazione, a ripetere più lontano, finché trovano terreni disponibili, lo stesso tipo d'organizzazione.

Considerevoli movimenti interni di popolazione avvengono periodicamente in Cina specialmente durante e dopo i periodi di carestia, di guerre, di rivoluzioni, d'invasioni distruttive. Mancano statistiche precise; ma anche dalle sole cifre precedentemente riportate del movimento della popolazione nelle provincie, si può constatare il rapido afflusso da tutta la Cina per la ricostituzione dello Sze-ch'wan dopo le devastazioni della conquista mancese, nel 1660; l'immigrazione nello Shan-si dopo i saccheggi della rivolta musulmana del 1860-70, ecc. Un flusso continuo, in diverse direzioni, è dato dalla specializzazione nelle professioni, nei mestieri e nelle industrie, molto spinta in tutta la Cina, fatto che dipende, come abbiamo già rilevato, dalla ricchezza e dalla potenza delle organizzazioni regionali e provinciali risiedenti in ogni città. Sempre intensi e ordinati anche nei periodi di governo disordinato, grazie a una lunga e costante tradizione, sono i movimenti di afflusso dei coltivatori cinesi verso i confini, rivolti a estendere e ingrandire la vita civile cinese. Caratteristico nel sec. XX è il movimento, come ora vedremo, verso la Manciuria e la Mongolia.

Espansione coloniale. - Verso il Tibet il movimento di espansione è ora lento, limitandosi alla coltivazione delle vallate più fertili; deve essere però stato intenso negli ultimi secoli; una parte dell'attuale Sze-ch'wan occidentale era ancora qualche secolo fa abitata da Tibetani o da altre popolazioni più primitive. Nel 1911 le prime pattuglie cinesi erano giunte a Rima, ai confini dell'Assam, primo tentativo di contatto diretto tra l'India e la Cina. La rivoluzione ha distrutto per il momento questo tentativo.

In Birmania l'immigrazione cinese è continua. In ogni villaggio appena un po' importante i Cinesi hanno impiantato un monte di pietà. Dappertutto, artigiani e piccoli negozianti; nel NE., ai confini della Cina, vi è una forte immigrazione di manovali (coolies). Cinesi e Birmani si affiatano grazie all'affinità della razza. I matrimonî misti sono ben visti e i figli diventano spesso Birmani.

Già nel 1287 l'imperatore Qūbilāy aveva ordinato una grande spedizione in Birmania, come, oltre agli storici cinesi, racconta Marco Polo; altre spedizioni seguirono fino al 1301. Anche la dinastia Ming tentò una spedizione in Birmania nel 1444.

Nel Siam, secondo il censimento del 6 luglio 1929, i Cinesi censiti erano 445.274 (313.764 maschi e 131.510 femmine), meno del 4% della popolazione, oltre la metà dei quali nella capitale. Ma queste cifre si applicano soltanto ai nuovi emigrati, poiché sono considerati siamesi i figli nati nel Siam da genitori cinesi. Anche le relazioni tra Cinesi e Siamesi sono assai antiche e facilitate dall'affinità di razza.

I Cinesi hanno conosciuto i paesi delle spezie fin da tempi assai antichi (sec. V d. C.), seguendo probabilmente le navigazioni dei Persiani, molto più intraprendenti e portati all'arte navale. Abbiamo descrizioni abbastanza esatte non solo di Giava e di Sumatra, ma anche delle isole minori, negli storici e nei viaggiatori cinesi fin dal sec. XII d. C. (v. chao ju-kua). Essi descrivono il progressivo stabilirsi di colonie cinesi e l'estendersi dei loro commerci. È qui da ricordare la spedizione del 1407 nell'Oceano Indiano dell'eunuco Cheng Ho con una flotta di 62 navi e con 27 mila soldati. Quando gli Europei vi giunsero, molti secoli dopo, i Cinesi vi erano già solidamente stabiliti. L'importanza delle colonie cinesi di Giava anche in tempi antichi risulta ad esempio dal massacro di 60.000 Cinesi avvenuto nel 1740 a Batavia, in una sola notte, riferito dal gesuita P. Bénoit (Lettres Édifiantes, IV, p. 212, lettera del 1773).

Nelle isole Filippine, descritte dagli storici cinesi fin dal sec. X d. C., e frequentate fin d'allora da negozianti cinesi, persiani, indiani ed arabi, le colonie cinesi erano molto floride. Un massacro di 23.000 Cinesi secondo gli storici spagnuoli, o di 25.000 secondo quelli cinesi, ebbe luogo a Manilla nel 1603, per il timore infondato d'una conquista cinese delle Filippine.

I Cinesi d'Indocina sono essenzialmente commercianti. L'immigrazione, lenta e continua, ha permesso ai Cinesi di conquistare la preponderanza economica in gran parte dell'Indocina. Vi sono però tuttavia colonie agricole nelle risaie della Cocincina, già da qualche secolo. È interamente nelle mani dei Cinesi, nel Cambodge e in Cocincina, la coltura del pepe e degli ortaggi.

In Malesia l'immigrazione cinese è stata favorita dallo sviluppo delle miniere, specialmente di stagno, e dalla coltura del caucciù. Gl'immigranti cinesi a Singapore, 269.000 nel 1911, discesi a 70.000 nel 1919, risalivano a 348.000 nel 1926, e nel 1927 a 359.000 di cui il 1606 era costituito da donne.

In Manciuria le ferrovie hanno servito dal 1919 al 1924 a una rapida immigrazione dallo Shan-tung e dal Chih-li; nel 1925 gli immigrati sorpassavano già il mezzo milione, nel 1927, un milione, nel 1928 più di due milioni. Le carestie e la guerra hanno spinto interi villaggi a spostarsi verso il N. Il movimento, oltre che per ferrovia, avviene per mare, con porto di sbarco a Dairen (Port Arthur) e di li in ferrovia verso Mukden e Harbin.

In America, dopo i tentativi d'immigrazione negli Stati Uniti ora arrestati, ma che hanno lasciato floridi centri cinesi sparsi in varî punti, specialmente a San Francisco, l'immigrazione cinese continua soprattutto nel Perù. In Australia e nell'Africa del Sud tentativi d'immigrazione cinese non sono riusciti, lasciando però alcuni piccoli nuclei di Cinesi specializzati in alcune professioni. In Europa, specialmente dopo la guerra e già sensibilmente nei primi anni del sec. XX, piccoli venditori ambulanti, trattori, ecc., si sono stabiliti in varî centri, specialmente in Russia, Inghilterra, Francia, Germania, e anche in Italia. In Francia ha favorito il movimento l'invio di 100.000 operai cinesi durante la guerra. Varî di essi sono riusciti a stabilirsi in Francia, dimostrando buone attitudini al lavoro industriale. In Russia i Cinesi risiedono da tempo molto antico nelle principali città; è un lento movimento naturale dalla Siberia verso la Russia. Il movimento si è accresciuto sotto la U.R.S.S., il governo della quale ha utilizzato volontarî cinesi nell'esercito durante la rivoluzione. In Italia, oltre alla rappresentanza ufficiale, i Cinesi non superano qualche centinaio, la maggior parte negozianti ambulanti. Sarebbero assai interessanti notizie statistiche esatte, più frequenti e rapide di quelle che risultano dai censimenti.

Il numero totale dei Cinesi all'estero è variamente stimato: oltre dodici milioni verso il 1850 (Lettres Édifiantes, IV, Parigi 1877, p. 20), nove milioni secondo il P. Richard, oltre otto milioni secondo il China Year-book del 1919 e soltanto sei milioni stimati nell'ottobre 1928, secondo lo stesso China Year-book del 1930. Quest'ultima cifra è però probabilmente troppo bassa e dipende forse dal computo nella popolazione indigena dei figli e dei discendenti dai residenti cinesi.

Bibl.: Sull'emigrazione dei cinesi si vedano: W. P. Groeneveldt, Notes on the Malay Archipelago, Batavia 1876; B. Laufer, The Relations of the Chinese to the Philippine Islands, Smithson. Collect., L, Washington 1907; E. Dennery, Foules d'Asie: Expansion chinoise, Parigi 1930, pp. 85-183.

Ordinamento dello stato. - Costituzione. - La Repubblica cinese nacque in seguito agli Editti imperiali di abdicazione del 12 febbraio 1912, firmati dall'imperatrice madre Lung-yu, i quali sanzionavano il nuovo regime repubblicano.

Essi erano accompagnati da sette articoli addizionali (detti "Editti di Trattamento favorevole") nei quali si assicuravano alla famiglia imperiale cospicue rendite e un trattamento di favore. Difatti la corte continuò a risiedere nella parte detta Città proibita del palazzo imperiale di Pechino, finché ne fu cacciata, nel 1925, dal generale Feng Yü-hsiang. Le rendite non furono però mai pagate.

Tre mesi dopo la rivolta scoppiata nell'ottobre del 1911, l'Assemblea nazionale, riunita a Nanchino, votò uno statuto provvisorio (detto patto provvisorio). Questo patto, promulgato l'11 marzo dell'anno I (1912), era ancora nel 1928 il documento costituzionale base della repubblica cinese; e ciò sebbene l'articolo 54 del patto stesso prevedesse che esso doveva essere sostituito a breve scadenza da uno statuto permanente.

Due tentativi furono compiuti per stabilire la costituzione definitiva: uno nel maggio 1917 e uno il 10 ottobre 1923. A quest'ultima data uno statuto permanente fu effettivamente promulgato, dopo l'elezione di Tsao-kun a presidente della repubblica. Ma la sua validità fu contestata (come la validità della elezione del presidente) dal governo nazionalista che allora aveva sede a Canton. E poiché quello stesso governo ha poi esteso il suo dominio nella più gran parte del paese, il suo disconoscimento della costituzione permanente del 1923 ne ha effettivamente infirmato la validità.

Nella forma "provvisoria" data allo stato dal patto del 1912, la costituzione cinese era basata in parte su quella francese e in parte su quella degli Stati Uniti.

Vi era un presidente di repubblica, con poteri analoghi a quelli del presidente della repubblica francese. Se il presidente moriva prima dello spirare del termine della carica, un vice-presidente automaticamente gli succedeva (come negli Stati Uniti). All'Assemblea nazionale, la quale fungeva da Costituente, venne sostituito, con legge speciale del 10 agosto 1912, un Parlamento composto di due camere e cioè:

1. Un Senato, eletto dai consigli provinciali della Cina propria; dai collegi elettorali della Mongolia esteriore, del Tibet, del Ko-ko-nor; dai cinesi emigrati che potevano votare nel paese ove si trovavano (p. es. a Singapore, ove la colonia cinese è assai numerosa), e dall'Associazione di educazione centrale.

2. Una Camera di deputati, composta di rappresentanti scelti a suffragio a due gradi, nelle diverse provincie, in numero proporzionato al numero della popolazione provinciale. A questi si aggiungevano i rappresentanti delle due Mongolie, interna ed esterna, del Tibet e del Ko-ko-nor.

Dopo il completo avvento al potere del governo nazionalista nel 1928, si è dato, in pratica, veste costituzionale alle assemblee del partito nazionalista Kuo-min tang, il cui comitato esecutivo ha assunto, almeno provvisoriamente, le mansioni del potere esecutivo. Fin dal 1924 non vi è stato un presidente di repubblica in Cina e non è apparsa alcuna necessità impellente di eleggerne uno. Se la forma repubblicana dello stato cinese sembra aver definitivamente sostituito quella monarchica, sta però il fatto che, sedici anni dopo la creazione della repubblica, la Cina non aveva trovato ancora una costituzione permanente repubblicana.

Dopo aver esteso il controllo, almeno nominale, su tutta la Cina, il governo nazionalista, detto poi "nazionale", si sforza di attuare i piani attribuiti al dottor Sun Yat-sen (Sun Wen, v.) per un primo periodo di governo, periodo transitorio, detto "di tutela". Tale tutela dovrebbe essere esercitata dal partito Kuo-min tang fino a quando il popolo cinese non sarà pienamente maturo per l'esercizio dei diritti politici.

Come capo dello stato funge il "presidente del governo nazionale della repubblica cinese" (primo a coprire questa carica fu il generale Chang Kai-shek). Egli è anche presidente del comitato centrale esecutivo del partito nazionalista, il quale esercita le funzioni di governo attraverso due consigli: quello politico, composto di 64 membri, e quello di stato, che si suddivide in cinque Yüan o Commissioni. Le Commissioni sono le seguenti:

a) Commissione degli esami, che accentra in sé la scelta e il controllo di tutto il personale civile dipendente dallo stato;

b) Commissione giudiziaria che provvede all'amministrazione della giustizia;

c) Commissione esecutiva, che comprende dieci ministeri: Interni, Esteri, Guerra, Finanze, Agricoltura e Miniere, Industria e Commercio, Istruzione, Comunicazioni, Ferrovie, Igiene;

d) Commissione legislativa, che procede alla legislazione, ai bilanci, alle amnistie, alle dichiarazioni di guerra, ai trattati di pace e alle più importanti relazioni internazionali;

e) Commissione di controllo, simile ad una Corte dei conti.

Queste commissioni sono state istituite con le leggi del 3 settembre e dell'8 ottobre 1928.

È chiaro che, in un tal regime di governo, i ministri sono poco più che funzionarî. Il potere politico è altrove: nei presidenti dei cinque Yüan e nel Comitato esecutivo del partito.

Amministrazione. - Come ai tempi dell'impero, la Cina propriamente detta è divisa in diciotto provincie. Ma vi sono altri territorî all'infuori di esse, e cioè: la Nuova Provincia (il Turkestān) e le tre provincie della Manciuria, nelle quali il Giappone pretende di avere interessi predominanti. Inoltre vi sono tre distretti speciali: Jehol, Chahar (capitale Kalgán) e Sui-yuan, a O. dello Shan-si. Questi tre distretti si trovano fuori della Grande Muraglia. La parte orientale del Tibet, cioè quella che è rimasta effettivamente sotto la sovranità cinese, si chiama Ko-ko-nor e, come i distretti speciali è amministrata da un governatore.

Dall'insediamento della repubblica fino al 1928, le diverse provincie erano amministrate da un governatore militare (tu-chün o tu-pan) insieme con un governatore civile. Ma questo era sempre stato eclissato dal suo collega militare, che esercitava in pratica un'autorità assoluta e personale, e, avendo esercito proprio, guerreggiava contro i colleghi di altre provincie. Il governo nazionalista ha annunciato la sua intenzione di sostituire queste autorità con delle commissioni provinciali e di aumentare il numero delle provincie.

Giustizia. - Sotto l'impero i funzionarî civili (cosiddetti mandarini) e militari, che amministravano le provincie e i distretti, fungevano anche da giudici di diversa istanza a seconda del loro grado. Proclamata la repubblica, si volle separare il potere giudiziario dall'esecutivo e vennero istituiti tribunali di diverso grado, ai quali vennero preposti funzionarî specializzati per la carriera giudiziaria. Furono compilati dei codici in materia penale, ma fino al 1928 essi non sono stati regolarmente promulgati. Vengono applicati a titolo provvisorio. In materia civile si applicano ancora gli statuti della dinastia Ts'ing (cioè la mancese), ma con molte modificazioni sanzionate dalla corte suprema di Pechino. Tali modificazioni vengono raccolte e formano testi di legge che corrispondono in certo modo a un codice civile.

I trattati internazionali conclusi nel sec. XIX assicuravano ai cittadini dei principali stati esteri il regime della extra-territorialità e la conseguente giurisdizione consolare. Durante la guerra mondiale tale privilegio fu perduto dagl'Imperi centrali e più tardi dalla Russia. Il Governo nazionalista, appena giunto al potere nel 1928, si è adoperato per ottenere l'abolizione completa del regime capitolare. Nell'autunno del 1928 furono conclusi fra la Cina e le potenze estere, nuovi trattati che riconoscevano alla Cina l'autonomia doganale. Le potenze che avevano avuto denunciato il trattato che regolava i loro rapporti con la Cina colsero l'occasione per regolare, in via transitoria, la questione della extra-territorialità. La prima grande potenza a firmare un trattato di questo genere con la Cina fu l'Italia, con trattato firmato il 27 novembre 1928 a Nanchino dal ministro cinese Wang Cheng-ting e dal plenipotenziario italiano Varè.

Bibl.: Chen-Fou-choen, La révolution chinoise, Parigi 1929; Organic Law of the National Government of the Republic of China, T'ou-sè-wè 1929; P. D'Elia, Le triple démisme de suen Wen, Shanghai 1929.

Forze armate. - Esercito. - L'organizzazione militare delle truppe, quale venne stabilita dagli editti imperiali del 1905 e del 1907, si basava sul reclutamento volontario in ciascuna provincia, e sulla durata del servizio militare di 3 anni nell'esercito attivo, 3 nella riserva dell'esercito attivo, e 4 nella territoriale.

Con la riforma del 1912 venne stabilita la formazione di 36 divisioni organizzate secondo concetti moderni.

In seguito al rovesciamento della sovranità imperiale e soprattutto da quando i governatori militari delle provincie cominciarono a battersi fra loro, furono costituiti eserciti "sudisti" formati con elementi mercenarî inquadrati da ufficiali di fede comunista, ed eserciti "nordisti", formati in parte da mercenarî reclutati dai singoli generali nella propria giurisdizione territoriale, e in parte da prigionieri di guerra e da disertori degli eserciti "sudisti".

Gli eserciti "sudisti", della forza complessiva di circa 400.000 uomini, furono organizzati in armate di forza molto variabile comprendenti ciascuna due o più divisioni. L'armamento, d'origine russa, fu abbondantemente assicurato mediante rifornimenti continui attraverso la Mongolia. L'equipaggiamento fu, di massima, molto deficiente, tranne quello dell'esercito di Feng Yü-hsiang.

Gli eserciti "nordisti", anch'essi della forza complessiva di circa 400.000 uomini, nonostante l'eterogeneità delle truppe e le caratteristiche proprie dei mercenarî, furono animati da buona disciplina e si distinsero per una buona coesione militare. Anch'essi vennero organizzati in armate, di forza molto variabile, comprendenti ciascuna due o più divisioni di 4 reggimenti di fanteria su 12 compagnie. L'armamento fu per la maggior parte costituito da materiali in uso nell'esercito giapponese. Alcuni reparti, i meglio organizzati, ebbero alquante mitragliatrici per battaglione e alcuni fucili automatici per compagnia. La cavalleria fu armata di fucile o moschetto e alcuni reggimenti anche di lancia. Il rifornimento d'armi, di munizioni e d'ogni mezzo di lotta fu assicurato in quantità e qualità sufficiente ai bisogni, perché l'arsenale di Mukden, diretto da tecnici europei, costruì buona parte del materiale da guerra, anche il più moderno, comprese le tanks e gli aeroplani. A mantenere l'efficienza materiale e morale degli eserciti nordisti concorse il regolare funzionamento dei servizî, la saggia amministrazione instaurata da Chang Tso-lin e le buone condizioni economiche del paese. In seguito alla vittoria dei sudisti furono iniziati gli studî per il riordinamento delle forze militari.

Marina militare. - Dati gl'incessanti rivolgimenti interni, è difficile avere oggi un'idea esatta dell'efficienza della marina da guerra cinese, che dopo la guerra cino-giapponese non si è mai più veramente sollevata. Essa comprende attualmente: due incrociatori leggieri, Ying Swei e Chao Ho, del 1912, di 2700 t. e 22 nodi, armati con 2-153 e 4-102; un incrociatore leggiero, Hai Chi, del 1898, da 4400 t. e 24 nodi, armato con 2-203 e 10-120; tre incrociatori leggieri: Hai Yung, Hai Chou, Hai Chen, del 1898, di 4300 t. e 23 nodi, armati con 3-150 e 8-105; tre torpediniere del 1912, di 300 t. e 30 nodi, armate con 2 tubi di lancio da 450 e 2-76; otto torpediniere antiquate; una trentina di avvisi e cannoniere fluviali di varî tipi (dalle 200 alle 900 t. e da 10 a 18 nodi).

Aviazione militare. - È impossibile (1930) dare un resoconto esatto circa lo stato dell'aviazione.

Nel periodo immediatamente consecutivo al dopoguerra diverse nazioni si sforzarono di collocare il loro materiale d'aviazione in Cina e cercarono d'influire con le loro missioni sull'aviazione cinese. Sorsero così in tutte le provincie degli aeroporti militari, per i quali vennero reclutati istruttori e organizzatori inglesi, francesi, tedeschi e italiani. Nel 1920, all'inizio della guerra civile, i due servizî aerei, militare e civile, vennero fusi per scopi militari e tutti gli apparecchi in condizione di volare furono impiegati per esplorazioni e bombardamenti. I generali in guerra gli uni contro gli altri pensarono poi di utilizzare per proprio conto, di fronte a un governo impotente, gli apparecchi consegnati dall'Inghilterra nel 1921 (40 apparecchi Vickers), nonostante le vibranti proteste di questa, che non aveva avuto se non lo scopo di organizzare un'aeronautica commerciale. Fra le mani dei belligeranti, l'aviazione divenne invece militare, per quanto fosse un'aviazione quasi rudimentale. Nel 1923 il maresciallo Chang Tso-lin, governatore della Manciuria, chiamò a Mukden, per organizzare un'aeronautica militare moderna, il colonnello S.K. Yao, antico capo dell'aviazione commerciale cinese; questi divenuto generale, trovò al suo arrivo alcuni Avro e due Handley Page in cattivo stato, presi da Chang Tso-lin a Pechino. Si trovava là un solo istruttore inglese. Il generale Yao fece ordinare allora in Francia 12 Bréguet e sei Caudron C. 59. Fu formata una scuola con istruttori cinesi e due piloti francesi. I velivoli francesi ricevuti a Mukden furono armati e suddivisi in tre squadriglie, rinforzate da alcuni vecchi apparecchi inglesi. Nel 1924 fu passata in Francia una nuova ordinazione di 40 Bréguet, di 10 C. 59,10 G. 3 e 20 Schreck "anfibî". Il volo di Pelletier d'Oisy richiamò l'attenzione sul Bréguet 19, di cui furono ordinati 10 esemplari. Nell'autunno si riaccese la guerra civile terminata nel gennaio del 1925 con la completa vittoria di Chang Tso-lin, nella quale l'aviazione ebbe gran parte.

Nel 1925 erano in servizio 5 squadriglie e 40 piloti perfettamente addestrati. Furono mandati in Francia prima 12 e poi altri 30 allievi.

L'aviazione militare cinese mostrò poi una volta di più la sua importanza nel corso delle nuove ostilità, particolarmente gravi, sopravvenute nel dicembre 1925 e nel gennaio 1926, fra il maresciallo Chang Tso-lin e il generale cristiano Feng Yü-hsiang. Infatti la situazione del primo, quasi disperata dopo il tradimento del suo luogotenente principale Kuo Tso-lin, fu ristabilita all'ultimo momento a 20 km. da Mukden mediante l'intervento inaspettato ed efficace, con un freddo di 10° sotto zero, dei velivoli da bombardamento.

Ogni provincia sviluppò indipendentemente la propria aviazione. Fra esse la Manciuria ebbe il primato; la scuola di Mukden impiegò istruttori di varie nazionalità, specialmente francesi. Nello Shan-tung, a Tsi-nan fu, il generale Chang Tsun-chang costruì quello che avrebbe dovuto essere il più grande aerodromo della Cina. Egli acquistò 7 Potez-Anzani dalla Francia. Un ex-ufficiale aviatore francese e due piloti giapponesi vi hanno fatto per qualche tempo scuola di pilotaggio. Il maresciallo Sun Chang-fang riunì due o tre Caudron e quattro Bréguet catturati dalle truppe di Feng-tien nel Kiang-su nel novembre 1925. I nazionalisti riuscirono a mettere insieme nove o dieci Vickers-Viny e un buon numero di aeroplani acquistati dai Russi. Il governo dello Yün-nan acquistò dalla Francia 10 Caudron e Bréguet. Un capitano francese in servizio attivo fu preso come direttore e due piloti francesi con un certo numero di meccanici furono impiegati per l'aviazione di quelle provincie. Di tali apparecchi nel 1926 solo tre erano efficienti: gli altri avevano bisogno di riparazioni. Da quanto si è detto si comprende che, nonostante l'unificazione di tutta la Cina sotto il governo nazionalista, l'aviazione, come del resto ancora in gran parte l'esercito e la marina, conserva un carattere provinciale.

Esistono in Cina circa 200 apparecchi, molti di tipo antiquato; la loro efficienza è assai discutibile, avendo essi prestato già alcuni anni di servizio con piloti cinesi.

Finanze. - I bilanci della Cina mancano per gli esercizî finanziarî dal 1920-21 al 1926-27; infatti in questi anni, a causa della guerra civile, erano i governi locali di fatto, e non già il governo centrale, che prelevavano le imposte nelle singole provincie con criterî diversissimi e provvedevano con esse alle spese.

Per gli esercizî 1927-28 e 1928-29 abbiamo invece i dati del bilancio del governo nazionalista.

I principali cespiti di entrata sono l'imposta sul sale e i dazî d'importazione che per l'ultimo esercizio ammontarono rispettivamente a 116,6 e 192,3 milioni di dollari cinesi. I principali capitoli di spesa sono invece costituiti dalla difesa e dal servizio dei prestiti: rispettivamente 192,0 e 155,8 milioni di dollari cinesi, sempre per il 1928-29.

La riscossione dell'imposta del sale è affidata a un'Amministrazione centrale del sale stabilita in Pechino sotto il controllo del Ministero delle Finanze e diretta da un Ispettore capo cinese con la vigilanza d'un ispettore capo straniero. I dazî d'importazione vengono incassati da un'Amministrazione dei dazî marittimi, sotto controllo estero, e non dal Tesoro cinese, e vengono successivamente versati a filiali di banche americane ed europee in Cina, secondo le istruzioni d'un comitato speciale di rappresentanti bancarî creato appunto con lo scopo di provvedere al pagamento del servizio dei prestiti esteri garantiti sulle entrate doganali. Il debito pubblico ammontava al 1° gennaio all'equivalente di circa 104 milioni di lire italiane, e i prestiti interni a 373 milioni di dollari cinesi.

La Cina non ha unità monetaria riconosciuta (v. p. 279).

Bibl.: China Year-books; Woytinsky, Die Welt in Zahlen, Berlino 1927; Annuaire de statistique internationale della Società delle Nazioni, Ginevra 1927; The Statesman's Year-book, Londra 1930.

Educazione e istruzione pubblica. - La Cina feudale aveva scuole in cui s'insegnavano i riti, la musica, la danza, e le poesie che si cantavano nelle solennità. Erano frequentate in tutti i villaggi da maschi e femmine dopo i lavori dei campi. Nelle città si insegnavano altresì la lettura, la scrittura, il trar d'arco, l'arte di guidare i carri e gli elementi dell'aritmetica. Queste scuole sono descritte con molti particolari nel Libro dei Riti (Li chi). L'educazione non è considerata tanto come un acquisto di cognizioni quanto come un processo di sviluppo dell'individuo. Non si hanno statistiche di quel tempo; in uno solo, del centinaio di stati feudali in cui la Cina era divisa, son ricordate sei scuole nella capitale, trenta scuole di distretto, centocinquanta scuole nei borghi e tremila nei piccoli villaggi. Già allora si aveva un sistema di esami di stato triennali.

Sotto la dinastia Han lo studio dei classici si sviluppò e le dottrine confuciane furono sole insegnate nelle scuole e adottate dallo stato. Nei primi secoli d. C. sorsero scuole di vario tipo.

Una completa organizzazione scolastica sorse durante la dinastia T'ang (620-907 d. C.). Nella capitale sei collegi, il primo dei quali con 300 allievi, aperto ai figli e ai nipoti degli alti funzionarî, altri due con 500 e 1300 posti, per i figli dei funzionarî inferiori; un collegio speciale per lo studio delle leggi, con 50 studenti, della calligrafia con 30, della matematica con altrettanti. L'insieme di questi sei collegi formava una specie d'università; scuole di vario grado nelle provincie e nei villaggi. La scelta dei funzionarî si poteva fare in tre modi, cioè con promozioni dai collegi, con un esame di concorso nelle provincie, o con esami speciali indetti dall'imperatore. Verso il 740 d. C. fu fondata la celebre Han-lin Yüan, o Accademia imperiale, alla quale appartenevano gli storici imperiali, gl'ispettori e direttori dell'istruzione pubblica nelle provincie e gli esaminatori che presiedevano agli esami di concorso. Nello stesso anno furono fondati collegi imperiali per lo studio del taoismo e dei suoi classici, ma durarono poco. Esami speciali di concorso furono più volte stabiliti nel 702, nell'808, per la scelta degli ufficiali dell'esercito. Durante i T'ang furono pure stabilite scuole speciali di medicina. La scoperta della stampa, verso la fine della dinastia, si sviluppò sotto la dinastia Sung (960-1280 d. C.), agevolando gli studî.

Nel 1104 si ha notizia di scuole speciali imperiali per la matematica, la medicina, la pittura e la calligrafia. Durante questa dinastia, sotto l'influenza del buddhismo, le dottrine confuciane si modificarono e furono raccolte in trattazioni più ampie. Il filosofo Chu Hsi e lo storico Ssŭ-ma Kuang ne sono i più notevoli interpreti. Meritano di essere ricordate le riforme scolastiche di Wang An-shih (1021-1086), il quale tentò soprattutto una riforma degli esami di stato, rinunciando allo stile retorico ed esigendo la conoscenza di nozioni storiche, geografiche, di economia politica, di agricoltura. Questa riforma durò pochi decennî.

L'invasione mongolica arrestò lo sviluppo della cultura cinese. Durante la dinastia mongola Yüan (1280-1368) l'imperatore Qūbilāy tentò d'introdurre un sistema fonetico di scrittura della lingua cinese, che non ebbe successo. L'imperatore incoraggiò lo studio della medicina, dell'astrologia, e dell'astronomia, creando per queste scienze anche scuole provinciali. Ma le lettere, tenute in poco conto dai conquistatori, decaddero. Risale a quest'epoca la pubblicazione del San tzŭ ching (il classico trimetrico), libro elementare nel quale, in alcune centinaia di versi rimati, è racchiusa un'epitome di nozioni filosofiche, classiche, storiche, geografiche, ecc., per sette secoli libro di testo per i bambini in tutto l'impero.

Durante la dinastia Ming (1368-1664) la cultura cinese risorse. Fu allora compilata, da più di 2000 eruditi i quali lavorarono cinque anni, un'enciclopedia in circa 23.000 libri, contenenti un milione di pagine e quasi 400 milioni di parole. Fu creato nella capitale un istituto superiore, in cui gli studenti rimanevano dieci anni. Furono riorganizzati nelle provincie il sistema delle scuole e gli esami di stato. Una nuova scuola filosofica, fondata da Wang Shou-jen, sebbene allora poco apprezzata, ha ispirato le riforme e la restaurazione del Giappone, nella seconda metà del sec. XIX, e la rivoluzione della Cina al principio del XX.

Secondo questo filosofo, "la natura infantile, amante della libertà e insofferente di restrizioni, si può paragonare alla pianta che germoglia; lasciata a sé stessa cresce, disturbata appassisce. Nell'istruire i bambini le inclinazioni naturali, se sono stimolate e se l'intimo del loro io è soddisfatto, si svilupperanno senza fine. Persuadendo un bambino a cantare, non soltanto lo si mette in grado di esprimere le proprie idee e sentimenti, ma si anima e si risveglia ciò che ha nascosto nell'animo. Insegnandogli i riti, che richiedono movimenti del corpo, non solo si regola il suo portamento, ma si stimola la circolazione e si rafforza il corpo. Esortandolo a imparare, non solo gli si apre la mente, ma lo si aiuta a esprimere i proprî pensieri".

La dinastia mancese (1644-1911) sviluppò lo studio dei classici, incoraggiandone la stampa e i commenti; furono aggiunte però al sistema della precedente dinastia scuole dedicate specialmente ai nobili mancesi, nella capitale e nelle provincie. Il sistema degli esami di stato fu spinto all'estremo. Gli scolari trascurarono le scuole per la preparazione agli esami, i quali erano di tre gradi: il primo (hsiu-t'sai) annuale in ogni città (fu); il secondo (chü-jen) pure annuale, nelle capitali delle provincie, aperto ai licenziati del primo grado; il terzo per il grado di Chin-shih (dottore), esame triennale alla capitale. Un altro esame al palazzo imperiale tra i dottori conduceva alla scelta degli accademici. In complesso l'educazione si riduceva alla preparazione alla vita ufficiale; le scuole speciali dei nobili e delle classi privilegiate rendevano ancora più infelice la condizione degli studî, divenuti formali e vuoti. Nessun interesse per il resto del mondo; completamente dimenticati gli sforzi delle precedenti dinastie per conoscere paesi e popoli stranieri. L'orgoglio vano e sterile, alimentato dalla puerile credenza nella superiorità della civiltà cinese su tutte le altre, chiudeva e isteriliva gli animi. Il contatto con gli Europei rese necessarie profonde riforme; una scuola per gl'interpreti, fondata nel 1862, ebbe nel 1868 un direttore protestante, il dottor W. A. P. Martin. Tentativi di altre scuole navali, d'ingegneria, di scienze militari, furono fatti nella seconda metà del sec. XIX, ma senza grande successo. Il viceré Chang Chihtung nella sua Esortazione allo studio, del 1898, proclamò la necessità dell'abolizione dell'esame di stato puramente retorico, la necessità di fondare scuole di tipo europeo, adoperando per ciò templi e monasteri buddhisti e taoisti. Soltanto dopo la guerra russo-giapponese la Cina si accinse a profonde riforme, l'inizio delle quali è un decreto del 1906, con cui si tentava di organizzare il Ministero dell'educazione. La riforma ebbe però appena un inizio efficace nel 1911, l'anno in cui fu proclamata la repubblica. Le molte migliaia di studenti cinesi che hanno studiato con frutto in Europa, negli Stati Uniti, e in Giappone, e che ora, dopo lunghe lotte interne, formano la classe dominante della Cina e guidano il governo nazionalista, sono pienamente consce delle necessità d'una profonda trasformazione dell'educazione del popolo cinese; molti piani sono stati tracciati, ma l'esecuzione è appena iniziata. Sembra che siano state prese a modello specialmente le istituzioni francesi. Appare evidente la necessità di coordinare lo studio dei classici e della storia della Cina, con le scienze di Europa, mentre in un primo tempo i rivoluzionarî, cedendo specialmente alle influenze russe, avevano avuto l'illusione di poter abbandonare completamente il passato.

Non si hanno ancora (1930) statistiche complete delle nuove organizzazioni scolastiche. Da una statistica parziale di più di 36.000 scuole elementari, risultano 1.200.000 allievi, 146.000 allieve, 44.000 maestri e 2300 maestre. La spesa annua di queste scuole è stata di 117 milioni di dollari cinesi (1 dollaro cinese = circa 9 lire italiane). Un periodico cinese valuta a 7 milioni il numero degli allievi delle scuole elementari (facendo ascendere a 480.000.000 la popolazione della Cina). Tra le università governative cinesi, sono ben organizzate quelle di Pechino, Nanchino, Tai-yüan nello Shan-si, ecc. Sono pure buone le scuole superiori di T'ien-tsin, di Shanghai, ecc.

Scuole medie di vario tipo sono pure sorte già da qualche decennio, ma sembrano generalmente meglio organizzate per le materie letterarie che per le materie scientifiche. Le migliori, in generale, sono le scuole normali; mancano però statistiche in proposito. Si aggiungano le scuole di vario grado istituite dalle missioni cattoliche e protestanti. Le università cattoliche hanno in complesso un migliaio di studenti, quelle protestanti un numero molto maggiore. Notevole l'Istituto Rockfeller di ricerche mediche in Pechino.

Bibl.: E. Biot, Histoire de l'instruction publique en Chine, Parigi 1847; P. W. Kuo, The Chinese system of public education, New York 1915; L. Wieger, Chine moderne, Hien-hien 1920-1928; J. Percy Bruce, Education in China, in Hibbert Journ., luglio 1925.

Biblioteche, cataloghi. - Le biblioteche cinesi, hanno origine come uno sviluppo degli antichi archivî di stato. Il primo catalogo (I-wen chih, cap. XXIII della storia dei primi Han) del 6 a. C. enumera 596 opere, 13.200 capitoli; è forse uno dei più antichi cataloghi del mondo. Questa biblioteca comprendeva opere scritte su strisce di bambù, ovvero, le meno antiche, su rotoli di seta.

Numerose biblioteche imperiali furono successivamente distrutte e rapidamente ricostruite. La biblioteca imperiale degli Tsin (Chin) nel 280 d. C. aveva 30.000 rotoli. Nel 554 d. C. s'incendiò la biblioteca imperiale che aveva già 80.000 rotoli. Sotto i T'ang la biblioteca comprendeva oltre 80.000 rotoli. Il catalogo, pubblicato nel 721 d. C., divide le opere in quattro classi: i canonici, gli storici, i filosofi e la letteratura, prosa e poesia. Questa divisione, con minute sottodivisioni, è stata seguita fino ai nostri giorni. Oltre la metà delle opere allora esistenti è scomparsa. Nell'837 d. C. si completò l'incisione in pietra dei classici. L'invenzione della stampa, in pieno sviluppo verso la metà del sec. X, fece sostituire ai rotoli di seta le opere stampate su carta sottile, dapprima arrotolate su cilindri, poi piegate a paravento, forma ancora usata ai nostri giorni per i libri buddhistici, e infine i volumi cuciti e riuniti in buste o cartelle. Il catalogo dei Sung al principio del 1000 registrava oltre 30.000 volumi. Nel 1127 la biblioteca imperiale, caduta in mano dei Tartari Kin, comprendeva 6700 opere in 74.000 volumi. Nel 1400 fu raccolta in 23.000 capitoli manoscritti una grande collezione di opuscoli rari intitolata Yung-lo ta-tien. Sotto l'ultima dinastia un grande catalogo Ssŭ-ku ch'üan-shu descrive oltre 10.000 opere e ne dà una breve analisi. Le biblioteche imperiali, quasi sempre distrutte durante le rivoluzioni e i cambiamenti di dinastie, non sono però state le uniche biblioteche. Numerosi studiosi sono in ogni secolo ricordati come appassionati raccoglitori e conservatori di libri. Sarebbe interessante una storia della bibliofilia e della bibliomania in Cina, non meno ricca certamente, né meno varia di quella europea. Si narra di Ts'ao Ts'eng, nel sec. I d. C., che raccoglieva i libri della sua biblioteca in sale a vòlta per difenderli dall'incendio. Numerosi letterati (ad es. Huang-fu Mi, 215-282 d. C., ecc.) si acquistarono il soprannome di shu-yin "bibliomani". Anche nel sec. XIX e specialmente nel XX, le numerose biblioteche private cinesi conservano opere rare e preziose, specialmente quelle che si potrebbero chiamare incunaboli cinesi, cioè i libri stampati dal sec. IX al XV d. C. Al principio del 1908 fu scoperta nelle grotte di Tun-hwang, nella Cina occidentale, una grande biblioteca, conservata chiusa in una grotta dal sec. X e aperta per caso, contenente oltre 15.000 manoscritti di cui un terzo circa furono portati a Parigi e gli altri, dopo varie peripezie, a Pechino. Fuori della Cina, le più importanti biblioteche di opere cinesi sono certamente quelle del Giappone, la collezione della Library of Congress di Washington, le biblioteche speciali di Londra, di Parigi, ecc. L'Italia non possiede ancora (1930) importanti raccolte di opere cinesi, ma solo parziali raccolte di studio (Bibl. Naz. V. E. in Roma; Scuola orientale dell'università di Roma; Ist. orientale di Napoli; Bibl. del Castello Sforzesco a Milano (fondo Puini); Univ. di Firenze; Biblioteca Vaticana).

Notevole il gran numero di riproduzioni fotolitografiche delle antiche edizioni dal sec. X al XV, che facilitano la conservazione di opere rare e preziose le quali formano nel loro complesso l'equivalente di ciò che sono in Europa le raccolte di manoscritti.

Bibl.: Cataloghi sufficienti di opere cinesi, per gli studiosi europei, sono: A. Wylie, Notes on Chinese literature, Shanghai 1867, più volte ristampato; L. Wieger, La Chine à travers les âges (Index bibl.), Hien-hien 1920.

Storia.

1. Preistoria, le origini. - a) I più antichi esseri umani. - In seguito a diligenti scavi iniziati nel 1914 e proseguiti per molti anni dai gesuiti Licent e Teilhard de Chardin nella Cina del nord e in Mongolia, condotti dal 1922 in poi con la collaborazione del Museo di storia naturale di New York e dell'ufficio geologico della Cina, di scienziati svedesi, americani e cinesi, sono stati scoperti dal 1927 in poi in una caverna di Chou-kou tien, vicino a Pechino, quattro cranî e i denti di almeno altri sei individui, di un tipo umano che è stato chiamato Sinanthropus.

I cranî di Pechino, trovati sul suolo d'una caverna, associati con animali del Pleistocene inferiore, sono datati con sicurezza e offrono uno dei più antichi tipi umani.

La capacità del cranio del Sinantropo è indubbiamente superiore a quella del Pitecantropo e lo fa rientrare negli ominidi. La posizione eretta del capo dovette costituire un altro carattere umano. Ma mentre il segmento posteriore del capo è già umano per lo sviluppo cerebrale e la morfologia del cranio, l'anteriore è ancora molto arretrato, i lobi frontali hanno iniziato più lentamente e più tardivamente in confronto con i lobi parietali, il processo d'evoluzione e il cranio facciale è decisamente pitecoideo, come s'induce dalla mandibola priva di mento.

Nessuno strumento o manufatto è stato finora ricuperato, cosicché non ci possiamo fare nessuna idea della vita di questi esseri. Industria di tipo paleolitico, associata a una fauna di steppa oggi in gran parte estinta (elefante, struzzo, rinoceronte ticorino, ecc.), è stata invece rinvenuta nel loess, a S. del paese degli Ordo. Essa è giudicata "come intermedia fra un Mousteriano evoluto e un Aurignaciano nascente, o come una miscela dei due elementi" (Breuil). In qualche luogo vi si aggiungono tipi microlitici analoghi a quelli del Paleolitico finale europeo.

b) Civiltà neolitica. - Nel 1923 e 1924 J. G. Andersson, al servizio dell'ufficio geologico del governo cinese, pubblicava la scoperta di manufatti neolitici nella Cina del nord, confermando le opinioni degli antichi studiosi cinesi, che un'etâ della pietra aveva preceduto la civiltà della giada e del bronzo. Il dott. Andersson ha trovato coltelli di pietra, rettangolari e ricurvi, con uno o due buchi, che somigliano ai coltelli di ferro adoperati nel nord della Cina per la raccolta del sorgo; asce di cui alcuni tipi ricordano quelle di bronzo della dinastia Chou; anelli di pietra simili agli anelli di giada dei Chou; diversi tipi di treppiedi d'argilla, alcuni dei quali somigliano a quelli di bronzo chiamati ting e che si fabbricano ancor oggi d'argilla, nella regione di Pechino, e infine vasi fini di color rosso con disegni neri e, meno frequentemente, bianchi. Queste ceramiche fini sono specialmente abbondanti nel Kan-su e sembrano potersi collegare con quelle di. Anau nell'Asia centrale. Queste tribù neolitiche, in Manciuria, Ho-nan e Kan-su, allevavano il maiale, allevamento caratteristico dei Cinesi attuali. Ma finché non saranno studiati i resti umani associati con questi manufatti, è impossibile farsi un'idea delle popolazioni da cui provengono e del probabile tempo in cui vissero. È possibile che tribù appartenenti a civiltà neolitiche fossero adiacenti ai Cinesi dell'età del bronzo (II millennio a. C. ?).

c) Origini della civiltà cinese. - Fino a poco tempo addietro, prevaleva presso gli studiosi l'opinione di un'origine occidentale dei Cinesi (Richthofen). Gli argomenti in favore di questa opinione appaiono però in gran parte inconsistenti.

Le analogie linguistiche che Terrien de Lacouperie ha trovato tra gli Elamiti ed i Cinesi sono sicuramente fantastiche; l'ipotesi del disseccamento progressivo dell'Asia centrale, che avrebbe spinto gli antenati dei Cinesi, dal Turkestān verso E., è ancora assai discussa; gli argomenti di Richthofen, tratti dall'analisi d'un capitolo dello Shu-ching intitolato Yü kung (i tributi dell'imperatore Yü, un leggendario imperatore del 2300 a. C.) non hanno importanza, perché questo scritto non risale effettivamente che al sec. VIII a. C. e di questo secolo descrive l'organizzazione.

In realtà le ricerche archeologiche e antropologiche sono ancora troppo arretrate per guidarci nell'indagine delle origini del popolo cinese. I dati e le notizie raccolti dalla linguistica fanno però sicuramente apparire la lingua cinese collegata più strettamente col gruppo Thai dell'Indocina del nord, del Kwei-chow e del Kwang-si, e, meno strettamente, con le lingue tibeto-birmane.

Non solo la lingua, ma altresì molte istituzioni civili, accostano gli antichi Cinesi ai loro attuali vicini meridionali. La vita agricola e sedentaria, la religione legata all'agricoltura, un'organizzazione aristocratica e feudale, fondata sul possesso delle terre, sono caratteri comuni ai cinesi e ai Thai, Lolo, Moso, Miao-tse. Sono invece di tipo nettamente diverso i nomadi pastori del N., gli antenati dei Manciù, dei Mongoli, degli Unni, tanto per l'assenza di affinità linguistiche, quanto per la diversità profonda dell'organizzazione sociale, delle credenze religiose, ecc. I Cinesi appaiono quindi (Maspero), dal punto di vista della storia e della civiltà (il problema antropologico rimane ancora completamente oscuro) come il ramo più evoluto della civiltà d'un gruppo sino-thai, che dal S. dell'Asia Orientale, risalito verso N., si sarebbe arrestato nelle fertili pianure del corso medio-inferiore del Fiume Giallo. Lo studio degli animali domestici e delle piante coltivate dall'antica Cina potranno forse contribuire a dar valore a questa supposizione. Si osservi che le antichissime colture della canapa, del baco da seta, del riso, sono a favore di un'origine meridionale.

Bibl.: É. Licent, Dix années de séjour et d'exploration dans le bassin du Fleuve Jaune, T'ien-tsin 1924; P. Teilhard de Chardin, La paléontologie des mammifères en Chine et l'oeuvre du Musée Hoang-ho et Pei-ho, in Revue scientifique, giugno 1930; M. Boule, H. Brevil, É. Licent e P. Teilhard, Le paléolithique de la Chine, in Arch. de l'Institut de Paléontologie Humaine, Parigi 1928; S. Sergi, Il Sinanthropus di Chou Kou Tien, in Riv. di antropologia, XXVIII, Roma 1930; J. G. Andersson, An early Chinese Culture, e Preliminary Report on Archaeological Research in Kansu, Pechino 1923 e 1925; Black, The human skeleton remains from Sha-kuo t'un, e A Note on the physical characters of the prehistoric Kansu races, Pechino 1925; Arne, Painted Stone Age Pottery from the province of Ho-nan, Pechino 1925; H. Maspero, Les origines de la civilisation chinoise, in Ann. de géographie, 1926, pp. 135-154.

2. Origini leggendarie. - Gli annalisti, i cronisti e gli storici cinesi della fine della dinastia Chou, e soprattutto della dinastia Han, hanno ricostruito, dalle tradizioni e dalle leggende, un prolungamento della storia cinese, alla quale i cronologi del sec. I hanno attribuito, risalendo all'indietro, date determinate. Due sono i sistemi adoperati dagli storici cinesi, il 1° seguito dallo storico Pan Ku, il secondo da Ssŭ-ma Ts'ien. Eccone il confronto:

Le due cronologie coincidono dall'842 in poi. La coincidenza dipende probabilmente da qualche prima ricostruzione cronologica del sec. IV a. C. Questi tempi, che i letterati cinesi del secolo scorso, e molti europei accettarono come storici (non senza dubbî e riserve), sono preceduti da leggende relative ad uomini santi (sheng-jen), inventori delle istituzioni sociali, delle arti, delle professioni. Fu-hsi, con la coda di serpente, inventore dei trigrammi che servono alla divinazione, sua sorella Nü-kua, creatrice dei riti del matrimonio. Poi Shen-nung (il divino agricoltore), con testa di bue e corpo umano, che inventò l'aratro, Huang-ti (l'imperatore giallo) che inventò i riti, la musica, il calendario, le vesti e la divisione dei campi. Poi gl'imperatori Yao, Shun e Yü, il fondatore della dinastia Hsia, iniziano i grandi lavori di sistemazione idraulica e agricola della Cina.

Più incerta è la collocazione nella storia di leggende cosmogoniche, che trovano un parallelo in quelle di altre popolazioni dell'Indocina, di mostri come Kung-kung, con coda di serpente e testa d'uomo, che, vinto da un eroe, tenta di far crollare il cielo, ma non riesce che ad inclinarlo verso SE., come oggi si vede (supponendo la terra piana, i Cinesi vedono la direzione del polo N. inclinata sull'orizzonte). Il divino arciere I con l'arco uccide nove dei dieci soli che inaridivano la terra e ne risparmia uno solo. Dei ed eroi hanno il compito di rendere la terra atta a ricevere gli uomini (v. cosmogonia).

Queste ed altre leggende hanno servito a dar corpo alle narrazioni dello Shu ching (compilato e successivamente rimaneggiato dal sec. VIII al I a. C.) le quali cercano di dar vita alle prime due dinastie Hsia e Yin.

Bibl.: La più completa raccolta di queste leggende da fonti cinesi in C. Puini, Le origini della civiltà secondo la tradizione e la storia dell'Estremo Oriente, Firenze 1891. Altre leggende che fanno risalire assai più indietro la storia della Cina, a 50.000 anni a. C., la leggenda di Pan-ku, ecc., sono assai tarde (VIII-X sec. d. C.) e sono dovute al desiderio degli scrittori taoisti di creare una cosmogonia ed una storia cinese non meno completa di quelle apportate dall'India col buddhismo. Una demolizione completa e un'analisi della formazione di queste leggende in H. Maspero, Légendes mythologiques dans le Chouking, in Journ. Asiatique, Parigi 1924.

3. Yin. - Soltanto fortunate ricerche archeologiche potranno permettere di scrivere con qualche verosimiglianza la storia della Cina durante la seconda dinastia Yin. Nell'attesa ci è consentito di ritenere non improbabile che al principio dei tempi storici, forse verso il sec. XV a. C., il popolo cinese possedesse già un'organizzazione sociale ben definita: un'aristocrazia e una plebe di contadini. Il re sta a capo della gerarchia e presiede alle cerimonie religiose e civili. Il popolo risiede in villaggi, i signori in residenze fortificate; il re in una città costruita in dimensioni più ampie, ma con le stesse norme delle sedi dei signori. Nella valle del Wei, poi in quella dell'affluente Fen, e più a sud nelle valli del Hwai e del fiume Han, il grande affluente a nord del Yang-tze kiang, gli agricoltori cinesi, con grande fatica, per mezzo di dighe e canali, regolarizzano la coltivazione del suolo e producono a nord miglio e saggina (sorgo), a sud riso, un po' dappertutto grano, leguminose, indaco e canapa.

Pochissimi finora i documenti sicuri della seconda dinastia, che risalgono probabilmente al sec. XII o al XI a. C. I nomi degli ultimi re della dinastia Yin, conservati nelle leggende della Cina antica, sono stati ritrovati nel 1898-99 in alcune migliaia di frammenti di gusci di tartaruga che servivano alla divinazione. Sono questi i più antichi documenti scritti della Cina. Dalle domande fatte e registrate insieme con le risposte su quei frammenti di tartaruga si può ricostruire quanto segue: il re offriva nella capitale numerosissimi sacrifici agli antenati e a divinità che non sappiamo identificare; il primo ministro presiedeva agli affari civili; al disotto erano varî grandi ufficiali: un grande domestico incaricato degli ordini del re e direttore delle grandi cerimonie, con supplenti per le cerimonie minori; il grande archivista, che scriveva in colonna, su strisce o regoli di bambù, gli ordini del re. Nelle campagne ispettori dei campi sorvegliano le semine e le messi. Le divinazioni sono relative ai raccolti, all'invocazione delle piogge, ai presagi del vento che ostacola le grandi cacce, all'allevamento del bestiame.

Il potere del re è limitato dai consiglieri, in caso di dubbio si consulta la divinità. L'esercito ha cavalieri, carri da guerra, fanti; i nobili combattono sui carri, le armi sono di bronzo, il ferro appare soltanto verso la fine della successiva dinastia Chou. Le armi in pietra sono soltanto impiegate in cerimonie religiose, l'insegna di comando del re è un'ascia di giada levigata. Le iscrizioni parlano d'una guerra con una tribù di barbari dell'ovest e d'una spedizione di tremila uomini. La dinastia Yin conta trenta re, ma se ne ignora la successione cronologica; le ricostruzioni più volte tentate sono prive di valore. Si può pensare che la dinastia Yin abbia vissuto nei quattro secoli dal XV al XII a. C. Non possiamo farci un'idea esatta dell'estensione dello stato che comprendeva soltanto il bacino medio ed inferiore del Fiume Giallo, forse fino al mare. Durante questa dinastia i Cinesi avevano già cominciato a espandersi di là dal grande piano orientale e a estendere il loro dominio nel territorio occupato dai barbari. L'impresa loro più importante è la conquista delle vallate degli affluenti del Fiume Giallo, Wei e Fen, cioè del centro dello Shen-si e della parte meridionale dello Shan-si. La tradizione della seguente dinastia Chou ci presenta questi re come i capi dei colonizzatori dell'Occidente cinese. Erano in continua lotta coi barbari non sottomessi delle montagne circostanti. Le ricche pianure orientali erano oggetto dell'aspirazione dei signori che vivevano in territorî meno fertili e sotto la minaccia dei barbari. Verso la fine del sec. XI o il principio del X a. C. il conte d'Occidente conquistava l'impero dei Yin e fondava la dinastia Chou.

4. Chou. - La corte dei re di Chou nel periodo della loro maggiore potenza (sec. IX e VIII) non corrisponde affatto a quella pittura di civiltà raffinata e di riti e di gerarchie complicate che i letterati cinesi hanno dipinto e gli storici europei spesso ingenuamente accettato. Il re riceveva i signori con grande apparato; nelle grandi solennità, nei funerali del re si mostravano i tesori della dinastia. Il principale divertimento della corte era la caccia, collegata con cerimonie religiose. Le feste e le cerimonie terminavano con enormi banchetti, che finivano nell'ubbriachezza data dal vino di miglio, e di cui facevano parte danze rituali. Venivano chiamate spesso streghe le quali eseguivano danze violente per cacciare le influenze nefaste; le feste finivano in orge. È appena l'aurora della civiltà cinese.

Il primo ministro era a capo di un'amministrazione divisa in ministeri: agricoltura, guerra, lavori pubblici. Il capo degli affari religiosi si occupava del culto degli antenati e aveva alle sue dipendenze auguri, indovini, maghi e streghe, medici, veterinarî e il collegio degli scribi. Esisteva un ministero della giustizia, la quale era regolata da un codice penale; le gravi pene da esso comminate (morte, mutilazioni) si potevano riscattare.

La poca densità della popolazione, intramezzata da tribù barbare, rendeva assai fragile l'autorità del governo centrale. Cacciato il decimo re Li da una congiura di corte, si ebbe nell'841-828, un periodo chiamato kung-ho, durante il quale invece del re governarono due duchi. Questo nome kung-ho "comune armonia" fu assunto nei primi anni del sec. XX per indicare la repubblica. Nel 770 a. C. il dodicesimo re Yu venne ucciso e la capitale (l'attuale Si-an fu, nello Shen-si) saccheggiata dai barbari. I principi feudali crescevano di potenza ed erano in continue lotte fra loro. Si venivano formando dei grandi stati a N., e a S. le tribù barbare che occupavano la grande pianura del corso inferiore del Yang-tze kiang si organizzavano sotto l'influsso dei Cinesi. Nella prima metà del sec. VII lo stato più potente era quello di Ts'i al N., a cui succedettero, durante la serie di lotte raccontate con ricchezza di particolari nel Tso-chuan, altri stati. Questo periodo ha lasciato una traccia profonda nell'anima dei Cinesi e forma oggetto di numerosi romanzi e drammi. Nel sec. V e nel IV si sviluppa la letteratura e si vanno formando sistemi di dottrine politiche e filosofiche. È l'epoca di Lao tzŭ e di Confucio (v.). Negli ultimi due secoli della dinastia, le lotte fra gli stati crebbero; questo periodo è chiamato dagli storici: epoca dei regni combattenti (chan-kuo). L'arte militare fece grandi progressi e in pari tempo si svilupparono, specialmente nelle città, le arti e le industrie. Cominciava intanto a formarsi l'idea della necessità d'un grande stato. Il primo tentativo per giungervi, presto fallito, fu quello di un'alleanza tra sei stati del centro e del sud, i quali uniti in lega, cercarono di sottomettere uno stato del NE., lo stato di Ts'in, la potenza del quale andava crescendo. Ma le discordie, le gelosie e la diffidenza mutua impedivano solide formazioni politiche. I trattati d'alleanza non potevano dare alle varie tendenze particolaristiche degli stati feudali unità e disciplina; l'unità dell'impero si avvicinava per altra via.

5. Ts'in (Ch'in). - La popolazione di Ts'in era forse più eterogenea degli altri stati feudali. Il clima più duro, l'organizzazione sociale impiantata di recente da un nucleo cinese, aveva permesso la formazione d'un governo forte, rigido, duro, nel quale l'arte militare era tenuta in onore. Questo governo nella grande battaglia di Tan-yang (312) sconfiggeva lo stato di Ch'u, nel 308 lo stato di Han, nel 293 lo stato di Wei, nel 260 lo stato di Chao, nel 256 infine l'impero di Chou. In questa rapida conquista muoiono molte centinaia di migliaia di Cinesi. Nel 238 sale al trono il principe Cheng, il quale, dopo la morte del padre, nel 247, regnava sotto la tutela del ministro Lü Pu-wei. Singolare uomo di stato, che, secondo alcuni storici, sarebbe stato il vero padre del principe. Soltanto nel 221, dopo aver distrutto ed annesso tutti quegli stati feudali della Cina che erano rimasti indipendenti, il re di Ts'in prese il titolo d'imperatore (huang-ti), titolo che dopo di lui fu assunto da tutti gl'imperatori della Cina fino al 1911, e chiamò sé stesso "Shih huang ti". Fra le imprese da lui compiute è da ricordare la Grande Muraglia (v.), la quale risulta dalla fusione e dal coordinamento di grandi muraglioni che nei secoli precedenti erano stati costruiti dai varî stati per loro difesa.

Famoso il palazzo dell'imperatore presso la capitale (poco lontano da Si-an nello Shen-si). Torri e mura intorno, nell'interno centinaia di padiglioni, di grandi sale, di corridoi coperti, di ponti, di terrazze sospese, dovunque profusi tesori, accumulate ricchezze; centinaia di concubine, di parenti dell'imperatore, di cortigiani; dappertutto canti, musica, danze. Nel 213 i letterati dei vecchi stati feudali subirono un primo grave colpo con la soppressione e la distruzione di tutti i libri confuciani. Furono esclusi dalla distruzione soltanto i libri di medicina, di divînazione, di agricoltura. Non bastando questo mezzo, furono condannati a morte, in un sol giorno, 470 letterati come ribelli. Nel 210 l'imperatore moriva in viaggio presso il Fiume Giallo; pochi mesi dopo era sepolto in un immenso mausoleo, da lui preparato. Con lui furono sepolte vive le concubine che non avevano figli, un gran numero di servi e gli artigiani che avevano costruito il monumento. Gli succedeva, come secondo imperatore, il secondo figlio, che era riuscito, con la complicità degli eunuchi di corte, a procurare il suicidio del fratello maggiore, accusandolo di complotto coi letterati. Il regime tirannico e duro divenne presto intollerabile; bande di briganti sorgevano dappertutto, riapparivano forme effimere dei vecchi stati feudali. Nel 206, a 23 anni, il secondo imperatore era assassinato, la capitale saccheggiata, il palazzo imperiale incendiato, la sepoltura del primo imperatore violata e distrutta. Riesce a salire al trono nel 202 e a ricostituire l'impero un uomo violento Liu Pang, fondando una nuova dinastia, la dinastia Han.

La breve dinastia dei Ts'in, malgrado la forma violenta delle riforme, e la crudeltà dei mezzi impiegati, riuscì a dare alla Cina un unico governo, ad unificarne la letteratura, distruggendo le barriere che il governo feudale aveva creato e che non corrispondevano più alle ragioni di vita d'un grande impero.

6. Han. - Liu Pang, chiamato come imperatore Kao ti, sebbene uomo grossolano e di scarsa cultura, riuscì in pochi anni ad imporsi. Morto nel 195, gli successe il figlio Hui a 14 anni, sotto la tutela della madre, dopo la morte della quale, salì al trono e regnò dal 179 al 157. Fu chiamato Wen ti. Fu buon principe; sotto il suo regno si sviluppò il taoismo. Geomanti e maghi ebbero favore a corte. La sua maggiore preoccupazione fu la protezione dell'agricoltura. Il suo editto del 178 in difesa di essa, è rimasto famoso. Anche sotto il suo regno erano continue le guerre contro gli Unni, guerre di confine, aspre, sanguinose. La difficoltà di combattere contro un nemico mobile, composto di cavalieri nomadi che sparivano in un punto e riapparivano in un altro, stimolarono il governo cinese alla creazione di colonie militari ai confini. L'imperatore morì nel 157 a 46 anni. Il figlio Ching che regnò dopo di lui, lasciò cattiva memoria. Gli successe Wu ti all'età di 16 anni, che occupò il trono durante 54 anni, fino all'87 a. C. Personalità forte, consolidò e ingrandì l'impero. Sotto il suo regno si fecero numerose spedizioni vittoriose contro gli Unni; nel 111 a. C. fu definitivamente annessa alla Cina la città di Canton e la regione circostante. Pure sotto il suo regno, nel 126 a. C., furono aperte comunicazioni dirette fra la Cina e l'Occidente, dal celebre esploratore Chang Ch'ien, a cui si attribuisce l'importazione in Cina della vite e l'apertura delle vie di comunicazione con l'India attraverso Kābul e il Khotan. Gl'imperatori successivi, deboli e corrotti, non meritano di essere ricordati. Nel 9 d. C. il ministro Wang Mang dopo aver avvelenato l'imperatore, suo parente, proclamò sé stesso imperatore e regnò fino al 23 d. C. Egli tentò una serie di riforme sociali, primo esperimento forse, di socialismo di stato. Furono aboliti i mercati degli schiavi, contrarî alla nobiltà della natura umana, abolita la proprietà terriera per dare a ogni agricoltore il suo campo; stabiliti nei mercati i prezzi massimi, immagazzinando a conto dello stato le merci invendute; stabilita una cassa di prestiti al tre per cento al mese; imposta una tassa sulle professioni e sull'artigianato; creato un monopolio delle bevande fermentate; sostituite monete rappresentative, specie di biglietti di stato, al bronzo circolante come moneta che fu depositato nelle casse dello stato. Le improvvisate riforme che si succedevano rapidamente furono accolte male e disparvero con l'usurpatore nel 23 d. C.; la Cina intera si rivoltò e Wang Mang fu ucciso.

Gli succede la dinastia dei Han orientali, che dura dal 25 al 221. Il fondatore Kuang Wu ti, il primo imperatore, trasportò la capitale da Ch'ang-an (Si-an) a Lo-yang nel Ho-nan. Fu buon principe; regnò 32 anni. Gli successe Ming ti (58-66), pure buon sovrano; combatté e mantenne in soggezione gli Unni; costruì una diga lunga 50 km., per arginare le piene del Fiume Giallo. Secondo la leggenda, il buddhismo (v.) fu da lui introdotto in Cina. Tra i suoi successori è da ricordarsi Ho ti (89-106), i generali del quale inseguirono gli Unni fino a Kashgar ed al Mar Caspio. Dopo la sua morte sorsero rivolte dappertutto e la dinastia cominciò a declinare. Questa dinastia, che durò 426 anni, con 25 sovrani, è una delle più famose della Cina, dal punto di vista letterario, artistico, militare e commerciale. Furono costruite numerose opere pubbliche: ponti, acquedotti, vie e canali. I classici furono rimessi in onore e incisi su pietra per conservarne il testo; la letteratura buddhista si propagò dall'India e le relazioni commerciali si spinsero fino all'Impero romano. Furono stabiliti esami di stato, che durarono fino al 1906, e fu pubblicato un codice penale. Furono incorporate nell'impero le provincie di Fu-kien, Kwang-tung, Yün-nan, Sze-ch'wan e la penisola del Liao-tung. Eserciti cinesi giunsero fino al Mar Caspio. Numerosi gli uomini illustri; il più grande fu lo storico Ssŭ-ma Ts'ien (145-87 a. C.).

Succede un breve periodo dei San kuo, "Tre Regni" (221-265 d. C.). La Cina è divisa in tre stati in lotta per la supremazia. È il periodo più interessante della storia cinese, dal punto di vista del valore militare. Le ardite gesta dei guerrieri, immortalate da un famoso romanzo storico, hanno una certa analogia con l'epoca della cavalleria in Europa. Novelle e drammi storici in Cina e in Giappone fanno rivivere perennemente le grandi figure di quel periodo. L'arte militare, le fortificazioni, le macchine guerresche furono perfezionate. I Tre Regni parlavano una stessa lingua ed avevano amministrazioni somiglianti, sicché continuò l'espansione dell'influenza cinese specie al S.

7. La dinastia Ts'in (Chin, 265-420) ebbe la sua capitale a Loyang nel Ho-nan. Nel 310 i Tartari invasero il N. dell'impero e si impadronirono della capitale. Questa fu allora trasportata a Nanchino, dando origine alla dinastia dei Ts'in orientali (317-420). Gli undici imperatori di questo periodo sono deboli. La grande maggioranza della popolazione aveva abbracciato il buddhismo; s'iniziano allora i pellegrinaggi in India. La letteratura, di tono piuttosto malinconico e triste, ha dato, sotto gli Ts'in, limpidi prosatori e soprattutto poeti spontanei e veramente grandi.

8. Segue il periodo (420-590) della divisione tra N. e S. A sud si succedono quattro piccole dinastie, i primi Sung (420-478), i Ts'i meridionali (479-501), i Liang (502-556), i Ch'en (557-588). Contemporaneamente, a nord, si succedono tre dinastie settentrionali, i Wei del N. fino al 557, gli Ts'i del N. fino al 577, i Chou del N. fino al 581. Nel 479 appaiono per la prima volta i K'i-tan, tribù mongola, il cui nome diventa poi celebre sotto la forma Catai. I Wei del N. completamente buddhisti, con la capitale a Lo-yang, svilupparono, come forse non più mai in seguito, la scultura e la pittura. La Cina del S., ancora confuciana, si convertiva pure sempre più al buddhismo. Sono ancor vivi oggi in Cina i discorsi di Bōdhidharma (v.) all'imperatore, del 520. La vita di corte degl'imperatori aveva raggiunto una singolare raffinatezza. Giardini, con monti artificiali, grandi parchi, ponti e laghi, padiglioni, adornavano il palazzo imperiale. Ma eunuchi, concubine, cortigiani compiacenti, infiacchivano la vita dei sovrani.

Una breve dinastia, i Sui (579-617), con una magnifica capitale a Ch'ang-an (Si-an fu) ebbe due soli sovrani intelligenti, sebbene violenti. Il primo salì al trono mediante un parricidio e un fratricidio, il secondo morì assassinato, dopo esser stato sconfitto dai K'i-tan. Durante il regno di quest'ultimo furono spese somme immense per la costruzione di palazzi e di giardini imperiali a Yang-chow. Dopo diverse spedizioni militari, la Corea divenne tributaria della Cina (616). Fu altresì costruito un esteso sistema di canali tra il Fiume Giallo e il Yang-tze.

9. Con la dinastia T'ang (620-907), si apre in Cina un'era di prosperità, di pace e d'unità. L'agricoltura, il commercio, la letteratura, le arti e le scienze si sviluppano. Il fondatore della dinastia ristabilì la capitale a Ch'ang-an, nello Shen-si. Abdicò in favore del suo secondo figlio, che gli annalisti chiamano il grande; questi, valoroso in guerra, umano e gentile, fu un abile sovrano, ma non riuscì a sottomettere il Tibet e la Corea; la Cina sotto il suo regno attrasse dai paesi lontani ambascerie e tributi. Si stabilirono allora in Cina i nestoriani e i musulmani. Sotto il terzo imperatore (650-684), furono sottomessi il Tibet e la Corea, e questa fu suddivisa in cinque provincie, con governatori cinesi. Alla sua morte, il trono fu usurpato dall'imperatrice vedova Wu (684-705). Fu deposta dal legittimo erede, il quale morì qualche anno dopo, avvelenato dalla moglie. Gl'imperatori seguenti, deboli e insignificanti, conducono alla rovina la dinastia, una delle più illustri della Cina, poiché fiorirono allora i più grandi scrittori. Ancor oggi i Cinesi, specialmente del sud, definitivamente incorporato nell'impero, chiamano sé stessi T'ang-jen "uomini di T'ang".

10. Seguono cinque piccole dinastie (in cinese: Wu-tai, 907-960) effimere, durante le quali l'invenzione, già avvenuta, della stampa cominciò, diffondendosi, a rendere popolare la letteratura. Notevole, in questo periodo, lo sviluppo delle arti, specie della pittura, in gran parte religiosa, delle porcellane, delle lacche, ecc.

11. Sotto la dinastia Sung (960-1279) la Cina è considerata, ed è in un certo senso, decadente. All'entusiasmo per il buddhismo, succede una rinascita neo-confuciana (v. confucio). Si tentano allora singolari esperimenti di socialismo di stato. Nel 1069 il ministro Wang An-shih iniziò una serie di riforme che ricordano quelle di Wang Mang sotto gli Han: determinazione dei prezzi del mercato, accaparramento dei prodotti da parte dello stato, pagamento delle imposte in natura. Nei magazzini di stato si raccoglievano le merci per moderare i prezzi, venivano istituiti gli anticipi delle semenze, e i prestiti con interesse sui raccolti pendenti. Ma le merci marcivano nei magazzini, gli agricoltori s'indebitavano e le loro terre erano espropriate. Nel 1071 dagli esami di stato vengono eliminati i componimenti letterarî, è stabilita una scuola di diritto e imposta una nuova interpretazione dei classici confuciani. Queste riforme tumultuose, non essendo maturi i tempi, erano destinate a sicuro insuccesso. La maggior parte degli studiosi di quel tempo se ne avvidero e, attraverso varie vicende, ristabilirono gli ordinamenti precedenti. Tra quegli studiosi emergono il filosofo e storico Ou-yang Hsü e lo storico Ssŭ-ma Kuang. Un secondo tentativo di ristabilire quelle leggi sociali, dopo la morte di Ssŭ-ma Kuang (1086), fu fatto negli anni dal 1094 al 1106. Una grande cometa, apparsa nel febbraio del 1106, spaventò il popolo; i conservatori ripresero il governo. In questo periodo di tempo si estesero i riti, le cerimonie e le superstizioni taoiste. Le pratiche di geomanzia, la ricerca dell'influenza nefasta delle correnti sotterranee, incontrarono favore non solo tra il popolo, ma anche a corte e presso le autorità politiche. Al N. intanto si sviluppavano regni più risoluti e guerrieri. Nel 1126 i Tartari Kin passarono il Fiume Giallo, minacciando la capitale K'ai-fung, conquistarono la Corea e giunsero vittoriosi presso la capitale. I Sung trasportarono la capitale a Nanchino. Questa fu perduta nel 1129 e la capitale fu spostata ancora a Hang-chow. Nell'anno successivo i Tartari saccheggiarono questa città e l'imperatore dei Sung fuggì a Wen-chow, nel S. del Che-kiang. Nel 1131 i Kin risalirono al N. e i Sung ristabilirono la capitale a Hang-chow e il confine N. al Yang-tze kiang. Si era intanto formato, alla fine del sec. XII, un altro impero di popolazione mongola, i Karak'itan, che comprendeva la Sungaria, l'Altai, il Tarim, le valli dell'Oxus e del Iaxartes, la valle di Ili. Questi Tartari si erano convertiti al cristianesimo nestoriano. È a quest'impero che risale la leggenda medievale del Prete Gianni (v.). Marco Polo ci racconta la fine rapida di questo impero, distrutto da Genghīz Khān.

Nel 1210 i Mongoli fecero le loro prime incursioni nel territorio dei Kin. Negli anni successivi l'espansione dei Mongoli verso Oriente divenne imponente; non solo i Kin ma anche i Cinesi stavano per essere assorbiti. Nel 1219 conquistarono la Corea. Nel 1227 conquistarono un regno effimero alleato dei Kin, il regno dei Hsi-Hsia. Nel 1232, dopo la morte di Genghīz Khān (1227), il suo successore Ogotai passò il Fiume Giallo ed assediò la capitale dei Kin, K'ai-fung, che cadde nell'anno seguente. Intanto i Sung, stupidamente alleati dei Mongoli, contribuendo alla conquista dell'impero dei Kin, ruppero loro fede nell'anno seguente. I Mongoli, eseguendo regolarmente il piano già visto da Genghīz Khān, si accinsero allora a conquistare tutta la Cina, mentre i Cinesi, come qualche secolo dopo i Bizantini, si perdevano in sterili studî teologici e letterarî, dimenticando completamente la necessità di difendersi dall'imminente rovina. Ogotai intanto, si rendeva conto del valore dell'organizzazione sociale cinese e della facilità di sostituirsi nel governo della Cina agl'imbelli imperatori Sung, con l'aiuto di funzionarî e letterati cinesi. Ogotai morì nel 1241. Tra i suoi successori ricorderemo soltanto il celebre Qūbilāy, fratello minore di Mangū (1259). Nel 1253 aveva già conquistato l'attuale Vün-nan, che era, fin dal sec. VIII, sede d'un regno indipendente, il regno di Nan-chao ovvero Ta-li, di razza Thai. Qūbilāy divisò di fondare una nuova dinastia cinese, continuatrice delle grandi dinastie Han e T'ang. Egli era in possesso delle provincie già conquistate dell'antico regno di Kin della Cina del N. Gli eserciti mongoli che mossero alla conquista dell'impero dei Sung (come racconta diffusamente Marco Polo) dopo un celebre assedio, durato cinque anni, delle città di Siang-yang e Fanch'eng nel Hu-pe (1268-73) giunsero nel 1276 alla capitale dell'impero, che fu sottomessa. Nel 1277 fu presa la città di Canton ove s'erano rifugiati gli ultimi principi della famiglia Sung. Fuggiti al largo dell'estuario di Canton a bordo d'una flottiglia, il 3 aprile 1279 questa fu distrutta dalla squadra mongola e così la dinastia Sung disparve. Qūbilāy, che nel 1274 aveva trasportato la sua capitale a Pechino (Khānbālīq "la città del Khān"), divenne il legittimo sovrano; la sua dinastia, che prese il nome Yüan, divenne una dinastia nazionale cinese. Dopo aver reso vassallo il regno di Corea, Qūbilāy cercò di conquistare il Giappone. Nel 1281 una potente armata, che portava 45.000 Mongoli e 120.000 Sino-coreani sbarcò a Kyûshû. Ma gli attacchi furono respinti dall'eroismo giapponese e il 15 agosto 1281 un tifone distrusse la flotta mongola. L'esercito sbarcato fu fatto prigioniero. Le spedizioni di Qūbilāy nell'Indocina non ebbero effetti duraturi, sebbene gli eserciti mongoli fossero vittoriosi ed ottenessero la sottomissione dei re dei varî stati dell'Annam (Tonkino e N. dell'Annam attuale), di Champa (centro e S. dell'Annam attuale), della Cambogia, della Birmania e di Pegu. Nel 1292 Qūbilāy inviò una spedizione da Canton a Giava; prese la capitale ma dovette poi ritirarsi. Più gravi furono le lotte che egli ebbe contro i principi mongoli ribelli. Qūbilāy cercò di mantenere il principio dell'unità morale dell'impero dei gengiskhanidi. La Persia dove regnava suo fratello Hūlāgū era da lui considerata come una provincia esterna dell'impero. Possessore della Cina, sovrano del Turkestān e della Russia mongola, si può ben dire di lui, con Marco Polo; "tuit les emperaor dou monde et tous les rois de cristiens et de saraçin ne aront tant pooir ne poroient il fair tant come cestui Cublai grant can poroit il fair" (ed. Benedetto, p. 53). In Cina, riparò i mali d'un secolo di guerre. Rifece le vie imperiali, piantando alberi lungo le vie e istituendo un regolare servizio postale. Provvide alle carestie mediante granai pubblici; ristabilì l'uso della carta moneta, che accolta dapprima con fiducia, a causa dell'inflazione sfrenata, fu presto deprezzata in modo irrimediabile dopo la morte di Qūbilāy. Egli fu tollerante verso tutti i culti; favorì specialmente i lama tibetani e i buddhisti, dimostrò pure simpatia verso i nestoriani e accolse benevolmente i primi missionarî francescani.

Morto Qūbilāy nel 1294, i Mongoli in Cina si snazionalizzarono e adottarono i costumi, la mentalità cinese. I suoi successori, deboli ed incapaci, non seppero mantenere l'impero. Verso il 1360 tutta la Cina al S. del Yang-tze aveva riacquistato l'indipendenza, ma si trovava in mano di capi ribelli, di bande d'insorti. Tra questi emerse rapidamente Chu Yüan-chang, figlio d' un contadino del l'An-hwei, poi religioso buddhista, e infine capitano. Impadronitosi nel 1356 d'una parte dell'An-hwei e poi di Nanchino, vi costituì un governo regolare, accolto con gioia dalle popolazioni. Nel 1368, riorganizzata la Cina del S., si volse verso N., conquistò lo Shan-tung e il Ho-nan e s'impadronì infine di Pechino. Si proclamò allora imperatore e diede alla sua dinastia il nome di Ming "luminoso". È conosciuto nella storia col nome imperiale Hung-wu, che è il nome del suo regno negli anni 1368-1398. Conservò Nanchino come capitale; nell'anno seguente conquistò le provincie Shan-si e Shen-si e infine l'ultima, il Kan-su. Nel 1371 sottomise lo Sze-ch'wan, ove un avventuriero aveva fondato un principato autonomo. Infine nel 1382 il Yün-nan, ancora fedele ai Mongoli, fu annesso alla Cina, oramai nuovamente unificata sotto una dinastia nazionale. Hung-wu inseguì i Mongoli nell'Asia centrale, ma fu presto fermato. Sotto il suo regno, il buddhismo continuò a fiorire ma si sviluppò, più vivace, un movimento d'idee favorevole al confucianesimo. Il successore da lui scelto, un suo giovane nipote, fu rovesciato da uno zio che salì al trono assumendo il nome di regno Yung-lo (1403-1424). Questi trasportò la capitale a Pechino e cercò di conquistare la Mongolia. Nel 1406 conquistò l'Annam, annesso all'impero e diviso in provincie. Nel 1403 spedì una squadra navale a Giava, nel 1405 un'altra squadra in Cocincina, Giava, Sumatra, fino al Siam, poi nel 1408 a Ceylon, infine nel 1430 fino ad Ōrmuz in Persia. Nel 1411 i Cinesi erano giunti fino a Aden. Fu l'ultimo imperatore guerriero. Nel 1431 l'Annam ritornava indipendente. In Mongolia si riorganizzavano le tribù. Nel 1542 i Mongoli devastavano lo Shan-si fino a T'ai-yüan fu e nel 1550 incendiavano i sobborghi di Pechino. Corsari giapponesi saccheggiavano le coste, nel 1523 devastavano Ning-po. Nel 1555 risalendo il Yang-tze kiang giungevano a Nanchino; nel 1563 devastavano il Fu-kien. Infine, nel 1592, la Corea, la quale aveva riconosciuto la sovranità cinese, fu invasa da un esercito di 190.000 Giapponesi; ma l'anno successivo 1593, un grande esercito cinese li costringeva a ritirarsi. Dopo altre guerre e spedizioni non riuscite, la pace tra la Cina e il Giappone fu ristabilita nel 1607; la Corea rimaneva tributaria della Cina.

Nel 1514 erano giunte in Cina le prime navi portoghesi; tra il 1549 e il 1557 i Portoghesi fondarono a Macao uno stabilimento di carattere prevalentemente commerciale. Nel 1582 i Portoghesi di Macao (v.) pagavano al viceré del Kwang-tung un tributo di 500 taels. Coi Portoghesi, rientravano in Cina le missioni cattoliche, scomparse dopo la caduta dei Mongoli. La nuova evangelizzazione fu opera specialmente dei gesuiti (v. Missioni, p. 301).

Sotto questa dinastia, gli scrittori cinesi, se non produssero nuove opere di genio, furono però fecondi. Notevole lo sviluppo della filosofia confuciana, che si eleva a una maggiore chiarezza con Wang Shou-jen.

Sotto il regno dell'imperatore Wan-li (1573-1620) comincia la lotta dei Manciù contro la Cina. I Manciù (v.) affini agli antichi Kin del sec. XII, riuniti in un solo khānato verso il 1606, acquistarono una coscienza nazionale. Nel 1622 couquistarono Mukden che divenne la loro capitale, poi la provincia del Liao-tung. Terribili rivolte interne toglievano ogni energia all'impero. Nel 1644 un audace avventuriero si era impadronito del Ho-nan, di parte dello Shen-si, dello Shan-si e di Pechino (3 aprile 1644), dove l'ultimo imperatore s'impiccò. L'ultimo esercito cinese, ancora in guerra coi Manciù, si alleava con loro e riconquistava la capitale. Ma i Manciù impadronitisi della città proclamarono imperatore il loro giovane sovrano Shun-chih (1638-1671).

12. Ts'ing. - I Manciù fondarono una nuova dinastia che, con nome cinese, chiamarono Ts'ing (pechinese Ch'ing "puri"). La dinastia regnò con dieci imperatori, fino al 1911. Il primo, Shun-Chih, dopo aver consolidato l'impero ed aver lottato con gli ultimi difensori della dinastia Ming, riuscì a distruggerli. Tra essi è famoso Cheng Ch'en-kung, il quale tolse agli Olandesi Formosa, dove questi ultimi s'erano stabiliti da poco tempo e minacciò le coste del Fu-kien e del Kwang-tung. Per vincerlo fu deportata nell'interno la popolazione delle città e dei villaggi della costa. I seguaci di Cheng lo abbandonarono, ed egli si suicidò. I Portoghesi raccontarono le sue gesta chiamandolo Koxinga, dal cinese Kuo Hsing Yeh, titolo ricevuto dall'ultimo discendente dei Ming. La dinastia Manciù riconobbe ed onorò la sua eroica devozione. Nel 1875 gli fu eretto un tempio in Formosa dal governo cinese.

K'ang-hsi (1662-1723) salì al trono ad otto anni. Nel 1689 firmò il primo trattato con la Russia, il trattato di Nerchinsk; ricevette pure un'altra ambasciata dall'Olanda. Represse una ribellione che aveva già raccolto l'adesione di diverse provincie (1674-1678) guidata da Wu San-kuei. Per impedire le rivolte, furono stabilite guarnigioni mancesi nelle principali città dell'impero. K'ang-hsi fu savio, valoroso, e magnanimo sovrano; favorì la letteratura e fu egli stesso un abile letterato; fu pubblicato per suo ordine un grande dizionario, che comprende un accurato spoglio di tutta la letteratura cinese e uguaglia, se non supera, l'opera della Crusca. Fece altresì pubblicare una grande enciclopedia in 5000 volumi. Scrisse infine sedici massime morali, chiamate poi il sacro editto, commentate in pubblico al popolo, durante tutta la dinastia. Nominò suo successore il suo terzo figlio Yung-Cheng, il quale regnò dal 1723 al 1736. Durante il suo regno, in seguito alla questione dei riti (v. malabarici, riti), i gesuiti furono espulsi e confinati a Macao, eccetto alcuni conservati come astronomi.

Suo figlio K'ien-lung (pechin. Ch'ien-lung) regnò dal 1736 al 1796. Nel 1768 costrinse la Birmania a pagare un tributo. Nel 1775 sottomise le tribù Miao-tze dello Sze-ch'wan. Nel 1790 organizzò una spedizione nel Nepal. Nel 1793 ricevette la prima ambasciata inglese di lord Macartney, il quale fu trattato come se avesse portato un tributo e stabilì una fattoria a Canton.

K'ien-lung fu un politico previdente ed ebbe un regno lungo e glorioso. Abdicò nel 1796, per non regnare più anni del nonno, e morì nel 1799. Egli aveva scelto a suo successore il suo quindicesimo figlio, il quale regnò dal 1796 al 1820, assumendo il nome di regno Kia-k'ing (pechinese: Chia-ch'ing), sovrano debole, incapace e dissoluto. Una terribile rivolta, ispirata da una società segreta del Giglio Bianco (pe-lien Chiao) si estese nella Cina centrale ed occidentale ma dopo un numero immenso di vittime, fu soffocata. Nel S. la costa era infestata da pirati e la Cina ricorse, per difendersi, all'aiuto dei Portoghesi. Nel 1805 fu respinta una ambasciata russa e nel 1816 un'ambasciata inglese diretta da lord Amherst, avendo queste ambasciate rifiutato di eseguire la cerimonia detta k'ou-t'ou, di batter cioè la fronte a terra, come segno di vassallaggio. Il governo cinese durante il regno di Kia-k'ing declinò notevolmente. L'assoluta ignoranza delle condizioni e della potenza delle nazioni straniere, che cominciavano a cercar contatti con la Cina, e un vano orgoglio, spinsero la Cina da allora in poi ad una politica sempre più irragionevole.

A Kia-k'ing successe il suo secondo figlio, che assunse il nome di Tao-kuang e regnò dal 1821 al 1850. Migliore del padre, fu tuttavia indolente, male informato e incapace di buon governo. Nel 1825 il Gran Canale rimase interrato; numerose ribellioni indebolirono sempre più l'impero. Nel 1840 scoppiò la prima guerra con la Gran Bretagna, in seguito alla distruzione di rilevanti quantità di oppio che gl'Inglesi importavano a Canton. Se anche non fosse sorta questa ragione, la guerra era inevitabile, poiché la Cina non voleva riconoscere il principio della sovranità delle nazioni europee, dell'eguaglianza diplomatica e della libertà di commercio.

Dopo tre anni di guerra, la Cina fu costretta a domandare la pace e a stipulare il trattato di Nanchino, col quale si aprivano al commercio cinque porti (Canton, Amoy, Fu-chow, Ning-po e Shanghai) e Hong-kong veniva ceduta alla Gran Bretagna. Nel 1844 la Francia e gli Stati Uniti firmavano altri trattati con la Cina. La religione cattolica, vietata da oltre un secolo, era nuovamente tollerata e si costruivano chiese nei porti aperti al commercio. Cominciò nel 1849 una terribile rivolta, che prese il nome di rivolta dei T'aip'ing e durò fino al 1864. Aveva avuto origine nel Kwang-si, dove il suo capo Hung Hsiu-ch'üan (1812-1864), contadino Hakka (Kwang-tung) aveva frequentato per qualche tempo la missione battista in Canton e aveva letto la Bibbia. Acceso d'entusiasmo per distruggere l'idolatria, si pose a capo di rivoluzionarî chiamati anche ch'ang-mao "capelli lunghi" La rivolta si estese presto alla vallata del Yang-tze kiang; Nanchino fu presa l'11 marzo 1853, e divenne la sua capitale fino al 1864. Egli assunse il titolo di re celeste; una spedizione contro Pechino non riuscì. Voleva rovesciare la dinastia Manciù, ma egli e i suoi erano animati in confuso da sentimenti di patriottismo misti con un complesso incrocio d'idee cristiane e d'idee mistiche.

Nel massimo apogeo della sua potenza, era riuscito a conquistare seicento città, in sedici delle diciotto provincie della Cina. Nel frattempo scoppiò una seconda guerra con la Gran Bretagna nel 1856, alla quale si associò la Francia nel 1857. Fu presa Canton e distrutta la flotta cinese. Poi gli alleati, preso Ta-ku, occuparono T'ien-tsin, dove fu firmato un trattato il 26 giugno 1858. L'anno successivo, i ministri delle potenze furono a tradimento assaliti a colpi di fucile. Le flotte alleate ritornarono a Shanghai e continuarono la guerra. Nel 1860 furono successivamente presi Ta-ku, T'ien-tsin e Pechino; l'imperatore fuggì a Jehol e suo fratello il principe Kung firmò una convenzione il 24 ottobre 1860. Un ministro britannico ebbe il diritto di risiedere a Pechino, T'ien-tsin fu aperta al commercio, Kow-lung (di fronte a Hong-kong) fu ceduta alla Gran Bretagna e otto milioni di taels furono pagati come indennità agli alleati. La Francia ottenne importanti concessioni; la religione cattolica fu dichiarata tollerata nell'impero, e protetti i cristiani convertiti. I missionarî acquistarono il diritto di vivere nell'interno ed erigere chiese, aprire scuole, acquistare ed affittare beni stabili e la Cina s'impegnò a restituire i beni delle missioni che in passato erano stati confiscati.

L'imperatore Hsien-fung, salito al trono nel 1851, a 19 anni, morì nel 1861 a Jehol. Era il quarto figlio dell'imperatore Tao-kwang. Debole e fiacco, non seppe domare la rivolta dei T'ai-p'ing. Il disastroso esito della guerra con la Gran Bretagna fu certamente dovuto all'insipienza e all'arroganza del governatore di Canton e degli altri funzionarî.

T'ung-Chih, il solo figlio dell'imperatore, gli succedette, all'età di quattro anni, sotto la tutela dello zio, il principe Kung. Nel 1864, fu finalmente spenta la rivolta dei T'ai-p'ing. Li Hung-chang (1822-1901, v.), allora governatore del Kiang-su, assoldò varî Europei per organizzare un esercito contro i T'ai-p'ing. Dopo alcuni insuccessi di due Americani, un Inglese, il maggiore Gordon, riuscì a riconquistare Su-chow. Le bande da lui comandate furono allora disciolte. Nel 1864 le truppe imperiali riconquistavano Nanchino e il re celeste si avvelenava. La rivolta, durata quattordici anni, aveva ridotto la popolazione delle due sole provincie Kan-su e An-hwei di 20 milioni d'abitanti. Durante la rivolta, le dogane di Shanghai, abbandonate dal governo cinese, furono assunte dai consoli stranieri, e questo sistema si estese a tutti gli altri porti aperti al commercio, dando origine all'organizzazione delle dogane imperiali (Imperial maritime customs), amministrate da Europei, in maggioranza Inglesi.

Nel 1861 scoppiò un'altra terribile ribellione musulmana nel Kan-su, che rapidamente si estese ad I-li, e al Kashgar. Nel 1871 la Russia occupò I-li, ma la restituì poi alla Cina nel 1881. Questa ribellione durò 17 anni e fu domata nel 1878. Nel 1872 un'altra ribellione musulmana si iniziò nello Yün-nan.

Nel 1870 le prevenzioni contro i missionarî cattolici provocarono una rivolta con massacro di missionarî e di altri stranieri. Dopo lunghi negoziati la CIna pagò 250.000 taels d'indennità. Nel 1875 l'imperatore morì a 19 anni. Gli successe il figlio d'un fratello minore, che salì al trono a quattro anni col nome di Kuang-hsü, sotto la tutela della zia, madre dell'imperatore defunto, l'imperatrice Tz'e-hsi. La Cina decadde ogni giorno più, mentre, a poco a poco, si veniva formando una nuova classe, di studenti, di studiosi, e d'uomini d'affari che avevano conosciuto la civiltà europea, in Malesia, in America, in Giappone e in Europa e preparavano la classe dirigente della futura repubblica.

Nel 1875, in seguito all'uccisione d'un console britannico, la Cina inviò a Londra un'ambasciata di scuse, pagò un'indennità di 200.000 taels e aprì al commercio quattro nuovi porti (I-chang, Wu-hu, Pakhoi e Wen-chow) e la frontiera tra la Birmania e lo Yünnan. Nel 1877-78 una terribile carestia nel Ho-nan, Shan-si, Shan-tung e Chih-li causò la morte di otto milioni d'abitanti. L'intervento dei Giapponesi in Corea, allora tributaria della Cina, condusse a una convenzione che durò fino al 1894, con la quale Cina e Giappone si obbligavano a non occupare la Corea. Nel 1884 la Francia si annesse l'Annam e il Tonchino, che erano tributarî della Cina. Con una convenzione del maggio 1884 la Cina ritirò le truppe dal Tonchino, ottenendo che la Francia rispettasse la sua frontiera meridionale. Ma poiché il governo cinese non evacuava la cittadina di Langson, la Francia dichiarò la guerra, s'impadronì dell'arsenale di Fu-chow, conquistò Formosa e bloccò la costa. Col trattato di pace, del 9 giugno 1885, la Cina pagò un'indennità di dieci milioni di taels e abbandonò il Tonchino. Nel 1891 si ebbero nuove rivolte di una società segreta anticristiana ed anti-europea dei Ko-lao Huei "società dei vecchi compagni".

Nel 1894 scoppiò la guerra col Giappone, a causa della Corea. La guerra terminò dopo una serie di sconfitte: la battaglia di Ping-yang, 15 settembre, la battaglia navale di Yalu, 17 settembre, l'occupazione della penisola di Liao-tung, la presa di Port Arthur (Dairen) il 21 novembre, e di Wei-hai-wei (12 febbraio 1895). Il 17 aprile 1895 la Cina riconosceva col trattato di Shimonoseki l'indipendenza della Corea, cedeva al Giappone la penisola di Liao-tung, Formosa e le isole Pescadores, pagava al Giappone una indennità di 200 milioni di taels ed apriva al commercio le città di Sha-shi, Ch'ung-king, Su-chow e Hang-chow. Giunto il giomo della ratifica del trattato, 8 novembre 1895, la Russia, la Germania e la Francia protestarono contro l'occupazione di parte della Manciuria ed obbligarono il Giappone a restituirla alla Cina, ricevendo in compenso altri trenta milioni di taels. La Russia ottenne il diritto di prolungare la ferrovia transiberiana attraverso la Manciuria del N. fino a Vladivostock, con diramazioni a Mukden e a Port Arthur; la Francia di prolungare la ferrovia del Tonchino fino a Nan-ning nel Kwang-si; la Germania privilegi ferroviarî e minerarî nello Shan-tung. Nel 1897 (14 novembre) la Germania in riparazione dell'uccisione di due missionarî tedeschi, s'impadronì di Kiao-chow, e in conseguenza la Russia domandò in affitto Port Arthur ottenendolo nel maggio 1898, e la Gran Bretagna chiese ed ebbe in affitto Wei-hai-wei (1 luglio 1898), restituito ai primi del novembre 1930. La Francia ottenne ancora, il 22 aprile 1898, l'affitto della baia di Kwang-chow wan nel Kwang-tung.

Nel 1898 la Cina si spaventò delle "sfere d'interesse europeo" e delle rivalità per le concessioni ferroviarie e minerarie. In pari tempo una serie di radicali riforme che si succedettero in pochi mesi, emanate dal giovane imperatore e ispirate da K'ang Yu-wei un giovane cantonese, concernenti la riorganizzazione del governo, dell'esercito, l'istruzione pubblica, ecc. provocarono una violenta ribellione del partito conservatore con a capo l'imperatrice. L'imperatore fu arrestato il 22 settembre 1898 e costretto ad abdicare; l'imperatrice riprese la reggenza, i riformatori furono arrestati, sei di essi condannati a morte e le riforme revocate. Messi da parte i Cinesi, i Manciù furono posti nelle cariche più importanti. Schiacciato il movimento riformatore, una società fanatica antieuropea, che gli Europei chiamarono i Boxers (in cinese I-ho-ch'üan, "i pugni patriottici") si propose di scacciare gli stranieri e di distruggere i cristiani, considerati come venduti agli stranieri. Il 5 giugno 1900, distrutta la ferrovia e il telegrafo, tra Pechino e T'ien-tsin, e tra Pechino e Pao-ting fu, i Boxers, d'accordo con le truppe imperiali, assediavano la città, e col 21 giugno cominciò l'assedio delle legazioni e della cattedrale cattolica del Pe-t'ang. L'assedio durò due mesi, ma non riuscì a distruggere i pochi Europei e le migliaia di cristiani cinesi rifugiati con essi. Furono uccisi il cancelliere della legazione giapponese e l'ambasciatore tedesco.

Una prima spedizione di soccorso britannica, guidata dall'ammiraglio Seymour, non riuscì ad entrare in Pechino. Soltanto il 14 agosto una spedizione delle potenze alleate, Gran Bretagna, Stati Uniti, Francia, Russia, Germania, Austria, Italia e Giappone, dopo aver preso Ta-ku e T'ien-tsin occupava Pechino mentre il governo era fuggito a Si-an fu, nello Shen-si.

Intanto nelle provincie, oltre duecento missionarî cattolici e protestanti erano stati massacrati e con essi molte migliaia di cristiani cinesi. Il 7 novembre 1901 la Cina riuscì con un trattato di pace, dovuto specialmente all'abile diplomazia del grande uomo di stato Li Hung-chang, che aveva allora 79 anni, a conservare la sua integrità territoriale, sottomettendosi a pagare un'indenmtà di 450.000 taels (67 milioni e mezzo di sterline), pagabili in quaranta anni alle potenze, agli enti morali, e agl'individui che avevano sofferto danni dall'insurrezione. Il quartiere delle legazioni a Pechino fu esclusivamente riservato agli stranieri, con una loro propria polizia, difeso da forze armate. Fu stabilito inoltre che il Ministero degli esteri cinese fosse trasformato in modo da avere maggiore autorità per poter utilmente corrispondere coi ministri europei e che questi ultimi fossero trattati a corte con un cerimoniale corrispondente a quello delle nazioni civili. Il 7 gennaio 1902 l'imperatore e l'imperatrice tornavano a Pechino. Il 15 agosto 1902 T'ien-tsin era restituita alla Cina dagli alleati i quali però vi conservavano un presidio di 2000 uomini a guardia delle legazioni e della capitale. Il 9 ottobre la Manciuria meridionale veniva restituita dalla Russia alla Cina; nel 1902-3 la Cina concluse nuovi trattati commerciali con la Gran Bretagna, con gli Stati Uniti e col Giappone, ed aprì al commercio internazionale Ch'ang-sha, Wan-hsien, An-k'ing, Hwei-chow, Kiang-men, Mukden e An-tung (Ta-tung k'ow, in Manciuria).

L'8 febbraio 1904, tardando la Russia ad evacuare la Manciuria, secondo il trattato con la Cina, il Giappone le dichiarò la guerra. Port Arthur fu conquistato il 1 gennaio 1905, la flotta russa distrutta nel canale di Tsushima il 27-28 maggio; quindi col trattato di Portsmouth (negli Stati Uniti) il 5 settembre 1905 la Russia e il Giappone stipulavano di restituire la Manciuria alla Cina e di evacuarla in un periodo di sette mesi. La Russia cedeva al Giappone la ferrovia da Ch'ang-ch'ung a Port Arthur. Inoltre la Russia cedeva al Giappone l'affitto di Port Arthur (cinese: Ta-lien). Con un trattato addizionale tra il Giappone e la Cina, quest'ultima acconsentiva alle concessioni russe al Giappone.

Il 2 settembre 1905 un editto aboliva gli esami di stato. Nel 1906 una commissione era inviata in Giappone e in Occidente per lo studio delle riforme politiche e d' una costituzione da accordare al popolo cinese. Il 14 novembre 1908 moriva l'imperatore Kuang-hsü ed il 15 novembre moriva pure l'imperatrice. Saliva al trono un bambino di tre anni sotto la tutela del padre, il principe Ch'un, fratello minore dell'imperatore defunto. La corte manciù, debole, fiacca e corrotta, spinta dalla necessità, aveva obbligato a dimettersi l'unico uomo di stato che poteva sostenerla, il ministro Yüan Shih-kai, e aveva tentato tuttavia una serie di riforme mal concepite e ormai non più sufficienti di fronte al risvegliato spirito nazionale. Nel maggio del 1911 scoppiava una vera rivoluzione nello Sze-ch'wan, la quale si estendeva rapidamente in tutta la Cina.

Ecco un quadro sommario delle varie dinastie della Cina e della loro durata:

Bibl.: Dopo la prima storia della Cina stampata in Europa: M. Martini, Sinicae Historiae decas prima, Monaco 1658, sono sempre utili le vecchie opere: J. De Mailla, Histoire générale de la Chine, Parigi 1777-1781 (trad. italiana, Siena 1777-1781, in 36 voll.) riassunta da D. Bortolotti, Roma 1828, in 4 voll. Utili compendî moderni: H. Cordier, Histoire générale de la Chine, Parigi 1920; L. Wieger, Textes historiques, 2ª ed., Hien-hien 1922-23; R. Grousset, Histoire de l'Extrême Orient, Parigi 1929, con ricca bibl. Utilissima la bibliografia di H. Maspero, Chine et Asie Centrale, in Hist. et historiens depuis cinquante ans, Revue hist., Parigi 1928. Concisi sguardi d'insieme: A. Conrady, Cina, Milano 1924; L. Wieger, La Chine à travers les âges, Hien-hien 1920.

Per la storia della Cina antica: C. Puini, La vecchia Cina, Firenze 1913; H. Maspero, La Chine antique, Parigi 1927; M. Granet, la civilisation chinoise, Parigi 1929. Per la storia tradizionale della Cina: F. Hirth, The Ancient History of China, New York 1909. Le storie di varî stati feudali sono state raccolte da A. Tschepe, Hist. du royaume de Ou, Shanghai 1896; Hist. du royaume de Tchou, ivi 1903; Hist. du royaume de Ts'in, ivi 1909; Hist. des royaumes de Han Wei, et Tchao, ivi 1910 (Variété sinol., 10, 22, 30, 31).

La letteratura storica cinese è una delle più ricche del mondo. Oltre alla più antica raccolta di documenti, lo Shu king, formata, secondo la tradizione, da Confucio, si hanno le cronache dello stato di Lu intitolate Primavere ed autunni (Ch'un ts'iu) per il periodo 722-480 a. C. con importanti commenti, tra cui eccelle lo Tso-chuan, ricca fonte per la conoscenza della vita sociale antica.

Sono stati tradotti e commentati in lingue europee: J. Legeg, Chinese Classics, III: The Shoo king; V.: The Ch'un ts'iu and the Tso chuan, Hong-kong 1865-1872; S. Couvreur, Chou king, Tchouen-ts'ieou et Tso-tchouan, Ho-kien fu 1913-16. Per i rapporti con l'Occidente: F. Hirth, China and the Roman Orient, Lipsia 1885; P. Pelliot, Les anciens itinéraires chinois dans l'Orient romain, in Journ. as., Parigi 1921; A. Hermann, Die Verkehrswege zwischen China, Indien und Rom; Lipsia 1922. Le fonti principali, dal sec. III a. C. in poi, sono le collezioni delle 24 storie ufficiali, per le singole dinastie, scritte con un piano uniforme, ciascuna in tre parti: 1. Cronaca della corte e dell'impero; 2. trattati sull'amministrazione, i riti, la bibliografia, l'astronomia, ecc.; 3. biografie di uomini celebri. Soltanto la prima delle 24 storie è stata tradotta in parte da E. Chavannes, Les mémoires de Sse-ma Ts'ien, Parigi 1895-1905. Gli studiosi cinesi ed europei adoperano più specialmente il riassunto composto da Ssu-ma Kuang rivisto e commentato da Chu Hsi col titolo T'ung-chien kang-mu, stampato la prima volta nel 1223, con suppl. fino al sec. XVIII.

La Cina dopo la caduta dell'impero. - Alla caduta della dinastia Mancese nel 1911 seguì, com'era già avvenuto molte volte in Cina alla caduta d'una dinastia imperiale, un lungo periodo di caos e di guerre civili. Ma se quel periodo caotico aveva dei precedenti, l'abdicazione dell'imperatore Lien-tung (nome personale Pu-yi) in favore d'un governo repubblicano, creava una situazione che aveva elementi nuovi. Uno di questi era l'insediamento d'un nuovo regime costituzionale preso dall'Occidente; un altro era costituito dalla presenza in Cina di stranieri. Fra le grandi potenze estere il Giappone è il solo che non sia un estraneo sullo scacchiere della politica asiatica. Esso rappresenta per la Cina il popolo limitrofo, popolo guerriero il quale avrebbe potuto avvantaggiarsi della caduta dei Manciù per prenderne il posto, invadendo e conquistando almeno una parte dell'antico Impero di Mezzo. Ma nel 1910 anche questo non era più possibile: la gelosia di altre potenze lo avrebbe impedito, ché le vicende dell'Estremo Oriente erano ormai collegate alle grandi questioni della politica mondiale.

Il popolo cinese ha impersonato nel dottor Sun Yat-sen l'idea repubblicana. Dopo la morte dell'imperatrice madre nel 1908, nessuno della corte o della famiglia imperiale si mostrò capace di opporsi alla campagna anti-dinastica che Sun Yat-sen dirigeva dall'estero. Fin dagli ultimi anni del sec. XIX il governo imperiale aveva posto una taglia sulla sua testa e nel 1896 egli fu catturato e tenuto prigioniero nella legazione di Cina a Londra finché il governo inglese non riuscì a farlo liberare. Si trovava ancora all'estero quando scoppiò a Wu-chang nell'ottobre del 1911, un ammutinamento che fu il primo episodio della rivoluzione.

Il reggente dell'impero si rivolse per aiuto a Yüan Shih-kai, affidando a lui prima la campagna contro i ribelli e poi la presidenza del consiglio. Il compito di debellare i ribelli non era, militarmente parlando, difficile, e per poco Yüan Shih-kai non lo portò a termine; ma il convincimento generale che l'astro dei Manciù fosse tramontato creava un'atmosfera disfattista che portò inevitabilmente alla caduta dell'impero. La corte finì per sottomettere ad una convenzione nazionale la questione costituzionale: monarchia o repubblica? A fine dicembre arrivò a Shanghai Sun Yat-sen e subito i "delegati provvisorî" a Nanchino lo elessero presidente della repubblica. Nel febbraio 1912 fu promulgato un proclama imperiale che trasferiva i poteri del reggente ai rappresentanti del popolo ed autorizzava Yüan Shih-kai a organizzare un governo provvisorio repubblicano. Il nuovo governo consentì a che il giovane imperatore mantenesse il titolo e gli promise una forte pensione, sì ch'egli rimase con la sua corte entro la cosiddetta "città proibita" a Pechino.

Sun Yat-sen riconobbe tuttavia l'impossibilità di mantenere unito il paese sotto la propria presidenza e si ritirò in favore di Yu̇an Shih-kai. Questi era sospetto ai radicali del partito repubblicano, cioè al cosiddetto Kuo Min Tang (primo partito politico organizzato con criterî moderni tra i Cinesi in patria e all'estero); né gli era facile tenere a bada i diversi capi militari. Ma riuscì a riorganizzare lo stato e ad ispirare tanta fiducia all'estero da ottenere un prestito da un gruppo di cinque potenze. Forte del buon successo della sua politica finanziaria, Yüan Shih-kai non esitò a sfidare le ire del Kuo Min Tang rifiutando al Parlamento qualsiasi ingerenza nella disposizione dei fondi pubblici. Un tentativo dei radicali di ricorrere alla forza fu prontamente represso; ed allora Yüan si sentì incoraggiato a tentare il colpo supremo di ristabilire nella propria persona e nei proprî discendenti una nuova dinastia imperiale. Sembrava che la storia cinese stesse per tornare sulle antiche vie. Ma era scoppiata la guerra mondiale. Le potenze occidentali non potevano più occuparsi delle cose di Cina e forzatamente dovevano seguire, a Pechino, le direttive del Giappone. Il governo di Tōkyō non voleva che fosse ristabilito l'impero in Cina e nell'autunno del 1915 Yüan Shih-kai venne "consigliato" a desistere dal suo piano. In dicembre scoppiò una rivolta interna ispirata a sentimenti antimonarchici. A Canton fu eletto presidente della repubblica l'allora vice presidente Li Yüan-hung. Yüan Shih-kai morì nel 1916 e Li Yüan-hung gli succedette nella carica.

Sin dai primi mesi la guerra mondiale ebbe ripercussioni in Cina. Il Giappone s'incaricò di cacciare i Tedeschi dalla loro sfera d'influenza nello Shan-tung e dopo un breve combattimento contro la piccola guarnigione tedesca, occupò Tsing-tao. Per dare carattere internazionale a questa impresa le truppe giapponesi furono coadiuvate da un piccolo nucleo inglese; ma il Giappone rimase in possesso di Tsing-tao e dintorni nonché della ferrovia nello Shan-tung fino a dopo la conferenza di Washington (1922).

Nel gennaio del 1915 un vivo risentimento fu provocato in tutta la Cina dal fatto che il Giappone aveva presentato le cosiddette "ventun domande". Queste erano divise in cinque gruppi ed erano intese a rafforzare la presa di possesso nipponica nello Shan-tung, in Manciuria e nella Mongolia interna, e a dare al Giappone un virtuale controllo delle risorse minerarie nella vallata dello Yang-tze, nonché dei maggiori arsenali cinesi. Creavano una nuova dottrina di Monroe asiatica, vietando alla Cina di alienare parte del suo territorio senza il consenso del Giappone; ponevano infine l'esercito cinese sotto la tutela di consiglieri nipponici. Con l'appoggio di altre potenze la Cina riuscì ad eludere l'accettazione d'una parte di queste domande, ma il Giappone si assicurò l'appoggio degli alleati nelle pretese che avrebbe sostenuto alla conferenza della pace sui possedimenti tolti alla Germania nello Shan-tung.

La situazione internazionale della Cina migliorò quando, dopo molte lotte interne, essa seguì l'esempio degli Stati Uniti dichiarando, il 14 agosto 1917, la guerra alle potenze centrali. Il suo contributo alla guerra fu nullo, a meno che non si consideri come tale il permesso dato d'impiegare mano d'opera cinese nelle retrovie degli eserciti alleati, cioè 175.000 coolies, i quali furono trasportati in Europa, in Mesopotamia e in Africa e inquadrati dagli alleati. Ma i vantaggi ottenuti dalla Cina dopo la sua dichiarazione di guerra furono cospicui. Cessò i pagamenti della "indennità Boxers" verso la Germania e l'Austria-Ungheria; occupò le concessioni delle potenze centrali a T'ien-tsin ed a Han-k'ow, espulse i sudditi dei paesi nemici. Ciò servì a indebolire il prestigio di tutti gli stranieri. I "Bianchi" non erano più solidali fra di loro. Era permesso maltrattare i Tedeschi e gli Austriaci. Dopo la bolscevizzazione della Russia fu possibile maltrattare impunemente anche gli ex-sudditi dello zar. I trattati che assicuravano il privilegio della extraterritorialità alla Germania e all'Austria erano decaduti automaticamente con la dichiarazione di guerra. Ma fu il nuovo governo di Mosca che rinunciò, più o meno spontaneamente, ai privilegi goduti dagli stati "capitalisti", per dar prova del suo spirito fraterno verso la Cina oppressa dall'imperialismo straniero.

Alla conferenza per la pace a Versailles, la Cina fu abilmente rappresentata, ma non ottenne quello che voleva, cioè la restituzione immediata dello Shan-tung da parte del Giappone, perciò la sua delegazione si rifiutò di firmare il trattato di Versailles. Firmò invece il trattato del Trianon con l'Austria e in tal modo la Cina poté entrare subito a far parte della Società delle Nazioni.

Dopo la morte di Yüan Shih-kai, il parlamento si era di nuovo riunito con qualche parvenza di legalità, ma la questione della entrata in guerra creò dissidi fra il presidente Li Yüan-hung ed il presidente del consiglio, generale Tuan Chi-jui. Vi fu un tentativo di restaurazione monarchica per parte del generale Chang Hsun, ma fu presto soppresso dagli altri capi militari (luglio 1917), ispirati non tanto da sincera fede repubblicana quanto da personali interessi. Il giovane imperatore continuò a vivere nella Città proibita. Questi avvenimenti costrinsero Li Yüan-hung a dimettersi. Nel settembre 1918 un nuovo presidente fu eletto nella persona di un vecchio viceré, Hsü Shih-chang. La sua elezione fu in apparenza regolare, perché fu il parlamento a votare la sua nomina, ma questa era stata già decisa in antecedenza dai capi militari riuniti a T'ien-tsin. Hsü Shih-chang era in carica quando fu conclusa la pace.

Oltre al Kuo Min Tang, che prevaleva nel Sud, cominciavano a nascere altri partiti politici: il partito dell'An-fu, pro-giapponese, che aveva per capo il generale Tuan Chi-jui; il partito del Chih-li, con a capo il generale Tsao Kun (luogotenente il generale Wu Pei-fu); il partito del Feng-tien, cioè di Mukden, con a capo il generale Chang Tso-lin. Nel 1922 Tsao Kun e Wu Pei-fu cacciarono Tuan Chi-jui da Pechino e respinsero Chang Tso-lin in Manciuria.

Nel 1922 Hsü Shih-chang diede le dimissioni e a Pechino si succedettero diversi presidenti illegalmente eletti, dei quali l'ultimo fu il generale Tsao Kun, il quale aveva comperato i voti dei deputati. A Canton si era installato un altro governo, con a capo Sun Yat-sen e la sua influenza cominciava ad estendersi nella vallata del Yang-tze kiang. Il paese appariva diviso in due stati, a nord e a sud, e la zona che obbediva al governo meridionale si andava a poco a poco estendendo.

Con l'elezione di Tsao Kun a presidente, cominciò la seconda guerra del Chih-li contro Mukden. Wu Pei-fu, nominato comandante in capo della "spedizione punitiva" contro Chang Tso-lin si diresse al nord lungo la costa, verso Shan-hai-kwan, affidando al cosiddetto generale cristiano, Feng Yü-hsiang, il compito di attaccare la Manciuria dal sud-ovest, partendo da Jehol. Ma il generale cristiano (era stato convertito e aveva ordinato ai suoi soldati di convertirsi al protestantesimo) tradì il suo capo ed alleato, tornando improvvisamente a Pechino, ove mise in prigione Tsao Kun, cacciò l'imperatore dalla Città proibita (egli cercò rifugio in una concessione estera a T'ien-tsin) e insediò Tuan Chi-jui come dittatore provvisorio. Liberato dalla pressione di Feng Yü-hsiang, Chang Tso-lin tornò alla riscossa. Wu Pei-fu dovette ritirarsi nella vallata dello Yang-tze. Alla fine del 1924, i diversi generali e capi politici cinesi ad eccezione di Wu Pei-fu sembravano sul punto di accordarsi fra di loro. Feng Yü-hsiang, Chang Tso-lin e Tuan Chi-jui s'incontrarono a T'ien-tsin ed a Pechino ed anche Sun Yat-sen venne al nord per cercar di raggiungere un'intesa. Ma ammalatosi nel viaggio morì a Pechino il 12 marzo del 1925.

In quell'anno si riunì a Pechino una conferenza doganale, per stabilire le condizioni alle quali si poteva consentire alla Cina l'autonomia in materia di tariffe. Ma i lavori furono sospesi dopo un anno, causa la rinnovata guerra civile. Così pure si riunì (in conformità agli accordi raggiunti alla conferenza di Washington) una commissione internazionale per esaminare la possibilità per quelle potenze estere che ne usufruivano di rinunciare al privilegio della extraterritorialità. Le raccomandazioni della commissione furono contrarie a un'immediata, incondizionata rinuncia.

Per i generali cinesi che si contendevano le popolose provincie, la guerra civile assumeva l'aspetto d'una lucrosa professione. E non ebbero difficoltà a procurarsi delle armi, malgrado un accordo internazionale in base al quale le principali potenze estere s'impegnavano a non fornirne. Nell'autunno del 1924 le lotte fra i capi militari ricominciarono e un nuovo concorrente alle spoglie delle ricche città fu il generale Sun Chang-fang il quale per breve tempo riuscì a dominare cinque importanti provincie con centro a Shanghai. Chane Tso-lin venne a stabilirsi a Pechino, donde dominava la Cina del nord, ad eccezione dello Shan-si, ove un altro generale, Yen Hsi-shan, amministrava così bene la sua provincia da meritarsi il soprannome di governatore modello. Feng Yü-hsiang ebbe un periodo di sfortuna e si ritirò in Mongolia donde fece un viaggio a Mosca, che l'accolse come campione del comunismo in Cina. Difatti le maggiori sue forniture d'armi egli le aveva ricevute dalla Russia, ragione per cui era stato costretto a seguire una politica favorevole ai Soviety. Egli era anche autore di diversi manifesti contro "l'imperialismo straniero in Cina" e avea facilitato il dilagare delle idee comuniste che irradiavano da Canton, ove il regime era apertamente "rosso". Quivi un generale russo, Gallen, organizzava l'esercito e preparava l'avanzata al nord. Un noto agitatore moscovita, Borodin, organizzava la propaganda bolscevica. Ebbe collaboratore anche il ministro sovietico a Pechino, Karachan, finché Chang Tso-lin, il quale si faceva campione dell'ordine, lo fece allontanare e chiuse la legazione russa, col tacito consenso delle altre rappresentanze estere, a Pechino. Con l'ispirazione russa gli studenti cinesi, e specialmente quelli che possedevano un'infarinatura di cultura occidentale, inscenavano dimostrazioni xenofobe e protestavano contro i "trattati ineguali" che (secondo loro) tenevano la Cina in una posizione di voluta inferiorità di fronte alle potenze occidentali. Si provocarono scioperi nei cotonifici di proprietà straniera; vi furono colluttazioni fra studenti e polizia, di cui più importante, se non più grave, quella avvenuta nel Settlement internazionale a Shanghai il 30 maggio 1925.

Durante più d'un anno sembrò che l'ondata comunista stesse per sommergere tutta la Cina. L'esercito di Canton, organizzato dal Gallen e da altri ufficiali russi e comandato dal generale Chang Kai-shek, invase la valle del Yang-tze ed occupò Han-k'ow, ove fu insediato un governo di cui il ministro degli Affari esteri era Eugen Chen (nome cinese Chen Yu-jen) un avvocato giornalista meticcio, nato alla Trinidad nelle Indie Occidentali inglesi, discepolo di Sun Yat-sen. Nel marzo 1927 fu invasa la concessione inglese a Hank'ow. Le autorità britanniche la retrocedettero alla Cina. Intanto l'esercito nazionalista occupava Shanghai e Nanchino. Vi furono episodî di sangue in cui anche degli stranieri perdettero la vita. Le potenze estere che tenevano forze armate in Cina (Francia, Giappone, Inghilterra, Italia e Stati Uniti) le rinforzarono per proteggere la vita e gli averi dei connazionali, ma seguirono una politica tollerante e conciliante, evitando d'immischiarsi nelle questioni interne cinesi. Gli eccessi della politica comunista, i continui scioperi, i delitti contro gli stranieri, i saccheggi delle missioni cattoliche e protestanti finirono per provocare una reazione dei governanti della Cina meridionale. Essi s'erano valsi dell'appoggio sovietico per estendere il loro dominio, ma finirono per rinnegare i consiglieri bolscevichi e non esitarono a farne i capri espiatorî dei proprî delitti. A Canton, in un massacro generale di comunisti, alcune ragazze cinesi furono trucidate soltanto perché portavano i capelli corti e con loro vennero fucilati alcuni funzionarî del consolato sovietico. Anche il generale cristiano, tornato dalla Russia, abbandonò l'antica fede bolscevica e si alleò con i nazionalisti contro Chang Tso-lin. Nell'estate del 1928 venne ripresa l'avanzata nazionalista verso il Nord. L'esercito di Chang Tso-lin era il più numeroso e il meglio armato, ma serpeggiava tra le sue file quello stesso sentimento disfattista che precedette la caduta dei Manciù. Chang Tso-lin lasciò Pechino per tornare in Manciuria il 3 luglio 1928, ma al momento di giungere a Mukden cadde vittima d'un attentato dinamitardo compiuto in circostanze alquanto misteriose. L'esercito nazionalista occupò Pechino senza spargimento di sangue e il nuovo governo, rievocando una disposizione di Sun Yat-sen, che rimontava ai primi tempi della repubblica, annunciò il proposito di trasferire la capitale a Nanchino. Ma le guerre civili continuarono a impoverire il paese, favorendo il dilagare del banditismo a tinta comunista e impedendo il consolidarsi del governo nazionalista e la riorganizzazione del paese con criterî moderni.

Bibl.: E. J. Dingle, China's Revolution, 1911-1913, Londra 1912; J. e J. Cantlie, Sun yat Sen and the awakening of China, Londra 1912; F. McCormick, The flowery Republic, Londra 1913; Ch'eng Hsi-kung, Modern China, a political study, Londra 1919; W. W. Willoughby, China at the Conference, Baltimora 1922; R. Suster, La Cina repubblica, Milano 1928; P. D'Elia, Le triple démisme de Sun Yatsen, Shanghai 1929; M. Barbera in Civ. Catt., 1923, II, p. 205 segg.

Religione e filosofia.

1. Religione primitiva, polidemonismo, magia, divinazione. - L'antica società cinese ci appare costituita al principio della storia, in una solida organizzazione agricola. I nobili, i patrizî sono i soli che abbiano il culto degli antenati; il capostipite degli antenati è spesso un dio o un eroe. Sono divinità poco note: si sa soltanto che alcune famiglie consideravano come loro capostipite un orso, altre un pesce, altre un uccello, un cane, ecc. Sembra che l'animale simbolico, disegnato sullo stendardo del capo di famiglia, costituisse una specie di blasone. Sono tracce di totemismo, probabilmente assai antiche, ma attenuate. Il culto degli antenati, nelle famiglie dei nobili, rassomiglia abbastanza al culto gentilizio dei Romani. La regola fondamentale del matrimonio patrizio era che il nobile non poteva sposare una donna dello stesso clan (cognome); il matrimonio patrizio era anzitutto un atto religioso, avente lo scopo di dare al nobile un aiuto e dei successori per il culto famigliare. Gli sposi che avevano servito insieme gli antenati durante la loro vita, formavano alla loro volta una coppia indissolubile dopo la morte. Un nobile non poteva sposarsi che una sola volta. Poteva però sposare più di una moglie della stessa famiglia (due per i semplici patrizî, tre per i tai-fu, fino a nove o a dodici per il re), ma una sola era la moglie principale, con cui si compivano i riti, le altre erano mogli secondarie. Il re, il figlio del cielo, discendeva realmente dal Signore del cielo. Il suo compito era principalmente religioso, le sue vesti, i cibi, l'abitazione dovevano seguire una stretta corrispondenza con le stagioni. Mentre il culto degli antenati era aristocratico, i plebei senza antenati, se non avevano diritto di partecipare agli atti del culto, non erano però esclusi dall'influenza benefica degli antenati, che, per mezzo del culto, si estendeva all'intera comunità.

Gli antichi Cinesi popolavano il mondo d'una folla di divinità, capaci d'influire sulle vicende umane. Tutte le forze del mondo fisico sono divinizzate; una madre del sole, una dea della luna, il conte del vento, il conte del fiume, le cinque divinità familiari della casa, il dio delle porte interne, il signore del focolare, il dio dell'impluvio, il dio del suolo della casa, quello della porta d'ingresso, quello del pozzo. Altre divinità presiedono ai lavori agricoli: il dio del miglio, l'antenato dei campi, il primo agricoltore, la tessitrice celeste, la dea della cucina. Poi una folla di demonî e spiriti malvagi delle rocce, dei monti, delle paludi, ecc. Poi ancora, la dea della siccità, i demonî delle epidemie, le anime abbandonate, prive di sacrifici, che affamate si vendicano sui vivi, ecc. Al disopra di questo pantheon, il Signore del cielo (shang-ti), il dio del suolo e gli antenati del re. Il Signore del cielo ha il suo palazzo nel centro del cielo, nell'Orsa Maggiore, ove tiene la sua corte e dove albergano le anime dei re defunti. Sulla terra punisce i colpevoli, invia calamità, epidemie, terremoti.

Per una descrizione più completa delle divinità degli antichi cinesi v. H. Maspero, La Chine antique, Parigi 1927, p. 244. Allorché gli antichi scrittori cinesi parlavano del cielo (t'ien), si riferivano alla divinità che abita in esso (shang-ti); ti era in origine un epiteto della divinità; il senso di "imperatore" è derivato. Quindi shang-ti significa "il dio che sta in alto, nel cielo" piuttostochè "l'imperatore supremo" come spesso è stato tradotto.

Il Dio della terra era in origine rappresentato da un albero piantato sopra un tumulo in mezzo a un bosco sacro; poteva essere un pino, un castagno, un'acacia, una quercia, ecc.; il dio stesso era raffigurato da una pietra piantata a N. dell'albero, la quale serviva come ara-dei sacrifici. Il principe, nei sacrifici al dio della terra, gli chiedeva di proteggere i raccolti, di annunciare le cacce e le guerre. Era preso a testimonio nei giuramenti solenni; s'immolavano a lui prigionieri, al ritorno dalle spedizioni militari. Ogni principe aveva un dio del suolo privato. Quando la dinastia era rovesciata, si costruiva un tetto sopra il tumulo del dio della vecchia dinastia e si costruiva un nuovo tumulo. Tra le divinità dei luoghi, ha una personalità più viva il conte del fiume (del Fiume Giallo). Ogni anno gli si offriva una fanciulla in matrimonio, la quale rivestita di abiti nuziali, sopra un letto nuziale si lanciava nel fiume. Questa cerimonia fu soppressa verso il secolo IV a. C.

Gli antenati defunti conservavano una parte spirituale (hun) che sopravviveva alla morte. Quella dei principi, dei ministri era più forte e vigorosa di quella degli uomini del popolo, poiché la loro azione sulla terra doveva durare più a lungo. Una parte inferiore dell'anima (p'o), abitava col cadavere nella tomba e si nutriva delle offerte. Se queste mancavano, diventava, pericoloso per i viventi, un fantasma (kuei). Il lutto della famiglia (sang) era una specie di impurità rituale; dopo la morte si faceva un ultimo sforzo per richiamare il defunto in vita; un uomo saliva sul tetto e volto verso il nord, la regione dei morti, chiamava l'anima tre volte. I funerali ritardati maggiormente con l'importanza del grado del defunto, si facevano con una lunga processione al luogo della sepoltura. Si seppellivano con la testa volta al N. Sopra il morto si seppellivano vive vittime umane; furono 66 ai funerali del conte Wu di Ts'in nel 678 a. C., furono 170 nel 621 ai funerali del suo discendente il conte Mu, e tra le vittime, tre suoi favoriti commensali. Spesso si seppelliva col defunto la concubina favorita. Una principessa degli Ts'in alla fine del sec. IV voleva esser seguita dal suo amante. Nelle famiglie più povere, o di grado inferiore, si seppellivano, invece delle vittime umane, simulacri di paglia o di legno. Terminata la sepoltura, il figlio depositava una tavoletta provvisoria accanto alla tavoletta del nonno, e per la prima volta faceva un'offerta al padre come antenato, e un rappresentante del morto gustava le offerte. Terminato il lutto, alla tabella provvisoria si sostituiva la tabella definitiva in legno di castagno, e si spostavano le tavolette degli antenati precedenti. Il potere degli antenati diminuiva col succedersi delle generazioni. Dopo cinque generazioni per il re, tre per i principi, una per i semplici nobili, l'antenato era confuso con la folla di coloro a cui non si fanno offerte personali, eccettuando però il capostipite della famiglia o della gente. In alcune famiglie si elevavano templi per raccogliere le tavolette di questi antenati messi a riposo (v. canton, per tempio della famiglia Chên).

Accanto a stregoni e streghe, di solito gente del popolo, poco considerati ma temuti, gli esorcisti invocavano la pioggia, cacciavano le influenze deleterie, esercitavano la medicina ed evocavano gli spiriti come medium. Nelle cerimonie funerarie un principe che visitava un magistrato sul letto di morte, si faceva precedere da uno stregone con un ramo di pesco e da un addetto al funerale che portava una scopa per dissipare le emanazioni nefaste del defunto. Un prīncipe in viaggio era accompagnato da uno stregone per difenderlo dalla vicinanza di cose nefaste. I sacerdoti del culto ufficiale interpretavano le risposte degli antenati, interrogati con la tartaruga o con l'achillea. Dopo aver forato un guscio di tartaruga in punti determinati, si poneva al fuoco, e con l'inchiostro si rendevano visibili le screpolature prodotte dal calore. La divinazione con l'achillea si faceva con 50 bastoncini: si dividevano in due pacchi, se ne toglieva uno da quello di destra; scelto allora uno dei due pacchi, se il resto della divisione per 4 dei bastoncini era pari, si segnava una linea spezzata, se era dispari una linea intera. Rifatta sei volte quest'operazione, si otteneva un sistema di sei linee intiere e spezzate formanti in tutto sessantaquattro figure diverse; l'augure interpretava il senso dell'esagramma o meglio le differenze tra un primo e un secondo esagramma ricavato con lo stesso sistema.

Ci è stato tramandato scritto il libro (I king) che serviva di base agl'indovini per la spiegazione dei 64 esagrammi.

Altri sacerdoti erano incaricati dell'interpretazione dei sogni. Le offerte per il Signore del cielo, per il dio del suolo e gli antenati del re erano le grandi offerte, cioè le tre vittime: il toro, la pecora e il porco. (analoghe ai suovetaurilia), al dio dei monti e dei fiumi un puledro, al dio delle strade un cane, che si faceva schiacciare dal carro del re. I semplici nobili offrivano agli antenati una sola vittima, un ariete. Si offrivano al Signore del cielo giade rotonde ed azzurre, al Signore della terra, quadrate e gialle. Al Signore del cielo si offriva soltanto acqua, agli antenati vini di diverse specie. Per il Signore del cielo le offerte, vittime, stoffe, giade, si abbruciavano sopra un rogo all'aria aperta, in modo che il fumo salisse al cielo; per le divinità del suolo si seppellivano sottoterra, ecc. Le preghiere erano semplici formule di tipo arcaico, supplicazioni. Grandi danze terminavano le cerimonie religiose, specie di rappresentazioni simboliche dei fatti che si volevano ricordare. Le cerimonie erano accompagnate da arie musicali speciali per ogni atto; seguivano canti accompagnati da liuti, flauti, tamburi, ecc.

L'anno religioso cominciava dalla primavera, con grandi cerimonie. Cominciava il re con un sacrificio al Signore del cielo; egli si preparava con dieci giorni di astinenza alla solenne cerimonia che era divisa in più fasi. Altra cerimonia importante era l'inizio del lavoro dei campi con un solco scavato dall'imperatore in un campo sacro al Signore del cielo. In primavera si apriva pure il periodo dei matrimonî, interdetti d'inverno.

Con la nuova stagione in tutte le case, dal palazzo del re alle capanne, si spegneva il fuoco per tre giorni e si riaccendeva poi un nuovo fuoco sfregando due pezzi di legno. D'estate, la più importante cerimonia era per l'invocazione della pioggia. Oltre alle preghiere si facevano talvolta danzare al sole streghe e stregoni finché morissero, ovvero si abbruciavano vivi in pieno sole. Atti di crudeltà, che verso la fine della dinastia Chou, erano dagli animi ingentiliti altamente riprovati. Seguivano le feste della mietitura, dopo di che la terra doveva essere lasciata in riposo fino alla primavera seguente. Era la festa pa-cha, in cui si offrivano alle otto classi di spiriti grano, oggetti preziosi, caccia, uova, ecc. Lo spirito principale era il primo mietitore, accanto a lui il primo aratore, il primo costruttore di dighe, di canali, poi gli spiriti dei gatti distruttori dei topi, e quelli delle tigri distruttrici dei cinghiali, insomma tutti gli spiriti che aiutavano lo sviluppo delle messi.

Oltre alle feste agricole, alle feste nel tempio degli antenati, tutti gli atti importanti avevano le loro cerimonie. Il matrimonio era seguito da una cerimonia davanti agli antenati; ad essi si presentava un figlio, nel terzo mese dopo la nascita, dandogli un nome. Il berretto virile si indossava nel loro tempio. Le dichiarazioni di guerra erano annunciate dal principe nel tempio degli antenati; i generali partivano dal tempio degli antenati e ricevevano in un giorno fasto il tamburo e lo stendardo. La tavoletta del padre del principe regnante e quella del dio del suolo seguivano l'esercito in campagna e avanti ad essi si davano ricompense e castighi. L'esercito vittorioso tornava alla capitale preceduto da musica, si facevano offerte al dio del suolo, immolando spesso uno o più prigionieri, col sangue dei quali si bagnava la sua tavoletta rimessa a posto. Davanti alla porta meridionale del tempio si portavano le teste dei nemici uccisi, che si bruciavano in onore degli antenati.

In caso di eclissi, si facevano cerimonie religiose per soccorrere il sole, così in caso d'inondazioni, di siccità, di malattia del principe, ecc. Verso la metà del sec. V a. C. lo spirito cinese cominciava a dubitare dell'esistenza degli dei e degli spiriti, dubitava se le anime dei morti conservassero la conoscenza, si cercavano spiegazioni razionalistiche e filosofiche specialmente sotto l'influsso delle idee astrologiche e cosmologiche che si andavano formando.

2. Confucianismo. - Confucio (v.) visse nella seconda metà del sec. VI a. C. e nella prima metà del V, in una piccola città della quale suo padre era governatore (nell'attuale Shan-tung).

Passò la vita errando nelle piccole corti di Wei, Ch'ên e Sung e durante questo periodo fissò le sue idee sulla scienza del governo e sulla necessità del ritorno all'insegnamento dei santi dell'antichità. Cominciò allora a tenere una scuola. Vecchio, tornò al suo paese e nella capitale riorganizzò la sua scuola frequentata da numerosi discepoli che venivano a cercarlo. Confucio credeva come Socrate di avere un demone familiare, il duca Chou, il figlio del re Wen, fondatore della dinastia dei Chou e antenato dei principi di Lu. Confucio non scriveva, ma insegnava riti, musica, letteratura; non cercava nuove dottrine, ma voleva far apparire i suoi insegnamenti come un'interpretazione corretta del pensiero degli antichi. Lo scopo di Confucio è il buon governo del popolo. È la virtù del sovrano che fa la buona o cattiva condotta del popolo. Il principe che compie il suo dovere governa bene senza aver bisogno di leggi, ma se la sua condotta è disordinata, qualunque legge è inefficace; ai vizî del principe corrispondono i vizî dei sudditi, la virtù del sovrano è come il vento, il popolo come l'erba; quando il vento soffia l'erba si china. L'uomo superiore può trasformarsi e migliorare con lo studio. Lo studio degli scritti degli antichi, dei riti e della musica completano la sua cultura.

Ma più ancora dello studio ciò che importa per il perfezionamento morale è l'acquisto della virtù cardinale della dottrina confuciana, jen, che si può tradurre con altruismo, umanità, e che è illustrata dalla massima: "non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te". Conseguenza di questa virtù sono la pietà filiale, la pietà fraterna. Essa si estende gradatamente agli altri uomiui di guisa che chi professa questa virtù è capace di amare i buoni e odiare i cattivi; per giungere a possederla occorre vincere sé stesso, il proprio orgoglio, le proprie brame, e i proprî risentimenti. I riti sono la codificazione delle regole pratiche d'applicazione di questa virtù alle relazioni umane, ma senza di essa, cerimonie e riti non hanno significato. Coltivando così sé stesso, continuamente, senza posa, l'uomo superiore può avvicinarsi al santo, il quale possiede naturalmente, senza sforzo, la virtù. Lo scopo del perfezionamento di sé stessi non è l'individuo, ma il rendere efficace e benefica la sua azione sul popolo. Il volgo può essere ben guidato, ma è impossibile fargli capire le ragioni dell'azione. La morale di Confucio è quindi aristocratica, come la società del tempo suo. Egli si rivolge ai nobili, a coloro che possono ricevere dal sovrano cariche e impieghi, e debbono guidare il popolo. Il sistema di Confucio è un sistema di morale sociale, il perfezionamento dell'individuo non è ancora che un mezzo per ottenere la formazione dell'uomo superiore che possa ben governare. L'originalità della dottrina confuciana consiste in una prima separazione della conoscenza e della morale. La ricerca dell'uomo superiore accenna già alla formazione d'una morale individuale, che sarà poi sviluppata in seguito.

3. Filosofi eterodossi. - Uu conterraneo di Confucio, Mo Ti, o come più comunemente si chiama Mo tzŭ "il filosofo Mo", fondò nel sec. V a. C. una scuola; morì nei primi anni del sec. IV a. C. Mo Ti, uno dei pensatori più originali della Cina, staccandosi ancor più dalla tradizione, pone a base del dovere la carità, l'amore universale. Considera dannosa ogni gradazione della benevolenza verso il prossimo; la carità deve essere eguale per tutti, le lotte, le guerre sono la conseguenza dell'egoismo dei principi, della cupidigia d'impadronirsi d'un ricco bottino. Il principale motivo per condursi bene dev'essere il timore del Cielo, che tutto vede, che vuole il bene, odia il male, ama la giustizia e detesta l'ingiustizia. Il re è l'uomo più potente nel mondo, ma il Cielo è sopra di lui e vuole che il principe benefichi il popolo, che tutti gli uomini si amino gli uni con gli altri perché il Cielo ama tutti gli uomini. Le guerre, le ribellioni, sono delitti contro il Cielo. Parimenti indispensabile per il buon ordine della società è la fede nell'esistenza dei Mani, gli spiriti degli antenati, che vedono e sorvegliano le azioni dei discendenti. L'opera di Mo Ti, di cui sussistono 53 capitoli raccolti dai discepoli, è la prima opera cinese in cui appaia un solido concatenamento logico delle idee. Ogni punto è esposto con chiarezza, ne sono definiti i termini e sono confutate le obbiezioni; l'amore universale, la carità, si apprendono conformandosi alla volontà del Cielo e cercando d'imitarlo. La dottrina di Mo Ti più completa e più originale forse di quella di Confucio, non ha avuto tuttavia in Cina che una mediocre influenza. Soltanto ai nostri giorni i giovani cercano in Mo Ti la fraseologia e le idee che permettono loro di trovare un'espressione alle dottrine democratiche penetrate in Cina al principio del sec. XX. Le ragioni della debolezza delle dottrine di Mo Ti sembrano essere specialmente due: la prima, forse la principale, la vaga astrattezza delle formule le quali perdono gran parte del loro senso proprio perché si staccano dalla tradizione e dalla storia; la seconda, che queste dottrine compaiono come una forma unilaterale di visione della vita morale e sociale, in contraddizione con altre esposizioni egualmente incisive, paradossali talvolta, ma non prive di efficacia, che pensatori cinesi del sec. VI e IV studiavano ed insegnavano.

All'altro polo di Mo Ti si trova Yang Chu. Di lui non si conosce quasi nulla eccetto un'esposizione nel capitolo VII del filosofo Lieh tzŭ. Alla carità si può contrapporre l'egoismo e l'amore di sé stesso. Ogni restrizione posta all'uso dei sensi, al riposo dello spirito, ogni freno agl'istinti è una limitazione della vita. Costringersi a privazioni per desiderio di lode, o paura di biasimi è inutile; la morte colpisce egualmente il savio e lo stolto, il buono e il cattivo. I cadaveri, egualmente putridi, d'un grande imperatore e di un tiranno sono identici. Occorre dunque vivere senza privarsi dī alcun piacere. "Non sacrificare un pelo del proprio corpo anche se questo facesse cadere l'universo" è la forma paradossale, diventata proverbiale, dell'egoismo considerato come ideale. Dottrine paradossali queste, che ora i propagandisti dell'anarchia cercano di adattare alle analoghe formule europee, ma nell'insieme limitata visione di qualche momento della complessa vita dello spirito, che già allora in Cina cercava adeguate forme d'espressione.

Questi scrittori, insieme con molti altri, rimasero del tutto estranei all'insegnamento ufficiale. Trovarono però il loro posto, da un lato nella letteratura, dall'altro in quel complesso corpo di dottrine filosofiche e religiose che vanuo sotto il nome di taoismo.

4. Taoismo. - Il fondatore del taoismo, Lao tzŭ, è un personaggio in gran parte leggendario. Si può soltanto affermare con certezza che, verso la fine del sec. V, esisteva un mistico la dottrina del quale è esposta nel Tao-te king. È un libro di cui esistono infinite versioni e commenti, anche in lingue europee. Ma la sua concisione ha permesso agl'incompetenti le interpretazioni più stravaganti. Il ritratto che egli ci ha lasciato di sé stesso (cap. XX) è assai vivo: "Tutti sono lieti come in un banchetto o come quando a primavera sono saliti su una torre; io solo sono tranquillo come un bambino che non ha ancora sorriso. Tutti sono intelligenti, io solo sono stupido. Mi par d'essere trascinato dalle onde e non so dove vado; tutti sono pieni di talento, io solo son limitato come un selvaggio. Io solo son diverso dagli altri perché apprezzo la madre che nutre (il principio, il tao)". Questo misterioso principio che Lao-tzŭ chiama anche Tao, "via, strada", e al quale il confucianesimo aveva già dato un altro senso, che rassomiglia alquanto alla nostra idea astratta di dovere, è per lui lo svolgimento naturale dell'essere. Esso è da lui contrapposto all'azione umana dell'agire per raggiungere uno scopo esercitando la volontà (yu wei). Il non agire (wu wei), ossia l'operare spontaneo, incosciente, della natura, è la legge che governa l'universo.

Il più grande espositore del taoismo, il filosofo Chuang Chou (v.) ha dato una forma brillante al sistema, che non è senza analogia con lo scetticismo dei Greci. La vita è un'illusione, è una fase del continuo trasformarsi e succedersi di nuove forme. È celebre l'aneddoto di Chuang Chou che sogna di essere farfalla, e vola, ed è felice senza sapere di essere Chou. Ma ecco si sveglia e riconosce di essere il vero Chou, ma non sa più se è un uomo che ha sognato d'essere farfalla, o una farfalla che sogna di essere uomo. Quest'ammirazione per l'inazione, questo riconoscimento dell'incapacità dell'uomo ad intervenire utilmente con la sua volontà, hanno dato origine a una dottrina politica che ha avuto una certa eco nella storia della Cina. Se l'uomo vuol mettere ordine agendo vigorosamente, sorge il disordine; un popolo troppo disciplinato è facile preda dei tiranni; la tradizione, gl'insegnamenti degli antichi, sono un residuo d'un tempo passato, per noi incomprensibile; i libri, sono un residuo, come le ceneri e le ossa di coloro che li hanno scritti, insignificante per i vivi che li raccolgono.

Queste dottrine paradossali ebbero un'influenza limitata. Accanto ad esse altre ne sorgevano ancor più artificiose. Dalla tecnica divinatoria degli auguri si sviluppò in quel tempo una complicata interpretazione cosmogonica del mondo. Si pensò che partendo da due sostanze primordiali, yin e yang (principio femminile e principio maschile), si poteva per mezzo di successive combinazioni, cercar di spiegare o di rappresentare l'universo e i suoi fenomeni. Queste dottrine furono raccolte in un corpo, il canone taoista, per essere contrapposte alle dottrine del buddhismo (v.), propugnato e diffuso dai pellegrini provenienti dall'India e dall'Asia Centrale, e in fine dalla Cina stessa.

Senza entrare in una più precisa analisi della storia di questa dottrina, sembra però opportuno osservare che il popolo cinese, così dal taoismo, come dal buddhismo, sia pure attraverso forme di culto che sembrano deviazioni profonde dagl'insegnamenti dei fondatori di queste religioni, ha raccolto le idee essenziali, che in queste due religioni sono, in fondo, semplici e cercano, in modo diverso, di soddisfare a un bisogno dello spirito, il senso malinconico della vacuità della vita, la visione dell'illusorietà delle passioni umane, che il Buddha ha insegnato ai suoi seguaci, e la diffidenza per l'azione artificiosa, per la vanità dei calcoli complicati e futili dei politicanti e dei moralisti, a cui il taoismo contrappone la fiducia nel libero svolgersi delle energie della natura. Punti di vista parziali e corrispondenti soltanto ad alcuni momenti della vita spirituale come videro gli stessi filosofi cinesi (Han Yü), ma che ci spiegano spesso il senso e i motivi degli avvenimenti.

Islamismo, Manicheismo, Nestorianismo. - Queste religioni ebbero ed hanno, in Cina, poca importanza. L'ultimo, il nestorianismo, preparò forse in piccola misura il terreno ai primi apostoli cristiani, di cui si parlerà in seguito.

Filosofia politica. - In Cina più che in Europa, gli scrittori di politica si confondono coi filosofi. Si può anzi ben dire che non vi è mai esistita una vera e propria filosofia distinta dalla politica, la quale forma l'oggetto vero, lo scopo ultimo di tutti i pensatori cinesi d'ogni tempo, da Confucio ai nostri giorni. Se ne può cercare una ragione nella costituzione delle classi dirigenti dell'impero. L'organizzazione imperiale, dalla dinastia Han in poi, ha posto i letterati alla testa d'ogni movimento, mentre né nobili, né commercianti, né uomini d'affari, né clero hanno mai avuto influenza sensibile sulla vita politica e sociale. Confucio e i varî filosofi dell'antichità, possono quindi ben essere annoverati tra gli scrittori di politica, e così i loro successori fino ai nostri giorni.

Bibl.: Sulla religione e la filosofia degli antichi cinesi: R. Grousset, Histoire de la philosophie orientale, Inde, Chine, Japon, Parigi 1923; C. Puini, Tre capitoli del Li ki concernenti la religione, Firenze 1886; M. Granet, La religion des Chinois, Parigi 1922; E. Chavannes, Le T'ai shan, in Ann. du Musée Guimet XXIII (1915); id., Le jet des dragons, in Mém. conc. l'Asie Orientale, III, Parigi 1918; B. Schindler, The development of Chinese conceptions of Supreme Beings, in Asia Major, Hirth Anniversary Volume, 1918; Das Priestertum im alten China, in Asia Major, 1919; M. Granet, Danses et Légendes de la Chine ancienne, Parigi 1926.

Opere più antiche, ma ancora utili: J. Legge, The Religions of China, Londra 1880: C. Puini, Saggi di storia della religione, Firenze 1882; W. Grube, Religion und Kultus der Chinesen, Lipsia 1910, ecc. L. Wieger, Textes philosophiques, Hien-hien, 1930.

Grandi raccolte di materiali: J. M. de Groot, The Religious System of China, Leida 1892-1907; L. Wieger, Histoire des croyances religieuses et des opinions philosophiques en Chine, 2ª ed., Hien-hien 1922; H. Doré, Recherches sur les superstitions en Chine, Shanghai 1905, 16 voll.; riassunti in H. Doré, Manuel des superstitions chinoises, Shanghai 1926; E. T. C. Werner, Myths and Legends of China, Londra 1922.

Sull'antica religione dei Cinesi e sul confucianismo, si hanno, tradotti, i testi principali, col testo cinese a fronte: in latino, A. Zottoli, Cursus litteraturae sinicae, II e III, Shanghai 1877-80; in latino ed in francese: S. Couvreur, Les quatre livres, Ho-kien fu 1895; S. Couvreur, Les Ode, les Annales, les Rites, Cérémonial, ivi 1895-1916; in inglese: J. Legge, The Chinese Classics, Hong-kong 1861-70. La sola versione inglese del Li ki, nei volumi XXVII e XXVIII della collezione: The Sacred Books of the East, Oxford 1890. In italiano: A. Castellani, I dialoghi di Confucio, Firenze 1924; G. Tucci, Scritti di Mencio, Lanciano 1920. Notevole: O. Franke, Studien zur Geschichte des konfuzianischen Dogmas und chinesischen Staatsreligion, Amburgo 1920.

Sul taoismo, brevi sguardi d'insieme: C. Puini, Taoismo, Lanciano 1917; A. Catellani, La regola celeste di Lao-tse, Firenze 1927. Completa esposizione del Taoismo: L. Wieger, Taoisme, I: Le canon (patrologie), II: Les index officiels et privés, III: Les pères du système taoiste, Lao-tseu, Lie-tseu, Tchouang-tseu, Hien-hien 1911-13; J. Legge, The texts of Taoism, in The Sacred Books of the East, XXXIX e XL, Oxford 1891; H. Maspero, Le saint et la vie mystique chez Lao-tseu e Tchouang-tseu, in Bull. Ass. Amis de l'Or., 1922.

Sulla filosofia cinese antica: Suzuki, A brief History of Chinese Philosophy, Londra 1914; J. J. de Groot, Universismus, Berlino 1918; G. Tucci, Storia della filosofia cinese antica, Bologna 1922; P. Masson-Oursel, La philosophie comparée, Parigi 1923; A. Forke, Geschichte der alten chinesische Philosophie, Amburgo 1927; H. Hackmann, Chinesische Philosophie, Monaco 1927; H. Maspero, Notes sur la logique de Mo-tseu, in T'oung Pao 1927, pp. 1-64, ecc.

Importanti sono le versioni di filosofi cinesi eterodossi: A. Forke, Mé Ti des Sozialethikers und seiner Schüler philosophische Werke, Berlino 1922; A. Forke, Miscellaneous essays of Wang Ch'ung (Lun-Hêng), Berlino 1911, ecc.

Sulla filosofia medievale: P. St. Le-Gall, Le philosophe Tchou Hi, Shanghai 1894; J. Bruce, The philosophy of human nature by Chu Hsi, Londra 1922; J. Bruce, An introduction to the philosophy of Chu Hsi and the Sung school, Londra 1920.

Per i tempi più recenti: F. G. Henke, The Philosophy of Wang Yang-ming, Chicago 1916. Sui movimenti moderni: P. M. D'Elia, Un maître de la jeune Chine: Liang K'i-tchao, in T'oung Pao 1917; P. D'Elia, Le triple démisme de Suen Wen, Shanghai 1929, e le riviste annuali di L. Wieger, Chine moderne, Hien-hien 1920, e specialmente il vol. V: Nationalisme, 1924.

Diritto. - La Cina non è mai giunta, fino ai nostri giorni, a una concezione della legge e del diritto quali noi abbiamo ereditato da Roma. Il concetto del rispetto quasi religioso della legge, così profondo tra gli Europei, per i quali essa sta alla base della civiltà, non ha potuto formarsi in Cina. Il magistrato cinese ha avuto sempre l'idea che le leggi possono e debbono essere interpretate avendo per guida l'ordine sociale, che non può, non deve essere turbato; quindi cerca non la formulazione rigorosa d'un diritto, ma soltanto un modo paterno di ristabilire la pace e l'ordine turbati. Le leggi penali in vigore in Cina fino alla repubblica sono state raccolte in corpo durante la dinastia T'ang verso il 654 d. C., e questa raccolta ha servito di modello alle legislazioni successive. Leggi aspre e dure, mitigate soltanto dal buon senso dei giudici e dall'intervento efficace nella vita sociale, della famiglia, coi suoi tribunali familiari, delle corporazioni, talvolta tiranniche ma spesso agili e pronte. La necessità dei contatti con l'Europa, l'esistenza, per molti decennî, di tribunali misti nei porti aperti al commercio e nelle concessioni europee, ha costretto già il govermo imperiale del principio del secolo, e poi il governo repubblicano, a studiare e promulgare nuovi codici civile, penale, commerciale, per ottenere la rinuncia da parte degli Europei ai diritti loro concessi dai trattati. Ma finora (1930) questi codici sono pubblicati soltanto in parte e cominciano appena ad essere applicati.

Bibl.: L'opera di Chen Huan-chang, The Economic Principles of Confucius und his school, New York 1911, contiene una ricca bibliografia sui principî dell'economia politica e del diritto. È assai importante la breve monografia: Leang k'i-tch'ao, La conception de la Loi et les théories des légistes à la veille des Ts'in, trad. di J. Escarra, Pechino 1926; Ancora utile oggi: A. Andreozzi, Le leggi penali della dinastia Han, dovuta allo storico Pan Ku (92 d. C.). Si veda altresì: D. Musso, La Cina, Milano 1927.

Ricche bibliografie sul diritto cinese: J. Escarra, Sources du droit positif actuel de la Chine, in Acad. internat. de droit comparé, Berlino 1929.

Sul diritto penale: J. J. Duyvendak, The Book of Lord Shang, Londra 1929; J. Escarra, Code pénal de la Rép. de la Chine, Parigi 1930, con bibliogr. ed introd. storica. Sul diritto civile si veda: The civil code of the Rep. of China, Book I. General Principles, transl. bu Ching-ling Hsia, Shanghai 1929.

Le missioni. - Senza risalire all'epoca apostolica e alle predicazioni di S. Bartolomeo o di S. Tommaso, è certo, sulla testimonianza della famosa stele di Si-an fu, che il cristianesimo si diffuse in Cina, verso la fine del sec. VII, importatovi dalla Persia o fors'anche dall'India, da una colonia di quei nestoriani, che, in seguito al bando di Nicea, s'erano rifugiati e dispersi nell'Asia centrale e orientale. S'ignorano i risultati e la stabilità di quella prima penetrazione, e s'ignora parimenti se essa possa mettersi in relazione con quelle tracce di cristianesimo che furono rilevate in Cina da fra Odorico da Pordenone e alle quali accennano pure i primi missionarî gesuiti. Meno incerta è invece l'opera di fra Giovanni da Monte Corvino, che, edotto dai racconti dei suoi confratelli Giovanni da Pian del Carpine e Guglielmo di Rubruck, e animato da grande zelo apostolico, venne ambasciatore del papa Nicolò IV alla corte di Timur, gran khān dei Mongoli, e finì per stabilirsi a Khānbālīq, l'attuale Pechino, dove pochi anni dopo doveva essere consacrato per ordine di Clemente V Archiepiscopus Cambaliensis. Da una lettera da lui scritta dal campo delle sue apostoliche fatiche siamo informati dei successi colà riportati, del credito acquistato in quella corte, delle speranze concepite per l'avvenire della sua missione e per la conversione della Cina. Pur troppo a poco più di trent'anni dalla sua morte (1328), quando alla dinastia mongola dei Yüan successe la dinastia cinese dei Ming l'opera di frate Giovanni venne travolta e definitivamente stroncata. Era naturale che missioni siffatte, mancassero di continuità.

Passarono così quasi due secoli. Nel frattempo si erano avute le eroiche imprese marinaresche di Magellano e di Vasco da Gama, che partiti per due direzioni opposte, avevano parimenti raggiunto l'Estremo Oriente. E poiché dietro alle scoperte di nuove vie era sopravvenuta la febbre insaziabile di nuove conquiste, anche gli operai dell'evangelo ne approfittarono per assecondare quella forma d'imperialismo trascendente, che si chiamò spirito di apostolato. Fu in quel tempo che s'iniziarono le grandi missioni dell'India, delle isole della Sonda, delle Molucche, delle Filippine, del Giappone. La Cina però rimaneva esclusa da questo movimento. L'esperienza fatta a spese altrui aveva reso prudenti gl'imperatori, che si rifiutarono di aprire le porte del loro paese a stranieri, i quali col pretesto di alleanze e di trattati di commercio, finivano sempre per stabilirsi in casa altrui come in casa propria, a spadroneggiarvi e a sfruttarne le risorse a proprio esclusivo vantaggio. Fu soltanto nel 1583, e dopo molti e vani tentativi, che due gesuiti italiani, i padri Ruggeri e Ricci, poterono violare l'inesorabile consegna e varcare le vietate frontiere. Quando, grazie all'interessata connivenza del viceré del Kwang-tung si furono stabiliti in Shiuhing, allora capitale della provincia, l'avanzata nel cuore stesso della contrada fu soltanto affare di tempo, di prudenza e di pazienza, e nel 1598 P. Ricci poté una prima volta arrivare fino a Pechino, e nel 1601 ai 24 di gennaio ritornarvi e stabilirvisi definitivamente. La sua dimora nella capitale, se fu quella d' un missionario zelante, fu altresì quella d'un uomo di studio. Egli fu colà come il primo anello di quella catena di scienziati che, mentre si susseguivano alla presidenza del tribunale delle matematiche e s'imponevano ai mandarini con la loro perizia nella meccanica, nell'astronomia, nella geografia e nelle scienze esatte, esercitavano un'efficace protezione sui missionarî. In pari tempo quell'accoppiamento dello zelo allo studio era nella mente del Ricci l'indispensabile presupposto per l'attuazione del piano di conquista spirituale da lui concepito, di penetrare nelle masse valendosi specialmente dell'opera dei letterati, vincendone le riluttanze con la scienza di cui essi facevano l'unico scopo della vita.

Nonostante il numero degli operai evangelici, troppo esiguo quando lo si paragoni all'immensa vastità del campo - nella prima metà del sec. XVII quasi tutte le provincie della Cina vennero evangelizzate e in quasi tutte furono organizzate numerose e fiorenti comunità -, le conversioni non furono soltanto numerose ma anche di tale natura da superare gloriosameute le persecuzioni scoppiate nel 1610 e nel 1616 e quella più grave che imperversò in seguito all'editto del 1665, per opera dei reggenti, durante la minore età dell'imperatore K'ang-hsi.

A rendere poi più sicuro il successo sopravvennero in quel frattempo francescani, domenicani, agostiniani e altri missionarî e lo stesso imperatore si mostrò largo di favori verso la nuova religione. Purtroppo però la mancanza d'intesa e di coesione dei missionarî nuovamente venuti con quelli che da tempo lavoravano, ma specialmente il loro disaccordo sopra una questione vitale, quale quella che fu denominata dei riti cinesi, finì per compromettere l'avvenire delle opere così prosperamente avviate. A tali difficoltà se ne aggiunsero altre: terribili e quasi continue persecuzioni, la soppressione della Compagnia di Gesù (1773) e la conseguente disorganizzazione delle missioni ad essa affidate; e, poco dopo, la rivoluzione, che sul finire del Settecento dilagò in tutta Europa, ed ebbe tra gli altri effetti quello di paralizzare il reclutamento del clero regolare e di stremare d'uomini le missioni; tantoché è da meravigliarsi se, durante il primo quarto del sec. XIX, il nome cristiano non si sia del tutto cancellato nell'Estremo Oriente.

Alla ripresa però del lavoro missionario, la quale si deve all'impulso datogli da Gregorio XVI (1831-1846), si cercò di giovarsi dell'esperienza passata e l'opera dei singoli gruppi fu meglio disciplinata, il loro campo d'azione venne più rigorosamente circoscritto e limitato, si fece appello a più numerose forze, la direzione generale nella S. Congregazione di Propaganda Fide divenne più sensibile e più efficace. Così mentre la lotta fu meglio combattuta, anche la speranza del successo si mostrò più fulgida. Nel 1830 nella Cina le circoscrizioni ecclesiastiche, se circoscrizioni possono dirsi quegl'immensi territorî dai contorni imprecisi e dove l'azione dei pochi missionarî si limitava a poche località del centro e mai o quasi mai si estendeva alla periferia, erano ridotte alle seguenti: 1. diocesi di Pechino comprendente l'intera provincia del Chih-li e in più la Mongolia e la Manciuria; 2. diocesi di Nanchino, che oltre il Kiang-han (Kiang-su e An-hwei) abbracciava anche il Ho-nan; 3. il vicariato apostolico occidentale, comprendente le provincie dello Sze-ch'wan, del Kwei-chow e dello Yün-nan; 4. il vicariato apostolico meridionale, esteso alle due provincie del Kwang-tung e del Kwang-si; 5. il vicariato apostolico orientale, comprendente le provincie del Fukien, del Che-kiang e del Kiang-si; 6. il vicariato apostolico settentrionale, che comprendeva le provincie dello Shan-si, dello Shen-si, del Kan-su, dello Shan-tung e la proviricia centrale del Hu-kwang, ossia del Hu-pe e del Hu-nan.

Le due diocesi erano affidate ai padri della Missione che, al momento della soppressione della compagnia di Gesù, erano stati incaricati di continuarne l'opera; il vicariato settentrionale restò affidato ai padri francescani; il vicariato orientale ai padri domenicani e i due vicariati occidentale e meridionale ai preti delle Missioni estere di Parigi.

Se tale fu il punto di partenza del movimento missionario moderno della Cina, la via percorsa in un secolo fu ben lunga e gloriosa. Con l'accrescersi dei mezzi materiali si venne sviluppando la organizzazione delle circoscrizioni ecclesiastiche, e ai molti che affluirono colà per dedicarsi all'evangelizzazione, fu assegnato un campo dove esplicare la propria attività. Oggi gli ordini e le congregazioni a cui è affidato un territorio proprio da evangelizzare sono 27. Ad essi poi si aggiunge il clero indigeno, a cui sono state affidate ben 13 delle 98 circoscrizioni ecclesiastiche.

Date le condizioni politiche della Cina, le statistiche sono tuttora approssimative. Diamo nel quadro a pag. 302 la divisione in 18 regioni ecclesiastiche e le loro circoscrizioni nell'attuale Repubblica cinese (v. anche carta a p. 286).

Come si vede, quanto a numero la popolazione cattolica non la si può dire cresciuta secondo i desiderî, né che abbia corrisposto all'immane sforzo compiuto con un aumento anche solo proporzionale all'aumento delle circoscrizioni ecclesiastiche. Secondo i dati del padre R. Joüon (Géographie de la Chine, 2ª ed., 1930), da cui abbiamo tolto gli elementi per il prospetto precedente, i cattolici ammonterebbero a 2.486.841: cifra rispettabile, se non rappresentasse il frutto delle fatiche sostenute e del sangue versato da tanti apostoli, durante un periodo di diversi secoli, in mezzo a una popolazione di più che quattrocento dieci milioni.

Anche il protestantesimo, che iniziò la sua attività in Cina con l'arrivo di Robert Morrison nel 1807, non ha da registrare straordinarî successi. Nonostante gli sforzi di 138 società, che hanno inviato colà uomini e mezzi in quantità considerevole, non si è riusciti a oltrepassare che di poco il mezzo milione di battezzati (536.597, secondo il World Missionary Atlas, New York 1925).

Tra le altre società, le Chiese Anglicana e Episcopale Americana hanno colà organizzato le 11 diocesi seguenti, alle quali appartengono 53.381 aderenti: 1. Che-kiang (Cina centrale); 2. Fukien; 3. Ho-nan; 4. Kwang-si e Hu-nan a sud del 28° di lat.; 5. Cina settentrionale; 6. Shan-tung; 7. Victoria (Hong-kong); 8. Cina occidentale; 9, Shanghai; 10. An-king e 11. Han-k'ow.

Bibl.: Missiones Catholicae cura S. Congreg. de Propaganda Fide descriptae. Statistica, Roma 1930.

Lingua.

Trascrizione in caratteri latini; pronuncia, toni, accenti. - La lingua cinese, studiata per la prima volta dal padre Matteo Ricci e dai suoi discepoli, ebbe durante il sec. XVII una trascrizione basata sulla fonetica portoghese e costituita logicamente, adoperando una sola lettera per i suoni semplici: p. es. xan = ingl. shan = ital. scian "monte"; cham = ingl. shang = ital. sciang "sopra"; cha = ingl. cha = ital. cia "tè". I gesuiti francesi del sec. XVIII alterarono questa trascrizione per avvicinarsi alla trascrizione fonetica della loro lingua; scrissero quindi chan invece di xan; tcha invece di cha; chang invece di cham. Nel sec. XIX con l'iniziarsi degli studî filologici presso gl'Inglesi (R. Morrison, 1807), fu introdotta dapprima una trascrizione puramente inglese, p. es. foo = ital. fu = fr. fou "padre". Gli equivoci prodotti dalla notazione inglese delle vocali condussero a sistemi più semplici, che si possono descrivere con la formula un po' vaga: valore delle consonanti secondo la fonetica inglese e vocali italiane. Di fatto, sono oggi in uso presso gl'Inglesi parecchi sistemi, le differenze dei quali provengono spesso dal tentativo di rappresentare le pronuncie dialettali e locali. Le trascrizioni oggi in uso in Europa, che devono essere conosciute non soltanto dagli studiosi di linguistica, ma altresì, per quanto è possibile, dai geografi, dai giornalisti e dalle persone colte che vogliono seguire le cose cinesi, sono le seguenti:

1. Sistema inglese scientifico, dovuto a T. Wade (figurazione del dialetto di Pechino, con vocali italiane e consonanti inglesi), adottato in Inghilterra, in America (con alcune varianti), in Germania (specialmente nei lavori scientifici e geografici), ecc.

2. Sistema inglese misto, adoperato dalle dogane e dalle poste cinesi, abbastanza simile al precedente; da cui differisce specialmente nella rappresentazione dei dittonghi ou, ua, scritti invece ow, wa, ecc. Questo sistema è adoperato dalle poste cinesi ed europee, dall'Atlante internazionale del Touring e in molte pubblicazioni ufficiali.

3. Sistemi dei missionarî protestanti inglesi e americani, varianti dei due precedenti, adoperati in molti dizionarî, grammatiche, giornali e periodici, ecc., e da un certo numero di Cinesi di cultura inglese.

4. Sistema francese, dei missionarî gesuiti di Zi-ka-wei. È il sistema adoperato, con qualche variante, dai missionarî cattolici francesi, nel Cursus Litteraturae Sinicae del padre A. Zottoli, nei classici cinesi del padre Couvreur, ecc.

5. Altri sistemi di tipo francese dei missionarî cattolici. Notevole tra gli altri quello del padre Wieger, che riproduce la pronuncia dialettale della sua residenza (Ho-kien fu).

6. Sistema tedesco, adoperato nell'Atlante Stieler, in pubblicazioni ufficiali tedesche e anche in alcune pubblicazioni scientifiche. Adopera pure le vocali italiane, ma scrive p. es. tscha = ingl. cha = ital. cia; schan = ingl. shan = ital. scian, ecc.

7. Sistema fonetico-scientifico, adoperato da B. Karlgren, che è un adattamento al cinese delle trascrizioni fonetiche più esatte adoperate dai glottologi.

Nelle pubblicazioni moderne sono oggi contemporaneamente adoperati, con diverse varianti, tutti questi sistemi; dei più importanti dizionarî usuali, quello del Couvreur, cinese-francese e cinese-latino, adopera il sistema 4°; quello del Giles, cinese-inglese, il 1°; quello del W. Williams, il 2°, ecc.

In Italia il padre Daniello Bartoli italianizzò coerentemente la fonetica dei primi gesuiti, ma non fu seguito; nel sec. XIX i sinologi Severini, Puini, Valenziani, Nocentini, esitarono e cambiarono più volte sistema di trascrizione. Nel Boll. della. Soc. Geogr. Ital., 1905, pp. 627-629, furono proposti due sistemi, che però non ebbero seguito. Prevale ora l'uso di adoperare il sistema delle poste (2°) per la trascrizione dei nomi geografici, per ovvie ragioni, e il sistema Wade per gli usi scientifici. I missionarî cattolici italiani oscillano, adoperando varie trascrizioni. Nel primo dizionario italiano-cinese di mons. Landi, Zi-ka-wei 1920, per esprimere la pronuncia usata nel Hu-pe è adoperato un sistema misto franco-inglese: p. es. hsia = fr. hia "sotto"; hua = fr. hoa "fiore"; tciung = fr. tchoung = ingl. chung "mezzo". È un compromesso per facilitare ai missionarî l'uso dell'opera dello Zottoli e del Couvreur, e le varie ortografie di tipo inglese, in uso in Cina.

Nei volumi di quest'Enciclopedia è adoperato il sistema delle poste e dell'Atlante del Touring per i nomi geografici, quello Wade in tutto il resto, conservando però in alcuni nomi storici antichi la distinzione fra ts e ch, confusa nel dialetto di Pechino. Naturalmente sono rispettate le grafie dei nomi cinesi entrati nell'uso, anche se irrazionali, p. es. Cina, Pechino. Gli studiosi si ribellano alla scrittura Sciangai, che comincia a comparire su alcuni giornali italiani, osservando che il g sta soltanto a rappresentare il suono nasale dell'n precedente, e il secondo h, di hai, va pronunciato come un h aspirato e perciò, mentre l'Enciclopedia scrive Shanghai, sarebbe lecita una rappresentazione italiana Sciang-hai, ma non mai Sciangai. È equivoco nella trascrizione italiana l'i della prima sillaba, poiché nella pronuncia cinese esso non si sente affatto, come non si sente nella buona pronuncia toscana; ma in altri casi i Cinesi distinguono nettamente le due sillabe chiang e chang, facendo sentire l'i nella prima, distinzioni che la grafia italiana non può rappresentare.

Queste difficoltà europee corrispondono a difficoltà analoghe contro cui stanno lottando i Cinesi di oggi. La Cina ha un sistema di dialetti le cui differenze e sfumature, eccetto che nel SE., non superano quelle dei dialetti italiani. La lingua corrente, detta comunemente mandarino, ha due forme principali, il dialetto di Pechino e quello di Nanchino. I Francesi, eredi dell'opera dei gesuiti, seguono il secondo; gl'Inglesi, col sistema Wade, seguono il primo, confondendo chin e tsin in un unico chin, hing e sing in un unico hsing. I sinologi americani e tedeschi (Hirth), pure accettando nel complesso il sistema Wade, conservano le distinzioni del dialetto di Nanchino.

Il cinese è monosillabico, però i monosillabi sono specialmente nella lingua parlata, e spesso anche in quella scritta, riuniti in bisillabi, formando parole composte, aventi un senso determinato, indicato vagamente dai componenti; p. es. mu-chiang "falegname", da mu "legno" e chiang "artigiano". Nell'Enciclopedia, seguendo l'uso scientifico, si pone il tratto d'unione tra due monosillabi quando formano una nuova parola composta ben determinata, come accade, p. es., nei nomi di città, di persone, di fiumi, di monti, ecc., lasciando invece staccati i monosillabi quando conservano il senso loro proprio. Perciò Yang-tze kiang = il fiume (kiang) Yang-tze e non è quindi da scrivere Yang-tze-kiang; Si-an fu la città (fu) che è chiamata Si-an "pace occidentale", e non va quindi scritto Si-an-fu.

Le parole della lingua cinese, come quelle delle lingue imparentate, siamese, birmano, ecc., hanno delle modulazioni caratteristiche chiamate toni. Questi, che sono quattro in Pechino, cinque a Nanchino, otto nel sud della Cina, corrispondevano originariamente a variazioni di senso, da nome a verbo, ecc. Questa varietà di accento corrispondeva a fenomeni analoghi delle lingue classiche, specialmente del greco. Noi li trascuriamo nelle trascrizioni, sebbene il non tenerne conto possa produrre equivoci; maggiore importanza del tono, per l'intelligenza d'una frase, ha l'accento di senso, che cade sul monosillabo più importante. I toni nelle parole bisillabe, si sentono soltanto nella sillaba su cui cade l'accento. I Giapponesi e anche in parte i Cinesi delle provincie dell'ovest, i Mongoli, sbagliano spesso i toni, avendo difficoltà a percepirli. Un piccolo artificio per chi comincia a parlare cinese è quello di parlare a voce piuttosto bassa, nel qual caso i toni non si sentono affatto e generalmente si è capiti lo stesso. L'eccessiva importanza data ai toni dai vecchi missionarî i quali vivevano a corte, corrisponde piuttosto al desiderio di evitare l'effetto sgradevole che una cattiva pronuncia produceva alla capitale, che non alla difficoltà di farsi capire.

Il governo nazionalista cinese cerca di ottenere una pronuncia possibilmente uniforme della lingua comune, contentandosi per necessità, d'avere una pronuncia uniforme in tutta la Cina, vicina per quanto è possibile al dialetto di Pechino, e cerca di far sparire l'uso, invalso nella vecchia Cina, di conservare anche nello studio dei classici le pronunce dialettali locali.

L'importanza dei toni è piuttosto linguistica; ma chi comincia a studiare il cinese e non ha modo di ascoltare un maestro indigeno di buona pronuncia, può tranquillamente trascurarne lo studio, come facevano i sinologi europei del sec. XIX. È soltanto perduta, in tal caso, la sottile armonia della poesia e della prosa ritmica cinese, la quale consiste in una successione variata, in modo determinato, dei toni.

Una rappresentazione, assai imperfetta, è la seguente: La sillaba italiana , può essere pronunciata in quattro modi: 1 in modo semplice e piano: (tono piano); 2. in forma di domanda: (tono ascendente); 3. in forma dubitativa, esitante: ... (tono discendente); 4. in forma secca e risoluta: sì! (tono cadente). Così chu "porco"; chu? "bambù"; chu... "signore"; chu! "abitare".

Origini della lingua cinese. - Mentre è certo che il cinese forma col siamese, col tibetano e col birmano un gruppo ben determinato, non possiamo precisare le loro parentele. Sono appena delineati un gruppo tibeto-birmano e un gruppo cinesesiamese (sino-thai). Non abbiamo elementi per fissare un'epoca della separazione di questi gruppi da un'origine comune, probabilmente qualche millennio a. C. Ancora più incerte sono le relazioni con gli altri gruppi linguistici. Possiamo soltanto esser certi che sono prive di ogni fondamento le teorie di Richthofen, Terrien de la Couperie, Ball ed altri, che hanno cercato affinità tra Cinesi e Sumeri. Il cinese arcaico molto probabilmente non era monosillabico. B. Karlgren ha rilevato che i pronomi di prima e seconda persona avevano negli scrittori più antichi forme diverse, corrispondenti al caso retto e a quello obliquo.

I monosillabi cinesi non hanno conservato che una consonante semplice come iniziale (possono considerarsi come semplici le iniziali ts, ch) una vocale, o un dittongo, e una finale che poteva soltanto essere p, t, k, m, n, ng. Le prime tre finali sono scomparse nella maggior parte dei dialetti, sono rimaste soltanto in alcuni dialetti del sud. La parentela con le lingue thai (siamesi) è sicura quando si consideri la frequenza degli aggruppamenti delle vocali in dittonghi e in trittonghi e soprattutto il sistema dei toni che sussiste, in parte, nelle lingue moderne. Il principio fondamentale dei toni che si verifica nel cinese antico, in thai, in tibeto-birmano, è questo: una sillaba che comincia con una consonante sorda è pronunciata con un tono più elevato che non una sillaba cominciante con una sonora. Sono anche comuni a questi gruppi linguistici molti nomi e verbi usuali e i nomi dei numeri. Però non è stata ancora fissata in modo sicuro la genealogia di queste lingue.

Scrittura. - Secondo le leggende cinesi, nello stabilire un patto o un contratto si adoperavano anticamente cordicelle annodate in vario modo; più tardi s'inventarono segni imitati da oggetti naturali o, seeondo altra leggenda, dalle impronte dei piedi che gli animali lasciano sul suolo. In realtà, al principio del primo millennio a. C. la scrittura cinese è già formata e ne abbiamo sicuri monumenti: ci sfugge però ancora la sua origine che potrà esser soltanto determinata dallo studio accurato delle più antiche iscrizioni (v. epigrafia) che gli archeologi vanno raccogliendo.

La scrittura cinese è ideografica. Rassomiglia quindi vagamente alle scritture ideografiche di altri popoli antichi, p. es. i Babilonesi e gli Egiziani, ma ne differisce profondamente, perché questi popoli fecero un uso relativamente limitato d'ideogrammi, non avendone avuto, sì l'uno che l'altro, più d'un migliaio circa. L'uno e l'altro popolo completarono la loro scrittura con segni fonetici, o ideografici con valore fonetico, precorrendo quindi le scritture sillabiche e alfabetiche, le quali finirono per apparire dapprima indispensabile ausiliario, e infine una più semplice ed agile espressione della parola.

I Cinesi già verso la metà del 1° millennio a. C. avevano aggiunto a un nucleo primitivo d'ideogrammi, più migliaia di segni parimenti ideografici, conservanti cioè una loro individualità e un senso indipendente, come le parole isolate delle nostre lingue moderne, suscettibili soltanto di ricevere un senso più preciso e determinato dalla combinazione in frasi e periodi.

I lessicografi hanno diviso in sei classi gl'ideogrammi cinesi:

I. Simboli rappresentanti oggetti o cose. Esempî:

II. Rappresentazione d'idee astratte suggerite dal segno; p. es.: i "uno"; erh "due"; san "tre"; shang "sopra"; hsia "sotto"

III. Ovvero idee astratte suggerite dall'oggetto rappresentato; per esempio: kao "alto", raffigurato da una torre; hsing "andare", raffigurato dalle impronte di passi; pe "nord" suggerito da due uomini che si voltano le spalle, quindi "dietro", rispetto a chi guardi il sud preso come punto di riferimento, ecc.;

IV. Omofoni; p. es. lai "venire" raffigurato da un simbolo lai "grano"; wan "diecimila" figura d'uno scorpione che si pronuncia parimenti wan.

V. Segni composti di un'idea astratta che sorge dalla combinazione di due simboli semplici, p. es.: ming "luce", rappresentata per mezzo del sole e della luna; hao "buono", rappresentato da donna e figlio; yu "amico", rappresentato da due mani che si stringono; szŭ "pensare", rappresentato da un cuore e da un campo; mei "bello", rappresentato dai caratteri "grande" e "capra", ecc.

VI. Nelle categorie precedenti non sono compresi che un migliaio di caratteri. I nove decimi almeno dei caratteri rimanenti sono stati creati con un metodo fonetico, aggiungendo cioè ad un monosillabo omofono (parte fonetica) un determinativo ideografico (classifica, radicale, radice) che indica la categoria generale a cui appartiene la parola; p. es.: ts'un "pollice", dà origine a ts'un "villaggio", con l'aggiunta a sinistra della classifica "legno", a ts'un "meditare", con l'aggiunta a sinistra della classifica "cuore"; fan "rovesciare", dà origine ai caratteri fan "grano cotto, alimento", con l'aggiunta della classifica 184 "mangiare", fan "ritornare", con la classifica 162 "andare"; ma "cavallo" dà origine a ma "agata", con la classifica "giada"; ma "formica", con la classifica "insetto". I dizionarî cinesi sono comunemente ordinati secondo 214 classifiche:

I segni appartenenti ad ogni classifica sono ordinati secondo il numero dei tratti formanti la parte aggiunta alla classifica, che si chiama fonetica, perché nella maggior parte dei casi rappresenta il suono del carattere.

In tal modo i Cinesi, pur disponendo di poche centinaia di monosillabi, sia pure moltiplicati a poco più d'un migliaio per mezzo dei toni, hanno creato un dizionario di oltre 40.000 segni. La maggior parte di questi però, come accade per le parole registrate dalla Crusca, sono fuori uso. Le parole dell'uso comune non sono più di tre o quattro mila; quelle in uso nella prosa letteraria corrente (giornali, riviste, romanzi, scritti politici, opere scolastiche, ecc.) non sono più di circa 9.000. Gli altri 30.000 sono forme disusate, che si trovano soltanto, e raramente, in opere antiche.

Grammatica e sintassi. - Il cinese è una lingua a costruzione fissa; cioè le parole hanno nella frase un posto determinato che ne fissa il senso e la relazione con le altre.

Le parole cinesi non hanno inflessione, cioè sono prive di modificazioni, affissi e suffissi, che, p. es. nel latino, dànno le varie forme dei nomi e dei verbi. Suppliscono alle flessioni con l'uso di parole il cui senso originale si è attenuato e che corrispondono alle nostre particelle ausiliari. Di esse però fanno un uso assai limitato, lasciando alle parole un senso indeterminato quando il significato preciso di esse risulta dal contesto del discorso. Per es.: (1) yu-jen tsai menwai, letteralmente: "aver-uomo stare porta-fuori", si può tradurre: "c'è un uomo fuori della porta", oppure: "vi sono persone fuori della porta". Le parole composte sono numerose, come nelle nostre lingue; sono di solito bisillabe, ed ognuno dei monosillabi conserva la sua fisionomia indipendente; p. es. (2) shan-shui, il paesaggio (shan "monti", shui "acqua"); (3) shui-shou, il marinaio (shui "acqua", shou "mano"); (4) shui-yin, mercurio (shui "acqua",yin "argento"). I tempi dei verbi si indicano quando occorre con particelle ausiliari: p. es. yao "dovere" per indicare il futuro indefinito: (5) yao ssŭ morirà (è probabile che muoia); ovvero pi "occorrere, dovere"; p. es. (6) pi-hsia ta-- certamente cadrà una forte pioggia (hsia "sotto", "scendere" ta "grande", "pioggia"); (7) yu senp pi yu ssŭ "chi è nato morirà" (seng "nascere, vita"; letteralmente: aver vita, necessario aver morte); (8) shu pu chin yen, yen pu chin i "i libri non esauriscono le parole, le parole non esauriscono il pensiero".

Le più importanti regole della grammatica e della sintassi cinese sono state così brevemente riassunte da Abel Rémusat: "In ogni frase gli elementi sono disposti in quest'ordine: soggetto, verbo, complemento diretto, complemento indiretto; le espressioni modificative precedono quelle alle quali esse si applicano: così l'aggettivo precede il sostantivo, soggetto o complemento; il sostantivo prima della parola che lo regge; l'avverbio prima del verbo; la proposizione incidente, circostanziale, ipotetica, prima della proposizione principale alla quale è unita da un aggettivo congintivo, o da una congiunzione espressa o sottintesa. La posizione relativa delle parole e delle frasi, determinata in questo modo, supplisce spesso a qualunque particella che avesse per scopo d'indicare la loro dipendenza mutua, la loro natura aggettivale o avverbiale, positiva o condizionale, ecc. Se il soggetto è sottinteso, esso è un pronome personale, ovvero è stato enunciato precedentemente, e lo stesso sostantivo, se è omesso, si trova nella frase precedente, sempre come soggetto e non altrimenti. Se il verbo manca, o è il verbo sostantivo od altro verbo facile a scoprire, o che già è stato adoperato nelle frasi precedenti con un soggetto ed un complemento diversi. Se molti soggetti si seguono, essi sono in costruzione l'un dell'altro, ovvero formano un'enumerazione, ovvero infine sono sinonimi che si spiegano e si determinano gli uni con gli altri. Se si trovano molti verbi di seguito, che non siano sinonimi, né adoperati come ausiliari, i primi devono essere presi come avverbî, ovvero come nomi verbali, soggetto di quelli che seguono, ovvero questi come nomi verbali, complementi di quelli che precedono".

Anche da queste brevi nozioni risulta chiaro che le categorie grammaticali delle lingue europee non trovano un'esatta corrispondenza nel cinese, senza che però si possa dire che le frasi cinesi siano nel loro complesso meno precise o meno chiare delle nostre. Soltanto sono necessariamente artificiose le grammatiche che cercano di ridurre il cinese ai nostri schemi. Come ben vide il P. Prémare e come riuscirono a vedere gli studiosi cinesi nei secoli XVII e XVIII, un'analisi completa della lingua cinese si può fare soltanto facendo uno studio monografico delle particelle ausiliari e dei loro usi, rassomigliando così a quegli studi della sintassi latina e greca (il P. Prémare aveva come modello il Tursellini) che sono indispensabili per chi voglia scrivere una lingua classica con precisione ed eleganza. Lo studio della lingua cinese non può farsi meglio che analizzando con precisione e con pazienza un certo numero di frasi di scrittori classici. Sono questi i modelli che gli scrittori cinesi hanno costantemente preso nella formazione di nuove frasi e nell'espressione di nuovi pensieri. Questo procedimento è tanto rigoroso, che, per un abile letterato, la punteggiatura è inutile. Occorre però aggiungere che a facilitarla, come pure a rendere intelligibili e chiare le frasi cinesi, bisogna far attenzione al ritmo, strumento indispensabile per rendere armonioso e cadenzato il discorso. Il ritmo ordinario è di quattro sillabe. In molti romanzi, in molte traduzioni di libri buddhisti, i quadrisillabi si succedono ininterrotti per pagine intiere, facendo credere a qualche sinologo del secolo scorso, che fossero scritti in versi. Non necessariamente ogni frase ha quattro sillabe; spesso ne può avere un numero diverso, tre, cinque o sei e così via, ma la frase di quattro sillabe è l'ideale. C'è un genere di stile letterario classico che si chiama quattro-sei, appunto perché composto di frasi di quattro o di sei sillabe. È anche da osservare che le particelle ausiliari non sono sempre adoperate per determinare maggiormente il senso, ma soltanto per ragioni eufoniche e per condurre le frasi ad una lunghezza conveniente. A questo ritmo delle frasi fa riscontro, come in altre lingue di tipo diverso, la legge del parallelismo, per cui ad una frase ne succede spesso una contrapposta di uguale struttura e corrispondente alla prima quasi parola per parola, così che il senso d'una frase determina, chiarisce e pone in rilievo il senso dell'altra. Questa ricerca di frasi parallele è uno dei più frequenti esercizî delle scuole cinesi, che abituano gli scolari a cercar forme precise dell'espressione del pensiero.

Bibl.: Sulla lingua cinese: B. Karlgren, Sound and Symbol in Chinese, Oxford 1923, breve esposizione sintetica della lingua cinese. Altri studî sulla storia della lingua: B. Kalgren, Études sur la phonologie chinoise, Stoccolma 1915-19; id., Analytical Dictionary of Chinese, Parigi 1927; H. Maspero, Le dialecte de Tch'ang-ngan sous les T'ang, in Bull. de l'Éc. fr. d'Extr. Or., 1920; J. Przyluski, Le sino-tibétain, in A. Meillet, Les langues du monde, Parigi 1924, pp. 361-384. Numerosi scritti di A. Conrady, bibliogr. in T'oung Pao, 1925-26, p. 131. Sulla storia della scrittura cinese numerosi studî di L.C. Hopkins nel Journal of the Royal As Soc., 1913-1930.

Comodi i lessici del P. L. Wieger, Caractères chinois, 4ª ed., Hien-hien 1924, fondato in gran parte sul dizionario ancor oggi importante di J. M. Calleri, Systema phoneticum scripturae sinicae, Macao 1841. Fondamentale l'opera di Hsu Shên (morto nel 120 d. C.): Shuo wen, un dizionario di circa 10.000 caratteri cinesi di cui dà le forme più antiche. Una grande opera epigrafica voluminosa è l'opera (in giapponese) di Takata Tadasuke, Kou chou p'ien, Tōkyō 1925, di cui si ha un'analisi di H. Maspero, in Journ. Asiat., 1927, p. 127.

Grammatiche cinesi: è ancora importante, prolissa, ma piena di materiale, J. Prémare, Notitia linguae sinicae, Malacca 1831, rist. Hong-kong 1893, della quale A. Rémusat, ha fatto un rapido ed elegante riassunto, utile per i rincipianti, nella sua Grammaire chinoise, Parigi 1822; S. Julien, Syntaxe nouvelle de la langue chinoise, Parigi 1869-1970; H. Hirth, Notes on Chinese documentary Style, 2ª edizione, Shanghai 1909; utile l'opuscolo di L. Wieger, Chinois écrit, 3ª ed., 1922.

Per l'apprendimento della lingua: A. Zottoli, Cursus litteraturae sinicae, Shanghai 1878-85, in 5 voll., opera che dà col testo a fronte una traduzione letterale di parecchie migliaia di pagine di tutti i tempi e di vario stile. Per scopi pratici, per apprendere la lingua parlata, è comodo il Kuan-hua chih-nan, manuale di conversazione della lingua parlata a Pechino, di cui si hanno una traduzione inglese di L. C. Hopkins, Shanghai 1900, ed una francese di H. Boucher, La boussole du langage mandarin, Shanghai 1896. Per lo studio delle altre forme della lingua parlata comune (Nanchino, Cina centrale, ecc.), C. W. Mateer, A Course of Mandarin Lesson based on Idiom, 2ª ed., Shanghai 1922; M. Courant, La langue chinoise parlée, grammaire du Kwan-hwa septentrional, Parigi 1914, ecc.

Dizionarî: H. A. Giles, A Chinese-English Dictionary, 2ª ed., Londra 1909; S. Couvreur, Diction. classique chinois-français, 2ª ed., Ho-kien fu 1904; S. Wells Williams, A Syllabic Dictionary of the Chinese Language, Shanghai 1909; più comodi di questi grandi dizionarî, giovano per l'uso comune: S. Couvreur, Dict. Sinicum et Latinum, 2ª ed., Ho-kien fu 1909; id., Petit dict. chinois-français, Ho-kien fu 1904. Numerosi i dizionarî dialettali. Importante quello di Eitel-Genähr, Chinese-English Dict. in Cantonese Dialect, Londra 1903, ecc.

Per scopi pratici sono utili i piccoli dizionarî dialettali. Importante quello di Eitel-Genähr, Chinese-English Dict. in Cantonese Dialect, Londra 1903, ecc.

Per scopi pratici sono utili i piccoli dizionarî: mons. F. Landi, Piccolo dizionario italiano-cinese, Shanghai 1920; A. Debesse, Petit dictionnaire chinois-français et français-chinois, 3ª ed., Shanghai 1924. Per la lingua moderna sono assai utili i dizionarî compilati dai cinesi, p. es.: An English and Chinese Standard dictionary, Shanghai 1908, ecc.

Sono pure assai utili, spesso indispensabili, i dizionarî ad uso dei Cinesi stessi. Oltre a quelli ordinati secondo le 214 classifiche, il più comodo dei quali è ancora il k'ang-hsi tzu-tien, pubblicato nel 1716 con prefazione dell'imperatore K'ang-hsi, di cui si trovano in commercio infinite edizioni economiche, hanno pure grande importanza i rimarî, ordinati secondo un sistema di 106 rime suddivise in cinque toni. Il più ricco di essi, il Pei-wen yün fu, pubblicato per la prima volta nel 1711 in 110 grossi volumi, e poi più volte ristampato, offre uno dei più ricchi spogli della letteratura cinese, ed è un prezioso aiuto per i sinologi europei.

Letteratura.

La letteratura cinese comincia con la dinastia Chou. I documenti più antichi sono brevi iscrizioni religiose o dedicatorie su vasi di bronzo, per il culto degli antenati. Eccone un esempio, che risale probabilmente al sec. IX a. C. e forse prima:

"Nel nono mese, a luna piena, nel giorno chia-hsü (del ciclo di 60 giorni), il re venne nel tempio degli antenati dei Chou a compiere il sacrificio, nella sala ove si conservano i disegni usciti dal fiume. Il Gran Direttore Nan Chung alla sua destra, con Wu Chuan entrò nella porta e stette nel centro della sala. Il re chiamò l'annalista Yü dicendogli di scrivere: nell'adempimento delle tue funzioni, Wu Chuan, hai giovato al re; ti dò l'abito nero, la cintura con fibbie, col nastro di seta, la lancia, l'alabarda cesellata, le ginocchiere bianche, un fascio di frecce, le briglie e lo stendardo con sonagli. Io, wu Chuan, oso, in risposta, lodare la gloria e i benefici del Figlio del Cielo. Ho fatto questo vaso perché serva ai sacrifici offerti al mio maestoso padre defunto. Possa io ottenere lunga vita e possano per diecimila anni i miei figli e nipoti eternamente e preziosamente adoperarlo".

Sono famosi in Pechino dieci grandi tamburi di pietra, forse del sec. VIII a. C., contenenti la descrizione in versi di cacce reali. Ecco p. es. la prima di queste iscrizioni:

"I nostri carri erano forti e i nostri destrieri veloci. Buoni i carri, alti e lucidi i destrieri. Una folla di nobili con una nuvola di stendardi ondeggianti; cervi e cerve balzavano e i nobili li incalzavano; le corde dei neri archi risonavano, gli archi pronti all'uso. Li inseguimmo oltre le colline, nel tumulto dei carri veloci. Cervi e cerve fuggirono nella pianura e nella foresta e noi li inseguimmo uno dopo l'altro, saettando contemporaneamente i cinghiali".

Le odi più antiche sono inni cantati per accompagnare le danze la musica, nelle feste solenni a corte. Presto la poesia serve ad esprimere i sentimenti del popolo: satire contro i nemici e i calunniatori, canti d'amore, lamenti di soldati, gemiti di vedove. Eccone un esempio tolto dal Libro delle Odi (Shih king):

Fuori porta. - Fuor della porta d'oriente - le fanciulle sono come una nube: - quantunque sembrino una nube - non penso a nessuna. - Veste bianca e berretto grigio - ecco ciò che mi allieta. - Fuor del bastione della porta - le fanciulle sembrano fiori bianchi: - ma quantunque sembrino fiori bianchi - non penso a nessuna. - Veste bianca e berretto rosso - ecco ciò che mi incanta".

La prosa degli scribi registra atti ufficiali, descrive riti, cerimonie. Lo scriba compone discorsi che attribuisce al re e ai ministri, illustrando una dottrina politica, una teoria della monarchia. La raccolta intitolata Shu king, che la tradizione attribuisce a Confucio (v.), per quanto rimaneggiata e rifatta nei secoli successivi, ci fa vivere alcuni momenti della vita dei Chou.

La storia nasce in pari tempo dalle secche cronache ufficiali degli annali, poco più che elenchi di nomi e di date. Più interessanti e più vivi sono i commenti agli annali, narrazioni vivaci, concise e spesso rappresentazioni immediate degli avvenimenti che ci fanno vedere in azione la vita feudale, le sue credenze, gli atti di eroismo, di crudeltà.

Abbiamo visto parlando della filosofia e della religione lo svolgersi della prosa cinese durante la dinastia Chou. Conviene però osservare che questa prosa ha un valore letterario veramente grande, raggiungendo spesso con Mencio e più con Chuang-tzŭ forme perfette. L'ammirazione dei sinologi europei per questa espressione artistica dal primo che l'ha descritta, il P. Prémare, ai nostri giorni, è rimasta costante.

Durante la dinastia Han lo storico Ssŭ-ma Ts'ien (163-85 a. C.); è il creatore della storia. La sua prosa concisa, rapida, efficace lo pone tra i più grandi scrittori stilisti. Così egli chiude un lungo capitolo delle sue Memorie storiche, dedicato alla biografia di Confucio:

"Il Libro dei versi dice:" Occcorre contemplare il monte eccelso, occorre percorrere la via regia"; cioè, se anche non si giunge alla meta, l'animo tende ad essa. Così io, dopo aver letto i libri di Confucio, vidi nella mia mente qual uomo egli era. Giunto nel regno di Lu, contemplando il tempio di Confucio, il suo carro, le sue vesti, i suoi vasi rituali, i discepoli che assiduamente studiano i riti nella sua casa divenuta scuola, ero trattenuto colà dall'anima mia e non potevo allontanarmi. Molti sono stati i re e i principi, molti gli uomini dotti; finché son vivi sono onorati, ma defunti son dimenticati. Confucio (uomo del popolo), vestito di tela, trasmise la dottrina a dieci generazioni. Gli studiosi lo onorano; l'imperatore, i re, i principi, tutti coloro che studiano i classici prendono il maestro a modello; può veramente dirsi sommamente santo".

Dalle forme popolari delle canzoni e dagl'inni solenni cantati a corte nelle cerimonie della dinastia Chou si erano già elevati a forme più artistiche i poeti dello stato di Ch'u, tra cui emergono Ch'ü Yüan (v.), del sec. IV a. C., col suo Li-sao, e suo nipote Sung Yü; ma soltanto con Ssŭ-ma Hsiang-ju (morto nel 126 a. C.) per la prima volta il poeta sente l'indipendenza della sua arte. I versi di cinque e di sette sillabe dànno alla poesia un ritmo più vario del verso quadrisillabo degli antichi poeti. Una delle più belle poesie di tutta la letteratura cinese è quella della poetessa Ts'ai Yen (200 d. C.), la quale, rapita dagli Unni e liberata dopo dodici anni, si lamenta di aver perduto i suoi due figli, "i due piccoli Unni". Le tre strofe seguenti di Ts'ao Chih (192-232 d. C.), figlio dell'imperatore Ts'ao Ts'ao, dànno un'idea della malinconica poesia di questo periodo:

"Se gli alti alberi son tormentati dal vento, - L'acqua del mare gode, se il vento agita le onde. - Se la spada affilata non è impugnata, - che importa avere stretto legami d'amicizia?

Poco vede nella siepe il passero. - Vede il falco e si getta nella rete. Chi ha teso la rete, vede il passero e gode. - Ma il bimbo compiange il passero.

Taglia con la spada la rete. - E il passero vola, vola. - Vola, vola nell'azzurro cielo, - poi scende e ringrazia il bimbo".

Durante le dinastie minori (secoli III-VII d. C.) assume una forma di prosa letteraria perfetta un componimento che può chiamarsi saggio. I letterati cinesi li hanno classificati in generi, distinguendoli in elogi, prefazioni, biografie, ecc. Sono componimenti compiuti in sé, aventi una loro intima armonia, e che possono paragonarsi agli Essays di Bacone e dei suoi continuatori o, ancor più, all'Elogio degli uccelli e al Cantico del gallo silvestre di Leopardi.

Tra gli scrittori di questo periodo emerge Tao Ch'ien (365-427) Ecco uno dei suoi brevi componimenti:

Biografia del maestro dei cinque salici. - Il maestro non si sa di che paese fosse, né ci è stato ricordato il suo cognome o il suo nome. Accanto alla casa aveva cinque alberi di salice: di qui il suo soprannome. Contento, tranquillo, di poche parole, non bramava gloria o guadagno. Amava leggere libri, ma non cercava troppo i commenti. Ma appena aveva afferrato il senso (di qualche passo oscuro) ne provava tale gioia da dimenticare il cibo. Era per natura inclinato al vino, ma, povero di famiglia, non poteva spesso procurarselo. I parenti sapevano che egli era fatto così, e di tanto in tanto, preparato del vino, lo invitavano. Appena giunto, beveva subito fino all'ultimo, desiderando diventare proprio ebbro. Quando era ebbro tornava a casa, né provava sentimento di vergogna di averli lasciati. Il muro di cinta (della sua casa) era basso e non riparava il vento o il sole. vestiva abito corto, di stoffa grossolana. Se il suo cesto (per il cibo), la sua scodella erano spesso vuoti, era contento così. Ordinariamente scriveva per suo intimo piacere. Obbediva soltanto al suo genio e dimenticava ogni idea di successo e di insuccesso. E così finì".

Elogio. - Disse il filosofo Ch'ien Lou (sec. V a. C.): "non rattristarti di esser povero e umile, non affannarti per ricchezze ed onori". Queste parole non si riferiscono ad uomini di questa specie, i quali pensano a tener in mano la coppa o a scriver versi per soddisfare il proprio genio, senza occuparsi delle folle che li circondano, ma avvicinandosi ai loro compagni cari al cielo?"

L'apogeo della poesia cinese si ha durante la dinastia T'ang. I tre grandi poeti della dinastia, Li Po (v.), Tu Fu (v.), Po Chü-i (v.), tradotti ora quasi per intero in lingue europee, non sono stati più superati. I loro versi sono di struttura perfetta. Per noi Europei è più accessibile forse l'ultimo; la sua poesia più sobria, più semplice e anche più sana, ricorda talvolta Orazio. Eccone un esempio:

"Canzone breve. - All'alba sorge il sole color di fuoco. - Sale in alto, corre e poi scende. - Spunta, ecco il giorno; tramonta, ecco la notte. Rotola come una perla, senza fermarsi mai.

Senza fermarsi mai, ahimé! - Amico, a te alzo il bicchiere e canto una breve canzone. - Risuonano dolorosi i versi della giovinezza. - Giovani eravamo, o amico, e siamo giunti alla sera.

Non è ancor finito il luminoso mattino. - Il vento d'autunno è cessato, torna la primavera. - Ma l'uomo non rinnova le fronde, le stagioni per lui non si arrestano. - Il viso vermiglio ogni giorno declina e si ruga. Guardami, amico, con volto sicuro e ridente. -

Guardami amico, bevi con me una coppa. - La vita umana non può prolungare le gioie. I giovani diventano adulti e la vecchiaia arriva".

I due grandi prosatori di questa dinastia sono il confuciano Han Yü (764-824), ardente oppositore del buddhismo, e Liu Ts'ung-yüan (773-819), che dal buddhismo ha saputo esprimere sentimenti e ideali nuovi. Ecco un frammento di Han Yü:

"Discorso sui maestri. - Gli antichi ebbero sempre dei maestri. Maestri sono coloro che trasmettono le dottrine, conservano le arti, spiegano i dubbî. Gli uomini nascendo non sanno. Chi poté mai non avere incertezze? Chi dubita e non segue un maestro si crea nuovi dubbî e giunge alla morte senza averli chiariti. Coloro che son nati prima di me ascoltarono la dottrina certamente prima di me; perciò io li seguo e li ho per miei maestri. Coloro che son nati dopo di me, quando hanno seguito la via del sapere, anch'essi prima di me, io li seguo e li ho per maestri. Il mio maestro è la scienza; ora nel continuo imparare che importa che io apprenda da chi è più giovane o più vecchio di me? Perciò non vi sono nella scienza né nobili né plebei, né persone collocate in alto o in basso; coloro che conservano il sapere son maestri di ciò che custodiscono. Ohimé!... gl'indovini, i medici, i musici, tutti gli artieri, non hanno vergogna di istruirsi vicendevolmente. Ma se tra i dottori, i magistrati, quegli si dice maestro, questi discepolo, le folle li deridono; e se si chiede perché, rispondono: Se sono coetanei, la loro dottrina è su per giù la stessa; se la loro posizione sociale è diversa, stiano al loro posto; se sono alti magistrati, non hanno da imparare...".

Durante la dinastia Sung, dopo l'invenzione della stampa, si hanno gli ultimi grandi scrittori. I Cinesi considerano tra essi questi sei come i maggiori: Ou-yang Hsü (1007-1072), i tre Su, il padre Su Hsürn (1009-1066) e i due figli Su Shih (più conosciuto col soprannome Su Tung-po, 1036-1101) e Su Chê (1039-1112), il genero Tseng Kung, il famoso uomo di stato Wang An-shih (1021-1086) il quale è anche un efficace scrittore. Le opere di questi ultimi otto scrittori delle dinastie T'ang e Sung sono spesso ristampate insieme.

La sensibilità, la dolcezza e la finezza del sentimento ci fanno parere assai vicino a noi il poeta Su Tung-po, come appare anche soltanto da questo frammento:

Grotta Rossa. - I. Nell'anno 1082, nel plenilunio d'agosto, con varî ospiti, feci un'escursione in barca, sul fiume, a Grotta Rossa. La pura e lieve brezza appena increspava le acque... La luna, sorta in vetta al monte, correva tra le stelle e la brillante rugiada scendeva sul fiume; la luce dell'acqua si congiungeva con quella del cielo. La barca andava alla deriva. Mi sentivo al disopra della distesa delle acque, dall'orizzonte infinito, e mi pareva di ondeggiar nello spazio, dolcemente...

Allora cantai... Un ospite col flauto accompagnava il canto e la melodia si svolgeva ininterrotta come un filo..., e strappava le lacrime...

Questi monti lussureggianti, queste rocce bagnate dal fiume, non son quelle stesse dove Ts'ao Ts'ao fu sconfitto (208 d. C.)? Non scendeva proprio qui, giù per il fiume il vincitore, accompagnato da una flotta immensa, mentre le bandiere oscuravano il cielo?... Ed ora dov'è?....

II. Nel novembre dello stesso anno, nel plenilunio, vi tornai... La rugiada era divenuta brina, le foglie degli alberi erano cadute; in terra le brevi ombre degli uomini, in cielo splendeva la luna...

Il fiume scorrendo mormorava; la sponda a picco, alta mille piedi: alto era il monte e piccola la luna; dall'acque basse emergevano gli scogli. Come, dopo pochi mesi, non si riconoscevano più né il monte, né il fiume!... Raccolta la veste, salii tra le roccie spezzate, tra i fitti cespugli, scavalcando sassi che parean fiere, alberi che parean serpi... Con voce rotta emisi un lungo grido; le piante agitate si mossero, l'eco dal monte rispose alla valle, si levò il vento e si increspò l'acqua... ".

Ed ecco un breve saggio della prosa di Ou-yang Hsü:

"In memoria di un vecchio libro. - Quando ero ragazzo, abitavo in una piccola città di provincia e non c'erano studiosi in nessun angolo della città. E la mia famiglia era povera e non aveva libreria. Ma nel sobborgo meridionale c'era un certo signor Li, assai ricco, il figlio del quale aveva una certa inclinazione allo studio ed era mio coetaneo. Frequentando casa sua, vidi un giorno, dietro una cassa, tra questa e la parete, un vecchio libro. Era la raccolta degli scritti di Han Yü, ma i fogli erano in disordine e mancava la prefazione. Pregai il signor Li di donarmelo...", e continua dicendo l'ammirazione da cui fu preso per quest'autore, da più di due secoli dimenticato e conclude: "E poiché le edizioni volgari erano piene di errori e di omissioni, durante trent'anni raccolsi e collazionai buone copie da tutti coloro che sentivo dire che ne possedessero. Delle molte migliaia di volumi della mia biblioteca, il più prezioso è questo vecchio libro. La bellezza del suo stile sarà d'ora innanzi sempre ammirata in tutto il mondo. Ed io, quando lo guardo mi sento profondamente commosso".

La dinastia mongola è per la letteratura un periodo di arresto; soltanto con la rinascenza dei Ming sorge un grande scrittore, Wang Shou-jen (1472-1528), il quale rinnova il pensiero cinese. Durante la dinastia Ming e la successiva dinastia manciù Ts'ing, non si può dire che la letteratura cinese trovi nuove vie. L'epoca dei grandi scrittori è chiusa. Le molte migliaia di autori, di commentatori, di critici riescono soltanto a mantener viva la tradizione e il gusto dei classici. La letteratura cinese in questi ultimi secoli, aiutata dalla diffusione della stampa, diventa sempre più popolare e contribuisce a formare quello spirito nazionale che tiene oggi unito e compatto l'animo dei Cinesi, malgrado le vicissitudini politiche. La nuova repubblica, continuando un movimento che ha già qualche decennio di vita, cerca nuove vie per il pensiero cinese, avvicinandolo all'Europa. Una rivoluzione non meno considerevole della rivoluzione politica è quella che si sta compiendo nello stile, riponendo in onore l'espressione semplice e piana della lingua parlata e abbandonando risolutamente le forme retoriche, divenute ogni giorno più vuote e convenzionali durante l'ultima dinastia. Questo movimento, attraverso incertezze ed errori, sembra cominci ad acquistare importanza, aiutato dall'enorme diffusione dei libri di stato per le scuole, dei giornali, dei romanzi, delle versioni di libri europei, ecc.

La novella, il dramma, e il romanzo, nati in Cina assai tardi, certamente sviluppati soltanto dopo il sec. IX d. C., respinti dall'insegnamento ufficiale come frivoli e corruttori del sentimento e della morale, hanno sempre più, specialmente nel sec. XIX, influito sull'anima cinese. In tempi moderni le traduzioni incomplete, affrettate, ma non sempre prive d'efficacia, dei romanzi e dei drammi europei, se hanno destato inevitabilmente non poca confusione nei lettori cinesi, dando loro idee inesatte o false della vita europea, hanno risvegliato nuove energie. Sembra lecito attendere il rinnovamento dalla letteratura cinese nel corso del sec. XX.

Scrittori di scienza. - Le scienze hanno nella letteratura cinese una parte più modesta che non nelle letterature europee. Gli scritti di matematica e di astronomia sono assai elementari sotto la dinastia Han, assumono un maggior sviluppo sotto l'influenza degli astronomi e matematici indiani e successivamente dei matematici persiani ed arabi, infine dal sec. XVI in poi prendono a poco a poco contatto con la scienza europea. Analogamente si sviluppano le altre scienze: medicina, geografia, ecc. Maggiore originalità hanno gli scritti di materia medica, che comprendono osservazioni di botanica, di zoologia e di medicina, talvolta acute, e assai importanti (p. es. la descrizione delle proprietà dell'ago magnetico, dell'uso dei sali di mercurio e di arsenico, dell'uso dei semi di chaulmoogra contro la lebbra, ecc.). L'inferiorità della scienza cinese dipende dal relativo isolamento della Cina nei secoli scorsi. In questi ultimi decennî gli studiosi cinesi hanno cominciato, come già prima i giapponesi, a partecipare alle ricerche scientifiche dei popoli civili.

Bibl.: Per la storia della letteratura cinese, oltre al IV volume di A. Zottoli, Cursus literaturae sinicae, Shanghai 1880, si veda: G. Margouliès, Le Kouwen chinois, Parigi 1926, nel quale sono tradotti in francese molti passi di cui lo Zottoli dà il testo e la versione latina. Storie sommarie della letteratura: H. A. Giles, Chinese Literature, Londra 1901; W. Grube, Gsch. der chinesischen Literatur, Lipsia 1902. Utile il compendio di M. Bazin nella Chine moderne, parte 2ª (L'Univers pittoresque), Parigi 1853. Più moderni: G. Soulié, Essai sur la litt. chinoise, Parigi 1912: R. Wilhelm, Die chinesische Literatur, Potsdam 1930.

Per la poesia cinese, sono ottime le versioni di A. Waley, A hundred and seventy Chinese poems, Londra 1918; A. Waley, More Translations from the Chinese, Londra 1921; di A. Forke, Dichtungen der T'ang- und Sung-Zeit, Amburgo 1930. In francese: G. Margouliès, Le "Fou" dans le Wen-siuan, Parigi 1926; Hervey de Saint-Denis, Poésies de l'époque des T'ang, Parigi 1862; G. Soulié, Florilège des Poèmes Song, Parigi 1923; Tsen Tsonming, Essai historique sur la poésie chinoise, Lione 1922.

Versioni complete del poeta Li Po di E. von Zach nella rivista Asia Major, Lipsia 1925-1930 segg. e del poeta Tu Fu di F. Ayscough, Londra 1929, ecc.

Un buon numero di romanzi e di novelle sono stati tradotti in lingue europee, manca però uno studio d'insieme. Una buona antologia col test cinese a fronte e versione latina in Zottoli, Cursus litteraturae sinicae, I, Shanghai 1879. Romanzi storici: Th. Pavie, San koue tchy (Histoire des Trois Royaumes), Parigi 1845-1851 (vers. franc. della prima parte); vers. ingl. completa: C. H. Brewitt-Taylor, San kuo or Romance of the three kingdoms, Londra 1927. A questo romanzo storico scritto durante la dinastia mongola fanno seguito una lunga serie di romanzi (non tradotti) che raccontano tutta la storia della Cina. The Dream of the Red Chamber, by Tsao Hsuehchin, tradotto e adattato in inglese da Chi-chen Wang, Londra 1930, è uno dei più interessanti romanzi realisti del secolo XVIII. D'un altro interessante romanzo, Shui-hu ch'uan (Storia delle spiagge), un ciclo di storie di briganti, si possono leggere in italiano tre capitoli nel volume: A. Andreozzi, Il dente di Budda, Firenze 1885, Milano 1905. Altri antichi romanzi, tradotti da Stanislas Julien, dànno un'idea della vita cinese delle ultime dinastie: Yu Kiao Li, Les deux cousines, Parigi 1864; Ping-chang-ling-yen, Les deux jeunes filles lettrées, Parigi 1860; Blanche et bleu ou les deux couleuvres-fées, Parigi 1934; The Golden Lotus (Chin P'ing Mei), trad. C. Egerton, Londra 1930, di cui si ha un adattamento francese: G. Soulié, Le Lotus d'or, Parigi 1912; ecc. Novelle: C. Puini, Novelle cinesi tolte dal Lung-tu-kung-ngan, Piacenza 1871; Hervey de Saint-Denis, La tunique de perles, etc., trois nouvelles chinoises, Parigi 1889; E. Chavannes, Cinq-cent contes et apologues extraits du Tripitaka chinois, Parigi 1910-11; L. N. Di Giura, Fiabe cinesi (trad. del Liao chai di P'u Sungling), Milano 1926; H. Giles, Strange Stories from a Chinese Studio, Londra 1909; ecc.

Una storia del dramma in Cina è contenuta in: Bazin, Le siècle des Youen ou Tableau historique de la littérature chinoise, ecc., Parigi 1850; id., Théâtre chinois, ou Choix de pièces de théâtre composées sous les empereurs Mongols, Parigi 1838; id., Le Pi-pa-ki, ou l'histoire du luth, drame chinois de Kao Tong-kia, représenté à Péking en 1404, Parigi 1841; S. Julien, Hoei-lan-ki (L'histoire du cercle de craie), dramma in prosa e in versi, Londra 1832; id., Si-Siang-ki, ou l'histoire du Pavillon d'Occident, comédie en seize actes, Ginevra 1880 (trad. italiana di M. Chini, Lanciano 1916); id., Tchao-chi-kou-eul, ou L'orphelin de la Chine, Parigi 1834 (dramma tradotto nel sec. XVIII dal P. Prémare, in Du Halde, Description de la Chine, Parigi 1735, da cui Voltaire trasse il suo dramma L'Orphelin de la Chine, e Carlo Gozzi e F. Schiller il dramma Turandot, ecc.); Soung Tsung-faung, The Development of the Chinese Drama, Shanghai 1916; L.C. Arlington, The Chinese Drama from the earliest times until to-day, Londra 1930.

Per la storia delle scienze cinesi, brevi accenni in L. Wieger, La Chine à travers les âges, Hien-hien 1920; H. Maspero, L'astronomie chinoise avant les Han, in T'oung Pao, Leida 1929; G. Vacca, Some Points on the Hist. of science in China, in Journ. of the North-China Branch of the Royal As. Soc., LXI, 1930; M. Muccioli, L'arsenico presso i cinesi, in Arch. di storia della scienza, Roma 1927. Per la storia della chimica: Rokurō Nakaseko, Sekai Kwagaku shi, Kyōto 1927 (recens. ital. di M. Muccioli, Arch. di storia della scienza, Roma 1928); A. Waley, Notes on Chinese alchemy, in Bull. of the Sch. of Or. St., 1930, pp. 1-24. Per la storia della matematica, numerosi articoli di L. Van Hee, in T'oung Pao, Leida 1923; Y. Mikami, The Development of Mathematics in China and Japan, Lipsia 1912, ecc. Per al botanica e la medicina: E. Bretschneider, Botanicon sinicum, in Journ. of the China Branch of the Royal As. Soc., Shanghai 1882, 1890, 1895; B. E. Read, Chinese medical Plants, Pei-ping 1930; Fr. Hübotter, Die chinesische Medizin, Lipsia 1929.

Arte.

Scultura e pittura. - Età preistorica. - Non si sono trovate opere d'arte dell'epoca paleolitica. Soltanto per il tardo periodo neolitico si hanno oggetti di carattere artistico: accanto a utensili di pietra, giada e madreperla, ceramiche in grande quantità.

Si distinguono queste in due gruppi: ceramiche d'argilla grigia o rosa, modellate a mano e levigate o impresse con stuoie; ceramiche del pari manufatte da principio, in un secondo tempo lavorate a tornio e dipinte in nero, rosso, violetto e bianco. Così l'arte della ceramica dipinta neolitica si estende anche all'Oriente, dove se ne sono trovati i resti tanto nel nord, principalmente nel Kan-su, quanto nel sud dove i ritrovamenti si estendono fino alla provincia del Ho-nan. Persino a An-yang, nel luogo cioè dove era intorno al 1200 a. C. la capitale della dinastia Yin, sono venuti alla luce cocci dipinti.

In base a diligenti confronti, J. G. Andersson, che per primo scoprì gli avanzi di quest'arte, riuscì a suddividere il materiale trovato in differenti epoche, di cui le più recenti sono già di età storica.

La ceramica più primitiva, non dipinta, corrisponde nel profilo ai vasi di bronzo d'epoca più tarda, e consente un collegamento con sicure forme artistiche cinesi; quella dipinta invece ha affinità soltanto con ritrovamenti identici nel SE. dell'Europa, nell'Asia anteriore e nel NO. dell'India, benché non si sia ancor potuta precisare una sua derivazione. L'ornamentazione consta di nastri geometrici, prevalentemente a zig-zag, a linee ondulate e spesso a spirale. Nei pezzi più tardi, limitati alla provincia del Kan-su, compariscono pure figure umane stilizzate e rappresentazioni di animali. Anche il profilo dei vasi, con anse nel punto più sporgente e con alette presso la bocca, non ha paralleli nell'arte storica della Cina. L'oscurità che regna su tutta la preistoria della Cina e sulla provenienza della sua ceramica dipinta non potrà essere diradata che da scavi sistematici.

Periodo della dinastia Yin. - La nostra conoscenza della più antica arte cinese, storicamente precisabile, si deve ai già menzionati scavi intorno a An-yang (Ho-nan), che diedero rottami di vasi, di sculture in pietra, di simboli in giada, di bronzi e soprattutto ossicini auspicali intagliati. Sulla scorta dei pezzi autentici riesce ormai possibile classificarne molti altri, affini, provenienti da ritrovamenti occasionali, passati nei musei europei, americani e giapponesi e nelle raccolte private. Nei lavori d'intaglio in osso l'ornamentazione di quell'arte è già pienamente sviluppata; vi dominano soprattutto motivi d'animali fantastici; tanto nelle maschere mostruose quanto nelle rappresentazioni di esseri favolosi non v'è nessun ricordo naturalistico; le singole forme - come p. es. narici e occhi - sono tradotte in segni puramente geometrici; il motivo predominante è la spirale ad angolo, che, ad eccezione delle parti plastiche sporgenti, ricopre tutto il fondo. Le rappresentazioni non hanno alcun intento veristico: sono piuttosto segni magici che lontanamente richiamano le forme animali.

Periodo della dinastia Chou. - La primitiva ceramica non dipinta si estende, senza alcuna evidente evoluzione, anche a questa età. L'arte del bronzo osservata in An-yang ebbe la sua fase classica nel I millennio a. C. Per quanto fino ad oggi non esistano né ritrovamenti sicuri né iscrizioni datate, pure è possibile classificare i pezzi di questo periodo. I testi classici dell'antichità, sicuri almeno per quanto concerne la tradizione, hanno molti accenni a utensili di bronzo; e giacché l'arte della dinastia Yin si andò sviluppando nelle forme e negli ornati, non è impossibile una classificazione cronologica. I bronzi servivano come oggetti liturgici. Probabilmente in origine furono venerati i principî primordiali, il Cielo e la Terra concepiti come principio maschile e femminile; e ad essi venivano offerti i prodotti naturali: vino, carne, frumento, verdura, in recipienti di diverso tipo prescritto. Sulle forme di codesti vasi non influirono gli scopi pratici; i volumi si accavallano: aculei, ali e borchie spezzano la superficie. Anche gli ornati, che avvolgono completamente i recipienti, non sono subordinati al loro uso: ossicini auspicali, maschere di mostri fantastici, e poi ancora draghi, tigri, uccelli, cicale, raramente figure umane, tutti ridotti a forma geometrica, per lo più a doppia spirale: essi non sono che simboli, segni magici, figurazioni delle forze misteriose dalle quali l'uomo si sentiva circondato. Non come utensili, ma come centro d'un culto esorcistico vanno considerati i bronzi cinesi dell'epoca primitiva, durante la quale si possono constatare variazioni utili per una datazione approssimativa: la struttura severa dei vasi più antichi, con masse accavallantisi, cede a poco a poco a contorni ampî e continui, mentre gli ornati a rilievo si appiattisc0no.

Nel periodo Chou, i vasi di bronzo furono il fulcro di tutta l'attività artistica. Essi furono raccolti dai collezionisti già nel primo millennio d. C., furono descritti criticamente, e infine imitati, così che le imitazioni superano assai di numero gli originali. I loro ornati ispirati alla mitologia si ritrovano anche nelle armi e nelle guarnizioni coeve. Accanto al bronzo, nel periodo Chou, venne molto usata la giada. Si facevano di giada i semplici simboli delle forze cosmiche per il culto, per il sacrificio e l'arredamento funebre; le insegne del rango, a forma di scettro o di riga; e ogni nobile portava sul cappello e alla cintura ornamenti di giada. Sono appunto questi ornamenti che testimoniano dell'insuperabile maestria degli antichi cinesi nell'incidere le pietre dure. Per lo più è dubbio l'uso di tali piccoli oggetti i cui motivi ornamentali palesano sicure concordanze con quelli dei vasi di bronzo. Come in questi, la fenice si trasmuta in una testa mostruosa e ogni particolare è sottomesso al sistema geometrico del meandro continuamente spezzato. Soltanto verso la fine del periodo la rappresentazione degli animali si fa più sciolta, sicché pesci, conigli, cervi, buoi, intagliati quali amuleti per il morto, al pari degli oggetti di bronzo, s'avvicinano maggiormente alla natura.

Periodo della dinastia Ts'in. - Neppure per questo breve periodo v'è alcun punto sicuro di riferimento. Si possono assegnare a quest'epoca i bronzi che continuano e concludono lo sviluppo iniziatosi nel periodo Chou. Persistevano i vecchi tipi di recipienti di bronzo con le loro forme caratteristiche e con gli elementi essenziali dell'ornamentazione, ma erano adoperati come oggetti di lusso più che per vasi rituali. I nastri con draghi intrecciati diventano ornamenti piatti, convenzionali, senza rilievi. L'effetto pittorico viene spesso rafforzato da incrostazioni e incavi del fondo. La superficie viene riempita variamente con file di puntini, nastri intrecciati, rettangoli che negli angoli si tramutano in spirali. Come prima la spirale angolosa, domina ora la linea ondulata. I criterî che possono servire a datare gli oggetti in bronzo del periodo Ts'in sono da applicare anche alle giade, dove s'incontrano pure incisioni leggiadre, a volute e linee ondulate.

Periodo della dinastia Han. - Per la prima volta nell'arte cinese accanto alle copiose fonti della storiografia abbiamo numerosi dati offerti da tombe di epoca cronologicamente determinata. La civiltà del periodo Han oltrepassò spesso i confini della Cina: carovane cinesi giungevano di tempo in tempo fino al Mediterraneo, e così alcuni motivi dell'arte occidentale poterono infiltrarsi in quella cinese; e si sono trovate tombe del periodo Han in Indocina, in Corea, e al limite del deserto di Gobi. D'altra parte, il materiale artistico non è più ristretto ai vasi di bronzo e alle giade, ma rivela molti altri rami dell'attività dell'arte.

La tradizione dei Chou sopravvive negli utensili del periodo Han, ma in forme che lasciano supporre venissero usati tanto per il culto quanto per i bisogni personali. I vasi di bronzo s'appoggiano ancora pesantemente sui sostegni; ma nelle loro curve regolari hanno un ritmo chiaro e calmo: il recipiente è diventato maneggiabile e atto all'uso, e gli ornamenti, intarsiati o incisi, aderiscono ora sempre alla sua forma. La piena conoscenza del reale, allora conquistata, si sviluppò nei 400 anni della dinastia e fu divulgata nelle forme dell'arte. Rappresentazioni di animali, involute ma naturalistiche, dànno ancora talvolta forma ai vasi, senza tuttavia il massiccio aspetto che avevano nel periodo precedente. Il loro uso s'intensificò per opera delle popolazioni nordasiatiche che in quel tempo s'infiltrarono in Cina, ed ebbero grande influenza sulla foggia delle armi, sicché nelle armature e nelle bardature si ritrovano i caratteristici combattimenti e gruppi dì animali del Settentrione eurasiatico.

Nel periodo dei Han ebbero gran voga gli specchi di bronzo, che già erano stati ideati sotto i Ts'in. Servivano per la toletta, come suppellettile funeraria, come oggetto di culto. Al paragone dei più antichi oggetti cinesi, la loro ornamentazione è di carattere profano, ma ancora molto lontana da aspetti naturalistici. Motivi geometrici, simboli animali dei punti cardinali o figure mitiche vi si dispongono sempre armonicamente intorno a una borchia centrale, sebbene senza unità di composizione. Furono riccamente elaborate anche le fibbie di bronzo, adoperate probabilmente come fermagli per cinture.

Le giade più che i bronzi son connesse ai periodi precedenti, specialmente perché usate per il culto dei morti rimasto quasi immutato. Furono adoperate, oltre che per simbolo, come leggiadri ornamenti. E si cominciò a usare la lacca di color rosso e nero in sontuosi oggetti di lusso, che sono stati ritrovati in tombe coreane e mongole. È probabile che nella stessa epoca dei Han i Cinesi abbiano importato il vetro dall'Occidente; comunque, essi adoperarono, con forme originali, la pasta vitrea in sostituzione alla costosa giada e precisamente nelle forme usuali per la suppellettile funeraria. La ceramica fu interamente sotto l'influenza dei bronzi; lo dimostra il profilo pesante e mosso dei vasi. Alcuni particolari, come i nastri a rilievo rapportati, vi rassomigliano a quelli degli specchi; le teste di tigre con armille richiamano l'arte del metallo. Le scene di caccia con arcieri e bestie a galoppo palesano l'influenza dell'arte delle steppe nordasiatiche. Rara dapprima, comparisce ora più frequente nella ceramica l'invetriatura a base di piombo, introdotta forse dall'Asia anteriore, di colore verde o bruno, che esce dagli scavi con un lustro metallico. Si ritrovano anche vasellami di terra scura, per lo più nerastra, con ornati dipinti a freddo, che talvolta sostituiscono il nastro a rilievo dei vasi; e sono sempre i singoli elementi decorativi allineati, senza unità: la ceramica e la pittura non si erano ancora affermate come arti indipendenti ed emancipate.

Le stoffe trovate in Mongolia attestano un'abilità tecnica altissima. Anche in esse l'ornamentazione non differisce da quella dei vasi di bronzo e degli specchi: il motivo dell'animale alato che s'incontra spesso in tali stoffe proveniva dall'Occidente e fu introdotto nel repertorio artistico cinese.

Per la prima volta assunse importanza anche la plastica, ma non per scopo rituale, per quanto si sa finora, bensì per scopo funerario. Nella provincia Shen-si, nel luogo dove fu sepolto nel 117 a. C. il famoso generale di cavalleria Ho Ch'iu-p'ing, si trovarono figure di cavalli e di bufali di forme assai naturalistiche e tuttavia trattati con senso monumentale, che forse possono essere di tempo un po' più tardo. Rimangono ad ogni modo del sec. II d. C. molte sculture e rilievi. I gruppi più importanti sono quelli delle provincie Ho-nan, Shan-tung e Sze-ch'wan. All'ingresso dei recinti funebri si veggono leoni e tigri, e animali araldici di convincente naturalezza; nelle sale dei sacrifici e nelle camere sepolcrali, su pilastri e pareti di sarcofaghi si possono osservare tuttc le varietà del rilievo, dalla piena modellatura fino al graffito. Gli artisti vi rappresentano la profondità col sovrapporre le figure; ma il gesto rimane ancora impacciato nel movimento lento del corpo e delle vesti: solo raramente, come nella figura d'un fantasma su un tetto, tentavano di rappresentare la danza, attenendosi in genere ad atteggiamenti gravi e dignitosi. Le sculture, più lineari, dello Shan-tung e di Hiao-t'ang, rappresentano di preferenza scene tolte dalla vita; quelle, più plastiche, di Wu-liang-tsu divinità leggendarie dell'oltretomba. Nell'architrave dei pilastri di Sze-ch'wan la scultura Han raggiunge il suo vertice.

Riproduzioni timide e impacciate dalla natura si osservano anche in quel ramo della plastica che per il suo materiale duttile più adatto a rappresentare figure in atteggiamenti vivaci, cioè nelle statuette d'argilla, perché proprio allora s'incominciarono a modellare in gran quantità quelle figure d'uomini e donne, d'animali e di demonî, che dovevano per un millennio tener compagnia ai sepolti; fra le quali vanno prese in considerazione, più delle molte formate a stampo, quelle liberamente modellate.

Periodo delle sei dinastie (220-618). - La cultura Han, forte e potente in tutti i campi dell'arte, dominò anche i secoli successivi. Il mutamento di stile si compì lentamente in quei tempi irrequieti, sviluppando tendenze già manifestatesi durante la dinastia Han. Accanto ad una più profonda comprensione della natura si osserva nell'arte una corrente che tende a forme convenzionali, araldiche, specie nelle rappresentazioni di animali. Gli alati esseri favolosi che fiancheggiano i viali dei sepolcreti, per lo più datati, presso Nanchino dànno ancora la sensazione della forza animale nella sua potente tensione; ma rivelano nello stesso tempo una diminuita freschezza dell'ispirazione artistica. Questi guardiani dei sepolcri formano un gruppo a sé, che mantenne i proprî caratteri sino all'epoca nostra. Dopo il primo millennio, gli accessorî cominciano a sopraffare le loro grandi linee: ali riccamente ornate, barbe e riccioli rendono meno compatto il blocco, distruggendo l'impressione originaria.

L'avvenimento più importante, in quel tempo, fu l'introduzione del buddhismo in Cina. Solo al principio del sec. V, non nel II, come vuole la tradizione, il buddhismo appare come tema nell'arte dell'Estremo Oriente. Con la sua dottrina la scultura acquistò un'importanza religiosa mai prima avuta. Si soleva rappresentare il pantheon buddhista nei templi in figure per lo più di bronzo o di legno, nelle stele votive e nella scultura in pietra dei santuarî rupestri) nella suppellettile funeraria e nei doni votivi in bronzo. I capolavori eseguiti per i templi sono andati perduti nelle continue devastazioni; ma le sculture dei santuarî rupestri e le stele votive ci dicono abbastanza dello stile dell'epoca. I più importanti santuarî rupestri si trovano nel nord, a Yün-kang (Shan-si), Lung-men e Kung-hsien (entrambi nel Ho-nan) e sul Tien-lung shan (Shan-si). La scultura buddhista del tempo delle sei dinastie, pur ritraendo la figura già nel suo reale aspetto, ne compone le singole parti con intenti ornamentali. Il panneggio si dispone secondo un ritmo lineare, e non secondo il peso naturale; le figure paiono tirate secondo la linea verticale; i visi esprimono una fissità ieratica: è uno strano miscuglio di primitività e di raffinatezza. Poiché il pantheon buddhista giunse in Cina dall'India, iconograficamente già del tutto sviluppato, per via di mare, ma soprattutto attraverso le strade di pellegrinaggio del Turkestān, necessariamente elementi stranieri s'infiltrarono nell'arte religiosa cinese.

Conosciamo la pittura di quest'epoca soltanto attraverso copie. Erano già sviluppati allora i tipi principali di dipinti portatili: il quadro da appendere e il rotolo illustrato. Ben noto è il rotolo del Ku K'ai-chih nel British Museum di Londra. Malgrado tutta la perfezione dei singoli elementi, non si può parlare però di composizione pittorica organica nello spazio. Figure e gruppi hanno movimenti eleganti e leggiadri, mentre il paesaggio non ha che funzione di quinta.

Periodo della dinastia T'ang (620-907). - Nel periodo dei T'ang l'arte cinese raggiunse il suo apogeo, e, come nel periodo dei Han, si estese oltre i confini della Cina, in Giappone e in Siberia. I rapporti dell'uomo col mondo circostante mutarono allora totalmente, come si rivela soprattutto nella plastica buddhistica. I piccoli fini lavori in pietra, meglio che le rozze figure delle caverne, c'illuminano sul carattere dell'arte T'ang. La figura umana si muove con scioltezza e leggerezza; le vesti si staccano dal corpo col quale prima formavano una sola massa; il volto è sorridente, dolce, umano. L'arte raffigurò bontà e pietà nel bodhisattva, l'intermediario fra la sublime dottrina e la creatura umana irretita nell'errore, e nel Buddha lo spirito sciolto da ogni legame terreno. Anche nei piccoli bronzi la veste cade in pieghe naturali, lasciando trasparire il corpo. Il pesante mantello cede il posto a un panneggio elegantemente drappeggiato. La plastica buddhistica dei T'ang sta a quella dei predecessori nello stesso rapporto del Gotico al Romanico, in Europa. Questo nuovo stile si palesa anche nelle statuette tombali di terracotta, di cui si faceva allora largo uso: cavalli e cammelli, servi e ancelle rappresentati in atteggiamenti di sorprendente naturalezza.

Della pittura del periodo T'ang non abbiamo esempî sicuri in territorio veramente cinese, se si eccettua il confine occidentale. Tuttavia è certo ch'essa tenne allora per la prima volta un posto eminente. Le grandi scuole della pittura sacra e di paesaggio sorsero allora, legate ai nomi di Wu Tao-tzŭ e di Wang Wei, senza dubbio maestri creatori. Accanto a loro sopravviveva una tradizione più antica, manifesta nei dipinti e negli affreschi che ornano i templi buddhisti. Sulle opere di carattere religioso di quell'epoca gettano viva luce le pitture trovate al confine occidentale, in Tun-huang (Turkestān), appartenenti quasi tutte alla fine dell'epoca e in parte anche al periodo successivo, di non molto eletta qualità ma di data non dubbia. Il loro contenuto iconografico è indiano, l'esecuzione cinese. I mezzi tecnici sono completamente diversi da quelli usati in Europa: manca il chiaroscuro; non esiste modellazione; la struttura dei corpi viene resa dal solo disegno interno.

I prodotti delle arti minori del periodo T'ang sono innumerevoli. Con gli oggetti restituiti dai sepolcri si possono comparare quelli d'un imperatore giapponese già raccolti circa la metà del sec. VIII, e di provenienza indubbiamente continentale, che dànno un'idea della ricchezza e della perfezione tecnica, della varietà degli ornati, delle molteplici forme degli oggetti di lusso e d'uso comune.

Speciale menzione merita la ceramica T'ang, che divenne allora pregiata merce di esportazione oltre i confini. L'invetriatura, ancora estremamente sottile, ha ornati naturalistici o geometrici, e anche motivi occidentali. Accanto a quest'ornamentazione più comune ve n'è un'altra, particolare all'Oriente, caratterizzata dal libero e casuale fluire dei pigmenti che coprono d'una tinta uniforme o animata da impasti smaglianti parte del recipiente, lasciandone intatta la base, accostandosi così la ceramica al prodotto naturale, come creata da un capriccio del caso. A Sāmarrā furono scoperti cocci cinesi che attestano l'uso di invetriature verdi e persino porcellane.

Periodo delle cinque dinastie (907 960), dei Sung (960-1280) e dei Yüan (1280-1368). - Nell'arte queste tre epoche sono da riunire. Allora fiorì soprattutto la pittura. I Cinesi stessi non si stancano di lodare specialmente i maestri dei primi due periodi, in cui furono fondate le note dinastie e accademie pittoriche. Poi imitatori dei grandi pittori apposero, anche senza intenzione di falsificare, sigilli e firme dei maestri sulle proprie copie, sì che ora è difficile distinguere l'originale dalle riproduzioni. Le opere migliori di questo periodo, in gran parte di piccolo formato, si conservano nelle raccolte giapponesi.

Particolari della pittura cinese sono l'esecuzione su seta oppure su carta fortemente assorbente e l'uso di pigmenti: inchiostro di Cina e colori minerali. Questi materiali consentono al pittore due vie, ciascuna delle quali fu praticata da due scuole distinte: l'una caratterizzata da una maniera minuta, lineare e da abbondanza di colori a corpo; l'altra da pennellate rapide e sciolte, di colore trasparente, per dare una leggiera tonalità. La prima scuola viene chiamata, senza ragione apparente, settentrionale, la seconda meridionale, benché in realtà non sia possibile una netta distinzione. L'artista più importante del periodo delle cinque dinastie si chiamava Hsu Hsi; egli predilesse nelle sue pitture fiori e uccelli e legò il suo nome alla fondazione della prima accademia di pittura. I monaci dello Shih Ko' prepararono il robusto pennelleggiare del periodo seguente. Con Kuo Hsi ha principio la scuola Sung, che preferì dipingere in bianco e nero. Sotto l'influenza della filosofia e delle sette buddhiste, essa volle rappresentare nel paesaggio, nell'uomo e in ogni oggetto l'operare delle forze cosmiche e della natura. L'entusiasmo per la natura, l'anelito dell'uomo a dissolversi in essa sono i suoi temi principali. La semplificazione dei mezzi tecnici fu il risultato logico d'una simile concezione. La tradizione letteraria cinese e le raccolte giapponesi testimoniano della bravura pittorica dell'imperatore Hui Tsung, di Lung-mien, che trattava temi svariatissimi, dei geniali paesisti Ma Yüan, Ma Lin e Hsia Kuei. Un paesaggio nel loro stile non si cura della prospettiva lineare europea. La profondità spaziale viene ottenuta per mezzo di variazioni atmosferiche: nuvole e nebbia vi hanno parte principale. Conscio della sua nullità di fronte ai fenomeni naturali, l'uomo apparisce di solito di dimensioni minute. Lo spazio vuoto assume un'importanza grandissima: spetta alla fantasia dello spettatore animarlo. Mentre il paesaggio più antico, persino quello della pittura religiosa dei T'ang, si esprime mediante l'unione di singole scene, e risultò in tal modo privo d'unità compositiva, il maestro della scuola Sung invece rappresentò lo spazio, pur ripudiando i mezzi tecnici più brillanti. La pittura spirituale di quest'epoca appartiene alla più alta produzione artistica dell'umanità.

L'influenza della cosiddetta scuola settentrionale si riconosce in parte nella maniera di Wu chen (seconda metà del sec. III e fino all'epoca Yüan), specie nel colorito. L'architettura, il ritratto e la rappresentazione di animali formano il repertorio di questa corrente. Wu chen la seguì nella rappresentazione minuta degli insetti, mentre lo sfondo sommerso in nebbie e le piante dipinte con scioltezza ricordano lo stile più ampio. Accanto alla pittura in bianco e nero sciolta e vivace, la scuola settentrionale sviluppò una severa struttura compositiva. Entrambe le maniere si fissarono in formule che furono seguite coscientemente già sotto gli Yüan. La rapida pennellata del paesista che dipinge nella maniera di Sung poteva essere appresa: per ogni forma di roccia o albero vi era una prestabilita successione di linee, semplice come una lettera. E il perpetuare invariate tradizioni, fu, non difetto, destino della pittura cinese. Ma prima che le formule acquistassero tutto il loro impero, gli ultimi maestri della scuola Sung, Mi Fei, Liang K'ai e Mu shi, reso celebre dal Giappone, portarono la scuola meridionale ai più alti fastigi. Sotto gl'imperatori Yüan accanto alle accademie che lentamente s'irrigidirono, non mancarono personalità liberamente creatrici. A Chao Meng-fu viene ascritta in Cina ogni rappresentazione di cavallo in stile settentrionale; e Yen Hui raffigurò in dipinti meravigliosi il monaco, asceta e dominatore della natura. Solo nelle pitture di Kao Janhui i monti divennero masse puramente scenografiche.

La plastica riecheggia debolmente le forme dei T'ang, impiegando spesso la ghisa, di effetto meschino, mentre gli oggetti lavorati in bronzo e giada sono caratterizzati da un arcaismo voluto, che trae la sua origine dall'appassionato interesse per i monumenti dell'antichità. Gl'imperatori, principalmente quelli della casa Sung, devono la loro fama, più che ad azioni politiche, alle loro gallerie di quadri e alle raccolte di bronzi.

Anche la ceramica come la pittura giunse allora al suo più alto sviluppo. Ma scarsi sono gli oggetti trovati negli scavi in confronto con la copiosa tradizione storico-artistica. Databili sono le ceramiche trovate sul luogo dove sorgeva la città Chü-lu hsien, distrutta nel 1108 da un'inondazione: comuni vasellami domestici, ma che appunto perciò dimostrano meglio l'alto livello artistico della ceramica. Hanno sagome semplici, meravigliosamente adatte allo scopo cui servivano; la vetrina, di color crema, è sovrapposta, come spesso in quest'epoca, a un' ingubbiatura visibile nel margine inferiore; unico ornamento lineare le regolari screpolature, che imitano quelle prodotte dalla cottura. Altre ceramiche hanno ornati dipinti sotto l'invetriatura, rilievi, impronte, graffiti, vetrina a colaticcio oppure regolata in un disegno. Le fabbriche lavorarono in gran parte, come pure le scuole di pittura, per l'imperatore e la corte, e non è facile identificarne i prodotti. Nella ceramica di Lung-Ch'un yao (prov. Chekiang) prevale l'uso del "seladon", la cui diffusione nell'Asia meridionale e occidentale è dimostrata da numerosi ritrovamenti. Ne deriva la ceramica Ko yao con striature a larghe maglie su smaltature grigie e biancastre. La ceramica Ting yao (prov. Chih-li), che si suole chiamare così più per convenzione che in base ad elementi sicuramente accertati, si distingue per i rilievi incisi sotto la smaltatura color crema. La ceramica Chün yao, con la sua superficie spesso meravigliosamente screziata e variamente colorita, che va dall'azzurro lunare al rosso porpora, si può individuare con facilità. Quella, piuttosto rozza, di Tz'ŭ-chou yao (provincia Chih-li) ha soprattutto spesse vetrine nere e brune, ma anche ornati dipinti su fondo bianco: forma un gruppo vastissimo ma ancora non ben definito. Nella ceramica Chien yao (prov. Fu-kien) appariscono i colaticci di color scuro su ingubbiatura bruna, di frequente con le multicolori striature della cosiddetta "pelle di lepre" che devono essere state adoperate largamente anche altrove. Il centro di produzione, noto già sotto i T'ang, Ching-te chên (prov. Kiang-si), cominciò ora la sua ascesa: e tutte le scuole oltrepassano cronologicamente di molto questo periodo, sì ch'è più difficile una precisa datazione dei loro prodotti.

È probabile che alcuni dei più bei lavori in lacca, soprattutto quelli trovati nelle tombe, appartengano al periodo Sung-Yüan, al quale si vogliono ascrivere anche vetri monocromi, specie in blu scuro e giallo-ambra, basandosi soltanto sulla loro semplicità e bellezza di forme e colori.

Periodo della dinastia Ming (1368-1662). - La tradizione artistica dei periodi precedenti andava lentamente spegnendosi. Vi erano ancora pittori che operavano con originalità e potenza creatrice; ma i più non uscivano dalle strade battute. Specialmente i pittori della scuola dei Wenshen hua caddero in uno stile manierato, raggiungendo solo nel campo della decorazione effetti nuovi. Le graziose damine, i giardini, gli dei variopinti fra le nuvole e i demonî umoristici nella terra vogliono riuscire piacenti. Invece che da pochi artisti creatori, questo periodo è caratterizzato da molti pittori diligenti; e nei templi, affreschi di contenuto buddhista, taoista e confuciano ripetono con scarse variazioni i noti temi religiosi del periodo T'ang, rimanendo tuttavia lontanissimi dalla bellezza degli originali.

La scultura ebbe uguali vicende. Rimase religiosa di contenuto solo per la "Chiesa gialla", imbarbarimento tibetano del buddhismo, che ha sommerso dal sec. XIII fino ai nostri giorni il nord della Cina. Ancora produce secondo le antiche regole monastiche santi dipinti con colori stridenti, figure di demonî e oggetti in bronzo giallo-ottone o colorato. Altrove prevalse la produzione di figure per uso domestico e per regali: dei inferiori e dei leggendarî delle favole popolari; merce vendibile, umoristica, spesso grottesca, di piccolo formato per il suo stesso scopo, non grandiosa ma graziosa. Vi si usò di preferenza il materiale più adatto per rendere i particolari più minuti: l'avorio e la steatite. L'assegnazione cronologica di tali oggetti entro questo periodo si basa su criterî approssimativi di valutazione artistica; e molti di essi potrebbero essere attribuiti con altrettanto fondamento anche all'epoca successiva.

Le opere più pregevoli e importanti del periodo Ming furono prodotte dalle cosiddette arti minori: soprattutto gli oggetti in lacca. Questa sostanza vegetale di color rosso o bruno scuro viene spalmata sul legno oppure modellata e intagliata come massa. Se ne rivestivano anche pareti. La decorazione era eseguita con intarsî di madreperla o con colori, conservando sempre una certa grandiosità e sobrietà di linee. La Cina non ha quei minuscoli oggetti d'arte in lacca, che in Giappone allora cominciarono a esser ricercati.

Influssi occidentali si manifestarono nella tecnica degli smalti ad alveoli rapportati diffusa nel sec. XVII, che la Cina usò in meravigliose opere decorative. Anche l'arte tessile occupò sotto i Ming un posto importante. E nel periodo Ming s'inizia veramente la storia della porcellana cinese, che più di qualsiasi altra opera d'arte asiatica ha attirato l'interesse degli studiosi. Prima che l'Europa stessa s'impadronisse del segreto di fabbricazione della porcellana, essa apprezzava già i prodotti orientali in sommo grado. Numerosi prodotti del periodo dei Sung possono essere considerati come lavorati in porcellana, perché ne contengono già gli elementi principali: il caolino e il feldspato. Anche le fonti cinesi ragguagliano ancor prima dell'epoca Ming su alcune varietà di porcellana, che però non si possono identificare. Il miglioramento tecnico più importante consistette nel modo di sovrapporre colori fusibili alla porcellana uniforme, per lo più bianca, cuocendola a fuoco meno intenso, oppure di dipingerla prima della cottura e della smaltatura. Ching-te chên divenne in quel tempo il centro di fabbricazione, mentre centro della produzione del blanc de Chine era Te-hua (prov. Fukien). Della capacità di superare difficoltà tecniche (per es. la tornitura sottilissima della porcellana "guscio d'oro") si hanno meravigliosi saggi. Permangono come nel bronzo le antiche forme di recipienti. Oltre che per la lavorazione di vasi, tazze, brocche, pentole, la porcellana viene adoperata anche per sedili di giardino, porta-pennelli, vasche per pesci, figure e tegole. L'ornamentazione esuberante, ricavata dall'arte tessile e dalla pittura, è sempre adattata alla sagoma e alla superficie. La ricchezza degli elementi decorativi è inesauribile: compariscono gli antichi intrecci geometrici, figurazioni augurali, figure leggendarie di dei, gruppi di figure e paesaggi. In contrasto con le tonalità sommesse dei primi tempi il colore è sempre più vivace e luminoso. La datazione viene facilitata da marche imperiali, che si cominciavano ad applicare allora. Quasi ogni nome d'imperatore è legato a un dato tipo di porcellana, ciò che non esclude le marche falsificate. Era preferito soprattutto il colore azzurro su fondo bianco, poi imitato nelle ceramiche di Delft. La materia grezza, il cobalto dovevano venir importati da principio dall'Asia occidentale, sicché non meraviglia l'adozione di forme persiane, specie nei secoli XV e XVI. La Cina esportava inoltre già allora in larga misura oggetti di ceramica, come è dimostrato dai ritrovamenti copiosi di Costantinopoli. Dalla tecnica dello smalto ad alveoli rapportati deriva lo smalto su porcellana. Esso ricopre totalmente e con un denso strato di vario spessore il fondo bianco, adagiandosi fra gli alveoli, a preferenza di colore turchese e viola mescolati con giallo, bianco e arancione. La pittura in cobalto e rosso sotto smalto ha inizio al tempo dell'imperatore Hsüan-te (1426-35); la tecnica degli smalti a colori ebbe la sua massima fioritura sotto Ch'eng-hua (1465-87). Mirabili e sobrî nella decorazione sono i vasi e le vasche per i pesci, dipinti a colori smaglianti, del tempo di Chia ching (1522-26). Accanto alla porcellana dipinta si trova ancora prodotta quella monocroma che si riallaccia alla tradizione del periodo Sung; ed è particolarmente da ricordare la porcellana in colore "sangue di bue". L'ultima notevole fioritura della porcellana Ming, quella cioè di Wan-li (1573-1619), è caratterizzata da prodotti eccellenti dipinti a cinque colori.

Periodo della dinastia Ts'ing (1644-1912). - La pittura e la scultura si ridussero a una stanca ripetizione di forme antiche. Alla fine del sec. XVII appaiono i libri di modelli, ornati con incisioni in legno, fra cui i più importanti sono Il giardino dei granelli di senapa e L'atrio dei dieci bambù.

Scarsa è la nostra conoscenza dell'importante industria tessile dell'epoca. Accanto a stoffe di seta e broccati si tessono tappeti, che nel Kan-su subiscono l'influsso asiatico.

Anche in questo periodo la fabbricazione della porcellana ha importanza primaria. E ne dànno sicura documentazione tanto le notizie dei missionarî gesuiti, tra cui il D'Entrecolles, quanto le antiche raccolte europee. I più bei prodotti appartengono al tempo dell'imperatore K'ang-hi (1662-1722). Sembra che l'abilità tecnica non abbia più limiti: mirabili la bontà e purezza della materia, lo splendore della smaltatura, la finezza della decorazione. Gli esemplari che si conservano mostrano l'uso perfetto di quei colori a smalto che sono i più difficili da applicare, il cobalto delle nuvole e il rosso-rame dei draghi "imperiali" a cinque artigli. Anche i tanto pregiati vasi con coperchio son decorati con fiori di susino su fondo azzurro. I rapporti coi vasi del periodo Ming sono spesso evidentissimi. Ma, oltre ai tipi tradizionali, ve ne sono anche di nuovi: vasi slanciati, lanterne, bottigliette per tabacco da fiuto. Vengono usati tutti gli antichi modi di decorazione, ma nuove sono le porcellane decorate su fondo verde (famille verte), quelle, bellissime, a fondo lacca nera (famille noire), quelle in giallo imperiale, quelle "fiore di pesco", nonché quelle in azzurro spruzzato (bleu poudré). Spesso si trovano colori di smalto inframmezzati da zone bianche. S'incominciò allora a usare anche la morbida colorazione su fondo di color rosa (famille rose).

Il successore di K'ang-hi, Yung-cheng (1723-35), dimostrò per la porcellana un interesse non inferiore a quello del suo predecessore: e senza dubbio fu egli stesso autore delle numerose e quasi sempre eccellenti imitazioni di vecchi modelli. Ching-te chên preferì invece le tinte tenui e delicate (famille rose). Particolarmente notevoli sono le smaltature iridescenti. Riappaiono spesso le stoviglie rosse (bucchero). Non solo i colori della decorazione hanno un carattere tutto particolare, ma anche il disegno delle figure esageratamente slanciate e manierate attesta lo spirito di un'arte volutamente decadente.

L'ultima forte personalità di regnante cinese, K'ien-lung (1736-95), conservò l'appassionato interesse per la porcellana, ordinando che venissero ripetuti tutti i capolavori della tecnica eseguiti sotto i suoi predecessori. I colori riacquistarono una nuova vivacità, ma l'abilità tecnica troppo raffinata portò ad una sovrabbondanza pesante di sagome e decorazioni. Influssi europei infine distrussero del tutto la sobrietà stilistica della porcellana cinese.

Benché la forza creatrice della Cina, dopo l'ultimo grande periodo delle porcellane sotto K'ien-lung, si fosse esaurita, più d'un capolavoro fu creato ancora durante il regno dei suoi successori, particolarmente sotto Tao-kuang (1821-50). Da ultimo l'industrializzazione europea mise fine a quest'arte, lasciando campo libero all'industria delle falsificazioni.

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Architettura. - Generalità. - Il grande rispetto delle tradizioni spiega come la Cina non abbia avuto effettivamente in tutte le epoche della sua storia e per tutti i suoi edifici che un solo tipo d'architettura. L'impressione che rimane d'una città cinese, grande o piccola, anche dopo un lungo soggiorno, è quella d'una certa monotonia risultante dalla predominanza d'un tipo unico. Quattro o cinquecento anni avanti Cristo i Cinesi costruivano già i loro monumenti e le loro case sul tipo e modello di oggidì.

Non vi sono in Cina rovine architettoniche importanti all'infuori della Grande Muraglia: e la causa è da attribuirsi, sia alla qualità dei materiali impiegati per le armature (il legno), sia alla leggerezza del tipo di costruzione adottato.

All'infuori di rarissime eccezioni, si hanno ruderi e costruzioni soltanto posteriori al 900, e ciò rende difficile potere stabilire gli elementi e i caratteri dell'architettura cinese nei tempi antichi; però, tenendo presente quanto si è già accennato circa il senso di conservazione e di riproduzione dell'antico caratteristico dell'architettura cinese, si può dedurre che studiando l'architettura esistente si studia l'antica. Due leggi regolano in genere l'architettura cinese e le ìmprimono la sua fisionomia generale: l'uso in grandissima parte del legno e la predominanza dei vuoti sui pieni; carattere fondamentale è l'importanza del tetto o t'ing.

Materiali. - L'architetto cinese, innanzi tutto, è carpentiere; la sua costruzione è l'applicazione più in grande degl'incastri e connessure. Sopra un battuto di calce leggermente sfiorita, e terra vagliata, formante una specie di platea, si poggiano lungo il perimetro le basi, per lo più di pietra, sostenenti i travi che formano l'ossatura dell'edificio: su questa, per mezzo di altri travi di collegamento, s'innalza il tetto. Si riempiono poi i vani dell'ossatura con muri di fango e ciottoli, rivestiti da uno spesso intonaco formato di calce, poca sabbia o terra, e stoppa. Raramente si usano i muri di calce e mattoni, e quando si usano, si lascia sempre la cortina scoperta.

È difficile il determinare le ragioni per cui i Cinesi abbiano sì raramente fatto uso della pietra nei loro edifici. Le poche costruzioni tutte di pietra, dette p'ai-sang o p'ai-lou, sono specie d'archi di trionfo commemorativi, di altezza variabile dai cinque ai venti metri, con tre, cinque o più passaggi. Tra i più celebri è quello dinanzi al tempio di Confucio. Un altro molto interessante è situato all'ingresso dell'antico parco di caccia degl'imperatori, a sud di Pechino. Ve ne sono poi di legno, e pietra, spesso graziosissimi, per colori e decorazioni, tra cui il Chang-an sul viale d'Italia a Pechino. Talvolta negl'incroci delle strade se ne trovano posti ai quattro imbocchi; più spesso a due, uno dopo l'altro, come in un esempio caratteristico sulla strada della Chien-men a Pechino.

I Cinesi hanno conosciuto la vòlta fin dall'antichità, ma ne hanno fatto uso raramente, e solo per le porte dei bastioni e per i ponti (ponte a gobba di cammello nel Palazzo imperiale d'estate, quello in marmo bianco di Kwan-cho-chan). Non hanno mai costruito cupole, e solo qualche monumento buddhista, come le stupa (v. oltre) affetta esteriormente la forma d'una cupola, ma in realtà non è che una massa piena senza nessuno dei caratteri essenziali di tale tipo architettonico.

I "t'ing". - Il tipo generale delle costruzioni cinesi è, come si è accennato, il t'ing, consistente in colonne di legno che sostengono un tetto ricurvo all'insù, e strapiombante. Tutti gli edifici, templi, palazzi, case particolari, porte di città, archi di trionfo, ecc. sono costruiti, salvo pochissime eccezioni, sul tipo del t'ing. Il tetto è quindi in tutte le costruzioni, data la poca elevazione delle pareti verticali, la parte principale, e dalla varia sua conformazione e proporzione l'edificio prende il carattere di grandiosità o di semplicità, di forza o di eleganza.

Per variarne l'aspetto, il tetto, specialmente nei templi e nei palazzi, si fa doppio, o spesso triplo (doppio è p. es. quello del padiglione principale della tomba dell'imperatore Yung-lo, dei Ming, triplo quello del tempio del Cielo a Pechino; tav. 73), è decorato e ornato: alle punte rialzate si pongono draghi o altri mostri dipinti o dorati; altri ornamenti e simboli ornano anche i quattro displuvì agli angoli, e il colmo orizzontale, rialzato all'estremità, termina con teste di draghi o di mostri. Sui colmi dei tetti sono caratteristici i cosiddetti "cavalieri", rappresentazioni di mostri o figure umane caracollanti su cavalli o altri animali, per non parlare della decorazione multicolore data dagl'innumerevoli falconetti che sostengono le gronde molto sporgenti.

La forma adottata per il t'ing e l'importanza che gli è stata data hanno reso necessario l'uso di molte colonne, che hanno funzione principalissima, decorativa e statica. Esse sono di legni comuni: quasi sempre pioppo, quercia; più raramente di pino o di cipresso. Per i palazzi e i grandi templi s'impiega di preferenza il cedro, che col tempo prende un simpatico colore di foglia morta e conserva sempre un vago odore aromatico. Il fusto delle colonne è svelto, cilindrico, talvolta poligonale, non mai scannellato. Il capitello è una sorta di mensola squadrata o scolpita a testa di drago, o a fiore di loto; la base è di pietra, a tronco di piramide, o a forma di coppa rovesciata.

Teorie e sistemi. - Quanto alla teoria architettonica e ai relativi sistemi, i Cinesi posseggono una grande raccolta ufficiale d'architettura, Kongcling-tso-fa o Trattato dell'arte del fabbricare, pubblicata nel sec. XVIII per ordine dell'imperatore Jung-ching e che contiene norme minuziose da osservarsi nelle proporzioni principali degli edifici, stabilendo, p. es., che il fusto delle colonne sia alto da sette a dieci volte il diametro e che l'altezza della base debba superare il diametro del fusto.

Le costruzioni cinesi si sviluppano soprattutto in superficie e quindi predominano le linee orizzontali. Il principio assoluto che regola la collocazione e la distribuzione delle varie parti di ogni costruzione di qualsiasi tipo è sempre quello della simmetria.

Architettura civile. - Poiché i Cinesi annettono maggior importanza all'estensione che non all'altezza delle abitazioni, gli edifici in generale sono a un solo piano sollevato variamente dal suolo mediante un terrapieno e fornito d'un pavimento in mattoni grigi, quadrati e perfettamente levigati; solo nei palazzi imperiali, in alcuni edifici di città, come le trattorie e i teatri, e spesso nelle residenze estive, esiste anche un piano superiore. Nel Palazzo d'inverno (tav. 1) l'altezza del piano superiore e il diametro delle sue colonne corrispondono all'incirca ai 4/5 dei corrispondenti elementi del piano sottostante. Alla povertà di concezione architettonica che ispira le costruzioni cinesi fa riscontro una grande profusione di particolari decorativi: tegole verniciate in giallo, turchino, violetto, verde rendono risplendenti i tetti imperiali o dei templi; ogni parte dell'edificio è dipinta o scolpita o decorata; ma sotto quest'ammasso confuso di linee rimane pur sempre la monotonia del tipo originale.

I Cinesi dànno un'importanza capitale all'orientazione in conseguenza della loro credenza che influssi misteriosi provengano dalla configurazione del terreno, dalla direzione dei corsi d'acqua che esistono nel suolo, dai vapori che ne emanano, dagli astri. L'insieme di queste influenze forma ciò che si dice Fong-choui (il vento e l'acqua). Si tratta d'un sistema di geomanzia in cui sono riuniti principî scientifici e pratiche astrologiche, precetti d'igiene e credenze religiose.

Come qualunque manifestazione esterna, anche l'architettura civile in Cina è sottoposta a un regolamento ufficiale che si fa risalire più in là del I millennio a. C. e che fissa l'altezza, la larghezza e la lunghezza da darsi ai diversi corpi di fabbricato, il numero dei cortili, l'elevazione del pavimento sul piano del suolo, il numero delle colonne, ecc. Viene pure stabilito il colore dei mattoni e dell'intonaco esterno, quello delle tegole e la loro qualità. La misura e il numero degli elementi costruttivi vanno aumentando, a seconda della dignità di chi vi abita, dal semplice cittadino al letterato, dal letterato al grande mandarino, dal grande mandarino al principe, da questo all'imperatore. Solamente il palazzo imperiale può comprendere nove o più intercolumnî.

Costruite sempre sul tipo del t'ing, le case d'abitazione, una per famiglia, sono costituite di muri fatti di malta, non hanno finestre sulla strada né sulla proprietà del vicino. Sono divise per solito in tre parti; la prima serve ai domestici e alle sale da ricevimento, la seconda agli appartamenti del padrone, la terza alle donne e ai bambini. A rigore dovrebbe bastare la sola vista esteriore d'una casa per stabilire il rango del proprietario, ma in pratica s'indica la classe dell'immobile per mezzo d'una costruzione, detta chao-p'ing, specie d'ala di muro isolato elevata davanti alla porta a guisa di paravento alla distanza di 2 metri e la cui decorazione varia a seconda del rango delle persone che abitano la casa. Anche gli edifici pubblici hanno il chao-p'ing che serve a indicare l'importanza del servizio amministrativo, giudiziario o religioso a cui sono destinati.

I Cinesi hanno idee particolari per ciò che concerne la decorazione delle ville: rinunciando al loro principio di simmetria, essi non hanno altro scopo in questo caso che di adattare le loro costruzioni al terreno, d'inquadrarle nel paesaggio, di trar partito dal pittoresco, dagli accidenti del terreno, dai boschi e dalle acque. Così il mirabile Palazzo imperiale d'estate (Yüan-ming-yuen) iniziato sotto gl'imperatori Ts'ing è formato da una moltitudine di edifici, pagode e chioschi.

I pochi resti di questo mirabile edificio superstiti da un incendio che lo devastò nel 1860 e dalle continue ruberie cui fu in seguito soggetto sono sufficienti a darci un'idea delle meraviglie contenute in questa Versailles della Cina. Vi sono canali e cascate d'acqua artificiali riproducenti con vera arte la natura. È difficile poter calcolare quanto sia costata questa residenza imperiale racchiudente tesori d'arte e rarità naturali di gran valore. Interessanti fra gli altri sono: il primo padiglione di ricevimento; un grazioso chiosco posato sopra un elegante ponte di marmo; una pagoda di bronzo, ora in rovina e la celebre giunca di marmo. Il chiosco segue nelle sue linee il tipo abituale delle costruzioni nei giardini, e la decorazione ne è infinitamente varia. La copertura è fatta di tegole verniciate verdi, gialle, turchine; i colonnini di legno sono dipinti in carminio o verde scuro.

Architettura militare. - Ha una fisionomia sua propria perché in essa il legno è stato naturalmente sostituito dalla pietra, cadendo in tal modo le caratteristiche più tipiche dell'architettura cinese in generale. Basti por mente alla Grande Muraglia.

La sua costruzione viene attribuita all'imperatore Shih huang-ti, dei Ts'in, che la eresse come baluardo dell'impero, contro le incursioni dei Tartari. Il suo nome cinese è Wan-li-ching, "muro di 10.000 leghe", lunghezza corrispondente all'incirca a 6000 km. Misura un'altezza di circa 10 metri, con sei di spessore, ed è rafforzata ogni mezzo chilometro da torri alte 13 o 14 metri. Si compone d'un basamento in pietra e d'una parte superiore di mattoni imperiali grigi, all'esterno, con riempimento di terra all'interno. Tali mattoni misurano per lo più m. 0,40 × 0,20 × 0,10. Bellissima è la porta che si apre nel lontano villaggio di Kin-yung-kwan. Questa porta, che è forse uno dei monumenti più interessanti del genere, è in marmo bianco, meravigliosamente scolpito. Di forma esagonale, è ornata di figure a bassorilievo, e d'iscrizioni in diverse lingue.

Altre mura e altre porte meritano menzione e anzitutto quella della città tartara di Pechino. Nei bastioni e in genere fra due torri si aprono porte decorative: in Pechino una di tali porte, la Chien-men posta nel lato sud della città tartara, distrutta dalle truppe europee nel 1900, fu poi ricostruita con minuziosa riproduzione dell'antica.

Quanto ai teatri (Hua-yüan) è da notare il fatto che essi sono costruiti in modo che gli spettatori per lo più debbono starsene all'aperto; come struttura essi non presentano differenze dalle costruzioni comuni. E così pure i tribunali (jamen). Le cosiddette "città galleggianti", insieme di baracche innalzate su barconi, che formano una delle caratteristiche di Canton, se non hanno nulla di interessante dal lato costruttivo, dal lato pittoresco offrono quanto vi è di più grazioso in Cina.

Architettura religiosa. - Gli edifici religiosi non hanno in Cina caratteristiche architettoniche che valgano a farli distingere a prima vista. Ciò però vale solo nei riguardi del culto ufficiale, perchè quando s'introdussero ed ebbero culto pubblico il buddhismo prima, e l'isamismo poi, la vecchia arte cinese rimase inevitabilmente modificata. Una distinzione si rende quindi necessaria.

Anzitutto però va fatto un breve cenno del Tempio del Cielo (Tient'ang), nella città cinese di Pechino. Esso è piuttosto un altare che un tempio propriamente detto, giacché tutto il monumento si presenta all'aria libera, senza tetti né pareti. Consiste in tre terrazze sovrapposte, di forma circolare, protette da una balaustrata di marmo, sulla più alta delle quali vi è una tavola di marmo destinata ai sacrifici. La terrazza inferiore misura m. 80 di diametro, quella superiore si eleva a nove metri dal suolo. Di fronte all'altare vi è il tempio circolare (tav. 73) con tre tetti di tegole turchine, terminato in alto da una gran palla dorata, circondato da una triplice scalinata di marmo bianco. I travi sono finemente decorati e così le incavallature del tetto, giacché non vi è soffitto. Nel centro sorge il trono imperiale in legno scolpito.

Questi due monumenti, consacrati a un culto speciale e in cui l'imperatore era il solo officiante, sono unici nella loro specie e fanno eccezione allo schema generalmente adottato in Cina per gli edifici religiosi. Essi ci rappresentano senza dubbio il tipo primitivo del tempio cinese. L'idea di costruire per la divinità un edificio chiuso e coperto non essendo naturale nei Cinesi, solo quando il culto si complicò si pensò a riparare sotto un tetto e tra mura le pratiche della vita religiosa. Più tardi ancora, quando il buddhismo portò la sua liturgia e il commercio delle immagini sacre, il piano dei templi subì una nuova modificazione e ricevette tutto lo sviluppo e l'importanza architettonica che ha conservato fino a oggi.

All'infuori di quello descritto, gli edifici dedicati al culto ufficiale ed a Confucio rientrano nel tipo comune di edifici, e si compongono in generale di numerose costruzioni disposte sullo stesso asse e separate da cortili interni; le costruzioni talvolta non si elevano che d'un piano. Nei cortili si osservano spesso delle pagodine in bronzo di squisita fattura che forse servivano per bruciare profumi. La decorazione interna è semplicissima. Delle tavolette d'ebano o legno laccato in nero, portanti in lettere d'oro il nome di Confucio e dei 60 suoi discepoli, sono appese al muro nella sala principale del tempio. Non vi sono né statue, né pitture. L'aspetto esterno dei templi buddhisti non differisce da quello degli edifici consacrati al confucianismo, ma la decorazione interna è ivi caratteristica.

I templi dedicati al culto del Buddha sono orientati nella direzione sudnord e si compongono, come quelli del culto ufficiale, di parecchi edifici posti nelle stesse direzioni, separati da corti. Dopo l'ingresso a tre porte, sotto un vestibolo, vi sono generalmente quattro statue di legno; tra esse e il muro altre due statue di aspetto e abito guerriero, degli dei Tsen e Ho, difensori del tempio. Dietro tale vestibolo, vi è l'edificio principale, ove si trova la statua del Buddha, con ai lati quelle dei suoi due discepoli favoriti, Ananda e Kaśyapa; dietro queste tre, altre minori. Tale distribuzione varia però talvolta e varia pure per il numero degl'idoli esposti. Talora nel recinto dei templi, come in quello dei Lama, v'è anche un edificio detto dei moribondi, ove sono i sacerdoti malati gravi o molto vecchi.

Si comprende l'impressione profonda che dovettero fare sui primi adepti del culto del Buddha l'aspetto grandioso e le ricche decorazioni di tali templi buddhisti. E come la religione, furono prese ancora dall'India le forme architettoniche, differenti certo dal tipo generale costruttivo che era loro bastato fino a quel tempo.

Le principali di tali forme sono le pagode (v.) e le stupa. Le prime sono delle torri poligonali, esagone ed ottagone, che dalla base diminuiscono gradatamente verso la sommità e sono divise a cinque, sette, nove, undici e tredici piani. Esse sono di legno come quella di "T'ien-i-kuan", di muratura, e di marmo: ogni piano ha una specie di cornice che sostiene una tettoia sporgente, agli angoli della quale sono sospese delle campanelle; attorno a ciascun piano è una galleria ornata di balaustra.

Le stupa possono essere di forme svariatissime, per lo più a cono, o a torre rigonfia in alto, su cui s'innalza una soprastruttura che ricorda le cupole delle chiese russe. Il rivestimento, che si dice fosse anticamente fatto di piastre dorate, o argentate, è ora di pietra liscia, di terracotta verniciata, o di pietra scolpita. I più antichi di questi edifici risalgono al sec. VII d. C.

I templi taoisti sono costruiti presso a poco sullo stesso modello dei templi dedicati al culto del Buddha. I seguaci di Lao-tzŭ hanno ripreso dai bonzi la decorazione interna dei loro edifici sacri. Le statue di Lao-tzŭ e degli otto immortali sostituiscono quelle di Buddha e dei discepoli, i candelieri, i bruciaincensi e altri oggetti del culto portano i simboli del taoismo. Interessante fra tutti è il tempio Kuang-ming-tien, molto simile a quello del Cielo, da cui differisce per avere soltanto due tetti e due giri di scala; esso fu fabbricato nel sec. XVI da Kia-king dei Ming, e si trova nel recinto della città imperiale.

Quanto ai templi maomettani in Cina, questi all'esterno sono di stile affatto cinese, e soltanto nei particolari decorativi rivelano la religione che vi si professa. Nell'interno le moschee sono divise in cinque navi da tre file di colonne di legno, all'estremità della nave centrale vi è il miḥrāb (Kwang-yu-lo). Generalmente presso i Cinesi non vi sono minareti.

Architettura funeraria. - Le tombe imperiali ci offrono il tipo più completo della sepoltura cinese; esse si compongono di due parti distinte: la tomba e i templi che la circondano. La tomba propriamente detta consiste in un sotterraneo scavato in un poggio o nel fianco d'una collina e vi si accede per un lungo corridoio coperto a vòlta; la porta ne è murata dopo che il feretro vi è stato deposto. I templi sono disposti avanti al poggio.

Le rivoluzioni dinastiche hanno distrutto quasi tutte le sepolture imperiali; soltanto i Ming restaurarono i monumenti funerarî dei principali sovrani della Cina; e così una trentina di sepolture furono ricostruite. Le tombe dei Ming stessi si possono ancora vedere, a circa 50 chilometri da Pechino, in una larga vallata deserta ai piedi della Grande Muraglia. Templi ricoperti d'erbe sono aggruppati davanti a ciascuna sepoltura, che è scavata nelle pareti stesse delle colline circondanti la vallata. All'entrata di questa un grandioso p'ai-lou di pietra; dopo circa un chilometro si trovano tre porte; viene poi un bel padiglione, nel cui centro s'innalza la simbolica tartaruga ricavata da un solo immenso blocco di pietra, e ai suoi angoli quattro grandi colonne scolpite in marmo bianco. Una larga strada lastricata, fiancheggiata da giganteschi monoliti raffiguranti uomini e animali, conduce quindi alla necropoli imperiale. L'architettura dei varî edifici non differisce dal solito t'ing. Sono spesso molto graziosi i forni entro cui vengono bruciate le offerte, formati da mattoni smaltati. Le tombe dei privati sono costruite con meno lusso, ma secondo lo stesso criterio di quelle degl'imperatori. I personaggi di grado elevato sono sotterrati in campagna: il monticello che ricopre il feretro è situato nel mezzo d'un giardino, e un piccolo tempio o un semplice altare ricoperto da un t'ing si eleva presso l'entrata. Delle stele di pietra e di marmo sormontate da dragoni e altri simboli s'innalzano davanti alla tomba.

I preti buddhisti si fanno sotterrare generalmente sotto una stupa. I musulmani preferiscono un masso di muratura di forma trapezoidale. Le tombe comuni del popolo si compongono d'un semplice tumulo, davanti al quale è posta verticalmente una pietra con qualche emblema di felice augurio o una breve preghiera.

Bibl.: Per una bibliografia completa sull'arch. cinese, v. H. Cordier, Bibl. sinica, Parigi 1908-1924. Opere recenti: E. Boerschmann, Chinesische Architektur, Berlino 1926; O. Sirén, Histoire des arts anciens de la Chine, IV, L'Architecture, Parigi e Bruxelles 1930.

Musica.

La musica compare in Cina con le più antiche memorie della civiltà; forma parte dell'educazione dei giovani e delle cerimonie religiose e civili. "Le parole" dice lo Shu ching (Libro delle storie) "esprimono i sentimenti, la musica li perpetua. La gamma regola la musica; ogni strumento compie la sua parte. Si crea così l'armonia tra gli uomini e i Mani". In un lungo capitolo dedicato alla musica, il Li chi (Libro dei riti) dice: "La musica nasce nel cuore dell'uomo. Quando il cuore è commosso dagli oggetti esterni, l'emozione si traduce col tono della voce, una voce chiama le altre, concordi o discordi. Le voci formano il fondo della musica. Gli strumenti accompagnano la voce, le danze animano le cerimonie. I riti e la musica, le leggi e le pene hanno lo stesso scopo di unire gli animi e stabilire l'ordine". Lo Shih ching (Libro dei versi) contiene trecentocinque canti raccolti da Confucio, alcuni dei quali sono canzoni popolari dei varî stati feudali; altri inni e canti solenni eseguiti alla corte, nei banchetti, nelle riunioni dei principi e nelle cerimonie nel tempio degli antenati, in onore degli antichi sovrani. Le parole sono conservate, ma le melodie perdute furono rifatte dagli eruditi posteriori.

I principali strumenti erano le campane, le pietre musicali, i tamburi, il liuto a cinque e a sette corde (ch'in), il liuto a diciannove corde (shih), il flauto a due canne (kuan), il flauto con sedici e con ventiquattro canne (hsiao), un altro flauto con tredici o con diciannove tubi (sheng), una specie di piccolo organo a bocca, ecc.

Nello svolgersi dei secoli sono stati introdotti e adoperati altri strumenti musicali dai popoli non cinesi confinanti, dalla Mongolia, dall'Asia Centrale, dal Tibet, dalla Persia e dall'India. La musica delle cerimonie religiose buddhiste e lamaiste proviene dall'India e dal Tibet e differisce assai da quella dei Cinesi. Singolare la musica dei conventi taoisti; in essa prevalgono i flauti e gli strumenti a corda.

I Cinesi hanno una scala di dodici semitoni, che può essere chiamata scala cromatica. Questa scala serve di base per trasporre la gamma diatonica in qualsivoglia dei dodici toni, ma non entra nella pratica della composizione, la quale resta sempre diatonica.

La più antica scala cinese è costituita da cinque gradi determinati per quinte. Sotto la dinastia Chou (1122-255 a. C.) vengono però aggiunti, sempre per quinte, altri due gradi; sì da generare una seconda scala, su sette gradi:

Ai nostri giorni la scala pentafonica è nell'uso comune delle popolazioni cinesi del Mezzogiorno, mentre le nordiche usano a preferenza l'eptafonica.

Musica strumentale. - In questo campo il primato spetta, per ricchezza di composizioni, alla musica per ch'in (k'in), di cui son giunti fino a noi più di cento saggi appartenenti a tempi remoti. Il ch'in è, tra gli strumenti a corda, uno dei più antichi; dapprima esso non aveva che cinque corde; a sette fu armato più tardi.

L'istrumento reca su di un orlo tredici tasti così disposti:

In conseguenza, per ottenere l'8ª giusta, la doppia 8ª, la 5ª, la 12ª e la 4ª, si dovrà toccare, rispettivamente, il settimo tasto, il quarto, il nono, il quinto e il decimo. Quanto alla 3ª maggiore (sull'11° tasto) e alla 6ª maggiore (sull'8°), esse debbono bensì essere giuste, ma a questo scopo il sonatore toccherà la corda un poco oltre il tasto: per la 3ª si fermerà quindi al 10.802 (cioè a 802 hao - misura cinese - verso il decimo tasto); per la 6ª, invece, al 7925 (cioè a 925 hao verso il settimo), poiché la terza e la sesta cinesi s'accostano a quelle di Pitagora.

L'accordatura varia col variare dei modi usati: p. es. per il modo huang-chung-yün le corde vengono così accordate:

Per il modo chung-lu-yün, invece, si alza la 5ª corda d'un semitono; e allora, con la trasposizione propria del modo, si ha la serie:

Le corde vengono pizzicate con la destra in varie maniere; alla mano sinistra si riserva il compito di modificare il timbro o la qualità del suono; per produrre, p. es., il vibrato, il flautato e così via. I due mignoli non sono usati affatto.

Le musiche per questo strumento sono notate con una speciale scrittura riferita direttamente ai varî tasti. Ogni composizione consta di più pezzi, per lo più nel medesimo tono, a guisa di suite.

Musica vocale. - La più ricca produzione appartiene al teatro. L'imperatore Ming-huang, della dinastia T'ang, che regnò dal 713 al 756 d. C., è considerato come il patrono degli attori e dei cantanti di teatro. Egli fondò una scuola celebre nella capitale. La musica dei teatri si sviluppò nei drammi e nelle commedie delle successive dinastie Sung e Yüan (Mongoli). Sono conservate centinaia di commedie e drammi di questo periodo con recitativi e parti cantate che sono ancor oggi eseguiti sul teatro. I drammi del periodo che dal 1530 va al 1860, si possono dividere in due categorie: drammi del nord e drammi del sud. I drammi del nord constano di 4 atti, ognuno dei quali annovera più arie, tutte nella medesima tonalità, e destinate al medesimo cantante, tra loro congiunte da dialoghi tra varî personaggi. Quelli del sud constano, invece, di molti atti, fino a più dozzine, e d'altra parte le arie d'uno stesso atto possono appartenere a differenti tonalità, ed essere destinate a varî personaggi, in modo che essi hanno proprie parti di solo o di coro. La musica di questi drammi, siano essi del nord o del sud, è scritta con cura, in notazione misurata. A questo proposito conviene ricordare che la musica cinese preferisce la battuta pari: il 4/4 e il 2/4, e rarissimo è l'incontrare il dispari. La musica dei drammi è accompagnata specialmente col flauto.

Dopo la metà del sec. XIX vediamo il dramma cinese volgersi ad un nuovo indirizzo. Questo nuovo stile nei paesi del centro è il cosiddetto Ehr-wang; nel nord, invece, il Pang-tzŭ. La musica assume qui un tono più appassionato, ed anche il sostegno, l'accompagnamento strumentale non è più il medesimo, affidato com'è, anziché al flauto, a uno strumento a corde.

Bibl.: P. Amiot, Mémoires sur la musique des Chinois ecc., in Mémoires concernant les Chinois, VI (che contiene un'analisi dell'opera teorica più importante sulla musica dovuta al principe Chu Tsai-yü, intitolata: Lü-lü ching i), pubblicati nel 1596; J. A. van Aalst, Chinese Music, Shanghai 1884; G. E. Moule, Notes on the Ting-chi or half-yearly sacrifice to Confucius, in Journ. of the N. China Br. Roy. As. Soc., XXXIII, Shanghai 1900, pp. 120-156, ove sono riprodotti in notazione europea varî inni e descritta la complicata ed imperfetta notazione cinese; V. C. Mahillon, Catalogue du Musée instr. du Conserv. Roy. de Musique de Bruxelles, Gand 1886-1893; Ed. Chavannes, Des rapports de la musique grecque avec la musique chinoise, in Se-ma Ts'ien, Mémoires Historiques, III, 2ª ed., Parigi 1899, pp. 630-645, dove dimostra che le teorie musicali di Ssŭ-ma Ts'ien (cap. 25 dei Mémoires historiques, III, 1ª ed., Parigi 1898, pp. 293-319) derivano da quelle dei Greci: J. A. van Aalst, Chinese Music, Shanghai, 1884; Mrs. T. Richard, Paperson Chinese Music, Shanghai 1907; A. C. Moule, Chinese Musical Instruments, in Journ. North China Br. Roy. As. Soc., XXXIX, 1908; L. Laloy, La musique chinoise, Parigi 1912; A. Lavignac, Encycl. de la musique, I, Parigi 1913; il quale contiene un lungo studio storico di M. Courant.

Per la bibliografia cinese sulla musica si veda: L. Wieger, La Chine à travers les âges, Hien-hien 1920; A. Wylie, Notes on Chinese Literature, Shanghai 1902, p. 141; H. Litter, Musik in Cina, in Neue Musik, 1900, nn. 23 e 24; W. Cohn-Antenorid, Chinesische Musik-Ästhetik, in Monatshefte für Musikgesch., 1903, p. 1; M. de Rudder, La musique au théâtre populaire chinois, in Le guide musical, 1912, p. 309; E. M. von Hornbostel, Ch'ao t'ien-tzè. Eine chinesische Notation und ihre Ausführungen, in Archiv für Musikwiss., 1918-19, p. 477; K.C. Wang, Über die chin. Notenschriften, in Sinica, Francoforte 1928; id., Über die Metrik der chin. Dichtung, ibid. 1828.

V. tavv. LXIII-LXXXII e tavv. a colori.

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