CINEFORUM

Enciclopedia del Cinema (2003)

Cineforum

Marco Scollo Lavizzari

Rivista italiana di cultura cinematografica, con periodicità mensile, fondata a Venezia nel 1961 per iniziativa di Vincenzo Gagliardi (1925-1968) come quaderno della Federazione italiana cineforum (FIC), sotto la direzione di Camillo Bassotto, coadiuvato dal caporedattore Francesco Dorigo.Periodico della FIC, C. ne assorbì subito gli umori, movendo i suoi primi passi nel solco del tradizionale modo di intendere la funzione e i metodi della critica cinematografica propri del mondo cattolico del dopoguerra. Il riferimento a Forze nuove, corrente democristiana della CISL (Confederazione Italiana Sindacati Lavoratori), il comprovato impegno e la fede cattolica dei suoi ispiratori e dirigenti furono i fattori che ne segnarono la linea editoriale. C. prese posto tra le testate che già si occupavano di cinema per affermare i valori di crescita culturale e l'intento educativo e pedagogico del fatto cinematografico, in polemica, come sostiene Dorigo nel primo numero (marzo 1961, 1-2, p. 7), con l'indirizzo "socialistoide deamicisiano" della critica italiana e bacchettando l'inerzia dei cattolici rispetto alla svolta a sinistra della cultura italiana. La valutazione di un'opera d'arte era quella indicata dal magistero ecclesiastico circa i doveri dell'artista di rappresentare la vita nella sua verità, ossia alla luce dell'esperienza cristiana; e la rivista intendeva risolvere sul piano ideale cristiano i problemi della cultura cinematografica.La sua stessa denominazione, che apparve all'inizio in due termini, Cine Forum, suggeriva del resto la sua immediata vicinanza e similarità con la prassi educativa, allora in auge appunto nei cineforum, di proiezione del film e successivo dibattito pedagogico sui suoi valori morali. Il fine era di educare lo spettatore a riconoscere la 'verità' di un film misurandola con il messaggio cristiano; di inserirlo cioè, come avvisa Renato May nel nr. 24 della rivista (aprile 1964, p. 393), "in una più precisa presa di coscienza di fronte al film, in una prospettiva certamente più ampia" rispetto alla coeva critica cinematografica. Da qui, un rapporto privilegiato con autori quali Ingmar Bergman, di cui vennero pubblicate sceneggiature complete e dialoghi di film, o Carl Theodor Dreyer, che nel 1964 affidò a C. i diritti di pubblicazione dei suoi scritti in Italia, ma anche un'attenzione per Robert Bresson, Shindō Kaneto, Dziga Vertov. Inoltre, proprio lo stretto legame con l'associazionismo e il mondo delle sale cinematografiche permise a C. di ospitare le voci e i fermenti di un'Italia in rapido cambiamento, nella quale i cinema divennero palcoscenici di discussioni politiche, e rifugio per coloro che erano alla ricerca di nuovi linguaggi artistici, in grado di diffondere una diversa coscienza politico-sociale.

Già nel 1962 C. pubblicò articoli di diverse se non opposte sensibilità, di Dorigo appunto, come di Sandro Zambetti, giornalista che negli anni Cinquanta aveva provocato non pochi rumori nella critica cattolica di rigida osservanza del tempo. Le pagine di C. furono il riflesso, nel corso degli anni Sessanta, dei segnali di un'inquietudine non facilmente ricomponibile all'interno della FIC, in cui vari livelli di lettura del cinema vennero a scontrarsi in un dibattito alimentato dalle utopie sociali e rivoluzionarie del periodo, che nessun ferreo controllo riuscì a estromettere dalla redazione. Nel 1967 apparvero su C. i nuovi, sostanziali apporti critici di Jos Burnevich, John Ernst, Giacomo Gambetti, Vicente Pineta, Bjorn Rassmussen, per citarne solo alcuni; e venne rilevato anche lo stato di ottima salute della FIC che poteva vantare un sempre maggior numero di circoli in Italia, mentre più radicale si faceva la differenza fra le sue anime.

L'elezione di Zambetti a presidente della FIC nel 1968, dopo la morte di Vincenzo Gagliardi, inaugurò faticosamente l'inizio di un nuovo stato di cose nel quaderno della FIC. Se infatti divenne più marcato il passaggio a una critica che faceva dell'interesse per i legami economici, monopolistici di produzione e distribuzione, un pegno della sua serietà metodologica, è anche vero che tale travaso non avvenne in maniera indolore. Dorigo si dimise e l'appello di Darko Bratina, nel 1968 dalla Tribuna dei cineforum, a un'identità cristiana che non riducesse la cultura a mero ozio accademico cadde nel vuoto. La pubblicazione in C. dei verbali delle assemblee del Comitato centrale della FIC rivelò un'inconciliabile polemica interna, che ebbe in Camillo Bassotto il rappresentante delle rivendicazioni dell'originaria vocazione della FIC e della sua rivista. Si aprì una crisi che si risolse solo nel 1970 con la riconferma di Zambetti. Le nuove scelte editoriali erano solidali a una critica cinematografica che non voleva restare neutrale di fronte alla società e alle sue contraddizioni.Rispetto all'originario 150×200 C. uscì in un formato quadrato, la sua redazione si trasferì a Bergamo e il suo nuovo impegno politico, oltre che nella denuncia dei mali dell'industria cinematografica e della generale mistificazione della conoscenza e dell'informazione cui è soggetto lo spettatore, si tradusse nella promozione di un lavoro di documentazione e distribuzione per il cinema alternativo ai grandi circuiti. Le collaborazioni di C. si arricchirono delle firme di Adelio Ferrero, Morando Morandini, Italo Moscati, Giovanni Raboni e degli emergenti Roberto Escobar e Vittorio Giacci. Il cinema preferito era sempre quello d'autore, da Bergman a Paul Morrissey, da Joseph Losey a John Houston.Rimasta intatta sino ai primi anni Settanta, la fiducia in un cambiamento della società venne in C. via via smarrendosi, fino a cedere il passo, nella seconda metà degli anni Settanta, a discussioni critiche sugli impegni dell'associazionismo di base o sulla crisi del cinema. La stessa critica cinematografica fu ripensata nelle sue funzioni e nella sua utilità come anche l'istituto del cineforum, sul quale si teorizzarono nella FIC ipotesi di trasformazione. All'inizio degli anni Ottanta C. scelse come suo campo d'azione e di riflessione la contemporanea industria culturale, in una prospettiva comunque critica e aperta al cambiamento della società. Nel 1981 C. modificò ancora il formato e rinnovò la veste grafica; le tradizionali schede si fecero più sintetiche e dettero naturalmente conto della diversa percezione critica cui era approdata la rivista. Tra il 1981 e il 1982 comparvero le due rubriche Flashback e Sequenze, mentre il 1983 di C. vide lo speciale dedicato a E.T. the extra-terrestrial (1982; E.T. l'extra-terrestre) di Steven Spielberg, conferma di un diverso rapportarsi con l'industria hollywoodiana, e di un interesse per il cinema ormai a tutto campo, scevro da una qualsiasi consolidata preferenza. Non mancarono poi nel 1987 rilievi circa ipotesi o sintomi di un cinema nuovo, con quello di Luc Besson, Daniel Helfer, Neil Jordan, David Lynch, Martin Scorsese, in un anno nel quale fioccarono speciali su Imamura Shōhei e Andrej A. Tarkovskij e soprattutto su Stanley Kubrick per il film Full metal jacket (1987). Il ciclo del Dekalog (1987-89; Il decalogo) di Krzysztof Kieślowski si è imposto nell'elenco degli irrinunciabili degli anni Ottanta, stilato nel 1990 dai trentuno collaboratori della rivista. Nel formato attuale (210×276), C. ha continuato a seguire il cinema in tutti i suoi aspetti e sviluppi, pubblicando per es. speciali su Malcom X (1992) di Spike Lee (nr. 323), Titanic (1998) di James Cameron (nr. 377), Magnolia (1999) di Paul Thomas Anderson (nr. 394) o su registi come Robert Altman (nr. 328), o ancora dedicando i numeri dal 341 al 345 ai cento anni del cinema, senza rinunciare mai al suo imprescindibile rapporto con l'associazionismo.

Bibliografia

Cineforum 40. Breve storia della rivista, a cura di A. Ambrosi, Bergamo 2001, (in partic. F. Tassi, Quarant'anni, quattro vite, pp. 7-30).

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