CIRENE

Enciclopedia Italiana (1931)

CIRENE (Κυρήνη, e in dorico Κυράνα, Cyrēne e Cyrēnae; A. T., 113-114)

Attilio MORI
Ettore GHISLANZONI
Ettore GHISLANZONI
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Antica città della Cirenaica, da cui la regione prese il nome, posta quasi sul ciglio dell'altipiano, a 622 m. s. m., distante dalla costa 5 km. in linea d'aria, e 17 km. lungo la rotabile che la congiunge ad Apollonia, suo scalo portuale. Coi primi del sec. XIX, iniziatasi l'esplorazione sistematica della Cirenaica, le rovine di C. destarono particolarmente l'interessamento dei visitatori. In seguito all'occupazione italiana (20 maggio 1913), per l'importanza storica e archeologica della località, per la sua favorevole posizione dominante sull'altipiano e per la ricchezza di acqua eccellente derivata dall'antica fonte di Apollo, si andò costituendo a Cirene un nuovo centro abitato; che nel 1927 fu eretto a sede di commissariato e il 7 aprile 1930 (riuniti i tre commissariati di Barce, di Derna e di Cirene a far parte del commissariato del Gebel con sede a Barce), a capoluogo di circondario. L'abitato, che si va sviluppando sulle pendici collinari adiacenti alle vestigia dell'antico tempio e fonte di Apollo, va coprendosi di fabbricati per gli uffici di governo, chiesa cattolica, caserme, sede della Sopraintendenza alle antichità e monumenti della Cirenaica, alberghi, magazzini, abitazioni private per gli Europei, mentre alcuni nuclei di popolazione indigena trovano ancora rifugio nell'antica necropoli. La sua popolazione attuale è di circa 2000 ab. È in progetto la costruzione di una nuova Cirene più a oriente, sulle colline di Ain el Hofra.

Storia.

Sull'origine di Cirene si hanno racconti leggendarî, i quali erano già fissati quando Pindaro compose la IV, la V e la IX ode Pitica ed Erodoto il IV libro della sua storia. Queste leggende sono alquanto differenti, ma concordano in quello che riguarda la fondazione della città per opera di Terei.

Un giovane principe dell'isola di Tera, balbuziente, figlio di Polimnesto, recatosi a Delfi per consultare l'oracolo di Apollo, ebbe in risposta che egli doveva fondare una città nella Libia. Il nome attribuito a questo principe era Batto, parola forse libica (cfr. la radice berbera badd, avente talora il significato di "aver cura di qc., vegliare su qc."). Erodoto crede che altro fosse il nome, che però non riferisce; Pindaro, Callimaco ed altri lo chiamano Aristotele: in un'iscrizione di Cirene è detto Batto Aristotele; Giustino lo chiama Aristeo. Nella "stele dei fondatori" o "dei patti" recentemente scoperta è detto tre volte Batto. I Greci poi hanno connesso il nome Βάττος col verbo Βατταρίζω "balbettare", e da ciò si è formata la leggenda che Batto avesse consultato appunto per quel difetto l'oracolo, che lo chiamò tre volte re di Cirene. Batto con due navi di cinquanta remi navigò verso la Libia, e sbarcò nell'isoletta di Platea; dopo due anni di permanenza in quell'isola, tentò di tornare a Tera, ma ne fu impedito dai Terei. Tornò in Libia sbarcando in un luogo di fronte a Platea, detto Aziris o Azilis, dove coi suoi rimase sei anni; nel settimo i Libî condussero Batto e i suoi verso ovest (regolando le tappe in modo che i Terei non passassero di giorno per "il più bello dei luoghi", chiamato Irasa) fino a una sorgente, che già al tempo di Pindaro e di Erodoto si chiamava di Apollo. È questa la fontana chiamata dai Libî Kura, donde probabilmente deriva il nome Cirene. Null'altro sappiamo di Batto, che è certamente figura leggendaria, né può farci credere il contrario il fatto che Pindaro vide nell'agorà di Cirene il sepolcro di lui, come erano in molte città greche i sepolcri dei mitici fondatori.

L'origine della colonia deve essere stata determinata da esuberanza di popolazione nella sassosa isola di Tera. I naviganti delle isole conoscevano certo le coste della Cirenaica e possono essere stati attratti dalla rigogliosa vegetazione delle alture su cui sorse Cirene, visibili anche dal mare. Che i coloni, poi, abbiano preso una via così lunga, sbarcando nel golfo di Bomba invece che vicino al luogo in cui venne fondata Cirene, non stupisce chi conosca le coste della Cirenaica. I due terrazzi scendono a picco, il primo a qualche centinaio di metri dalla sponda del mare, il secondo a sei chilometri dal ciglio del primo, e per superarli si doveva percorrere il letto incassato di torrenti asciutti, e pochi uomini bastavano ad impedire l'ascesa di un esercito.

L'iscrizione detta "stele dei patti", di poco posteriore al 377 a. C., contiene la versione ufficiale a Cirene dell'origine della colonia. Quanto in essa è detto non in tutto concorda col racconto di Erodoto, e sembra appartenere alle tradizioni proprie di Cirene, diverse da quelle di Tera. Interessante è la cerimonia del giuramento. Tanto quelli che restano quanto quelli che partono maledicono a coloro che non si atterranno ai patti.

Secondo alcune leggende, questa dei Terei è la seconda colonizzazione; la prima, avvenuta avanti il 1000, si collegherebbe con la spedizione degli Argonauti e col ritorno di Elena dopo la spedizione di Troia. Certo è però che Erodoto dice che i Terei non incontrarono che dei Libî (v. cirenaica). La data della fondazione varia fra il 762 e il 598. Teofrasto e Plinio dànno il 611, Solino il 598-97; la data più accettata era il 631, ma è stato osservato che dalla narrazione di Erodoto si ricaverebbe che egli pone la fondazione di Cirene poco prima del 650, data che non può essere molto abbassata. La fondazione della colonia può porsi tra il 650 e il 640.

Nulla sappiamo del regno di Batto. Del secondo re di Cirene, Arcesilao I, Erodoto dice solo che regnò 16 anni; ma anche questa figura sembra posta per riempire un vuoto nella serie dei monarchi, secondo la tradizione o l'albero genealogico della casa regnante. Certo però non dovettero esser poche le difficoltà create ai nuovi coloni dai Libî del luogo, che si videro privati del punto più fertile e più ricco d'acqua. Il terzo re, Batto II, invitò altri Greci a venire nella nuova colonia, più che per sfruttarla, per tener testa alla pressione continua degl'indigeni, i quali, guidati dal loro re Adicran, si allearono anche col re d'Egitto Apries per scacciare i Greci. L'anno 570 i coloni sconfissero completamente Libî ed Egiziani nella ricordata località di Irasa, presso la fonte Theste. Questo è il primo avvenimento storico della nuova colonia, e fu decisivo per il suo consolidamento e sviluppo. Batto II avrebbe regnato dal 590 al 560. Gli succedette Arcesilao II, sotto il quale cominciarono le discordie intestine, pare causate anche dai nuovi coloni, chiamati da Batto II. Alcuni fratelli del re, che parteggiavano per gli oppositori, furono costretti ad abbandonare Cirene coi loro seguaci, e fondarono Barce (v.). Arcesilao II mosse contro la nuova colonia, alla quale si unirono i Libî. I Cirenei furono disfatti in una località detta Leucon. Arcesilao venne strangolato dal fratello Learco; la vedova Erixo vendicò il marito facendo trucidare il cognato, per serbare il regno al figlio Batto III, sotto il quale la debolezza della monarchia e l'incapacità di essa di dare al paese un ordinamento stabile appaiono anche dall'essere egli stato costretto, per consiglio dell'oracolo di Apollo, secondo la tradizione, a far venire Demonatte da Mantinea per riformare la costituzione. Il popolo fu diviso in tre tribù (ϕυλαί): la prima comprendeva i discendemi dei Terei, dei fondatori e perieci, la seconda i Peloponnesî e i Cretesi, la terza coloro che provenivano dalle altre isole. Vennero date al popolo le prerogative prima avute dal re, al quale venne lasciato solo il sacerdozio e l'usufrutto delle terre sacre. Arcesilao III figlio e successore di Batto III, tentò di riacquistare i poteri tolti al re da Demonatte, ma fu sopraffatto, e dovette riparare presso il tiranno di Samo, Policrate. Ivi raccolse un forte esercito, con il quale riconquistò Cirene (530 circa) e proscrisse i suoi nemici, alcuno dei quali si rifugiò in un fortilizio, che venne dato alle fiamme. Secondo il racconto erodoteo, ciò facendo il re disobbedì all'oracolo, e per non incorrere nell'ira divina riparò a Barce presso il nonno materno Alazir (nome libico), ma là da alcuni congiunti venne trucidato nell'agorà (510). Con Arcesilao III nella storia di Cirene comincia ad apparire l'ingerenza dei Persiani, padroni dell'Egitto. Infatti Erodoto ci dice che Arcesilao pagava un tributo a Cambise. Con l'aiuto del governatore persiano d'Egitto, Ariande, la madre di Arcesilao, Peretime, che reggeva il governo di Cirene in nome del figlio, assalì ed espugnò Barce e menò aspra vendetta dell'uccisione del re. Barce fu saccheggiata, gli abitanti ridotti in servitù e deportati in Egitto. A essi Dario assegnò poi terre in Battriana, dove sorse una modesta borgata, che si chiamò Barce. Da allora Barce della Cirenaica perdette ogni importanza. La flotta persiana estese la sua attività fino a Euesperide (Bengasi). Così ommai tutte le colonie greche della Cirenaica formarono uno stato solo, perché se i Persiani ridussero all'obbedienza Euesperide e Barce, anche Teuchira (Tocra), che Erodoto dice πόλις Βαρκαίης (v. arsinoe), o spontaneamente o con la forza sarà stata ridotta all'obbedienza. Questo stato, di popolazione ellenica e libica, aveva per città principale Cirene, ma era sotto l'alta sovranità dei re di Persia. Quali fossero i legami tra le città e tra queste e la capitale, ignoriamo; solo possiamo ritenere che a Cirene e in Cirenaica, come negli altri paesi greci, i partiti che si opponevano alla casa regnante fossero anche sostenitori della completa indipendenza. Qui termina il racconto di Erodoto, da cui però sappiamo che, secondo la tradizione, avevano regnato su Cirene otto re, quattro col nome di Batto, quattro con quello di Arcesilao, alternativamente. Di Batto IV, detto il Bello, nulla sappiamo oltre il nome: durante il suo regno si intensificarono le operazioni dei Persiani per assoggettare tutto il mondo greco. Sappiamo che nell'esercito di Serse vi era un numeroso corpo di Libî, ma nulla autorizza a credere che vi fossero anche Greci di Cirene. Le vittorie dei Greci sui Persiani nei primi decennî del sec. V a. C. fecero prendere forza al partito di opposizione alla casa regnante. Ma di questi avvenimenti non siamo informati. Ultimo re di Cirene fu Arcesilao IV, figlio di Batto IV, che nel 462 fu vincitore nella corsa coi carri ai ludi pitici e nel 460 in quelli olimpici, e la sua vittoria del 462 fu cantata da Pindaro nella IV e V ode pitica. Da alcuni accenni del poeta si comprende che vi era grave fermento contro il re, al quale Pindaro raccomanda la clemenza. Non sappiamo se cacciato o perché non si sentiva sicuro a Cirene, il re si rifugiò a Euesperide, dove condusse nuovi coloni raccolti in Grecia, ma ivi fu trucidato intorno al 450, e con lui finì, dopo quasi due secoli, la monarchia.

Anche per i 200 anni che seguirono, scarse sono le notizie della storia di Cirene. Durante la guerra peloponnesiaca, Cirene come città dorica tenne dalla parte di Sparta, ma come vi abbia partecipato ignoriamo. Nel 401 un capo del partito popolare, Aristone, s'impadronì del governo e volle distruggere il partito aristocratico. Cinquecento furono uccisi e altri si salvarono con la fuga. Tornarono poco dopo, unendosi con tremila Messenî che, scacciati dopo la vittoria di Egospotami (405 a C.) da Naupatto e da Cefalonia, avevano cercato asilo in Cirenaica. I democratici sostennero bravamente l'assalto, i Messenî furono distrutti, ma anche i democratici ebbero gravi perdite, e allora si venne a un accordo. La costituzione venne mutata, furono ricostituite le antiche phylai e altre ne furono create sul tipo della costituzione ateniese di Clistene, e fu riattivato l'antico culto famigliare; quella nuova costituzione è citata come modello da Aristotele (Pol., IV, 1319). I Messenî che non avevano partecipato alle lotte contro Aristone, si raccolsero ad Euesperide, donde, nel 371, vennero richiamati in patria. La stele dei patti o dei fondatori già menzionata è una prova del grande attaccamento che durava ancora tra Cirene e Tera nel sec. IV, giacché in essa è sancito che i Terei continuano a godere i diritti di cittadinanza in Cirene, purché vi abitino e vi prestino un giuramento come quello prestato dai Terei che partirono con Batto, e che debbono quindi essere assegnati al posto che a ciascuno di essi spetta nelle istituzioni pubbliche cittadine.

Al sec. IV si dovrebbero ascrivere le lotte con Cartagine. Cirene aveva uno scalo ad Automalax nella Sirte, poco lontano dall'altare dei Fileni (v.). Intanto Cirene cresceva in ricchezza, e acquistò anche un notevole decoro artistico. Di questa ricchezza è prova l'aneddoto, per quanto leggendario, secondo cui Platone, invitato a dare un nuovo ordinamento a Cirene, se ne schermì dicendo che i Cirenei erano troppo ricchi perché egli potesse dar loro delle leggi, essendo difficile governare una città opulenta.

Nel 331 ad Alessandro che, conquistato l'Egitto e fondata Alessandria, si recava nell'oasi di Siva per consultare l'oracolo di Giove Ammone, si presentò una deputazione di Cirenei con ricchi doni, per pregarlo di concedere la sua protezione alla città e di visitarla. Alessandro non venne a Cirene, ma provvide all'amministrazione dell'Egitto e della Libia, che venne affidata ad Apollonio, figlio di Carino. Dal 331 al 326 durò in Grecia una terribile carestia. Una lapide recentemente scoperta a Cirene porta l'elenco delle città cui Cirene mandò grano per un complesso di ventinovemila tonnellate. Dopo la morte di Alessandro, Cirene tornò in preda alle fazioni. Il partito soccombente venne cacciato e i fuggiaschi indussero lo spartano Timbrone a muovere contro Cirene, che egli cinse d'assedio, dopo aver occupato il suo scalo marittimo, Apollonia. Cirene dovette comperare la pace, impegnandosi a pagargli cinquecento talenti. Mnasea, un cretese dell'esercito di Timbrone, raccolti attorno a sé i soldati scontenti della violenza di questo generale, si accordò coi Cirenei, che avevano intanto stretta alleanza con Cartagine. Timbrone, disfatte le truppe cartaginesi che venivano in aiuto di Cirene, fu nuovamente padrone della città, da cui proscrisse il partito aristocratico. Ma questo invocò l'intervento di Tolomeo I il quale mandò un esercito comandato da Ofella. Timbrone fu vinto e crocefisso in Apollonia, e tutte le città della Cirenaica caddero in potere di Ofella, ultima Cirene, nel 322. Ofella rimase governatore della Cirenaica. Una seconda spedizione nel 308-307 venne mandata da Tolomeo agli ordini di Magas, figlio di Berenice I, forse perché Ofella si era reso indipendente. Anche Magas ben presto si fece indipendente assumendo il titolo di re, e tentò anche una spedizione contro Tolomeo II Filadelfo, ma per difficoltà sorte tanto dall'una quanto dall'altra parte fu concluso un accordo consacrato con il fidanzamento della figlia di Magas Berenice II con Tolomeo III Evergete, ancora bambini. Magas mori circa il 253 e sette anni dopo, nel 246, Berenice portava in dote allo sposo Tolomeo Evergete la Cirenaica. Cirene e la Cirenaica devono essersi frattanto rese indipendenti; lo fa supporre la costituzione federale (κοινόν), alla quale, come si desume dalle monete che portano quella leggenda, deve assegnarsi all'incirca la data del 250 a. C. Si è con solidi argomenti affacciata l'ipotesi che la riforma di Ecdelo e Megalofane, della quale parlano le fonti storiche, sia appunto quella contenuta nella grande iscrizione recentemente scoperta nel piazzale della fonte di Apollo a Cirene.

Esponiamo brevemente i dati principali, tralasciando le disposizioni transitorie. Sono cittadini cirenei tutti i nati di padre e madre cirenei o da padre cireneo e madre libica appartenente alle tribù tra Catabatmo (ad est) e Automalax (ad ovest), oltre ai discendenti dei coloni inviati nella città oltre This (non identificata); i cittadini che abbiano 30 anni e posseggano in beni permanenti non meno di trenta mine alessandrine fanno parte dell'assemblea dei 10.000; dai 10.000 di almeno 50 anni vengono estratti a sorte i 500 componenti la bule; l'ufficio dei buleuti dura due anni, e ogni anno se ne rinnova la metà; vi è una gerusia (che già prima esisteva a Cirene) di 101; i geronti non possono essere eletti a nessuna magistratura, eccetto che a quella di stratego in caso di guerra; stratego a vita è Tolomeo, inoltre vi sono cinque altri strateghi scelti fra i 10.000 che abbiano almeno 50 anni. Nei processi capitali giudicano la gerusia, la bule e 1500 scelti a sorte fra i 10.000. Non possono essere magistrati i componenti l'assemblea dei 10.000 i quali esercitino la medicina o insegnino ai giovani la ginnastica, il tirar d'arco, il cavalcare e il maneggiare l'armi e i banditori. Questa costituzione riforma la precedente in senso democratico, perché l'assemblea è dei 10.000 invece che dei 1000, ma nello stesso tempo sancisce i poteri di Tolomeo che è stratego a vita, e nomina la prima volta i componenti della gerusia. Apame, madre di Berenice, e reggente lo stato in nome di questa alla morte di Magas, voleva dare a Demetrio il Bello (v.), col quale pare avesse una tresca, in isposa la figlia che portava in dote la Cirenaica, e Demetrio con l'aiuto della reggente riuscì a sottomettere la Cirenaica e a occupare Cirene. Ma Berenice fece assassinare Demetrio e sposò Tolomeo III Evergete. Allora cadde il partito di Demetrio e prevalse quello dei Tolomei. A questo momento (tra il 250 e il 245) si potrebbe assegnare la riforma della costituzione contenuta nell'epigrafe di cui si è fatto cenno.

Passata Cirene con la Cirenaica a Roma grazie al testamento di Tolomeo Filometore (v. cirenaica), essa, dopo il governo di Tolomeo Apione in nome di Roma, cadde sotto la tirannide di Nicostrato, finché non le diede assetto Lucullo nell'88. Nelle guerre fra Cesare e Pompeo Cirene parteggiò per Pompeo. Antonio nel 36 la donò a Cleopatra Selene, figlia sua e di Cleopatra. Dopo la battaglia di Azio, Augusto la ridusse a provincia e nel 26 a. c. venne unita a Creta (per le vicende successive della provincia Creta e Cirene, v. creta). Durante la guerra civile e anche nei primi decennî del regno di Augusto, i Greci di Cirene subirono angherie da parte di cittadini romani che costituivano una piccola minoranza.

Ciò è confermato da un importantissimo documento epigrafico, una grande stele esposta nell'agorà di Cirene, nella quale sono trascritti, tradotti in greco, due editti (προγράμματα) di Augusto, di cui il primo contiene quattro decreti (ἐπικρίματα) dell'anno 7-6 e il secondo, del 4 a. C., contiene un senatoconsulto. Nel primo decreto, in seguito a reclami di Greci di Cirene, trovati giustificati, Augusto, avendo constatato che i Romani di ogni età nella Cirenaica, i quali possedevano un censo di 2500 denari, cioè mille sesterzî, erano in tutto 215, dispone che nei giudizî capitali i giudici siano non come prima tutti romani, ma metà romani e metà greci, con certe limitazioni riguardo al censo. Nel secondo decreto dichiara assolti tre cittadini che da Cirene erano stati imprigionati per crimina maiestatis. Nel terzo editto è sancito che i Cirenei i quali hanno ottenuto la cittadinanza romana devono continuare a corrispondere le liturgie alla comunità, salvo casi speciali. Nel quarto editto Augusto dispone che nei giudizî, esclusi quelli capitali, i Greci debbano essere giudicati da giudici greci se il giudicabile non chiede di essere giudicato da romani, e che i giudici greci devono essere di città diversa da quella cui appartiene il giudicabile. Il secondo editto imperiale contiene un senatoconsulto, inviato a Cirene, come a tutte le provincie, il quale concerne la procedura da seguire nei reati di concussione.

Sotto Augusto Cirene ebbe un notevole incremento. Testimonianza della rigidità amministrativa di Vespasiano sono i cippi che delimitavano aree di proprietà di Roma, delle quali i confinanti si erano abusivamente impossessati.

Delle gravi rivolte giudaiche del sec. I e II d. C. che insanguinarono la Cirenaica (v.), Cirene ebbe fortemente a risentire, come ci attestano due iscrizioni che ricordano il tumultus iudaicus: una, sulla via ApolloniaCirene, testifica che la strada, riattata da Claudio, era stata eversa et corrupta dagli Ebrei e venne restaurata da Adriano; l'altra dice che lo stesso imperatore aveva restaurato balineum cum porticibus et sphaeristeriis ceterisque adiacentibus, che eran stati diruta et exusta. Gli Ebrei dunque, padroni della città, dopo una strage, che le fonti valutano - con evidente esagerazione - a 220.000 vittime tra Cirenei e Romani, avevano devastato gli edifici, abbattuto gl'idoli e le statue; e difatti parecchie sculture scoperte negli scavi presentano rotture per colpi violenti e affrettati restauri.

Cirene ebbe riconoscenza per Adriano, che chiamò anche salvatore e fondatore (σωτὴρ καὶ κτὶστης), appellativi che a Cirene sono dati il primo a Giove, e il secondo ad Apollo. Iscrizioni di edifici nel temenos di Apollo, attestano l'interessamento di altri imperatori della casa degli Antonini. Ma Cirene non si riebbe mai più, forse anche perché era venuta a mancare una delle maggiori fonti della sua ricchezza, il silfio. Gli scavi in corso dimostrano che i grandi edifici specialmente dell'agorà nel sec. IV vennero ridotti a piccoli ambienti per uffici e abitazioni. Alla fine di quel secolo e al principio del successivo venne la catastrofe con il terremoto attestato per Cirene da un'epigrafe funeraria (v. bibl.), dalle lettere di Sinesio e anche dal modo come si sono presentate le rovine degli edifici. Dalle lettere di Sinesio, nativo di Cirene, vescovo di Tolemaide (Tolmetta), apprendiamo pure in quale stato di abbandono fosse Cirene, la quale del resto aveva perduto anche la sua importanza come capitale, perché Diocleziano divise la Cirenaica in Libya inferior e Libya superior; e quest'ultima, che comprendeva la Pentapoli, ebbe per capitale Sozusa (da cui deriva il nome di Marsà Sūsa, l'antica Apollonia) e venne assegnata prima alla Dioecesis Orientalis, e poi alla Dioecesis Aegypti. Dopo le amare rampogne e le inutili invocazioni di Sinesio, nessuna testimonianza ci è giunta. Certo il cristianesimo si affermò a Cirene, come dimostrano i resti di una basilica di notevoli dimensioni. Sulla fiorente città si distese la barbarie; l'antico splendore era solo testimoniato dall'estensione della zona coperta dai ruderi imponenti. Il nome si conservò nell'arabo Grennah.

Religione e cultura. - Il dio più venerato a Cirene, come dio fondatore, fu Apollo Carneo, il cui culto venne portato dai Terei. A lui fu innalzato il grande tempio presso la fonte Κύρα. Con il culto di Apollo si connette quello di Artemide, non soltanto perché sorella di Apollo, ma anche perché presentava certe analogie con la ninfa Cirene. Incisa in un gran blocco di marmo è stata scoperta, purtroppo mutila, una serie di norme sacre che erano state sottoposte all'esame e all'approvazione di Apollo Pitio a Delfi; in essa sono contenute rigorose norme di purificazione e di espiazione.

Come fondatore ed archegeta era venerato Batto; oggetto di culto erano quasi tutte, si può dire, le divinità dell'Olimpo greco: Giove Liceo, pure venuto da Sparta (e anche Giove Ammone, la cui testa vediamo nelle monete), Demetra, Afrodite, le Cariti, Atena, Pan, Dioniso e Asclepio; quest'ultimo però aveva il suo culto, come medico (ἰατρός) a Balacrae, a 18 km. a SO. di Cirene, da cui derivò anche il culto che quel dio aveva a Creta; altre divinità, come Zeus Meilichio e le Eumenidi, fin da tempi remoti avevano culti in sacelli e grotte all'aperto. Anche la dea Libya, personificazione del paese, era venerata e vi erano in Cirene sue immagini.

Non mancava il culto di Iside, e per rispetto di lei le donne libiche non mangiavano carne di vacca e osservavano i digiuni e le feste. Nell'epoca imperiale si estesero anche altri culti orientali. I Cirenei si ritenevauo di origine minia, e quindi vivi dovevano essere i miti che ai Minî, alle loro origini e alla loro permanenza nella Laconia si riferiscono. Ma il mito più bello e più vivo era pur sempre quello della ninfa Cirene, con la quale si connettevano le origini della città. Luogo particolarmente venerato era il Mirtoo, boschetto di mirti in cui Apollo si unì con la ninfa, che non poteva essere se non nel versante sud-ovest dell'altura da cui sgorga la sorgente Kyra, dove ancor ora prosperano piante di mirto.

Il popolo di Cirene ci appare nella sua storia fazioso e di scarsa disciplina politica, forse anche per la mescolanza con sangue libico, perciò la ricca colonia non ha avuto nella storia quella parte che la sua posizione e la sua ricchezza avrebbero consentita. Erano coltivate arte e poesia, come già attesta Pindaro (Pyth., XV, 281 segg.); ma le menti più elette fiorirono dal sec. IV: Teodoro il matematico, alla cui scuola accorse anche Platone; Aristippo, che introdusse e diffuse a Cirene la dottrina socratica e fondò la scuola filosofica cirenaica; Eratostene, forse la mente più enciclopedica che abbia avuto l'antichità dopo Aristotele; Callimaco, iniziatore della cultura ellenistica; e Carneade, filosofo vigoroso e originale. Ma tutti costoro formarono la loro educazione e la loro cultura fuori di Cirene. Neppure nell'arte si rivela l'originalità, perché dai primi secoli fino al IV i prodotti della scultura o sono direttamente importati dalla Ionia e dall'Attica e in parte anche dalla Doride, o sono evidenti imitazioni di capolavori di quei maggiori centri artistici. Né diversamente dovette essere dell'architettura, in cui forse sarà possibile riconoscere adattamenti alle esigenze locali. Della pittura nulla sappiamo, perché nulla ci resta. Scarsissime sono le indicazioni che possono dare le figurazioni della ceramica cirenaica, la cui fabbricazione originale deve ormai ritenersi assodato fosse in Cirene. Quella ceramica non può certo competere per purezza di linee e semplicità armonica di composizione neppure con i mediocri prodotti attici coevi.

Topografia.

Le prime notizie descrittive intorno alle rovine di Cirene sono quelle che ci hanno lasciato i dottori italiani A. Cervelli e P. Della Cella, i quali visitarono la città nei primi decennî dell'800; ad essi seguirono fra il 1820 e il 1825 i fratelli Beechey e R. Pacho, e nel 1848 il Vattier de Bourville, agente consolare francese a Bengasi, che eseguì fra le rovine qualche ricerca, i cui frutti mandò al museo del Louvre. Scavi assai più larghi e più fecondi furono compiuti nel 1860-61 dagli inglesi R. M. Smith e E. A. Porcher, che poterono raccogliere per il Museo Britannico un abbondante e prezioso materiale statuario ed epigrafico. Le esplorazioni scientifiche si iniziano nel 1910 con la missione archeologica italiana composta di F. Halbherr e G. De Sanctis, cui segui immediatamente una missione americana, condotta da R. Norton: ma, conquistata la Cirenaica dall'Italia, il compito della ricerca restò a questa assicurato. Nel dicembre 1913 tornava inaspettatamente alla luce la statua di Afrodite, ora nel Museo Nazionale romano: e la scoperta segnava l'inizio degli scavi metodici, che presero le mosse dalle terme, e che ridonarono in poco tempo una copia di sculture veramente notevole. Fra il 1914 e il 1923 E. Ghislanzoni, coadiuvato da G. Oliverio e S. Ferri, eseguiva scavi nell'area del tempio di Apollo, nell'agorà, al tempio di Giove Capitolino, ecc. Ma una ricerca sistematica fu possibile solo dal 1923, quando il governo della Cirenaica, portando la città moderna e gl'impianti militari fuori della zona monumentale, e assegnando agli scavi adeguati mezzi finanziarî, stabiliva l'invio ogni anno a Cirene di una missione archeologica a integrazione dell'opera della soprintendenza locale. Fissato pertanto un piano di lavoro, questo si svolgeva sistematicamente dal 1925 ad oggi, esplorando via via tutta l'area del tempio di Apollo, e da questa ampliandosi prima verso la fonte, poi nell'agorà.

Caposaldo per la topografia di Cirene è la fonte Κύρα, chiamata anche da epoca molto antica fonte di Apollo e dagl'indigeni oggi Ain Sciahhát (‛Ayn Shaḥḥāt): fu infatti certamente presso di essa e in causa di essa che quivi si stabilirono i coloni venuti da Tera. La fonte sgorga dal versante settentrionale del secondo terrazzo dell'altipiano, a 570 m. di altezza s. m.: l'acqua scende attraverso un cunicolo, che si addentra nella roccia per circa 300 metri, e nelle cui pareti numerose iscrizioni, le più antiche delle quali non vanno però oltre il tempo di Adriano o di Antonino Pio, serbano memoria di coloro che lo visitarono. Dove il cunicolo sbocca all'esterno, la parete rocciosa mostra dei tagli, fatti allo scopo di appoggiarvi contro una tettoia, quasi una specie di pronao: la fonte era infatti sacra alle Ninfe. Vicino alla fonte, la città sorse su due colline situate a nordest e a sud-ovest di essa, e separate da un burrone che davanti alla fonte stessa venne artificialmente livellato in modo da formare due ampie terrazze ciascuna sostenuta a valle da un potente muraglione a blocchi restaurato ancora in età tarda.

La città era circondata da mura, delle quali si veggono notevoli tratti a occidente della collina meridionale, che costituiva l'acropoli e che era a sua volta munita di una speciale fortificazione che la separava dall'adiacente quartiere dell'agorà, e verso mezzogiorno ed oriente, presso le cisterne e presso lo stadio.

La terrazza inferiore costituiva il centro religioso della città: in essa sorgeva non soltanto il tempio del dio fondatore, di Apollo, ma un gran numero di templi minori, di sacelli e di altari; e tutta l'area, chiusa da un recinto cui in età romana si accedeva dal lato di SE. attraverso dei propilei, formava un temenos, a guisa dei più celebri santuarî greci di Olimpia e di Delfi. Il tempio di Apollo, quale si presenta oggi, è un periptero esastilo di ordine dorico, lungo m. 37,50 e largo m. 20,20, con la fronte rivolta verso levante: ma il tempio attuale è quello ricostruito nel sec. II. d. C., dopo la distruzione portata dalla rivolta giudaica. Il tempio più antico, che risale al principio del sec. VI a. C. e si rivela come uno degli esempî più notevoli dell'architettura protodorica, aveva grandi somiglianze di struttura con l'Ereo di Olimpia: era anch'esso un periptero di 6 × 11 colonne di poros, sfaccettate; in pietra era parimenti lo zoccolo dei muri del naos, costruiti per il resto in mattoni crudi e legno. L'interno del naos era diviso in tre navate, separate da colonne sfaccettate, sovrapposte su due ordini, e la cella propriamente detta era distinta dall'adyton, situato dietro di essa. La copertura era in legno e terracotta. Il tempio primitivo, attraverso molteplici restauri e abbellimenti, durò fino a un'età non bene precisata, forse non oltre la fine del sec. IV. Deperito o rovinato da qualche catastrofe, ne fu conservata con leggiere modificazioni la cella, ma all'intorno di questa fu costruito un crepidoma, notevolmente più ampio e più alto del precedente, dal quale si scendeva alla cella per mezzo di una scala: nuove colonne scannellate furono sostituite alle più antiche. Distrutto il secondo tempio nella rivolta giudaica, il terzo fu ricostruito colmando la cella più antica, sostituendo alle colonne scannellate colonne lisce (oggi molte di esse sono state rialzate) e dividendo la nuova cella in tre ambienti successivi: vestibolo, cella e adito. Quest'ultimo venne infine in età bizantina trasformato in cappella. Avanti alla fronte del tempio si distendeva un grandioso altare, lungo oltre 22 m., costruito, circa nello stesso tempo del primo Apollonion, in blocchi di tufo, ma nel sec. IV rivestito di marmo ad opera di un tal Filone figlio di Anniceri, la cui dedica è scritta sul fianco settentrionale del monumento: il personaggio è conosciuto da altre epigrafi della città, e il padre Anniceri non è improbabile si debba identificare con quell'Anniceri di Cirene che riscattò ad Egina il filosofo Platone, messo in vendita come schiavo da un ambasciatore spartano. Degno di nota è il coronamento dei lati minori dell'altare che nella sagoma ricorda le corna di consacrazione degli altari minoici. Dietro l'altare un basamento, più corto, serviva, sembra, a sorreggere i donarî.

Attiguo al tempio di Apollo, verso nord, e separato da esso da un piccolo sacello romano, è il tempio di Artemide, costruito egualmente sul principio del sec. VI, rifatto nel sec. V, infine restaurato ed ampliato da Adriano dopo l'insurrezione giudaica. Sotto il pronao del tempio primitivo fu rinvenuto un tesoro con copiosa stipe votiva. A sud dell'Apollonion il terreno sale fino a un muraglione simile a quello che sostiene il piazzale dei templi: su di esso poggia la terrazza superiore o piazzale della fonte, collegato al primo per mezzo di scalinate. Tra l'uno e l'altro sorgono numerose edicole (alcune forse tesori): proprio a sud del tempio di Apollo, sono: un tempietto d'Iside, uno di Apollo Ninfagete, uno di Apollo fondatore, tutti, sembra, del tardo impero. Invece a sud-est dei propilei imperiali si erge, completamente rialzato dalle sue rovine, un edificio rettangolare a blocchi di poros, dipinto, il quale, per le iscrizioni incise sul fregio dorico e sull'architrave, risulta innalzato da alcuni strateghi di Cirene in onore di Apollo. Altre iscrizioni, incise sul portale e, nell'interno, sopra una base che sosteneva una statua di Tiberio, ci provano che l'edificio (eretto nel sec. IV a. C.) fu poi riconsacrato in onore di quell'imperatore. Presso l'angolo SE. dell'Apollonion è un grazioso ninfeo semicircolare ornato di un rilievo rappresentante la ninfa Cirene che strozza un leone. Più verso levante due templi insieme congiunti, l'uno sacro ad Ade-Plutone, l'altro a Persefone, formavano il Plutonion: infine, poco prima di giungere ai propilei era una grande fontana di tipo ellenistico.

Dietro l'Apollonion, verso ponente, e fino al muro di recinzione dell'area sacra, non si vedono, per ora, che resti bizantini di scarso valore. Invece verso settentrione, ad est del tempio di Artemide, erano un tempietto di Ecate, costruito per celebrare la vittoria di Traiano sui Daci e ricostruito da Adriano, e più in là, proprio al disopra del muraglione di sostegno del piazzale ed affacciata come un belvedere sul digradare dell'altipiano, una lunga loggia a colonne. In corrispondenza dell'estremità orientale di questa, ma verso il mezzo del piazzale, era l'altare di Artemide, simile, ma più piccolo, a quello di Apollo, e, addossato ad esso, un tempietto di ignota divinità.

Dietro gli altari, nella regione est del piazzale, si distendono i due edifici termali, noti sotto il nome di Grandi e Piccole terme. In età greca, l'area da essi occupata era ancora parte del temenos, e infatti al disotto del piano delle Piccole terme furono rinvenuti numerosi altari a divinità varie, formanti secondo il Ferri un'agorà degli dei, come quella scoperta a Tera.

Il primo edificio costruito fu quello delle Grandi terme, che ebbero un ingresso monumentale rivolto a mezzogiorno, presso i propilei: ma, distrutto esso nella rivolta giudaica, Adriano nel 119 lo ricostruì più ampio, dividendolo in due parti, l'una destinata agli uomini, l'altra alle donne (Piccole terme), e aggiungendo portici e sferisterî. In età bizantina, diminuiti i bisogni della popolazione, l'uso dei bagni si limitò alla parte già riserbata alle donne. E fu allora che per lastricare gli ambienti rimasti in efficienza furono usati non soltanto i marmi dell'altare di Apollo, ma una grande quantità di stele iscritte, di importanza notevolissima. Di pari importanza per il loro valore artistico sono le numerose sculture rinvenute particolarmente nel grande salone del frigidarium, ambiente di m. 42 × 10, diviso da tre coppie di ante e di colonne in quattro parti e continuato a ponente da una piscina. Da esso e dalle camere attigue vengono la statua di Alessandro Magno, l'Eros che tende l'arco, i due gruppi delle Grazie, l'Ermes, ecc.: qui pure doveva essere l'Afrodite Anadiomene.

All'estremità opposta delle terme, ad ovest del recinto sacro, era il teatro, il quale si appoggiava con la cavea al fianco della collina. Due vie scendevano al piazzale dell'agorà: l'una, detta via di Batto, che nell'ultimo tratto era tagliata nella roccia, portava direttamente alla fonte ed al tempio di Apollo, l'altra, che seguiva il fondo del uadi fra le due colline, imboccava i propilei.

La collina dell'acropoli, "argentea mammella" secondo l'espressione di Pindaro (Pyth., IV, 8), era, come si è già accennato, cinta di mura, restaurate sotto Augusto dal procuratore Q. Lucanio Proculo. Ai piedi di essa, nel lato NE., è stato scoperto un piccolo sacello di divinità alessandrine del sec. IV d. C., ricco di statue, fra le quali degna di ricordo, per la particolarità degli attributi e per la conservazione della policromia, un'immagine di Iside, o di una sua sacerdotessa.

Dalla porta meridionale dell'acropoli una strada conduceva all'agorà: a 160 m. dalla porta, sul lato di NE., s'incontra un edificio formato di un grande porticato quadrato, con avancorpo di sei ambienti simmetricamente disposti, e di un altro gruppo di ambienti in fondo: in esso fu rinvenuta un'iscrizione che ricorda la Porticus Augusta. Al di là di esso i pilastri di una porta monumentale segnano l'ingresso dell'agorà, oltrepassato il quale si hanno a destra due edifici pubblici, l'uno con sedili in pietra di ignota destinazione, l'altro, dietro al primo, sede dei νομοϕύλακεσς: vi furono rinvenute circa quattromila cretule di argilla con impronte di sigilli, e dediche poste dai νομοϕύλακεσς. All'ingresso del nomophylakeion aperto sulla parete orientale è unito un portichetto di età domizianea, che viene a corrispondere dietro il tempio di Giove o Capitolium. Questo era un prostilo tetrastilo di m. 20 × 12,50; contro la parete di fondo della cella si appoggia un grande basamento, che reca un'iscrizione del 138 d. C., ricordante gl'imperatori Adriano e Antonino Pio, e sul quale erano poste le immagini delle divinità: quella di Giove, alta oltre 2 metri, ci è pervenuta integra. oltre il Capitolium, sono un edificio non identificato, e un grande portico con colonnato verso la via; incontro si estende l'agorà. La piazza, vasta e ben lastricata, fu nel secolo V d. C. occupata da modestissime abitazioni costruite dopo il terremoto da coloro che, scampati dalla rovina, cercarono qui una superficie sgombra di macerie per rifarvi la loro casa. Essa era circondata su tre lati da portici che hanno subito attraverso i tempi notevoli modificazioni: il portico del lato di NE. appare simile a quello di Attalo in Atene, ed era dedicato a Giove Salvatore, a Roma e ad Augusto: sul tergo di esso, a livello più basso, sono dodici celle o botteghe, il cui piano di copertura veniva ad essere al piano del portico: probabilmente un secondo ordine di botteghe si alzava al disopra. Avanti al portico era un grande altare, di cui resta il basamento, forse dedicato anch'esso a Giove, Roma ed Augusto.

Nell'angolo SO. della piazza sorgeva un tempio ipetrale di Demetra, dalla porta marmorea finemente lavorata: vi furono rinvenuti una colossale statua della dea del sec. II d. C. e un basamento iscritto sulle quattro facce, con i conti delle entrate e delle spese dei demiurghi. Nel mezzo della piazza infine sorgono numerosi basamenti di altari e monumenti onorarî: particolare interesse presenta il monumento circolare che è a NE. del tempio di Demetra, costruito con molta accuratezza: ché in esso un'attraente congettura vuole riconoscere il cenotafio di Batto, che Pindaro vide isolato all'estremità dell'agorà: il secondo monumento circolare più piccolo, situato da presso, potrebbe essere quello di Onimasto, ricordato al pari di quello di Batto nella stele delle Decretali.

Proseguendo verso sud-est, lungo la via che viene dall'acropoli, s'incontra un monumento, oggi ricostruito, fatto a prora di nave, e perciò innalzato certamente a ricordo di una vittoria navale; quindi più oltre un edificio con quattro colonne esagonali sulla fronte, forse un tempio, poi, dopo una strada, un secondo tempio tetrastilo; infine un vasto recinto rettangolare, forse il Caesareum. L'ultimo complesso monumentale da questa parte, presso le mura della città, è costituito dai cisternoni, e, a settentrione di essi, da una basilica bizantina e dallo stadio.

Sulla collina di nord-est, opposta a quella dell'acropoli, i resti monumentali finora scoperti sono assai meno numerosi. Sulla vetta venne trovato, ancora a posto, un cippo che ricordava come sotto Vespasiano un legato imperiale rivendicò al popolo romano il Ptolemaeum: piuttosto che un tempio si deve pensare che con questo nome si indicassero il palazzo e i giardini dei Tolomei, la cui proprietà Vespasiano dovette rivendicare allo stato, al pari di quella degli agri Apionis (Tacito, Ann., XIV, 18; cfr. Gromatici veteres, I, p. 122, ediz. Lachmann). Su una seconda vetta, più a oriente, sorge quello che gli scavatori inglesi chiamarono Grande Tempio: invero le sue dimensioni dovettero in origine essere grandiose, e di molto superiori a quelle dell'Apollonion: però in età romana l'edificio fu notevolmente ridotto, e autore del restauro fu forse l'architetto Aurelio Rufo, ricordato in un'iscrizione. Nell'interno di esso, oltre a molte altre sculture e ai frammenti della statua colossale del dio, Zeus, che vi era adorato, fu rinvenuta la bellissima testa di Zeus Olimpio di tipo fidiaco, che sembra ci ripeta con molta fedeltà l'immagine della grande statua criselefantina di Olimpia.

Al pari, e forse più ricca e grandiosa della città dei vivi, era a Cirene la vasta necropoli che cingeva, in un cerchio di più chilometri di ampiezza, la prima, digradando a terrazze lungo i fianchi dei uidian, e specialmente del uadi Bel Gadir, o allineandosi lungo le strade che si dipartivano verso Apollonia o verso gli altri centri dell'altipiano. La varieta dei tipi delle tombe, alcune aperte sul piano roccioso e sormontate da grandi sarcofagi, altre fatte a guisa di tempietti, il cui prospetto architettonico, di stile dorico e ionico, era pure tagliato nel sasso, altre infine interamente costruite a conci ed isolate, come piccoli edifici; varietà determinata dal lungo uso secolare, che va dal sec. VI a. C. al IV d. C., genera, insieme con l'accidentata configurazione del terreno, l'aspetto sempre mutevole e pittoresco di questo mirabile e unico complesso monumentale.

V. tavv. CXV-CXVIII.

Bibl.: Per la storia politica e per le antichità, oltre alle opere generali di storia greca: J. P. Thrige, Res Cyrenensium, Copenaghen 1828; A. E. Gottschick, Geschichte der Gründung und Blüte des hellenischen Staates in Kyrenaika, Lipsia 1858; A. Nieri, La Cirenaica nel sec. V giusta la lettera di Sinesio, in Riv. di filologia, XXI (1893), p. 220 segg.; R. M. Smith, R. E. Murdoch, E. A. Porcher, History of the recent discoveries at Cyrene, Londra 1864; U. v. Wilamowitz, Kyrene, Berlino 1928 (trd. it., Bergamo 1930); D. Comparetti, Iscrizione cristiana di Cirene, in Annuario della R. Scuola ital. di Atene, I (1914), p. 161 segg.; R. Norton, The excavations at Cyrene, 1910-11, in Bull. of Arch. Inst. of America, 1911; R. Norton e Fairbanks, Travaux de la mission américaine aux environs de Cyréne, in Rev. des quest. hist., XCII (1912); D. M. Robinson, Inscriptions from the Cyrenaica, in American. Journ. of Arch., 1911, p. 157 segg.; articoli di L. Mariani, G. De Sanctis, A. Ferrabino, V. Arangio-Ruiz, E. Ghislanzoni, G. Oliverio, S. Ferri, L. Pernier, C. Anti, ecc., in Notiziario archeol. Ministero delle colonie, I-IV; in Libya, III e IV, Milano-Roma 1927-28; in Africa italiana, I, Bergamo 1928 e segg.; Rend. Acc. Lincei (C. scienze mor.), Roma 1914, 1915, 1918, 1925, 1926-30; in Aegyptus, IV, Milano 1923; in Rivista di filologia, n. s., VI e segg., Torino 1927, 1928, 1930; in Abhandlungen d. Preuss. Akad., Berlino 1925, n. 5; in Sitz.-Ber. Preuss. Akad. Wiss., 1927, p. 155 seg.; in Abhandlungen d. Bayer. Akad., XXXIV, ii (1928); Stroux-Wenger, Die Augustus-Inschrift von Kyrene, in Abhandl. der Bayer. Akad., XXXIV, ii (1928); v. anche: cirenaica. Per la ceramica: O. Puchstein, Kyrenaische Vasen, in Arch. Zeit., Berlino 1881, p. 317; E. Pernice, in Arch. Jahrb., Berlino 1901, p. 189 segg.; H. Prinz, Funde aus Naukratis, Lipsia 1908, p. 64 segg.; id., in Rev. archéol., Parigi 1907, 1912, 1913; Ducati, Storia d. Cirenaica greca, Firenze 1922, p. 164; E. Pfuhl, Malerei u. Zeich. d. Griech., Monaco 1923 (v. indici).

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