CIRO il Grande

Enciclopedia Italiana (1931)

CIRO il Grande

Antonino Pagliaro

Fondatore del primo grande impero persiano, apparteneva alla dinastia degli Achemenidi (v.), che aveva fondato nella Susiana un piccolo regno. Il nome, nelle antiche iscrizioni cuneiformi Kurush. nelle fonti greche Κῦρος, che nella tradizione antica veniva spiegato con "sole" (cfr. avestico hvar), non pare in realtà di origine iranica; tuttavia ciò non è indizio sufficiente per contestare l'origine persiana di Ciro e la sua appartenenza alla famiglia degli Achemenidi, così esplicitamente affermata nelle iscrizioni.

Figlio di Cambise, C. succedette al padre nel 558 a. C. e ben presto iniziò la sua opera di conquista, come prova il fatto che nel grande cilindro di Nabonide, mentre ha ancora il titolo di re di Anzan nel III e nel VI anno di Nabonide (553 e 550 a. C.), nel IX anno, cioè nel 547, appare col titolo di shar Parsu "re di Persia". Ciò ha conferma dalle notizie di Erodoto secondo cui Ciro, che all'epoca dall'assunzione al trono dominava solo sui Pasargadi, Marafi e Maspi, dopo qualche tempo aveva riunito sotto il suo scettro tutte le dieci stirpi dalla cui fusione si riteneva uscito il popolo persiano; e fra queste anche quella dei Dai che si trovava nell'orbita politica dei Medi.

Intorno ai rapporti di C. con la dinastia regnante nella Media Erodoto ci ha tramandato una tradizione leggendaria, narrante come il piccolo figlio di Cambise e Mandane, sfuggito alla morte cui lo voleva condannare, ammonito da presaghe visioni, il nonno materno Astiage re dei Medi, fosse allevato tra i pastori, e finisse poi per abbattere, fatto adulto, l'impero del nonno.

Questa leggenda, come i racconti non meno leggendarî riportati da Ctesia, mostra come, già in epoca antica, la figura del grande re fosse diventata oggetto di mito. Ma della realtà storica degli avvenimenti che posero C. alla testa di un grande impero noi siamo sufficientemente informati da fonte babilonese oltre che da fonte greca. Dalle notizie contenute nel grande cilindro di Abū Ḥabbah di Nabonide, e in altre fonti, si può ricostruire che l'assalto di C. alla potenza di Astiage venne portato quando questi, in guerra con i Babilonesi, era impegnato nell'assedio della città di Kharrān. Astiage si era subito ripreso, e ritornato in patria aveva resistito con grande energia agl'invasori respingendoli e portando la guerra nel territorio persiano. Ma nel 550, dopo tre anni di strenua difesa, il suo esercito fu battuto da C. ed egli, dopo uno sfortunato fatto d'armi a Pasargadae, fu fatto prigioniero dai suoi stessi soldati e consegnato al nemico.

Impadronitosi della capitale Ecbatana, C., in contrasto con i procedimenti dei popoli semitici che infierivano sull'avversario vinto, usò molta mitezza verso i Medi e verso Astiage. Morto questi, ne sposò la vedova Amiti e così conferì carattere di legittimità al proprio dominio. Quando C. appare nelle iscrizioni con il titolo di re di Persia, la Media è già parte dell'impero persiano.

Sicuro che, regnando Nabonide, non avrebbe avuto noie da parte babilonese, C. rivolse le sue armi contro il potente regno di Lidia; tanto più che Creso, succeduto ad Aliatte, preoccupato dal minaccioso progredire della potenza persiana, aveva in certo modo preso l'iniziativa, invadendo la Cappadocia. Creso aveva l'aiuto degli Egiziani e dei Babilonesi, ma C. prevenne la coalizione delle loro forze, irrompendo con un esercito nella Cappadocia (546). Dopo un primo scontro rimasto indeciso presso Pteria, C. con tutte le sue forze mosse contro Sardi: così Creso fu costretto ad accettare quella battaglia campale in cui fu pienamente disfatto. Ridottosi dentro Sardi, Creso, abbandonato dai Babilonesi che avevano fatto pace separata con i Persiani, attendeva sempre l'aiuto dei suoi alleati di Sparta e di Egitto. Gli Spartani avevano di fatto preparato una flotta, ma, quando erano sul punto di prendere il mare, pervenne loro la notizia che Sardi era caduta, secondo Erodoto per la casuale scoperta d'un sentiero nascosto. Creso con i suoi cadde nelle mani del vincitore.

Secondo le notizie babilonesi C. avrebbe fatto uccidere Creso, ma le fonti greche attestano unanimi che egli si mostrò mite col vinto. La leggenda, di cui già una prima eco si trova in Erodoto, secondo la quale Creso, condannato da C. a morire sulle fiamme, si era salvato poiché, già sul rogo, aveva pronunziato tre volte il nome di Solone, attirando con ciò la curiosità di C., è naturalmente una creazione greca su elementi orientali. Poiché nel mondo orientale la mitezza verso il vinto era cosa molto rara, si volle attribuire a un intervento eccezionale quella usata da Ciro verso il suo forte avversario abbattuto.

Appresa la caduta di Sardi, le città greche dell'Asia Minore avevano inviato a C. ambascerie per dichiarargli che accettavano la sua supremazia alle stesse condizioni che avevano con Creso. Ma C. richiese completa sottomissione, fatta eccezione per Mileto a cui concesse in un trattato di conservare di fronte all'impero persiano la posizione che aveva di fronte al regno lidio, e affidò ai suoi generali il compito di costringere gli Ioni all'obbedienza: compito che, data l'abilità dei Persiani negli assedî, fu presto assolto; in seguito anche la Caria e la Licia furono sttomesse.

C. si rivolse poi verso oriente, estendendo il suo dominio sulle provincie orientali dell'Irān, sottomettendo la Margiana e la Sogdiana e raggiungendo il fiume Iaxarte, nei cui pressi fece costruire fortezze che erano in piedi ancora ai tempi di Alessandro. La sua azione, che durò qui dal 546 sino al 540, assicurò all'impero persiano quelle provincie orientali che troviamo elencate nelle iscrizioni cuneiformi come facenti parte di esso, all'atto dell'assunzione al trono di Dario; e cioè Parthiana, Drangiana, Ariana, Khōrasm, Battriana, Sogdiana, Gandāra, i Saci, i Sattagidi, Arachosia e Maka.

In seguito alle conquiste occidentali l'impero persiano confinava ormai dal golfo arabico sino alla Cilicia con il regno di Babilonia. C., favorito dal dissidio che esisteva fra il re Nabonide e i sacerdoti, poté facilmente, per l'opera del suo generale Gobria, impadronirsene (522). In Babilonia C. ancor più che nella Media si comportò come quasi legittimo erede della dinastia indigena. I templi furono protetti; alle singole città furono restituite le divinità che Nabonide aveva fatto trasportare a Babilonia; permise il ritorno in Palestina ai Giudei deportati in Babilonide.

In tal modo, con una serie di fortunate conquiste, C. riuscì a gettare saldamente le basi di uno dei più vasti imperi che la storia ricordi. Più che la sua abilità militare, gli valse il genio politico per cui egli seppe cogliere sempre il momento giusto per l'azione, e, dando prova di squisita sensibilità umana, seppe apparire come un liberatore ai popoli che conquistava. La sua morte, avvenuta nel 528, con ogni probabilità in combattimento contro popolazioni dimoranti oltre lo Iaxarte (Massageti) secondo Erodoto, lasciava la Persia trasformata nel più forte impero, minaccia viva ai margini del mondo greco.

Bibl.: J. V. Prašek, Geschichte der Meder und Perser bis zur makedonischen Eroberung, I, Gotha 1906, p. 195 segg.; Weissbach, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., suppl. IV, coll. 1129-1166; v. pure persia: Storia.

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