Cisgiordània

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Cisgiordània Nome con il quale si designa comunemente quella parte della Palestina (comprendente, fra l'altro, il settore orientale di Gerusalemme), detta anche West Bank, con riferimento al territorio situato sulla riva occid. del fiume Giordano, che fu annessa alla Giordania nell'apr. 1950 e occupata da Israele nel giugno 1967. Sotto il profilo economico, la popolazione della C. è essenzialmente legata alle produzioni agricole e zootecniche, tuttavia limitate in misura considerevole dalla scarsa disponibilità di acqua.

Storia

Dopo la fine del mandato britannico sulla Palestina (maggio 1948), la C., con l'esclusione di Gerusalemme per la quale era previsto un regime internazionale, avrebbe dovuto far parte dello stato arabo-palestinese previsto dal piano di spartizione dell'ONU del nov. 1947, ma durante il conflitto del 1948-49 fu occupata dalla Giordania e poi annessa. Occupata quindi da Israele con la guerra del giugno 1967, la C. è stata separata da Gerusalemme Est (annessa al territorio israeliano) e sottoposta a un regime di amministrazione militare, cui si è accompagnato, malgrado ripetute condanne da parte dell'ONU, l'insediamento di colonie israeliane nella regione (approssimativamente tra 260.000 e 290.000 coloni nel 2011, a fronte di circa 2.500.000 Palestinesi). La politica israeliana di colonizzazione della C., proseguita anche dopo gli accordi di Oslo del settembre 1993, continuava  a rappresentare uno dei principali ostacoli al progresso dei negoziati fra Israele e i Palestinesi. Il nuovo accordo siglato dalle parti nel settembre 1995, noto anche come Oslo II, divideva la C. a macchia di leopardo in tre tipi di zone: zona A, sotto il controllo palestinese; zona B, sotto il controllo congiunto israelo-palestinese; zona C, sotto il controllo israeliano. In questa prospettiva nei mesi seguenti le principali città arabe della C. - Nābulus, Rāmallāh, Jenin, Tulkaram, Kalkilya e Betlemme – passavano sotto il controllo dell’Autorità nazionale palestinese. Nella seconda metà degli anni Novanta, tuttavia, i ritardi e i numerosi slittamenti nel calendario prefissato dei ritiri di Israele dalla C. avevano profondamente frustrato le aspettative del popolo palestinese che aveva subito anche un drammatico peggioramento delle proprie condizioni di vita: numero di coloni ebrei raddoppiato a Gaza e in C., strangolamento della nascente economia locale con l’espropriazione di terre, fattorie e pascoli, sradicamento di decine di migliaia di ulivi e alberi da frutto, drenaggio delle risorse idriche e demolizione di case e servizi. Nel febbraio 2000, infatti, solo il 12,1% della C. era sotto il pieno controllo palestinese, il 26,9% era considerato zona B e il 61% zona C. Il territorio effettivamente controllato dall’ANP, inoltre, era costituito da 227 piccole aree geograficamente separate, con checkpoints israeliani in entrata e uscita. All’inizio del nuovo secolo, mentre si moltiplicavano indiscriminatamente gli attacchi suicidi di terroristi palestinesi contro la popolazione civile israeliana (solo nel mese di marzo 2002 furono circa sessanta le vittime innocenti uccise in alberghi, bar, autobus, centri commerciali) le città palestinesi della C. furono ripetutamente invase dai carri armati israeliani, mentre i lavoratori palestinesi si vedevano revocati i loro permessi di lavoro in Israele e le università palestinesi venivano chiuse. Particolarmente cruenta si rivelò nel mese di aprile 2002 la battaglia a Jenin, nel nord della C., e alla fine di giugno quasi tutte le città palestinesi erano state nuovamente attaccate, occupate o circondate. Anche il leader palestinese ‛Arafāt veniva confinato fino alla fine di settembre, senza alcuna possibilità di movimento, nel suo quartier generale a Rāmallāh, mentre veniva avviata una sistematica distruzione degli edifici intorno. In quegli stessi mesi la decisione del governo guidato da Ariel Sharon di avviare i lavori di costruzione di una barriera difensiva di sicurezza tra Israele e la C. faceva capitolare le ultime speranze di vedere rivitalizzare un processo di pace ormai agonizzante. Il muro, in molti tratti una recinzione, andava a chiudere da nord a sud tutta la Cisgiordania e, discostandosi significativamente dalla Linea dell’armistizio del 1949, inglobava in territorio israeliano consistenti porzioni di territorio palestinese: furono sradicate case, distrutti frutteti, chiuse in una sorta di ghetto alcune città, per esempio Kalkilya, mentre molti contadini palestinesi furono impossibilitati a raggiungere i loro campi di lavoro ormai al di là della barriera. La costruzione del muro, il cui impatto economico e psicologico era altamente drammatico per la popolazione palestinese, e la rinnovata spinta israeliana a edificare nuovi insediamenti in C. e nei dintorni di Gerusalemme apparivano ormai ostacoli insormontabili al dialogo tra le parti e poco significativa si rivelò l’evacuazione di quattro insediamenti ebraici nel nord della C. (appena 674 coloni) verificatasi in concomitanza con il ritiro israeliano dalla Striscia nell’agosto 2005. Intanto il fronte palestinese mostrava profonde divisioni interne sfociate in una vera e propria guerra civile scatenata nel giugno 2007 nelle strade di Gaza dall’organizzazione fondamentalista e terrorista Ḥamas contro al-Fatàh, il movimento storico di liberazione del popolo palestinese uscito sconfitto dalle consultazioni del gennaio 2006 vinte proprio  da Ḥamas. Dopo l’espulsione di al-Fatàh dalla Striscia il presidente palestinese Abū Māzen rifiutò qualsiasi dialogo con l’organizzazione fondamentalista responsabile del colpo di Stato a Gaza. La divisione di fatto tra la C. e Gaza garantì al presidente palestinese l’appoggio della comunità internazionale, preoccupata per il colpo di mano che aveva portato al potere nella Striscia un partito alleato degli Hezbollah libanesi e dell’Iran del presidente Ahmadinejad, e portò nelle casse dell’ANP più di un centinaio di milioni di dollari di aiuti internazionali trattenuti da Israele dopo la vittoria elettorale di Ḥamas del gennaio 2006. Sul piano interno e internazionale, intanto,  tra il 2010 e il 2011 l’insistenza israeliana a pianificare e costruire nuovi insediamenti determinava  frizioni sempre più ricorrenti con l’amministrazione americana, ma ancora nel maggio 2011 veniva approvato dal governo un piano di nuove abitazioni a Gerusalemme Est. Nell’estate 2011 oltre il 60% della barriera di recinzione era stato costruito: circa 438 km su 708. Erano ancora in costruzione o in fase di progettazione alcuni tratti a sud di Kalkilya, intorno a Betlemme e soprattutto intorno a Gerusalemme Est (al-Quds per gli arabi) dove la presenza di oltre 200.000 coloni stanziati in insediamenti che penetravano in profondità verso est nel territorio palestinese (Maale Adumim), sembrava avere ormai irrimediabilmente separato la città dalla C. e compromesso la reale continuità territoriale del futuro Stato palestinese. L’esecutivo guidato da Netanyahu ha approvato nel 2021 la legalizzazione di nove colonie israeliane e la costruzione di altre - ritenute illegali dalla comunità internazionale -, mantenendo inoltre una consistente presenza militare nei territori palestinesi, dove la tensione è rimasta costante e si sono registrate ripetute incursioni cui i palestinesi hanno risposto con attentati, fino all'escalation del 7 ottobre 2023, quando il violento attacco di Hamas in territorio israeliano contro obiettivi civili ha segnato l'inizio di un conflitto che ha prodotto migliaia di morti, coinvolgendo marginalmente il Libano e la Cisgiordania e rischiando di debordare dall'ambito regionale.

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