CIVIDALE

Enciclopedia dell' Arte Antica (1973)

Vedi CIVIDALE dell'anno: 1959 - 1973

CIVIDALE (v. vol. ii, p. 700; vol. vii, s. v. Stucco, 5, pp. 527-529)

Hj. Torp
H. P. L'Orange

Il "Tempietto Longobardo". - Architettura. L'edificio sorge sulla sponda settentrionale del Natisone, sull'orlo del precipizio che sovrasta il fiume. Originariamente isolato, esso fa parte oggi di un agglomerato di strutture posteriori appartenenti al monastero di Santa Maria in Valle. Solo ad E, parzialmente a S, i fianchi del Tempietto sono rimasti ben visibili.

Questi muri appartengono al nucleo principale ed originario del sacello, che si compone di un corpo occidentale rialzato, generalmente detto aula, e di uno orientale basso e sporgente, il presbiterio. L'aula ed il presbiterio compongono insieme un edificio di pianta rettangolare, di 10,02 m di lunghezza e 6,24 m di larghezza; l'altezza dei muri esterni dell'aula è di m 10,70, quella del presbiterio di m 5,34. Ad eccezione dei varî e parzialmente estesi restauri, i muri perimetrali, in pietrame, di questo edificio sono fatti di getto. Essi non incorporano alcun elemento più antico individuabile. Scavi eseguiti nel presbiterio indicano, inoltre, che molto probabilmente sul terreno occupato dal Tempietto non vi era alcuna costruzione anteriore di qualche importanza.

Alla struttura principale del Tempietto si aggiungono ad O un nartece e a S-E una sacrestia. Il nartece è rinascimentale. Scavi eseguiti dal Dyggve hanno dimostrato che il sacello primitivo non aveva nartece. Un semplice protiro, tuttavia, non è da escludere. L'epoca cui appartiene l'attuale sacrestia è incerta, ma è sicuramente posteriore alla struttura principale. L'esistenza, però, di una piccola sacrestia anche nello stato primitivo del sacello sembra probabile. Il presbiterio viene illuminato da tre finestrelle sulla facciata E, mentre l'aula riceve luce da cinque finestre, due sul fianco S, due su quello N ed una sul lato O; nelle tre ultime, oggi murate entro gli edifici posteriori, si sono trovate tracce di transenne. Tutte le finestre sono ad arco. Quelle dell'aula sono, inoltre, inserite entro larghe arcate cieche, giranti intorno alle finestre, e scendenti a S e a N fino quasi al terreno, mentre quella di O si ferma sopra l'ingresso. Le arcate cieche costituiscono l'elemento essenziale di articolazione dell'esterno del Tempietto e, essendo riservate solo all'aula, ne rafforzano il valore plastico del volume architettonico e ne accentuano l'elevazione.

L'ingresso occidentale, entrata principale del sacello, è sormontato da un timpano rientrante e nella sua essenza conserva la forma primitiva. La porta dell'angolo di S-E, che attualmente conduce al presbiterio, è invece spostata di circa m 0,70 verso E rispetto all'ingresso primitivo, che si trovava esattamente nella linea di attacco dell'aula con il presbiterio. Lo spostamento è senz'altro da mettere in rapporto con una grande crepa sviluppatasi lungo questa linea sopra la porta. Difatti, la muratura di accecamento della porta appartiene ad un contrafforte assai accuratamente composto di pietrame, che occupa tutto l'angolo S-E dell'edificio, e di cui fa parte almeno la zona superiore di una grossa scarpata all'esterno E. Essa è costruita contro ed in parte inserita entro il muro orientale del presbiterio. In seguito ai lavori di consolidamento, eseguiti dal XVII sec. in poi, fu prolungata in basso fino al letto del fiume. Il contrafforte e la scarpata fanno parte di un sistema di muri di sostegno cui, probabilmente, appartiene anche il contrafforte del fianco meridionale dell'aula, che oggi si vede nell'orto del monastero. Non si sa se la scarpata girasse anche intorno all'angolo N-E del Tempietto, ma è molto probabile. Ad ogni modo vediamo che, ad un certo momento, le parti orientale, meridionale, e forse anche settentrionale, del Tempietto furono racchiuse in un guscio di muri di sostegno. Ciò evidentemente perché la costruzione si rivelò pericolante dopo un periodo di abbandono, forse in seguito a qualche disastro.

Internamente, l'aula è a pianta quasi quadrata, mentre il presbiterio forma un rettangolo sviluppantesi in senso trasversale. Nell'aula è conservata una parte del pavimento primitivo composto di lastre di marmo grigio e di placche triangolari ed esagonali di marmo bianco e nero. Le corrispondenti placche del presbiterio sono tutte scomparse, sostituite da lastre in marmo e travertino. I livelli dei pavimenti attuali corrispondono pressoché ai livelli primitivi, mentre non si trovano pavimenti a quote più basse.

Il presbiterio è coperto da tre vòlte a botte parallele, di sesto rialzato, con quella centrale leggermente più alta delle laterali. La vòlte sono appoggiate sui muri laterali e su due architravi, ciascuno a sua volta posto davanti su due colonne binate di marmo greco con capitelli corinzî dell'epoca dell'edificio e, di retro, su una mensola incastrata nella parete di fondo e sostenuta da un pilastro di cipollino. Le tre campate di vòlte ed i loro sostegni dividono il presbiterio in tre navatelle parallele, cui corrispondono le tre finestre della facciata orientale. Sotto la finestra della navatella centrale più larga la parete è articolata da un'arcata cieca, di fronte alla quale sicuramente era collocato l'altare. Arcate cieche simili, solo notevolmente più grandi, danno movimento alle pareti interne N, S, ed O dell'aula; sull'ultima, nell'asse longitudinale del sacello, si apre l'ingresso principale, testé ricordato. Le vòlte delle arcate e quelle interne delle finestre sono di mattoni.

Subito di fronte alle due ultime colonne si trova un cancello, che separa il presbiterio dall'aula. Consta di due parapetti e di due colonnette quadrate con capitelli di stile altomedievale vicino a quello dei capitelli delle colonne. Attualmente una grossa trave si appoggia sui capitelli del cancello. Ma questa, benché di epoca altomedievale, non appartiene al Tempietto: è stata tagliata per essere adattata alla larghezza del vano. Originariamente, il cancello non aveva nessun elemento orizzontale superiore di questo tipo, ma soltanto un frontone ad archetto, sorretto dalle due colonnette. Un ottimo esempio di un simile cancello ad "arco trionfale" (ma con travi laterali) si conserva ancora in situ nella cappelletta di San Martino a Spalato (IX sec.). Anche la posizione del cancello non è più quella primitiva. Come suggerito da P. S. Leicht e ripreso da C. Cecchelli, in origine il cancello era collocato non davanti alle colonne, ma in mezzo ad esse, in corrispondenza dello stipite occidentale dell'ingresso del presbiterio. È importante, inoltre, notare che gli ultimi scavi e sondaggi hanno dimostrato non solo che il cancello appartiene al primo periodo del Tempietto, ma che esso fu previsto fin dall'inizio della costruzione del sacello.

Le tre vòlte del presbiterio sono di mattoni e pietre squadrate di calcare. Verso l'aula le vòlte si presentano a forma di tre ghiere bordellonate doppie di grossi mattoni accuratamente murati e aventi peducci a rombo di laterizio con dei gigli incisi. Fra gli estradossi vi sono dei laterizi triangolari, di cui uno con una croce. Questa copertura a vòlte a botte è coeva ai muri esterni e perciò fa parte dell'edificio primitivo.

Diverso è il problema per la vòlta a crociera dell'aula, il più discusso elemento architettonico del Tempietto. Secondo Rivoira, Santangelo, Verzone, Dyggve e forse anche Toesca e Cecchelli, questa vòlta dovrebbe appartenere allo stato primitivo del sacello. Secondo altri, come Cattaneo e Haupt si tratta di una sostituzione nei secoli XI-XIII di una originaria copertura a tetto. Per il Coletti, la crociera attuale è un rifacimento della vòlta originaria. Le analisi strutturali eseguite dal Torp confermano questa tesi. Contro il parere del Coletti, invece, neanche i piedritti sono originali, ma ricostruiti insieme con il resto della vòlta riusando mattoni altomedievali. Della copertura originaria dell'aula non rimangono che le quattro mensole calcaree, saldamente incastrate nelle pareti e mai rimosse, e su cui poggiano i piedritti della crociera. D'altra parte, come si può dedurre da una serie di indicazioni di ordine tecnico ed archeologico, l'aula era coperta anche in origine, non da un soffitto a capriate scoperte, ma da una vòlta. Essa aveva una curvatura a tutto sesto, più alta ed ariosa della vòlta attuale, in armonia perfetta con le arcate inferiori delle pareti e con i varî archi ed archetti della decorazione in stucco.

Anche le parti superiori delle pareti dell'aula sono ricostruite; nella parete meridionale, questo rifacimento comprende pure le due finestre, che prima degli ultimissimi restauri erano a forma gotica, a sesto leggermente acuto.

La vòlta attuale risulta costituita di due tipi completamente diversi di mattoni; a quelli riusati si uniscono altri di tipo più recente, quali si incontrano in altri edifici cividalesi del periodo tardo-romanico-gotico. Come i mattoni, anche la malta della vòlta rifatta ha un carattere molto tipico, facilmente individuabile dovunque sia stata adoperata nell'edificio. In breve, sulla base di un esame dei materiali usati, si può concludere che il contrafforte di blocco dell'ingresso primitivo del presbiterio, il sistema di muri di sostegno, la ricostruzione delle pareti superiori, delle finestre meridionali e della vòlta dell'aula sono contemporanei, risultati di una medesima fase di lavori. Perciò, nella storia edilizia del Tempietto vi sono due fasi principali, chiaramente distinte fra di loro, e cioè il periodo della costruzione originaria ed un periodo di estesi restauri. Prima della riedificazione, il Tempietto doveva presentarsi come una vera e propria rovina, risultato, sicuramente, del terribile terremoto del 1222-1223. Non si può dubitare nemmeno che questa ricostruzione del Tempietto sia la stessa che sappiamo seguita al ritrovamento di reliquie nell'anno 1242. Essa fu opera dell'abbadessa Gisla de Pertica che, veramente, non esagera quando dice che l'ecclesia S. Marie fu da lei rehedificata.

Per quanto concerne la data della costruzione primitiva (a parte la questione della vòlta a crociera) i pareri sono ormai quasi unanimi nel riferirla ai secoli VIII-IX. Poiché, inoltre (come osservato da molti studiosi, Cattaneo, Rivoira, Haupt, Verzone, Cecchelli, Toesca, L'Orange), i capitelli del presbiterio e quelli del cancello sono vicinissimi per stile ai capitelli del Battistero di Callisto, monumento sicuramente datato intorno alla metà dell'VIII sec., possiamo con tranquillità considerare il Tempietto una costruzione di epoca tardo-longobarda. Il monumento, dal punto di vista della tecnica edilizia più vicino al sacello cividalese è la basilica di San Salvatore a Brescia, della cui identità con la chiesa fatta erigere a fundamentis intorno al 753 dal futuro re longobardo Desiderio non c'è, a parere del Torp, da dubitare. Vi ritroviamo lo stesso tipo di mattoni grossi, la stessa tecnica mista di mattoni e pietrame, le stesse arcate cieche di proporzioni simili aggiranti le finestre, gli stessi archi di forma leggermente a ferro di cavallo ed infine, lo stesso motivo assai raro delle ghiere bordellonate doppie con nei peducci dei laterizi a forma di rombo. È da osservare, però, che, mentre a Brescia la costruzione è principalmente di mattoni con l'aggiunta di pietrame, a C. la relazione è invertita. In ciò si può vedere un manifestarsi della tradizione edilizia locale.

Affreschi. Nel presbiterio la parte inferiore delle pareti fino a circa m 1,80 era rivestita di lastre di marmo greco. Questo rivestimento fu previsto insieme al cancello nel progetto originario della costruzione, dal momento che ambedue furono evidentemente messi in opera insieme con il pavimento originario di marmo bianco e nero. Seguiva una zona di stucco larga m 1,30, sopra la quale, all'altezza dell'imposta delle vòlte, si trovano tuttora i resti - ancora solo in parte decifrati - della monumentale iscrizione dedicatoria, dipinta a lettere bianche su fondo in color porfido. Larga complessivamente circa m 0,50, questa iscrizione aggirava il presbiterio, interrompendosi solo ai lati dell'arco cieco della parete orientale. Le vòlte a botte erano decorate di stucco e di mosaici, come pure le pareti di fondo intorno alle finestre. Dello stucco e dei mosaici del presbiterio rimangono solo piccolissimi resti; più importanti gli avanzi dell'iscrizione e del rivestimento di marmo.

Verso l'aula, la fronte delle tre campate di vòlte a botte portava ghiere di stucco lavorato. Ugualmente intorno ai timpani dei tre archi ciechi vi erano cornicioni sorretti da colonne con capitelli corinzî, il tutto in stucco. Di questi sei archi, rimane intatto solamente quello della parete occidentale, sopra la porta principale, nonché piccoli frammenti degli altri.

Entro i tre timpani e sulle pareti di ogni lato di essi si sviluppa un ciclo di affreschi, che arriva sù fino quasi alle mensole della vòlta dell'aula. Nel timpano occidentale è raffigurato il Cristo tra gli arcangeli Michele e Gabriele, tutti vestiti di pallio e tunica; in quello settentrionale, recentemente ritrovato in seguito allo strappo di un affresco posteriore, la Vergine col Bambino ed angeli. Una composizione analoga è da supporsi nel timpano meridionale, benché saggi sembrino indicare che poco o nulla sia rimasto sotto l'affresco posteriore. Negli spazi parietali degli angoli S-O e N-O, cioè tra il timpano centrale con il Cristo e quelli laterali, si vedono quattro santi soldati in piedi, vestiti di tunica manicata, colobio e clamide e con campagi. Infine, ad E, tra i timpani laterali ed il presbiterio, gli strappi hanno messo in luce resti importanti di due santi vescovi, in piedi, indossanti dalmatica, paenula, pallio episcopale e campagi. Le scritte dei nomi sono per lo più perdute; soltanto per il santo soldato al lato del timpano della Vergine si legge con qualche sicurezza il nome di S. Adriano, santo patrono dei militari. Al disotto di ogni clamidato è dipinto un cespo di acanto. Sotto i santi vescovi, invece, incominciano le due parti dell'iscrizione dedicatoria del presbiterio, prova evidente della organica unità e della contemporaneità delle decorazioni dell'aula e del presbiterio.

È da supporre che le parti inferiori delle pareti fossero ricoperte da un rivestimento di lastre di marmo e di stucco, come nel coro. Al di sopra degli affreschi, la decorazione delle pareti N, S ed O riprende, poi, con un'altra zona di stucco, comprendente figure ed estendentesi dal livello delle mensole fin sopra le finestre (v. più avanti). È probabile che la zona continuasse sulla parete orientale, sebbene oggi manchi ogni evidenza. Il ritrovamento nell'aula di tessere lascia supporre che, come nel presbiterio, le pareti superiori dell'aula e la vòlta fossero decorate di mosaici.

Per alcuni studiosi (Dyggve, Coletti) la muratura accurata e i laterizi ornati della fronte delle vòlte del presbiterio, nonché la mancata soluzione tra la zona superiore di stucco, orizzontalmente sviluppata e la vòlta dell'aula, sarebbero segni che l'edificio fu concepito senza pensare alla decorazione. Quest'ultima, in altre parole, sarebbe da considerarsi un'aggiunta più o meno posteriore e poco organica all'edificio. Per di più, in base a ragioni stilistiche, numerosi autori (Cattaneo, Rivoira, Lasteyrie, Toesca, Santangelo, de Francovich) sostengono una datazione della decorazione posteriore di un paio di secoli alla costruzione. A questo proposito c'è però da osservare, che da un esame diretto del monumento, si è constatato non solo che la decorazione in stucco e quella in affresco sono contemporanee ed eseguite secondo un piano coerente ma anche che non vi è traccia di intonaco, per non parlare di decorazioni, dietro gli affreschi e gli stucchi pervenutici. Così, questi ultimi sono sicuramente resti della prima decorazione del Tempietto. D'altra parte, come già abbiamo potuto notare, il rivestimento marmoreo delle pareti del presbiterio è contemporaneo alla struttura stessa, essendo stato messo in loco insieme al pavimento originario; è molto difficile pensare che a parte questo rivestimento marmoreo, le pareti del Tempietto fossero nude, nemmeno intonacate. La conclusione logica sembra essere che in linea di massima una decorazione delle pareti in mosaico, affresco e stucco fosse prevista anche se forse non fu progettata nei dettagli al momento dell'erezione della costruzione e che essa venne eseguita appena terminati i lavori di costruzione.

Secondo il parere del Torp, lo stile degli affreschi conferma la tesi sopra esposta basata su osservazioni esclusivamente archeologiche. Il parallelo, sicuramente datato, più vicino alle figure dipinte del Tempietto si ritrova negli affreschi della cappella di Teodoto, a S. Maria Antiqua in Roma, eseguiti al tempo di papa Zaccaria (741-752). Ma, stilisticamente ed artisticamente più vicini alle pitture cividalesi sono gli affreschi di S. Salvatore di Brescia, arte lombarda di ispirazione romano-bizantina. Fra le molte mani qui attive, il Torp crede di poterne riconoscere una o due presenti anche nel Tempietto. A questo punto c'è da sottolineare che, originariamente, il Tempietto non era oratorio di convento, così come non c'è niente di monastico nell'iconografia della sua prima decorazione. Il Tempietto era una cappella dipendente dalla vicina basilica di S. Giovanni e com'essa sorta entro le mura del palazzo del gastaldius regis di Cividale. Poiché quest'ultimo de facto e de iure apparteneva al palatium del re longobardo, il Tempietto fungeva da cappella palatina. Questa funzione del Tempietto spiega in pieno la ricchezza straordinaria della sua decorazione e soprattutto la presenza di santi soldati, legati in particolar modo ai principi regnanti. Essa chiarisce anche la stretta connessione tra la tecnica edilizia, gli affreschi e gli stucchi del Tempietto e quelli di S. Salvatore a Brescia, altra fondazione principesca longobarda. Nell'Italia settentrionale si profila quindi circa alla metà dell'VIII sec. l'attività di una maestranza composta di maestri costruttori e di artigiani diversi. Secondo il Bognetti, il numero di costruzioni ecclesiastiche longobarde dell'VIII sec. sarebbe in un rapporto di 20: 1 rispetto alle costruzioni precedenti, a cominciare dal VI secolo. Il periodo culminante delle fondazioni principesche si sarebbe avuto nell'arco di tempo tra il 740 circa ed il 774, anno della caduta del regno longobardo. Molto probabilmente, la maestranza attiva a C. e Brescia era stata organizzata per far fronte a questa intensa attività costruttiva ed artistica.

Bibl.: Architettura del Tempietto: la pubblicazione di base rimane C. Cecchelli, I monumenti del Friuli dal secolo IV all'XI. I. Cividale, Milano-Roma 1943, pp. 93-180, con ampia bibliografia, note 1-21, pp. 165-166. Qui includi una selezione delle opere citate dal Cecchelli, nonché gli studî più recenti: R. Cattaneo, L'architettura in Italia dal secolo VI al mille circa, Venezia 1888, pp. 90-97; G. T. Rivoira, Le origini dell'architettura lombarda e delle sue principali derivazioni nei paesi d'oltr'alpe, I, Roma 1901, pp. 108-112; A. Haupt, Die älteste Kunst insbesondere die Baukunst der Germanen von der Völkerwanderung bis zu Karl dem Grossen, Lipsia 1909, pp. 174-183; P. Toesca, Storia dell'arte italiana. I. Il medioevo, Torino 1927, s. v. Cividale; A. Santangelo, Cividale (Catalogo delle cose d'arte e di antichità d'Italia), Roma 1936, pp. 66-84; G. Panazza, L'arte medioevale nel territorio bresciano, Bergamo 1942, pp. 33-46; 50-51; P. Verzone, L'architettura religiosa dell'Alto Medioevo nell'Italia Settentrionale, Milano 1942, pp. 117-119; G. de Francovich, Arte carolingia ed ottoniana in Lombardia, in Röm. Jahrbuch fur Kunstgeschichte, VI, 1942-44, pp. 131-139; L. Coletti, Il Tempietto di Cividale, Roma 1952; E. Dyggve, Il Tempietto di Cividale, in Atti del 2° Congresso Internazionale di Studi sull'Alto Medioevo, Spoleto 1953, pp. 75-79; Hj. Torp, Note sugli affreschi più antichi dell'oratorio di S. Maria in Valle a Cividale, ibid., pp. 81-93 H. P. L'Orange, L'originaria decorazione del Tempietto cividalese, ibid., pp. 95-113; C. G. Mor, La leggenda di Piltrude e la probabile data di fondazione del Monastero Maggiore di Cividale, in Ce fastu?, XXIX, 1953 (1954), pp. 24-37; G. P. Bognetti, Sul tipo e il grado di civiltà dei longobardi in Italia, secondo i dati dell'archeologia e della storia dell'arte, in Frühmittelalterliche Kunst in den Alpenländern (Akten zum III. int. Kongress für Frühmittelalterforschung), Olten - Losanna 1954, pp. 41-75; E. Arslan, L'architettura dal 568 al Mille, in Storia di Milano, II, 1954, pp. 501-608; G. de Francovich, Problemi della pittura e della scultura preromanica, in I problemi comuni dell'Europa post-carolingia (Settimane di studio del Centro italiano di studi sull'alto medioevo, II, i), Spoleto 1955, pp. 370-392; Hj. Torp, Sul principio geometrico e l'uso dei moduli nella decorazione del Tempietto Longobardo di Cividale del Friuli, in Atti del XVIII congresso internazionale di Storia dell'Arte, Venezia 1956, pp. 140-145; id., Notizia sommaria delle ricerche nel Monastero di S. Maria in Valle, in Memorie storiche forogiuliesi, XLII, 1956-57, pp. 267-269; M. Brozzi-A. Tagliaferri, Contributo allo studio topografico di Cividale longobarda, in Quaderni della FACE, 17, 1958, pp. 24-26; G. Marioni-C. Mutinelli, Guida storico-artistica di Cividale, Udine 1958, pp. 482-515; Hj. Torp, Il problema della decorazione originaria del Tempietto Longobardo di Cividale del Friuli, in Quaderni della FACE, 18, 1959, pp. 1-47; G. de Francovich, Il problema cronologico degli stucchi di S. Maria in Valle a Cividale, in Stucchi e mosaici alto medioevali (Atti dell'ottavo Congresso di studi sull'arte dell'alto Medioevo, I), Milano 1962, pp. 65-85; Hj. Torp, Due opere dell'arte aulica longobarda (riassunto), ibid., pp. 61-62; G. Panazza, Gli scavi, l'architettura e gli affreschi della chiesa di S. Salvatore in Brescia, ibid., II, pp. 7-205; A. Peroni, La ricomposizione degli stucchi preromanici di S. Salvatore a Brescia, ibid., II, pp. 231-315; C. G. Mor, L'autore della decorazione dell'oratorio di S. Maria in Valle a Cividale e le possibili epoche in cui poté operare, in Memorie storiche forogiuliesi, XLVI, 1965, pp. 19-36; I. Bóna, Bemerkungen zur Baugeschichte der Basilika San Salvatore zu Brescia, in Acta Archaeologica Academiae Scientiarum Hungaricae, 18, 1966, pp. 327-333; H. Belting, Probleme der Kunstgeschichte Italiens im Frühmittelalter, in Frühmittelalterlichen Studien (Jahrbuch des Instituts für Frühmittelalterforschung der Universität Munster, i), 1967, pp. 94-143; C. Mutinelli, Il problema della intitolazione del così detto "Tempietto Longobardo" di Cividale, in Quaderni della FACE, 32, 1967, pp. 1-2.

(Hj. Torp)

Stucchi. Gli ultimi esami dei muri dopo gli stacchi degli affreschi tardo-medievali e rinascimentali hanno mostrato che non solo le pareti dell'aula, ma anche quelle del presbiterio erano rivestite di stucchi e che la zona a stucco del presbiterio corrispondeva a quella dell'aula, in modo da integrarsi ambedue in un unico sistema decorativo. Mentre, però, nell'aula resti monumentali della decorazione figurativa e architetturale in stucco si sono salvati, nel presbiterio rimangono soltanto piccoli frammenti dell'ornamentazione stuccata e pezzi di stucco amorfo. Dappertutto lo stile e la tecnica sono gli stessi. Figure, parti architettoniche e singoli ornamenti in stucco sono formati nello stesso modo: strati di stucco sono sovrapposti l'uno all'altro, sviluppandosi sempre più la differenziazione di forma da uno stato più o meno amorfo negli strati interni fino alla definitiva forma articolata nello strato della superficie.

Ancora oggi l'interno dell'aula è dominato dagli stucchi monumentali della parete occidentale. In una zona superiore, ai lati di una finestra, incorniciata da un arco riccamente adorno e sostenuto da colonnette, il tutto in stucco, stanno sei statue di sante. Esse sono un poco più grandi del vero, tre ad ogni parte della finestra in ordine strettamente simmetrico. Tutta questa zona è limitata da due fregi orizzontali a stelle. Le sante stanno in uno spazio celeste stellato, viste di fronte, ma volte verso la finestra di mezzo: le due più vicine a questa, vestite della palla antica, in atto di adorazione verso l'apertura luminosa; le altre, vestite di abito di alto rango, con corona in capo, portano in mano le loro corone di martiri verso la luce. E la luce stessa della finestra, la luce quale simbolo del Cristo, la lux vera, che le sante adorano e verso cui portano le corone del loro martirio. La zona inferiore degli stucchi si limita alla ricca cornice intorno al timpano affrescato coll'immagine di Cristo tra gli Arcangeli al di sopra del portale d'ingresso, e ai capitelli e alle colonne che reggono questa cornice. La zona di stucco qui è subordinata agli affreschi coi quali viene integrata.

Bisogna riferire idealmente ed adattare tutto questo sistema bizonale di stucchi alle pareti settentrionale e meridionale dell'aula. Anche qui infatti si trovano frammenti di stucchi corrispondenti. Tuttavia, siccome la disposizione delle finestre è differente - due finestre per parete in queste due ultime pareti - anche la disposizione delle figure risulta diversa. Essendo le finestre fiancheggiate da colonnette, non rimane posto sui lati estremi e le figure dovevano essere poste tra le finestre, dove su ogni parete c'è spazio per tre figure. Vi erano dunque in tutto dodici figure, probabilmente di sante in questa zona di stucchi intorno all'aula. Gli stucchi delle pareti N e S corrispondevano anche nella loro zona inferiore a quelli della parete di O. Una ricca decorazione di stucco incorniciava i timpani dei due archi ciechi centrali. Le ultime indagini nel Tempietto hanno portato alla luce frammenti di questi archi a stucco come pure l'affresco nel timpano della parete settentrionale.

Nel presbiterio, al di sotto della zona degli stucchi, le indagini hanno scoperto una monumentale iscrizione dipinta, molto frammentaria. Questa iscrizione si trova all'altezza della zona inferiore degli affreschi dell'aula. In tal modo l'iscrizione si collega al ciclo di immagini dipinte nell'aula. Ma poiché quest'ultimo, a sua volta, forma un tutto con gli ornamenti in stucco, l'iscrizione si connette al sistema decorativo dell'intero santuario. Essa appartiene a questo sistema: si riferisce all'intero santuario, ne è l'iscrizione dedicatoria.

Così tutta la decorazione a figure del Tempietto - eseguita sia in stucco che in affresco - è una composizione in due zone parallele e sovrapposte, colla rappresentazione di santi rivolti verso il Cristo nel centro. Un tale schema occupa un posto importante nella decorazione monumentale delle chiese altomedievali romano-bizantine, come indicano per esempio il Duomo di Parenzo, S. Maria in Domnica, S. Cecilia, S. Prassede in Roma; speciali contatti di somiglianza esistono soprattutto tra il sistema compositivo di S. Zenone, di S. Prassede e quello del Tempietto.

La datazione degli stucchi nel Tempietto deve partire dalla constatazione tecnica che l'intonaco degli affreschi originarî invade lo stucco dovunque questi combaciano. Gli affreschi sono stati, dunque, fatti dopo gli stucchi, ma immediatamente dopo, come seconda fase di un unico lavoro. Sulla base di un ricco materiale di confronto gli affreschi possono essere datati circa alla metà dell'VIII secolo.

È nell'arte dell'VIII sec. che troviamo i paralleli più vicini allo stile, alle vesti e agli attributi delle statue. D'importanza tutta particolare per la datazione degli stucchi è la corona che le sante portano in capo e che viene offerta a Dio dalle loro mani. Ha la forma del diadema imperiale dell'VIII secolo. I disegni delle stoffe e i modelli delle guarnizioni, così come tutta l'ornamentazione architettonica degli stucchi sono gli stessi che ritroviamo in innumerevoli combinazioni nella tradizione tardo-antica e romano-bizantina e sono frequentissimi nelle miniature precarolingie e protocarolingie, ma ricorrono anche nei dittici del basso Impero.

Fin dai tempi più remoti la decorazione a stucco ha occupato un posto importante nell'arte dell'Oriente e ci si è domandati spesso se lo stucco di C. derivi da influsso orientale. Le antiche culture della Mesopotamia, povera di pietra, facevano grande uso di stucco, uso che da qui si irradia in Siria ed in Persia. Il regno sassanide tramanda la tradizione al Medioevo, allorché la scultura a stucco ha la sua più grande fioritura nei palazzi degli Omayyadi dell'VIII sec., come Qaṣr el-Heir e Khirbat el-Mafjar. Qui troviamo i paralleli orientali più vicini a Cividale. La decorazione a stucco, qui come nel Tempietto, riveste gli archi dei portoni e delle finestre e comprende anche figure umane in grandezza naturale ad alto rilievo ed anche di tondo. Ciò nonostante esiste una differenza essenziale nello stile e nella tecnica, come anche nel repertorio di tipi e motivi. Gli stucchi arabi e quelli cividalesi devono essere considerati fenomeni paralleli contemporanei e non originati da influssi reciproci. Gli stucchi del Tempietto trovano chiaramente il loro posto nella tradizione romano-bizantina del Mediterraneo.

Dalle fonti letterarie risulta che la scultura a stucco occupa un posto preminente anche nell'arte altomedievale dell'Occidente. Si parla di signa, effigies, imagines ex gypso, di grandi composizioni religiose a figure colorate e dorate a stucco. A causa della fragilità del materiale e della poca comprensione che quest'arte ha trovato in tempi posteriori, quasi tutto è andato perduto. Scarsi resti sono conservati - oltre che a C. - per esempio in S. Salvatore a Brescia, in S. Benedetto a Malles, in S. Martino a Disentis, in S. Giovanni a Münster-Müstair, a Germigny-des-Prés. Gli stucchi recentemente scoperti nella navata di S. Salvatore a Brescia, che è da ritenere fondazione principesca longobarda della metà dell'VIII sec., sono legati indissolubilmente agli stucchi di Cividale. Sia gli stucchi che gli affreschi e le iscrizioni dei due monumenti paiono lavorati dalle stesse mani.

Bibl.: Gli stucchi durante la tarda Antichità e l'Alto Medioevo: P. Verzone, Note sui rilievi in stucco dell'Alto Medio Evo nell'Italia Settentrionale, in Le Arti, 4, 1941-42, p. 128; G. Gerola, Le volte delle loggie e la decorazione delle pareti di S. Vitale, in Atti del Reale Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, 75, pp. 827 ss.; J. Shapley, The stuccoes of S. Vitale, in Studien zur Kunst des Ostens, J. Strzygowski zum 60. Geburtstag gewidmet, Vienna 1923, p. 19 ss.; J. von Schlosser, Schriftquellen zur Geschichte der Karolingischen Kunst, Vienna 1892, sqq. nr. 886, 979, 1049; G. Panazza, L'Arte medioevale nel territorio Bresciano, Bergamo 1942, pp. 33 ss.; id., Stucchi di S. Salvatore a Brescia, VIII Congresso internazionale di Studi sull'Alto Medioevo, 1962, p. i ss.; J. Garber, Die karolingische St. Benediktkirche in Mals, Innsbruck 1915; E. Poeschel, Die Kunstdenkmäler des Kantons Graübunden, I, Basilea 1937, pp. 20 ss.; V, pp. 18 ss.; A. Stückelberg, Die Ausgrabungen zu Disentis, in Basler Zeitschrift für Geschichte und Altertumskunde, 1907, pp. 489 ss.; 1908, pp. 220 ss.; V, pp. 18 ss.; A. Stückelberg, Die Ausgrabungen zu Disentis, in Basler Zeitschrift für Geschichte und Altertumskunde, 1907, pp. 489 ss.; 1908, pp. 220 ss.; 1910, p. 36 ss.; J. R. Rahn, Die Ausgrabungen im Kloster Disentis, in Anzeiger für Schweizerische Altertumskunde, 10, 1908, pp. 35 ss.; 1908, pp. 220 ss.; 1910, p. 36 ss.; J. R. Rahn, Die Ausgrabungen im Kloster Disentis, in Anzeiger für Schweizerische Altertumskunde, 10, 1908, pp. 35 ss.; A. Grabar, in Cahiers Archeologiques, VII, 1954, pp. 179 ss.; L. Birchler, Zur karolingischen Architektur und Malerei in Münster-Müstair, in Actse du III Congrès International pour l'étude du haut moyen age, 1951, pp. 167 ss.; O. Reuther, in A. U. Pope, A Survey of Persian Art, I, Oxford 1938, pp. 524 s., IV, Tavv. 171-178; F. Kimball, ibid., I, pp. 579 ss.; L. C. Watelin, ibid., I, pp. 587 ss.; J. Baltrusaitis, ibid., I, pp. 60 ss.; 601 ss.; A. U. Pope, op. cit., I, pp. 631 ss.; K. Erdmann, Das Datum des Tak-I Bustan, in Ars Islamica, 4, 1937, pp. 79 ss.; O. Reuther, Die Ausgrabungen der Deutschen Ktesiphon-Expedition im Winter 1928-29, Berlino 1931-32; J. Strzygowski, Mschatta, in Jahrbuch der Königl. preussischen Kunstsammlungen, 25, 1904; D. Schlumberger, Les fouilles de Qasr el Heir, in Syria, 20, 1939, pp. 195 ss.; 324 ss.; 86 ss.; D. C. Baramki, Excavations at Khirbat el Mafjar, in The Quarterly of the Department of Antiquities in Palestine, 5, 1936, pp. 132 ss.; 6, 1936-37, pp. 157 ss.; id., Guide to the Umayad Palace at Khirbat al Mafjar, 1956; R. W. Hamilton, Plaster Balustrades from Khirbat al Mafjar, in The Quarterly of the Department of Antiquities in Palestine, 13, 1947-48, pp. i ss.; id., The Sculpture of living forms at Khirbat al Mafjar, ibid., 13, 1947-48, pp. 100 ss., tavv. 35-45; A. C. Creswell, Early Muslim Architecture, I, Oxford 1932, pp. 350 ss.

(H. P. L'Orange)