RINALDONE, Civilta di

Enciclopedia dell' Arte Antica (1965)

RINALDONE, Civiltà di

F. Rittatore Vonwiller

Facies culturale di aspetto francamente eneolitico, così denominata (anche civiltà tosco-laziale di Rinaldone) dalla Laviosa Zambotti che l'attribuisce a pastori protolatini, ma che ne abbassa la datazione alla piena Età del Bronzo (circa dopo il 18oo a. C.) derivandola dall' ambiente balcanico danubiano di Vucedol. Il nome proviene da una località presso Montefiascone (Viterbo). Per quanto alcune forme vascolari richiamino fortemente altre similari di Vucedol, tuttavia la assoluta mancanza nell' ambiente di Rinaldone della ricca decorazione e di molte altre forme ceramiche presenti a Vucedol rendono problematica tale attribuzione che, invece, meglio si adatta alla facies dell'Età del Bronzo centro-italica di Cetona (v. appenninica, civiltà).

La civiltà di R. si trova solamente, allo stato attuale delle nostre conoscenze, tra Arno, Tevere e Mare Tirreno con una fortissima concentrazione di ritrovamenti lungo la vallata del fiume Fiora nella Maremma tosco-laziale. Qui infatti si addensano le necropoli, uniche testimonianze che ci sono pervenute di tale cultura.

Infatti i sepolcreti la cui attribuzione alla facies di Rinaldone è certa per la presenza del tipico vaso a fiasco, sono stati rinvenuti a Pomarance nel Volterrano, a Montespertoli presso Firenze, a Bardano nell'Orvietano, nelle grotte di Belverde presso Cetona nel Chiusino, a Rinaldone di Montefiascone e lungo la vallata della Fiora, à mezzogiorno di Pitigliano, a Corano e Poggio Formica, ed in comune di Ischia di Castro a Ponte S. Pietro ed a Chiusa di Ermini sulla sinistra del fiume, a Botro del Pelagone a S di Manciano ed a Garavicchio di Capalbio sulla destra del Fiora.

In Toscana altri rinvenimenti che venivano attribuiti a tale facies eneolitica, si sono rivelati ad un più attento esame non facilmente inquadrabili nella forma culturale di Rinaldone altamente specializzata; così si presentano la tomba di Guardistallo nel Volterrano, quella di Camigliano presso Montalcino e Battifolle sul Trasimeno, la cui età non è ben determinabile; mentre le sepolture della Grotta di Monte Bradoni a Volterra (dove appaiono pugnali in lega di rame e arsenico) ed in spaccature naturali come a Punta degli Stretti sull'Argentario, denunciano un altro rito funebre come a Felcetone e Grotta di Don Simone presso Ponte S. Pietro e Vulci, ormai della Età del Bronzo con la deposizione dei corpi non più in grotticelle funerarie scavate a bella posta, ma in cavità naturali. Tale constatazione è avvalorata anche dalle ceramiche rinvenute in questi ultimi depositi funerarî, di aspetto assai diverso da quella tipica della civiltà di Rinaldone. L'attribuzione poi a tale facies di alcuni ritrovamenti a meridione del Tevere, Sgurgola, Cantalupo, Mandela, ecc. non può dirsi sicura ed attendibile pur apparendo la deposizione in grotticelle funerarie ma mancando i tipici vasi a fiasco. Ovviamente nel meridione della penisola le tombe a forno (in Sicilia, Puglia e Campania) hanno avuto larghissima diffusione in ambienti culturali assai varî ed in periodi successivi, dall'Eneolitico all'Età del Ferro, cosicché, ad esempio, la necropoli del Gaudo presso Paestum, pare sia stata usata per un lungo periodo di tempo corrispondente a quanto detto sopra.

Viceversa la facies di Rinaldone, come la coeva di Remedello in Val Padana, si presenta come una unità sia per caratteristiche culturali che per distribuzione in una ristretta regione geografica.

Le tombe sono tutte scavate nella roccia tenera (tufo) a grotticelle a forno con accesso a corridoio aperto in trincea oppure a pozzo verticale a calatoia, con la porta chiusa da una pietra naturalmente lastriforme, variante a seconda della zona, in genere scisto o calcare.

La deposizione dei defunti era quella a corpo rannicchiato con le braccia flesse, le mani presso il viso e le gambe piegate con le ginocchia al grembo; rito funebre assai diffuso dal Neolitico in poi e che indica chiaramente l'uso di legacci messi in opera prima del sopraggiungere della rigidità cadaverica.

Dati particolari sono stati desunti dallo scavo della necropoli di Ponte S. Pietro sul fiume Fiora, che ha dato il maggior numero di tombe spesso intatte. In tale cimitero si è notato che in una tomba detta della Vedovella i corpi erano due, un adulto ed una giovane, la cui deposizione contemporanea è certa: la donna presentava lo sfondamento del cranio nella regione temporale destra; si può quindi con buona probabilità supporre il seppellimento rituale della vedova che veniva uccisa presso il corpo del marito, che in questo caso doveva essere personaggio importante sia per il ricco corredo che per la presenza dello scheletro di un cane presso la porta del forno sepolcrale.

I corredi funebri consistono in ceramiche specialmente delle forme a ciotola o scodella, troncoconica o tondeggiante, e di vasi a fiasco (le cui forme derivano con ogni probabilità da quelle naturali delle cucurbitacee), con prese canaliculate impostate sul ventre sia orizzontalmente sia verticalmente che suggeriscono, anche col fondo convesso dei vasi, che tale categoria di recipienti erano da appendere.

Caratteristica delle ceramiche di Rinaldone è un impasto assai fine, di colore nero lucido, di ottima cottura a pareti più o meno sottili.

Rarissimi gli ornati; qualche pasticca applicata, quelle piccole sezioni di cordone plastico sopraricordate; difetta assolutamente l'incisione, mentre l'interno di due scodelle (Ponte S. Pietro) appare decorato a stralucido; in un caso (Tomba della Vedovella) con sei parti metopalmente alternate di fasce di linee ad onde o zig-zag e di linee parallele dritte. Di terracotta pure un'unica fusarola lenticolare schiacciata.

Abbondante ancora l'uso della pietra per pendagli, teste di mazza, asce. Di selce di diversi colori con ritocco finissimo, pugnali e punte di freccia ad alette e peduncolo di varia forma e dimensioni (allungate, tozze, ecc.) presenti pure nelle stesse tombe (nella Tomba della Vedovella ve ne erano sedici di svariate forme) nonché alcune lame. Il metallo è rappresentato da pugnali a tallone tondeggiante, da asce piccole e piatte e da corti aghi a sezione quadrangolare, di rame puro, nonché da vezzi di antimonio: perle a barilotto e di forme allungate tubolari per collane (Tomba della Vedovella) nonché altre microscopiche raccolte fra i denti di un individuo, forse un ornamento del mento.

Per quanto la mancanza di ritrovamenti di abitati non permetta di avere un quadro completo della civiltà di R., tuttavia si può prospettare l'ipotesi che si tratti di un gruppo etnico e culturale assai omogeneo, almeno per un certo tempo, dedito in prevalenza alla caccia ed all'allevamento, e forse dedito pure alla razzia di bestiame presso confinanti genti agricole, che nell'età eneolitica (non appare il bronzo) occupò la zona della futura Etruria venendo poi assorbito e divenendo una delle componenti della posteriore cultura appenninica (v.).

Bibl.: L. Colini, in Bull. Ital. di Paletnologia, XXIX, 1903, p. 150 ss.; P. Laviosa Zambotti, Sulla costituzione dell'Eneolitico italiano, in St. Etr., XIII, 1939, p. 58; A. Minto, Trovamenti preistorici nel territorio a S dell'Amiata, in Bull. Ital. di Paletnologia, N. S. II, 1938, p. 29; F. Rittatore, Necropoli eneolitica presso il ponte S. Pietro nel Viterbese, in St. Etr., XVI, 1942, p. 557; P. Laviosa Zambotti, Le più antiche culture agricole europee, Milano 1942; id., I Balcani e l'Italia durante la Preistoria, in Origines, scritti in onore di mons. Baserga, Como 1954; S. M. Puglisi, La civiltà appenninica, Firenze 1959.

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