Tolomei, Claudio

Enciclopedia Dantesca (1970)

Tolomei, Claudio


Letterato (Asciano, Siena, 1492 - Roma 1556); il suo interesse per D. è attestato soprattutto dal dialogo Il Cesano (scritto fin dal 1528, ma pubblicato solo nel 1555, a Venezia, da Gabriel Giolito, senza il consenso dell'autore). L'avvio stesso del dialogo è giustificato da un'iniziale discussione fra uomini dotti a proposito del De vulg. Eloq., sia per quanto riguarda l'autenticità dell'attribuzione a D., sia soprattutto per spiegare " come e quivi ed altrove chiama la sua lingua vulgare " (Il Cesano, Bologna 1864, p. 9). All'autorità di D., spesso unito al Petrarca (" verissimi giudici della volgar lingua ", p. 14), si appoggiano tutti gl'interlocutori (il Bembo, il Trissino, il Castiglione, Alessandro de' Pazzi e infine il Cesano) per il nome da attribuire alla lingua e quindi per la definizione dei suoi caratteri essenziali.

Va detto però che la presenza di D. nel dialogo non determina nessun approfondimento critico o filologico: la questione della paternità del De vulg. Eloq. (è citato Lodovico Martelli, che l'aveva negata) è avanzata dal Cesano come pura ipotesi, di fronte all'uso esclusivo e ristretto che delle definizioni dantesche sulla lingua avevano fatto i precedenti interlocutori; per il resto, l'opera di D. suscita generiche lodi di eccellenza (" gran maestro di poesia ", p. 20; " chiarissimo lume nella lingua, saldissimo giudicio nelle più dubbie cose, prontissimo ingegno nelle più difficili ", p. 23; " alta fantasia ", " puro dire ", " belle e varie figure ", p. 37, e simili). Si può in particolare rilevare il tentativo di giustificare in D. l'uso di " forastieri vocaboli e latini puri, e latini attoscaneggiati " (p. 80), appunto come segno di eccellenza, non come prova della povertà della lingua da lui assunta: è un segno, questo, di voler " esser comuni... come ancora fece anticamente Omero " (ibid.), dello sforzo di dar più ampia eco alla propria voce, di raccogliere nella ricchezza e varietà di vocaboli una più vasta esperienza.

Il T. attribuisce a D. (senza peraltro entrare nel merito) l'introduzione della terza rima, come si ricava da una lettera a Marc'Antonio Cinuzzi, nella quale, elogiando la sua traduzione di Claudiano, fa delle riserve circa l'uso dell'endecasillabo, troppo prosastico, tanto da aver costretto D. a " ritrovare " la terza rima, che supplisce all'inconveniente con " qualche legamento di rima " o " altro artificio ".

Per concludere, ritornando a Il Cesano, si può con ogni probabilità ritenere, col Rajna, che il fortunato aggettivo " divina " apposto da L. Dolce (v.) alla famosa edizione della Commedia sia stato suggerito proprio dal T. (e solo indirettamente dal Trattatello del Boccaccio). Il Dolce, della cui attività si servì molto l'editore Giolito, aveva certamente letto il manoscritto de Il Cesano e ne aveva forse corretto le bozze di stampa. Ora, nel dialogo la Commedia è per due volte chiamata " divina ": " Con questa [la lingua di Firenze] Dante, gran poeta, oltre a molte leggiadre canzoni, scrisse la sua divina Comedia " (p. 40); " ... Dante, il quale quanto puote si sforza la sua divina Comedia con molte varietadi adornare " (p. 58).

Bibl. - P. Rajna, in " Bull. " XXII (1915) 107-115, 255-258.

Stefano Jacomuzzi

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