MAROT, Clément

Enciclopedia Italiana (1934)

MAROT, Clément

Ferdinando Neri

Poeta francese, nato a Cahors nel 1496, morto a Torino nel settembre 1544. Suo padre Jean (v.) lo condusse nel 1506 alla corte della regina Anna di Bretagna, e insieme con Jacques Colin e Jean Lemaire lo ammaestrò nell'arte poetica; fu paggio di Nicolas de Neufville, signore di Villeroy, e commesso presso il procuratore Jean Grisson; appartenne così alla Basoche, associazione festaiola dei giovani addetti al tribunale. Ebbe una certa istruzione classica, e cominciò col tradurre in versi francesi la prima egloga di Virgilio e, su di una versione latina, il dialogo di Luciano, Le Jugement de Minos. Nel 1515 offrì al nuovo re Francesco I il Temple de cupido, ricalcato sul Temple de Vénus di J. Lemaire, secondo la tradizione allegorica del Roman de la Rose; frattanto iniziava la sua copiosa produzione di ballate, epistole, rondeaux, seguendo con facile vena le occasioni grandi e piccine della vita di corte. Fra il 1518 e il 1519 entrò al servizio di Margherita d'Angoulême, sorella del re, allora duchessa d'Alençon; ne divenne segretario, seguì la corte ducale nei suoi giri per la Francia, e il duca in qualche spedizione militare. Un'elegia, scritta in persona d'un cavaliere che aveva combattuto a Pavia, fece credere per lungo tempo che il M. avesse assistito a questa battaglia.

Le idee della Riforma serpeggiavano in Francia, e il circolo letterario di Margherita era ad esse in parte favorevole; le prime avvisaglie, per quanto riguarda il M., si confondono con le vicende di un suo amore, per una tale Isabeau: costei lo denunciò per avere violato l'astinenza della quaresima, e M. fu arrestato (nel febbraio 1526) e chiuso nella prigione dello Chatelet: di là fu trasferito alla prigione ecclesiastica di Chartres, e liberato per grazia reale il 1° maggio dello stesso anno. Un nuovo amore, per una donna di nome Anna, che fu il più puro della sua vita, gl'ispirò alcune fra le sue più belle poesie; e in quegli anni, sereni come egli più non ne conobbe, compose la maggior parte dei versi pubblicati in seguito nell'Adolescence clémentine. Nell'ottobre 1527 tornò in carcere per avere liberato un prigioniero dalle mani delle guardie, ma anche questa volta lo salvò il pronto intervento di Francesco I; fra il 1531 e il 1332, fu colpito dalla peste e, risanato, tradusse il Salmo VI, come un inno di gratitudine al cielo: e fu la sua prima prova nella poesia sacra, che doveva costargli gravi amarezze. Nell'autunno 1534, col rincrudire delle persecuzioni religiose, M., sospetto, fuggì dalla corte, fu proscritto, e riparò (giugno 1535) in Italia, presso Renata di Francia, duchessa di Ferrara: vi rimase un anno, indi si recò a Venezia, e alla fine del 1536, ottenuto il permesso di ritornare in patria, era accolto dai suoi amici a Lione. Poco dopo, s'impegnò in un'aspra polemica con François de Sagon, che l'accusava d'eresia; la traduzione dei Salmi spiaceva nelle sfere cattoliche più rigorose, e alla fine del 1542 egli attendeva a proseguirla a Ginevra; ma, inviso ai calvinisti per le sue consuetudini dissipate, passò in Savoia, indi in Piemonte, dove morì.

La sua figura trascorre, leggiera e inquieta, attraverso un'età di lotte profonde; egli ebbe a soffrirne, pur sempre cercando di rapire lungo il cammino un fiore o un frutto; e la poesia, che egli prodigò per tanta parte come in un giuoco e come un mestiere, ci dà nel suo complesso una visione fuggitiva, ma schietta, del suo carattere. I Francesi ravvisarono in lui alcune qualità tipiche, alcuni tratti essenziali del loro ideale artistico, se la gloria del M. durò, modesta, ma inalterata, quando quella, ad es., del Ronsard veniva contraddetta e negata acerbamente. Una vena facile e brillante (molte volte superficiale); l'arguzia improvvisa, beffarda; un gusto della vita fra ironico e sentimentale, che alterna i piaceri d'una lieta compagnia e, più rari, gli abbandoni dolorosi dell'animo: tutto ciò costituisce l'immagine tradizionale del poeta M. Il quale, sciogliendosi assai presto dalla maniera allegorica, che intristiva i "rhétoriqueurs" suoi maestri, riconobbe il valore dell'opera del Villon (di cui volle curare un'edizione nel 1533), tradusse i poeti classici (dopo Virgilio, il I e il II libro delle Metamorfosi di Ovidio; Marziale; Ero e Leandro di Museo), ebbe familiari le rime del Petrarca (e scrisse il primo sonetto che si conosca in lingua francese); ma soprattutto, nei momenti più felici, trasse l'ispirazione dalle cose vedute e sentite: le scene campestri, che risorgono alla sua memoria dall'infanzia lontana (Adolescence clémentine), le ore grige trascorse fra i giudici e i carcerieri (L'Enfer, Epître au Roy del 1527), gli episodî drammatici della vita pubblica (epigramma sull'impiccagione del Samblangay). E nella versione dei Salmi seppe elevarsi ad accenti di grave e commossa poesia religiosa.

Ediz.: Œuvres complètes, a cura di P. Jannet, voll. 4, Parigi 1868-1872; a cura di G. Guiffrey (II-III, Parigi 1875-1881; I, contenente la vita del M., Parigi 1911); a cura di A. Grenier, voll. 2, Parigi 1919-20.

Bibl.: Ph. A. Becker, Marots Leben, in Zeitschrift f. franz Sprache u. Litteratur, XLI e XLII (1913-14); P. Villey, Les grands écrivains du XVIe siècle, I: M. et Rabelais, Parigi 1923; H. Guy, Histoire de la poésie française au XVIe siècle, II: Cl. M. et son école, Parigi 1926; D. Magrini, C. M. e il petrarchismo, in Miscellanea in onore di G. Mazzoni, I, Firenze 1907.

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