MERLO, Clemente

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 73 (2009)

MERLO, Clemente

Sandra Covino

– Nacque a Napoli, il 2 maggio 1879, da Pietro ed Elisabetta (Bettina) Bergonzoli.

La famiglia, originaria di Fossano, aveva fatto parte dell’élite risorgimentale piemontese; il padre, morto in un tragico incidente quando il M. aveva solo nove anni, fu anch’egli un importante glottologo.

Iscrittosi nel 1898 all’Università di Pavia, il M. divenne l’allievo prediletto di C. Salvioni. Dal maestro assorbì, insieme con l’interesse verso il dominio dialettale, il metodo scientifico di ascendenza neogrammaticale, nonché l’avversione per le speculazioni astratte, sintetizzata nella formula «fatti non parole» inserita nel proemio all’Italia dialettale, la rivista fondata dal M. nel 1924.

Salvioni aveva studiato a Lipsia e al ritorno in Italia si era legato a G.I. Ascoli; di una linea Ascoli-Salvioni-M. si è molto parlato e per certi aspetti il M. si collega ad Ascoli più strettamente dello stesso Salvioni: si pensi sia a temi particolari, come l’unità ladina, sia a questioni di fondo, come quella del sostrato etnico. Non a caso, il M. dedicò l’unico suo scritto di natura teorica, Graziadio Isaia Ascoli e i canoni della glottologia (Torino 1929), alla confutazione di quanti, come G. Bertoni e M.G. Bartoli, indicavano in Ascoli un precursore della neolinguistica, sforzandosi di conciliare l’idealismo crociano-vossleriano con le nuove tendenze metodologiche della geografia linguistica. Il M., invece, sostenne l’assoluta concordia di Ascoli con i neogrammatici; inoltre, contro quelle posizioni che, in nome dell’individualità storica dei fenomeni linguistici, mettevano in discussione la legittimità delle classificazioni e la scientificità della glottologia, richiamò con forza quanto Ascoli aveva teorizzato, collegando la regolare costanza del mutamento fonetico e, con essa, l’evoluzione diacronica di tipi dialettali distinti, alle cosiddette reazioni etniche, ineccepibili proprio in quanto predisposizioni fonatorie caratteristiche di ciascuna stirpe. Nel M., come in Salvioni, non fu assente l’attenzione ai dati storici e geografici, ma la lettura di quei dati venne da entrambi messa costantemente al servizio della ricostruzione interna della lingua come sistema, considerata fine legittimamente autonomo di indagine scientifica. Su questi aspetti strutturalisti ante litteram, messi in rilievo già da G. Contini e da alcuni allievi diretti del M., è tornato di recente M. Loporcaro, ponendo i neogrammatici e la triade Ascoli-Salvioni-M. lungo quella trafila che, aperta da F. Bopp e A. Schleicher nel primo Ottocento, sarebbe arrivata, attraverso F. de Saussure, fino alla linguistica strutturale e generativa, consolidandosi proprio nel confronto e nello scontro con l’altra fondamentale linea della linguistica otto-novecentesca facente capo agli «antimmanentisti» J. Schmidt e H. Schuchardt e che, passando per la dialettologia spaziale di J. Gilliéron e di L. Gauchat e per i «neolinguisti» italiani (M.G. Bartoli e B. Terracini), sarebbe sfociata nella sociolinguistica contemporanea (cfr. Loporcaro, 2008, p. 59).

Il M. si laureò nel 1902 discutendo una tesi su I nomi romanzi delle stagioni e dei mesi studiati particolarmente nei dialetti ladini, italiani e franco-provenzali (Torino 1904). Nel 1906 conseguì la libera docenza presso l’Accademia scientifico-letteraria di Milano e nel 1907 vinse, per concorso, la cattedra di storia comparata delle lingue classiche e neolatine all’Università di Pisa. In questa sede sarebbe rimasto per quarant’anni, fino all’uscita dal ruolo, dirigendo l’istituto di glottologia, dove ebbe numerosi allievi.

Il M. si affermò ben presto come il più apprezzato specialista in ambito centro-meridionale e nei primi decenni della sua attività indagò quasi esclusivamente «vernacoli di tipo rustico», preferiti perché linguisticamente meno contaminati da influssi esterni e più adatti a una rappresentazione evolutiva dal latino tardo. Le ricerche dedicate ai dialetti dell’Italia centrale e meridionale – terreno fino ad allora assai poco dissodato – produssero uno fra i lavori più significativi del M., la Fonologia del dialetto di Sora (Pisa 1920).

Attraverso una documentazione ricchissima, il dialetto sorano (come poi quello di Cervara di Roma, su cui il M. pubblicò un altro importante studio fonologico nel 1922) viene descritto in relazione all’intero sistema dei dialetti mediani e meridionali, del quale egli riuscì a delineare un quadro analitico e razionalmente organizzato di tratti distintivi. Evoluzioni fonetiche specifiche erano già state illustrate isolatamente in scritti precedenti del M. come, per esempio, Degli esiti di lat. -gn- nei dialetti dell’Italia centro-meridionale (Torino 1908) e Un capitolo di fonetica italiana centro-meridionale (Perugia 1913), sugli sviluppi di b-, -br- in v-, -vr- (esemplificati dal tipo varva «barba») e di -sv- / -dv- in -b- / -bb- (tipi sbelà «svelare» da ex-velare e abbelenà «avvelenare» da ad-venenare).

Spesso l’indagine fonetica fu base e strumento euristico per acquisizioni di tipo morfologico assai rilevanti.

Nel doppio articolo, Dei continuatori del lat. ille (Halle s.d. [ma 1906-07]), che era stato il suo saggio d’esordio in ambito centromeridionale, il M. fu in grado di accertare, entro una vasta area umbro-sabina i cui estremi toccano le Marche meridionali e la Puglia, lo sviluppo di una particolare forma di articolo «neutro» per concetti esprimenti prodotto o sostanza. Attraverso lo studio di un fenomeno di armonizzazione vocalica come la metafonesi, pervenne poi alla dimostrazione definitiva della derivazione dall’accusativo dell’unica forma flessionale romanza (cfr. I dialetti centro-meridionali e le sorti della declinazione latina, Firenze 1911); analogamente giunse alla dimostrazione della funzione distintiva dell’epitesi di -no nel sistema verbale, evidenziandone l’assenza nei dialetti dove tale funzione è svolta dall’alterazione metafonetica della vocale tonica (ie o é per è, i per é, ecc.: cfr. Gli italiani «amano», «dicono» e gli odierni dialetti umbro-romaneschi, Perugia 1909).

Negli anni Venti e Trenta il M. realizzò molti altri contributi sull’area laziale. Di particolare rilevanza fu il saggio sulle Vicende storiche della lingua di Roma (Pisa 1929-31), incentrato nella prima parte sulla Cronica trecentesca dell’anonimo romano e nella seconda sulla commedia cinquecentesca di C. Castelletti Le stravaganze d’amore (ibid. 1931).

Di recente, tale intervento è stato additato tra i lasciti più importanti e duraturi del M.; per primo egli riuscì infatti a mettere a fuoco con strumenti scientifici moderni le fasi fondamentali della storia del romanesco, che nel Medioevo presentava evidenti caratteri centromeridionali. In tale indagine il M. fu senza dubbio guidato dalla ricerca di conferme al paradosso da lui individuato tra gli eventi costitutivi dei dialetti e della lingua nazionale: quello di un’Urbs soggiaciuta all’invasione linguistica della campagna circostante e di una Toscana erede del latino di tipo urbano (cfr. Lazio sannita ed Etruria latina ?, Pisa 1927).

L’insistenza su argomenti toscani e le sintesi illustrative generali che il M. seppe produrre, sia a livello specialistico sia in prestigiose sedi divulgative (quali, per esempio, le guide regionali del Touring Club Italiano, TCI), dimostrano una sensibilità e uno sguardo sempre rivolti al quadro interpretativo complessivo in cui anche i fatti linguistici più minuti devono essere di volta in volta inseriti e classificati.

Relativamente alla Toscana, le ricerche riguardarono non solo la descrizione di vernacoli locali, come l’indagine sul consonantismo del dialetto di Borgo San Sepolcro (1929), ma questioni di grammatica storica e fenomeni strutturali che caratterizzano l’intera area con al centro Firenze e il suo determinante ruolo nella storia linguistica italiana.

Dall’esplorazione sistematica non furono tuttavia esclusi né il Nord della penisola né alcuni territori oltreconfine: Corsica e Dalmazia; quest’ultima, relativamente all’estinto dalmatico, oggetto (a partire da una nota del 1910: Vegliotto e ladino) di una lunga polemica con Bartoli, il quale ne affermava la parentela con i dialetti italiani del Centrosud, mentre il M. includeva il vegliotto, analogamente al ladino, tra i dialetti non peculiari al sistema italiano.

Su temi settentrionali, il M. si concentrò soprattutto nell’ultima fase della sua attività. Proseguendo l’opera di E.G. Parodi, realizzò vari studi di ambito ligure, il più importante dei quali, sul Lessico etimologico del dialetto di Pigna, apparve a puntate ne L’Italia dialettale dal 1941 al 1956. Incompiuto restò invece il Lessico etimologico di Valtournanche, pubblicato nella stessa sede a partire dal 1956. All’Italia dialettale, che ne ospitò alla fine di ogni annata il Bollettino, il M. legò pure l’impresa del Vocabolario dei dialetti della Svizzera italiana, alla cui direzione era stato chiamato dal governo del Canton Ticino nel 1920, dopo la scomparsa di Salvioni. Ultimi omaggi all’antico maestro si possono considerare il Profilo fonetico dei dialetti della Valtellina (Mainz 1951) e la ricognizione su I dialetti lombardi, che apparve postuma nella Storia di Milano pubblicata dall’Istituto dell’Enciclopedia Italiana. Come supplemento all’Italia dialettale, furono pubblicati dal 1933 al 1942 anche i volumi dell’Atlante linguistico-etnografico italiano della Corsica, opera dell’allievo G. Bottiglioni, che si collocava in un filone di studi aperto dal M., proprio nel primo numero del periodico, con l’articolo sulle Concordanze corso-italiane centromeridionali (1925).

L’Italia dialettale – che il M. alimentò nel dopoguerra anche finanziariamente, facendola risorgere dopo l’interruzione del decennio 1943-53 – pubblicò o ripubblicò molti lavori del M. e della scuola pisana, ma accolse anche contributi di diversa provenienza.

Le inevitabili aperture alla geografia linguistica, tuttavia, non significarono mai l’accettazione del fallimento dell’etimologia fonetica e dell’impossibilità di circoscrivere in aree rigorosamente distinte singole lingue e dialetti. La rivista non si astenne dall’ospitare discussioni sulla cosiddetta italianità delle terre d’oltreconfine e delle regioni da poco redente ma va comunque riconosciuta al M. una capacità di distinzione tra le ragioni della scienza e quelle dell’ideologia ben maggiore rispetto ad altri linguisti coevi, che fornirono un riprovevole sostegno pseudoscientifico a rivendicazioni annessionistiche e a programmi di italianizzazione dell’Alto Adige e di terre slovene e croate (vedi S. Timpanaro, Il carteggio Rajna-Salvioni e gli epigoni di Graziadio Ascoli, in Belfagor, XXXV [1980], pp. 45-67, in partic. pp. 64 s.).

Il problema classificatorio generale fu ripreso dal M. nel saggio Il sostrato etnico e i dialetti italiani (Pisa 1933), in cui trova espressione più esplicita e articolata un aspetto teorico centrale nella sua opera: l’idea che la varietà del patrimonio dialettale italiano sia fondamentalmente riconducibile alla molteplicità etnica dell’Italia primitiva.

Le tracce indelebili di quel passato preistorico, considerato ben più determinante delle fasi storiche successive, sarebbero reperibili soprattutto a livello fonetico, dove il principio della reazione etnica offrirebbe i criteri più affidabili di partizione. La divisione in tre gruppi dei dialetti italiani, settentrionale (comprensivo, diversamente dallo schema ascoliano, del veneto), centromeridionale e toscano, fa riferimento infatti a fenomeni di sostrato, che erano stati già ipotizzati in precedenti lavori o che saranno meglio precisati, anche nella loro estensione areale, in interventi successivi. Così, per esempio, per la tesi, risalente ad Ascoli, della palatizzazione di ā libera come spia celtica al Nord o per il relitto ligure individuato nella pronunzia debolmente apicale, fino al dileguo, di –r-. L’origine osco-umbra dell’assimilazione di n+d in nn e di m+b, n+v in mm (tipi kuanno «quando» e palomma «palomba») era stata già proposta in Lazio sannita ed Etruria latina, insieme con la suggestiva immagine dei vincitori latini poi sopraffatti, quanto alla lingua, dai vinti Sanniti.

Nelle pagine dello stesso scritto era stata presentata anche la teoria più celebre del M., quella che riconduce al sostrato etrusco la cosiddetta gorgia toscana, cioè la spirantizzazione delle occlusive sorde latine intervocaliche (-p-, -t- e specialmente -k-, che arriva all’aspirata). Il M. continuò fino agli ultimi anni di vita a difendere tale ipotesi, nonostante le diverse obiezioni sollevate da G. Rohlfs e da altri studiosi stranieri. Sotto la gorgia e altri «chiarissimi segni di etruschità», il toscano avrebbe conservato meglio di qualsiasi altro dialetto le condizioni fonetiche latine, continuando intatto per esempio il b- iniziale e ignorando le assimilazioni di tipo umbro-sannita. Da tali considerazioni eziologiche e da altre di tipo storico-linguistico sulla fiorentinità dell’italiano letterario, a partire dal genio creatore di Dante, scaturiscono anche le prese di posizione del M. su questioni all’epoca di attualità, come la bocciatura del cosiddetto asse linguistico Roma-Firenze, proposto da G. Bertoni e F. Ugolini nel loro Prontuario di pronunzia e di ortografia (Torino 1939). L’enfasi posta sul principio di sostrato e l’immobilismo etno-linguistico a essa collegato hanno come naturale pendant la tendenza a minimizzare l’effetto di superstrato e il ruolo degli invasori germanici nella formazione delle lingue romanze (cfr. La Francia linguistica odierna e la Gallia di Giulio Cesare, Roma 1940, e L’Italia linguistica odierna e le invasioni barbariche, ibid. 1941).

A corredo dell’imponente lavoro di esplorazione e organizzazione razionale dei dialetti italiani, il M. compì sin dalla già citata tesi di laurea moltissime ricerche di onomasiologia e di lessicologia etimologica, saldamente impostate su premesse fonetiche.

Si ricordano, fra molti altri, gli articoli sulle denominazioni romanze del carnevale (1911), della candelara (1915), del «dì feriale» (1918) e sui «nomi» della Pentecoste (1926) e dell’Epifania nei dialetti italiani (1951). Non può essere taciuto l’importante contributo di Postille (Pisa 1926), Correzioni ed aggiunte (Lisbona 1949) e Nuove postille (pubblicate tra il 1949 e il 1953 nei Rendiconti dell’Ist. lombardo di scienze e lettere, cl. di lettere e scienze morali e storiche), che il M. portò al Romanisches Etymologisches Wörterbuch di W. Meyer-Lübke, seguendo, anche in questo, una tradizione inaugurata da Salvioni.

Il M. morì a Milano il 13 genn. 1960.

A parte la tesi di laurea, i principali lavori del M. sono raccolti in due sillogi: Studi glottologici di Clemente Merlo, pubblicati nell’occasione del venticinquesimo anniversario del suo insegnamento da colleghi, discepoli ed amici (Pisa 1934), e Saggi linguistici, pubblicati in occasione del suo ottantesimo compleanno dall’Istituto di glottologia dell’Università di Pisa e dalla Scuola normale superiore (ibid. 1959). La bibliografia più completa, ma passibile di emendamenti e integrazioni, si trova nella citata raccolta di Saggi linguistici, pp. IX-XXIII, e conta 260 voci.

Fonti e Bibl.: Necr., in L’Italia dialettale, XXIII (1959), pp. I-XVI (T. Bolelli); Quaderni dell’Istituto di glottologia, IV (1959), pp. 3-6 (G. Bottiglioni); Belfagor, XVI (1961), pp. 104-107 (G. Piccitto). Si vedano ancora: Onoranze nazionali al prof. C. M. nell’occasione del 25° anno del suo insegnamento, in Annuario della R. Università di Pisa, Pisa 1935, pp. 501-547; G. Contini, C. M. e la dialettologia italiana, in Atti e memorie dell’Acc. La Colombaria, n.s., XII (1961-62), pp. 327-341 (poi in Id., Altri esercizî, Torino 1972, pp. 355-367); M. Melillo, L’eredità di C. M., in Revue de linguistique romane, XXX (1966), pp. 1-38; R. Broggini, Due anniversari: Carlo Salvioni 1858-1920, C. M. 1879-1960, Bellinzona 1971. Per le discussioni metodologiche e un inquadramento nella storia della linguistica italiana e romanza, si vedano: T. Bolelli, C. M., in Letteratura italiana (Marzorati), I critici, II, Milano 1969, pp. 1333-44; S. Timpanaro, Classicismo e illuminismo nell’Ottocento italiano, Pisa 1969, pp. 317-332, 352-357 (sugli ascoliani neogrammatici); G. Nencioni, Idealismo e realismo nella scienza del linguaggio, Pisa 1989; A. Varvaro, Convergenze e divergenze nella storiografia delle lingue romanze, in Romanische Sprachgeschichte: ein internationales Handbuch zur Geschichte der romanischen Sprachen, a cura di G. Hernst et al., Berlin-New York 2003, pp. 411-420; M. Loporcaro, C. Salvioni linguista, in C. Salvioni, Scritti linguistici, V, Locarno 2008, pp. 45-97; Id., Ascoli, Salvioni, M., in Atti del Convegno nel centenario della morte di Graziadio Isaia Ascoli, Roma… 2007 (in corso di stampa).

S. Covino

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