CLEMENTE VI

Enciclopedia dei Papi (2000)

Clemente VI

Bernard Guillemain

Pierre Roger nacque verso il 1290-1291 da una famiglia della piccola aristocrazia del basso Limosino nel castello di Maumont, nella parrocchia di Rosiers d'Égletons (circondario di Tulle nell'attuale dipartimento della Corrèze).

I suoi genitori possedevano pochi beni e, per lasciare l'eredità al primogenito, sistemarono Pierre, come avevano fatto con il fratello Hugues, tra i Benedettini: all'età di dieci anni entrò così nel monastero della Chaise-Dieu. Le qualità della sua intelligenza lo fecero notare dall'abate che, sicuramente nel 1307, lo mandò a studiare all'Università di Parigi. Vi restò sedici anni, si orientò verso la teologia e vi raggiunse grande fama: presto si cominciò a prendere note ed appunti dalle sue prediche. Quando fu baccelliere non si limitò, com'era consuetudine, a commentare la Bibbia e il quarto libro delle Sentenze, ma aderì anche con entusiasmo alla dottrina di Tommaso d'Aquino ancor prima della canonizzazione del celebre dottore e sostenne con successo controversie con i francescani François de Meyronnes e Pierre Auriol. La sua fama arrivò al re di Francia, Carlo IV il Bello, che ottenne dal papa Giovanni XXII una bolla in data 23 maggio 1323 per ordinare al cancelliere di Notre-Dame di Parigi di conferirgli il grado di maestro in teologia prima che scadessero i termini regolamentari. Una bella carriera universitaria si apriva al giovane maestro. La sua dottrina era sicura: criticava il nominalismo di Jean de Jandun e di Marsilio da Padova (aveva bene identificato il carattere rivoluzionario del Defensor pacis). Giustificava la decretale di Giovanni XXII Quia quorumdam mentes sulla povertà del Cristo e degli apostoli. Divenne provveditore del Collegio di Sorbona, ebbe in beneficio alcuni priorati (St-Pantaléon, Savigny, St-Baudil) nel 1324. Il 23 giugno 1326 ricevette l'importante abbazia di Fécamp.

Con l'avvento di Filippo VI di Valois, Pierre Roger salì parallelamente nel favore reale e nella gerarchia della Chiesa; le alte funzioni che il pontefice gli conferiva giustificavano il suo ruolo negli affari francesi. Vescovo di Arras il 3 dicembre 1328, fu trasferito a Sens il 24 novembre 1329 e a Rouen il 14 dicembre 1330: l'arcivescovato di Rouen era il più ricco della Chiesa francese, uno dei meglio dotati di tutta la cristianità.

Nello stesso tempo Pierre Roger serviva il re. Sedeva nella "Chambre des enquêtes" del Parlamento (1328), e presiedeva la Camera dei conti (1330). Era utilizzato anche dalla diplomazia francese: fu inviato in Inghilterra per intimare a Edoardo III di prestare l'omaggio dovuto per il Ducato di Guienna, e partecipò ai negoziati franco-inglesi. Diresse l'ambasceria mandata presso la Corte di Avignone per organizzare la crociata. Le trattative con Giovanni XXII iniziate dal 1332 si conclusero con un accordo che rese Filippo VI capitano generale della crociata (26 luglio 1333). Il papa assegnò a questa grande impresa una decima di sei anni con l'incarico per l'arcivescovo di Rouen e per quello di Sens di controllarne il buon uso. Dopo una predica pronunciata da Pierre Roger a Parigi davanti ad una folla di baroni e di prelati, il re prese la croce (il 1° ottobre 1333). Ma l'aggravarsi dei rapporti con l'Inghilterra compromise il progetto. Il nuovo papa, Benedetto XII, si sforzò di interporre i suoi buoni uffici, preoccupato soprattutto che i sussidi accordati per finanziare la crociata fossero dirottati dalla loro destinazione. Pierre Roger servì da intermediario. Quando Filippo VI confiscò la Guienna e, fomentata da Edoardo III, si formò contro di lui una coalizione, Pierre Roger approvò il 25 febbraio 1338 il punto di vista del re francese, e protestò contro l'alleanza dell'inglese con Ludovico il Bavaro al quale il papa aveva negato ogni diritto all'Impero.

Questo servitore della monarchia francese era tuttavia anche capace di difendere i diritti della Chiesa. Nell'assemblea convocata dal re a Vincennes, nel corso della quale Pierre de Cuignières attaccò la giurisdizione ecclesiastica, Pierre Roger, allora ancora arcivescovo di Sens, e Pierre Bertrand, vescovo di Autun, difesero la tesi del clero. Mentre quest'ultimo confutò punto per punto gli argomenti dell'avvocato del re, Pierre Roger, in un lungo discorso pronunciato il 22 dicembre 1329, sostenne il diritto della Chiesa ad intervenire negli affari temporali, riprendendo in particolare l'interpretazione dell'uso delle due chiavi sviluppata nella bolla Unam sanctam. Arcivescovo di Rouen, anche se risiedette ben poco nella diocesi normanna, egli dovette applicare le sue dichiarazioni di principio in continui conflitti con il duca (l'erede al trono Giovanni), con il tesoriere, con i baglivi, ed ottenne quasi sempre partita vinta: fu persino autorizzato a non prestare giuramento di fedeltà al duca. Si occupò dell'amministrazione della mensa episcopale e vedendo aumentare la minaccia di conflitto con l'Inghilterra, si preoccupò di procedere ad opportuni scambi in modo che non vi fossero più parti del temporale della sua Chiesa oltre Manica. L'obbligo di pagare la tassa pontificia dei servizi comuni lo costrinse tuttavia ad imporre tributi straordinari al suo clero.

Pierre Roger frequentava assiduamente la Corte di Avignone dove fungeva da portavoce del re, predicava nella cappella e davanti al Concistoro, dove la sua scienza di teologo gli permise di sedere nella commissione che esaminò le opinioni sospette di Thomas Walleys e Durando di San Porciano. Ciò lo candidò automaticamente al cappello cardinalizio. Se ne parlava sin dal 1335, ma il re nicchiava per il probabile timore di perdere un consigliere prezioso. Alla fine rientrò tuttavia nella promozione cardinalizia del 15 dicembre 1338 che comprendeva cinque francesi e un solo italiano. Benedetto XII gli attribuì il titolo dei SS. Nereo e Achilleo oltre ad un numero di benefici sufficienti a mantenerlo nel suo rango. Filippo VI gli promise una rendita annua di 1.000 lire tornesi e fece ricorso ancora una volta al suo credito quando la guerra con il re d'Inghilterra ebbe inizio. Come cardinale fu sempre molto in vista: dal 1339 al 1342 prese la parola almeno undici volte. Il conclave riunito dopo la morte di Benedetto XII trovò facilmente l'accordo sul nome del nuovo papa. L'intervento del duca di Normandia, inviato dal re, che però tardò ad arrivare, sarebbe stato inutile. Il collegio elettorale comprendeva quindici cardinali francesi, tre italiani e uno castigliano. Eletto il 7 maggio 1342 con voto unanime, Pierre Roger, che scelse il nome Clemente, fu incoronato nel convento dei Frati Predicatori il 19 maggio.

C. riunisce nella sua personalità in modo sorprendente molti tratti che caratterizzano il papato del sec. XIV. Anzitutto il gusto del fasto; è significativo il giudizio attribuitogli da Pierre de Herenthals: "predecessores nostri nesciverunt esse papa" (É. Baluze). I contemporanei furono sensibili alla sua amabilità, alla clemenza e generosità. Aveva una precisa concezione del principe e si sforzò di applicarla. Fedele alla massima di Cesare, riteneva che nessuno dovesse allontanarsi da lui deluso. Giustificando la scelta del nome, assicurava che la clemenza era cresciuta con lui sin dal grembo materno. Pensava che un decoro imponente e lussuoso si addicesse all'esercizio del potere. Il palazzo che si fece costruire non rispondeva solo a una preoccupazione di sicurezza e alla necessità di installarvi gli uffici amministrativi, ma anche alla volontà di esibire la gloria temporale di un sovrano. Fu il primo papa a preoccuparsene e spese molto denaro per soddisfare questa intenzione. La sua carità tuttavia non ne fu intaccata: se consacrò il 12,20% delle sue spese alle costruzioni, il 12% ai vestiti, il 2,5% agli ornamenti e oggetti artistici, riservò il 17% all'elemosina. Cercò di attenuare le conseguenze della peste nera del 1348, prese sotto la sua protezione gli ebrei accusati di averla propagata.

La ricerca del fasto esteriore corrispondeva all'affermazione di una monarchia come si veniva realizzando in vari Stati europei dell'epoca, ma è anche indicativa del temperamento del papa. Eccelleva nell'arte oratoria. Buon teologo e canonista se necessario, non era un pensatore originale. Impareggiabile conoscitore del metodo scolastico, sapeva dividere e suddividere i suoi ragionamenti, appoggiarsi sulla spiegazione delle parole, armarsi di citazioni, desumere conclusioni morali, sempre aiutato da una memoria eccezionale. Era reputato uno dei grandi oratori del suo tempo e l'imperatore Carlo IV confessava di avere subito il fascino della sua parola. Di lui restano circa novanta sermoni, discorsi, panegirici. Quarantaquattro datano al periodo papale e sono di grandissimo interesse, perché, al di là delle convenzioni formali e degli svolgimenti di una sconcertante sottigliezza, si raccordano per la gran parte all'attualità: risposte agli inviati di Roma (1343), denuncia degli assassini di Andrea d'Ungheria, concessione delle Canarie o Isole Fortunate a Luís de la Cerda, elogio di nuovi cardinali, rinnovo della condanna di Ludovico il Bavaro, conferma della elezione di Carlo di Moravia. C. prese l'abitudine di salutare con delle allocuzioni il rientro in Curia dei legati e dei nunzi della Santa Sede. Questi saggi di eloquenza sono documenti anch'essi: la parola è uno strumento di governo. Poco dopo il pontificato di C. anche i principi francesi vi fecero costantemente ricorso nelle loro polemiche.

L'appello ai parenti e compatrioti permise di reclutare servitori fedeli e mostrare nello stesso tempo la munificenza del sovrano. C. colmò di favori i Limosini, come Clemente V aveva distinto i Guasconi e Giovanni XXII quelli del Quercy. La sua famiglia in primo luogo: ricchezza ed onori erano sopraggiunti già quando Pierre Roger aveva acquistato una forte influenza presso il re di Francia: nel 1333 il padre ottenne la Signoria di Rosiers d'Égletons; nel 1336 il fratello maggiore si insediò in Alvernia. L'erede alla Corona di Francia, Giovanni, che diventerà re nel 1350, si preoccupò di elevare la condizione di questo fratello del papa: gli attribuì dapprima una rendita ereditaria e dei diritti di giustizia sulla terra di Beaufort in Angiò, poi eresse la stessa in Contea (1347). Nel 1342 c'era una ventina di nipoti di entrambi i sessi da sistemare: sarebbe fastidioso elencare i matrimoni che fecero entrare i Roger nell'alta aristocrazia del Limosino e procurarono loro parentele e feudi in Linguadoca e Provenza. S'intende che C. si occupò soprattutto degli ecclesiastici del parentado: conferì loro sei cappelli cardinalizi; fra questi, il fratello Hugues fu sul punto di essere eletto papa nel 1362 e il nipote Pierre Roger de Beau-fort, accolto nel Sacro Collegio all'età di soli diciannove anni, regnerà con il nome di Gregorio XI dal 1370 al 1378. Più tardi, quando si cercò di districare dal "roseto limosino" i rami che C. aveva piantato nella Chiesa - evidente allusione a Rosiers - si scoprì che il ramo di C. portava undici cardinali (creati durante e dopo il pontificato) e sedici arcivescovi e vescovi. Anche gli uffici curiali furono assegnati di frequente a Limosini: l'amministrazione e la giustizia ne accolsero quarantasette, il servizio privato del papa quindici, i servizi domestici sedici, i corpi di protezione e di apparato ventotto. Era solo una parte del personale di Curia, ma godeva del favore del papa, era compatto e aveva influenza. Attorno ai cardinali e titolari di uffici si agglomeravano le famiglie, i clienti. Una piccola società limosina, composta di alti personaggi, di laici e di chierici modesti, ebbe vita ad Avignone.

Non desta sorpresa che la maldicenza abbia avuto largo corso. Né lo stesso C., né i cardinali e curiali sfuggirono agli strali del Petrarca, di Matteo Villani, Mathias von Neuenburg, Guglielmo di Occam, Brigida di Svezia. Al papa furono attribuiti amanti e bastardi e si fece il nome di Cécile de Comminges che vendette la Viscontea di Turenne a Guillaume Roger de Beaufort. Nelle Revelationes di s. Brigida, C. è chiamato da Cristo con l'appellativo di "amator carnis" (Revelationes VI, 63, Romae 1628). Niente di serio è stato provato. Certo è solo che ci furono donne che frequentavano la Corte e che ricevettero doni registrati nei libri dei conti. Si deve, peraltro, ricordare che nelle opere del Petrarca, accanto alle critiche, si trova anche qualche apprezzamento: nel De rebus memorabilibus (II, I, a cura di G. Billanovich, Firenze 1943), C. è definito "egregius pastor".

C. aveva ereditato dai suoi predecessori un apparato amministrativo valido che seppe sfruttare intensamente.

Il papato si era già riservato la collazione della maggior parte dei benefici maggiori e di un gran numero di benefici minori, in particolare i canonicati delle cattedrali e collegiate. L'afflusso dei chierici alla ricerca di benefici, la presentazione di richieste sempre più numerose, patrocinate da cardinali, re, università, persone importanti costrinsero C. a rinnovati interventi. Nel 1344 richiamò il principio secondo il quale, in virtù della pienezza della sua potestà, il successore degli apostoli aveva libera disposizione di tutti i benefici della Chiesa. I diritti degli elettori e dei patroni vennero progressivamente limitati non senza provocare proteste. E dato che c'erano meno benefici vacanti delle richieste, C. mise in piedi un sistema di concessioni di aspettative che raccomandavano un candidato ad un collettore. Per ordinarle, le suppliche furono ricopiate su registri insieme alla risposta ricevuta: la serie dei Registra supplicationum si apre con il 1342 e comporta per il pontificato di C. ventiquattro volumi.

Le spese, che Benedetto XII aveva ridotto, furono pesanti: 1.663.373 fiorini d'oro, ossia una media di 165.902 fiorini l'anno. Non erano però ancora somme intollerabili, perché le spese di guerra assorbirono solo il 9,80%. Apparentemente il bilancio fu buono poiché le entrate sono valutate a 1.978.977 fiorini (188.500 fiorini annui); ma occorre tenere presenti i grandi prestiti accordati al re di Francia. Alla fine il fiscalismo si aggravò. I servizi comuni pagati dai prelati nominati dal papa raggiunsero una cifra più elevata che sotto alcun altro Regno (50.000 fiorini di media annua); le annate dovute dai piccoli beneficiari furono reclamate; le procuratorie spettanti ai vescovi passarono alla Camera apostolica nel caso in cui i vescovi stessi si avvalessero della dispensa, contestualmente concessa, dalla visita e utilizzassero vicari; i diritti di spoglio furono percepiti sulle successioni dei prelati e dei chierici investiti dal papato. Per facilitare la riscossione delle imposte dovute dai numerosi beneficiari, le circoscrizioni fiscali, all'interno delle quali operavano i collettori e i loro agenti, furono delimitate in modo più rigoroso, soprattutto in Francia, a partire dal 1360: le "collectorie".

Il personale dei servizi amministrativi (Cancelleria, Camera, Penitenzieria, Rota) dovette raggiungere il numero di circa trecento persone. Ma ce n'erano più di trecento altre che componevano la cerchia privata del pontefice, gli uffici domestici, le compagnie di uscieri, di sergenti d'arme, di scudieri. L'effettivo, che i documenti permettono di conoscere (tra cinquecentoquarantuno e seicentocinquantaquattro curiali), è il più importante nella storia del papato del XIV secolo. La ripartizione "nazionale" è significativa dell'evoluzione che si è realizzata a partire dal trasferimento di Clemente V fuori dall'Italia e sotto l'influenza di papi provenienti dalla Francia meridionale: i francesi sono ora quattro volte più numerosi degli stranieri, ma i francesi della lingua d'oc, in particolare i limosini (sono centosei), prevalgono su quelli della lingua d'oïl, sebbene la carriera di Pierre Roger, che si svolse nella parte settentrionale del Regno, spieghi la presenza di un considerevole contingente di normanni, piccardi, artesiani, champenois. Gli italiani (se ne contano novantaquattro) restano apprezzati nella Cancelleria, gli iberici, imperiali e inglesi sono isolati.

Sede di un governo centralizzato che nella persona del suo capo amava il lusso e lo giudicava inseparabile dalla sua autorità, l'austero palazzo che Benedetto XII aveva fatto costruire - fortezza e monastero - non si addiceva più. C. ordinò nel 1344 la costruzione di un nuovo palazzo, a sud del precedente, sul pendio meridionale della roccia che domina la città di Avignone. Questo insieme possente, ordinato intorno a un cortile centrale, risponde pur sempre a un desiderio di sicurezza: muri alti, aperture strette, torri. Ma è caratterizzato da ricerche nuove: una grande cappella permette il dispiegarsi della liturgia pontificale; sotto di essa, la sala detta dell'Udienza accoglie postulanti e visitatori; il cortile è adatto ai raduni dei fedeli che ricevono la benedizione del papa dall'alto di una elegante e ampia finestra; C. si è riservato alcuni ambienti particolari: oratorio, gabinetto di lavoro, camera.

La decorazione pittorica fu commissionata ad équipes di pittori di origine diversa, delle quali fu a capo Matteo Giovannetti da Viterbo. Riguarda sia alcune parti del vecchio palazzo (quello di Benedetto XII) che del nuovo. Mentre le cappelle di S. Marziale, S. Michele, S. Giovanni Battista e S. Giovanni Evangelista sono consacrate agli episodi della vita dei loro celesti patroni, la camera del papa e la camera del cervo nella torre della guardaroba offrono un insieme di pitture di un'avvincente originalità. Le pareti della camera del papa formicolano di uccelli e animali silvestri su un fondo di foglie e fiori e, negli sguinci delle due finestre, delle gabbie di uccelli sono rappresentate in trompe-l'œil. Le pitture della camera del cervo dove papa C. si ritirava per lavorare e meditare sono le più celebri: sono consacrate a scene di pesca e di caccia animate da personaggi che si muovono in un'abbondante decorazione vegetale. Gli storici dell'arte si sono chiesti da quali fonti derivasse questa arte pittorica così fresca, poetica e precisa. Accostamenti sono stati tentati con le tappezzerie di Arras che C. aveva potuto apprezzare durante la sua carriera. Ma lo stile sembra rivelare l'influenza italiana introdotta pochi anni prima da Simone Martini, chiamato in Provenza dal cardinale Giacomo Caetani Stefaneschi. In un ambiente artistico cosmopolita, ove gli artisti dei Paesi Bassi incontravano quelli della Francia meridionale e dell'Italia centrale, si elabora un'arte raffinata che diventerà a poco a poco il gotico internazionale. Ad una pittura religiosa che moltiplica i virtuosismi tecnici della prospettiva, si aggiunge una rappresentazione dei piaceri profani per bisogno di distensione, per infatuazione per la vita campestre. Il mecenate C. ha fissato ad Avignone questa tappa dell'arte europea.

La direzione della Chiesa non era però del tutto simile a quella di una monarchia ordinaria. Le cerimonie liturgiche ritmano il corso delle giornate. Sono cantate da cappellani appositamente reclutati: C., seguendo l'esempio di alcuni cardinali e bene informato della vitalità delle scuole musicali del Nord della Francia e dei Paesi Bassi, introdusse una quindicina di chierici di Parigi, Reims, Noyon, Arras, Amiens e Tournai che conoscevano l'Ars nova, la polifonia che aveva allarmato Giovanni XXII e che ormai aveva vinto la partita.

C. s'intromise poco in questioni dottrinali o disciplinari e solo per difendere i Frati Minori. Riunì una commissione per riformare il calendario giuliano, ma niente fu deciso. Prese una posizione ferma ma flessibile sul movimento dei Flagellanti che spingeva bande di penitenti esagitati sulle strade dell'Europa nordoccidentale. La bolla Inter sollicitudines del 29 ottobre 1349 ne condannava le stoltezze e gli eccessi: lettera portata dal cielo da un angelo per annunciare la collera di Dio e intercessione della Vergine Maria che promette che gli uomini faranno penitenza; persecuzione degli ebrei; flagellazioni collettive; le loro riunioni in quanto illecite. Ma essa autorizzava la mortificazione come penitenza volontaria e ammetteva che un confessore potesse ordinarla, a condizione che restasse individuale e discreta. Facendo appello alle autorità, C. ottenne l'estinzione del movimento dei Flagellanti. Le missioni e la crociata procurarono delusioni a Clemente VI. La fondazione di sedi episcopali nell'Asia mongola fu bloccata. I contatti con le piccole comunità cristiane cinesi sembrarono interrompersi. La conversione all'Islam dei khan di Persia e del Qipci¯aq rese aleatoria la posizione delle sedi missionarie. La peste che scoppiò in Crimea nel 1347 ne annientò l'organizzazione ecclesiastica. In Armenia i Fratelli Unitari, che erano molto legati ai Domenicani, avevano quindici stazioni. I negoziati dottrinali intrapresi sotto Benedetto XII con la Chiesa della Piccola Armenia (Cilicia) sembravano interrotti; un ponte avrebbe potuto essere gettato tra questo Oriente cristiano e l'Occidente con la ripresa della crociata che l'attività dei Turchi ottomani nel mare Egeo giustificava. C. fece vari tentativi: costituzione di una lega e spedizione agli ordini del delfino del viennese Humbert. Il numero delle navi riunite fu scarso: il porto di Smirne, conquistato nel 1344, fu saccheggiato dai Turchi. Solo gli Ospedalieri riportarono una importante vittoria navale a Imbros (1347).

Una delegazione romana aveva reclamato il ritorno di C. a Roma nel 1343. Il papa, che non mise mai in dubbio il primato spirituale della città della quale era vescovo, si limitò a concedere un giubileo per l'anno 1350. In verità questioni propriamente politiche assorbirono l'attenzione del papa che si sentiva responsabile della loro soluzione. C. assicurò al papato basi ancora più solide sulla riva orientale del Rodano. Il Contado Venassino apparteneva alla Chiesa romana sin dal sec. XIII, ma la città di Avignone dipendeva dal conte di Provenza, re di Sicilia e vassallo della Chiesa. C. nel 1348 approfittò delle difficoltà finanziarie della contessa e regina, Giovanna, per acquistare Avignone e il territorio circostante per 80.000 fiorini d'oro. Il governo di Avignone passò alla "Curia temporalis domini pape", composta dal vicario e da due giudici. Il papato beneficiò di un'indipendenza giuridica territoriale completa.

Era un punto fermo nel momento in cui il controllo dell'Italia sfuggiva sempre più dalle mani del papato. Benedetto XII aveva tentato di rimettere ordine nel governo dello Stato della Chiesa, ma le riforme previste non furono applicate: i rettori e i loro agenti sfruttavano duramente le popolazioni che riuscivano a governare, perché le città e i principali feudatari rifiutavano l'obbedienza e facevano una politica indipendente, anche se ugualmente esigente dal punto di vista finanziario. Il prefetto di Roma, Giovanni di Vico, ricostituito il partito ghibellino, si dedicava alla conquista del Patrimonio. Nel 1346 sconfisse il rettore Bernard du Lac. C. lo colpì con pene ecclesiastiche e ottenne un accordo. Ma la vicenda romana di Cola di Rienzo distolse l'attenzione. Dopo la partenza di Ludovico il Bavaro, Roma era ritornata sotto la signoria del papa, ma, il 20 maggio 1347, il notaio Cola di Rienzo si fece acclamare tribuno di Roma. I progetti grandiosi di Cola sono noti. Quando il papa seppe che egli aveva convocato i procuratori di venticinque città italiane, i pretendenti all'Impero e i loro elettori, e si era alleato con il re di Ungheria per espellere da Napoli la regina Giovanna, ordinò al suo legato, Bertrand de Déaulx, di intimare a Cola di desistere immediatamente dai suoi progetti (12 ottobre 1347). Il prelato venne ricevuto altezzosamente e preferì quindi ritirarsi e pubblicare la scomunica del ribelle. Fu una sommossa fomentata dalla nobiltà, che costrinse Cola a fuggire il 15 dicembre 1347. Dopo che aveva reclamato il vicariato di Roma presso Carlo IV nel 1350, Cola fu consegnato alla fine al papa e incarcerato ad Avignone. L'instabilità continuò a caratterizzare la vita politica romana: C., impotente, confermò persino la carica di senatore e di capitano a Giovanni Cerroni, al quale fece rimettere un donativo di 14.000 fiorini d'oro nel 1352.

Nel nord degli Stati della Chiesa, Benedetto XII era stato costretto a riconoscere l'autorità di Taddeo Pepoli, qualificato come "amministratore dei diritti e dei beni della Chiesa a Bologna". Dopo la morte di Taddeo, il figlio Giovanni, sospettato di tramare con i nemici della Chiesa, fu arrestato da Astorge de Durfort, nipote del papa, che comandava un piccolo esercito. Si trattava di rimettere le mani su Bologna. Ma Giovanni Pepoli riuscì ad evadere e corse ad offrire la città a Giovanni Visconti, arcivescovo e signore di Milano. C. fece ricorso prima ai fulmini ecclesiastici per dare scacco al Visconti (1351), ma fu tempo sprecato: i mercenari, non pagati, non obbedivano più ad Astorge de Durfort e il Visconti aveva complici persino nella stessa Avignone. C. si rassegnò a riconoscerlo come vicario della Chiesa a Bologna, a condizione di pagare un censo di 12.000 fiorini e di tenere a disposizione trecento cavalieri per quattro mesi l'anno. Il papa salvava il principio del dominio pontificio su Bologna; ma, esattamente come il suo predecessore, che non aveva potuto fare altro che legittimare a cose fatte i progressi dei Visconti, aveva dovuto accettare la loro nuova espansione.

Il tentativo di creare un principato territoriale a vantaggio dei Visconti nell'Italia settentrionale era tanto più pericoloso per la potenza temporale della Chiesa in quanto il Regno di Sicilia, che costituiva, in forza dei suoi legami di dipendenza, il sostegno tradizionale del papato nel Sud, era scosso da una grave crisi. All'origine c'era la successione, nel 1343, di Giovanna al trono del nonno Roberto d'Angiò. Sovrano del Regno, il papa aveva certi doveri verso la sua vassalla, ancora minorenne, ai quali non si volle sottrarre e, dato che la situazione personale di Giovanna era molto complicata, consacrò alla questione napoletana una parte importante della sua azione diplomatica, attestata da un'abbondante corrispondenza. La mano di Giovanna era ambita da tre rami della casa di Angiò, quello d'Ungheria, quello di Taranto e quello di Durazzo. Giovanna sposò prima Andrea d'Ungheria, ma C. impedì che Andrea ricevesse la Corona di Sicilia e quella di Gerusalemme, per timore che gli Angioini d'Ungheria divenissero troppo potenti. Gli riuscì di affidare il governo del paese nel 1344 al suo legato, il cardinale limosino Aimeric de Châtelus, con il pretesto della minorità della regina. Ma nella notte tra il 18 e il 19 settembre 1345 Andrea d'Ungheria fu assassinato. Giovanna passò fra le braccia di Luigi di Taranto, mentre un'armata ungherese marciava su Napoli con il pretesto di vendicare il regicidio e obbligò la regina a fuggire. Si rifugiò ad Avignone nel 1348 e C. l'autorizzò a sposare Luigi di Taranto. Poté rientrare a Napoli, dove gli Ungheresi si erano resi insopportabili, ma Luigi di Taranto non le lasciò alcun potere. Il papa nel 1350 ordinò che la regina recuperasse il governo del Regno e che i castelli, ancora occupati dagli uomini del re Luigi d'Ungheria, le fossero restituiti. Alla fine il re d'Ungheria rinunciò all'indennità che aveva chiesto per l'assassinio del fratello e così Giovanna e il suo secondo marito poterono essere incoronati il 27 maggio 1352, non senza che Luigi di Taranto avesse confermato le prerogative della Chiesa romana sul Regno. Lo zelo dispiegato dal papa in difesa della regina Giovanna, che si spiega come un'applicazione leale del diritto feudale, non gli permise tuttavia di consolidare lo Stato vassallo.

Un'altra ipoteca che pesava sulla politica pontificia in Italia sembrò invece levata. C. riconciliò infatti la Chiesa romana con l'Impero. L'operazione fu possibile in virtù dell'amicizia che legava il papa a Carlo di Moravia, figlio del re Giovanni di Boemia, capo della famiglia Lussemburgo: Pierre Roger aveva conosciuto il giovane principe a Parigi tra il 1323 e il 1331 e aveva contribuito così validamente alla sua formazione religiosa e filosofica da guadagnarsene tutta la devota gratitudine e ammirazione. L'impresa era difficile: occorreva approfittare dell'inquietudine suscitata nei principi tedeschi dal desiderio di Ludovico il Bavaro di accrescere i domini della sua casa; mettere insieme una maggioranza nel corpo elettorale, ridimensionare i diritti dell'Impero che erano stati proclamati solennemente a Rhens nel 1338 e che non tenevano conto delle vecchie pretese pontificie. C. agì con prudenza, evitò di assumere posizioni precise, cercò la via più sicura. Il 12 aprile 1343, nella bolla Prolixa retro, ricordò tutti i misfatti di Ludovico e gli ingiunse di deporre la dignità imperiale entro tre mesi. Avendo Ludovico richiesto a quali condizioni poteva ricevere l'assoluzione, il papa gli fece sapere nel maggio del 1344 di non potere promettere di riconoscere automaticamente come sovrano colui che sarebbe stato perdonato. Era la teoria teocratica più rigorosa, che faceva dipendere l'esercizio del potere reale e imperiale dall'approvazione pontificia. Tanta intransigenza doveva necessariamente urtare gli elettori tedeschi. C. ritenne opportuno di precisare nel novembre del 1344 che intendeva rispettare i diritti e le consuetudini dell'Impero. Comprese che la sua libertà di manovra era limitata. Per permettere l'elezione, sospese l'arcivescovo di Magonza, Heinrich von Virneburg, favorevole a Ludovico il Bavaro, e gli sostituì Gerlach von Nassau (7 aprile 1346). Quindi, il Giovedì santo del 1346, in un discorso pronunziato ad Avignone, assimilò Ludovico all'Anticristo, lo scomunicò di nuovo e dichiarò i suoi figli e nipoti inabili a qualunque funzione pubblica, sia pure all'amministrazione di feudi. Il 22 aprile egli ottenne da Carlo di Moravia impegni numerosi e precisi, come quello di entrare a Roma solo il giorno dell'incoronazione imperiale e di abbandonare la città la sera stessa. L'11 luglio 1346 Carlo fu eletto dai cinque elettori presenti. La morte di Ludovico il Bavaro l'11 ottobre 1347 assicurò il successo. C. diede ad alcuni vescovi il potere di assolvere coloro che avessero riconosciuto l'errore commesso sostenendo Ludovico di Baviera.

Il 25 luglio 1349 la cerimonia dell'incoronazione di Carlo IV, che inizialmente avrebbe dovuto aver luogo a Bonn, fu celebrata ad Aquisgrana secondo la tradizione. Fu senza dubbio allora che dovette morire Guglielmo di Occam, che si era rifugiato a Monaco e aveva chiesto di essere riammesso nell'Ordine dei Frati Minori. La vittoria delle tesi pontificie sembrava schiacciante. Tuttavia, né i principi né Carlo avevano sollecitato la conferma dell'elezione reclamando per l'eletto la Corona imperiale. C. finse di non accorgersene e mandò un'approvazione che nessuno gli aveva chiesto. Carlo IV non nutriva a sua volta alcuna illusione sull'autorità dell'Impero. Lo disse chiaramente al Petrarca che lo supplicava di venire in Italia come un salvatore: "ho già visto i disordini del paese e le viltà della pia Roma". Il sogno imperiale era tanto decaduto quanto quello teocratico.

Restò il conflitto franco-inglese: la guerra dei Cen-t'anni che era cominciata al tempo di Benedetto XII. C., nato nel Ducato di Guienna e fedele servitore del re di Francia, cercò tenacemente di restaurare la pace. Appena eletto, nominò due legati, i cardinali Annibale Caetani da Ceccano e Pierre des Près (31 maggio 1342). Le operazioni militari si svolgevano in Bretagna. Una tregua di tre anni fu conclusa a Malestroit, il 29 gennaio 1343. Il papa si augurava di preparare la pace riunendo una conferenza ad Avignone nel 1344. Ma Edoardo III non stava al gioco. Le spedizioni inglesi in Francia ricominciarono nel 1345 e fruttarono la vittoria di Crécy (1346) e la presa di Calais (1347). Annibale da Ceccano e Étienne Aubert poterono solo facilitare la conclusione di una tregua (28 settembre 1347) che la diplomazia di C. si affannò a fare rinnovare. Il principale servizio reso alla Francia fu lo sforzo di far sposare il re di Castiglia ad una principessa francese, in modo da assicurare l'alleanza dei due paesi (1352).

Il papa concesse massicci aiuti finanziari al re di Francia: non solo gli permise di levare le decime per cinque anni e lo autorizzò a trattenere le somme riservate alla crociata, ma gli prestò anche, tra il 26 novembre 1345 e la fine di febbraio del 1350, 592.000 fiorini d'oro e 5.000 scudi, sia direttamente sia per il tramite del fratello Guillaume Roger de Beaufort. Somme considerevoli se si pensa che la Tesoreria pontificia incassava meno di 200.000 fiorini annui. Fu necessario imporre una tassa del trentesimo sui benefici francesi per finanziare il rimborso. I bisogni finanziari della Corona francese spiegano, insieme al desiderio di limitare le collazioni papali, la confisca delle rendite dei chierici e prelati, nominati da Avignone e non residenti nel Regno. C. ne dispensò i cardinali e i curiali.

Molto più gravi furono le decisioni prese in Inghilterra. Edoardo III e il Parlamento si sforzarono di sottrarre la Chiesa inglese alle pratiche beneficiali e finanziarie di un papato che essi ritenevano, non senza esagerazione, acquisito ai loro avversari di Francia. A partire dal 1343 fu vivamente criticata l'attribuzione di benefici a ecclesiastici stranieri; i procuratori di vari cardinali venuti ad incassare le rendite dei loro padroni furono molestati. Nel 1346 Edoardo III confiscò i proventi dei benefici i cui titolari non si trovavano nel Regno. Nel 1351 il Parlamento approvò lo "Statute of Provisor", destinato ad eliminare ogni ingerenza della Sede apostolica nella disposizione dei benefici. C. dovette limitarsi a protestare e a ventilare vane minacce.

La diplomazia di C. fu molto attiva. S'interessò anche ai problemi del Mediterraneo occidentale, ma non poté salvare il re di Maiorca, i cui possedimenti furono annessi dalla Corona di Aragona, né impedire al re di Aragona di sottrarre la Corsica e la Sardegna alla dipendenza feudale della Chiesa romana, né scongiurare la guerra dell'Aragona contro la Repubblica di Genova. Il bilancio fu dunque fallimentare.

La grande ambizione di C. fu quella di svolgere il ruolo di arbitro e pacificatore in Europa. Le lettere segrete che fece spedire rivelano, sotto uno stile complicato, le intenzioni del pontefice stesso, che ne controllava personalmente la redazione. Ma le sottigliezze, le dichiarazioni di principio, le manovre, gli accomodamenti - utilizzati di volta in volta con abilità - non ebbero che risultati precari e persino scoraggianti.

Soffriva di renella ed ebbe varie crisi: ascessi purulenti si formarono alla fine del 1351. Il giovedì 6 dicembre del 1352, mentre era assistito da un familiare, si aprì un tumore nelle spalle, provocando un'emorragia interna che lo uccise. Dopo il servizio funebre, il corpo restò nella cattedrale di Avignone fino al marzo del 1353, poi fu trasferito alla Chaise-Dieu, il monastero dove Pierre Roger aveva iniziato la sua vita religiosa. La tomba, commissionata nel 1346, era pronta: sul sarcofago di marmo nero, la figura in marmo bianco di C. giaceva coricata e incoronata della tiara. Era circondato da quarantaquattro personaggi che rappresentavano i parenti, ecclesiastici e laici, che il papa non aveva dimenticato durante il pontificato e dei quali auspicava, da morto, la guardia d'onore.

fonti e bibliografia

La maggior parte dei documenti è inedita e si conserva principalmente nell'A.S.V.: Registra Avenionensia, Registra supplicationum, Introitus et Exitus, Collectoriae. Sono pubblicati: Lettres closes, patentes et curiales se rapportant à la France, a cura di E. Déprez-J. Glénisson-G. Mollat, I-III, Paris 1901-59; Lettres closes, patentes et curiales intéressant les pays autres que la France, a cura di E. Déprez-G. Mollat, ivi 1960-61 (ma cfr. C.I. Kyer, A Misplaced Quaternion of Letters of Benedict XII, "Archivum Historiae Pontificiae", 16, 1978, pp. 337-40: trentotto lettere che sono state pubblicate nella succitata edizione si riferiscono al papato di Benedetto XII); Le suppliche di Clemente VI, a cura di T.G. Leporace, Roma 1948; Die Ausgaben der apostolischen Kammer unter Benedikt XII., Klemens VI., und Innocenz VI. (1335-1362), a cura di K.H. Schäfer, Paderborn 1914; Die Einnahmen der apostolischen Kammer unter Klemens VI., a cura di L. Möhler, ivi 1923; Bullarum, privilegiorum ac diplomatum Romanorum Pontificum amplissima collectio, a cura di C. Cocquelines, III, 2, Roma 1741.

Cfr. inoltre H. Schmidinger, Die Antwort Clemens' VI. an die Gesandtschaft der Stadt Rom vom Jahre 1343, in Miscellanea in onore di monsignor Martino Giusti prefetto dell'Archivio Segreto Vaticano, II, Città del Vaticano 1978, pp. 323-65; H. Patze, "Salomon sedebit super solium meum". Die Konsistorialrede Papst Clemens VI. anlässlich die Wahl Karl IV., in Kaiser Karl IV., 1316-1378. Forschungen über Kaiser und Reich, a cura di H. Patze, Göttingen 1978, pp. 1-38.

Biografie contemporanee in: É. Baluze, Vitae Paparum Avenionensium,[...], a cura di G. Mollat, I-IV, Paris 1914-28; elenchi, pubblicazioni e commentari dei sermoni in: G. Mollat, L'oeuvre oratoire de Clément VI, "Archives d'Histoire Doctrinale et Littéraire du Moyen Âge", 3, 1928, pp. 239-74; Ph. Schmitz, Les sermons et discours inédits de Clément VI, "Revue Bénédictine", 41, 1929, pp. 15-34; M.H. Laurent, Pierre Roger et saint Thomas d'Aquin, "Revue Thomiste", n. ser., 14, 1931, pp. 157-73; H.S. Offler, A Political "Collatio" of Pope Clement VI, "Revue Bénédictine", 65, 1955, pp. 126-44.

Non esistono una biografia scientifica di C. né una storia del suo pontificato, ma solo articoli biografici, in partic. quello molto ricco di G. Mollat, Clément VI, in D.H.G.E., XII, coll. 1129-62; e quello di P. Fournier, Pierre Roger, in Histoire littéraire de la France, XXXVII, Paris 1938, pp. 209-38; v. anche J.E. Wrigley, The Conclave and the Electors of 1342, "Archivum Historiae Pontificiae", 20, 1982, pp. 51-81; D. Wood, "Omnino partialitate cessante": Clement VI and the Hundred Years War, in The Church and War, a cura di W.J. Sheils, Oxford 1983, pp. 179-89; Id., Infidels and Jews: Clement VI's Attitude to Persecution and Toleration, in Persecution and Toleration, a cura di W.J. Sheils, ivi 1984, pp. 115-24; Id., "...novo sensu sacram adulterare Scripturam": Clement VI and the Political Use of the Bible, in The Bible in the Medieval World: Essays in Memory of Beryl Smalley, a cura di K. Walsh-D. Wood, ivi 1985, pp. 237-49; H. Schmidinger, Die Antwort Clemens VI. an die Gesandtschaft der Stadt Rom vom Jahre 1343, in Patriarch im Abendland. Beiträge zur Geschichte des Papsttums, Roms und Aquileias im Mittelalter. Ausgewählte Aufsätze von Heinrich Schmidinger. Festgabe zu seinem 70. Geburtstag, a cura di H. Dopsch, Salzburg 1986, pp. 125-67; Id., Die Gesandten der Stadt Rom nach Avignon vom Jahre 1342/43, ibid., pp. 169-87; D. Wood, Clement VI. The Pontificate and Ideas of an Avignon Pope, Cambridge 1987.

Indicazioni bibliografiche complete sono offerte da G. Mollat, Les papes d'Avignon (1305-1378), Paris 196510, ad indicem, che affronta tutti gli aspetti del pontificato.

Per la parentela e l'entourage di C. cfr.: B. Guillemain, La cour pontificale d'Avignon, 1309-1376. Études d'une société, ivi 1962, ad indicem.

Per il palazzo di Avignone e l'arte cfr.: L.H. Labande, Le Palais des Papes et les monuments d'Avignon au XIVe siècle, Aix-Marseille 1925, ad indicem; E. Castelnuovo, Un pittore italiano alla corte di Avignone, Matteo Giovannetti e la pittura in Provenza nel sec. XIV, Torino 1962, ad indicem; J. Brink, F. Petrarca and the Problem of Chronology in the Late Paintings of Simone Martini, "Paragone", 28, 1977, nr. 331, pp. 3-9.

Biographisch-bibliographisches Kirchenlexikon, I, Hamm 1975, s.v., coll. 1053-54.

R. Grégoire, Pierre Roger, bén.: Clément VI, in Dictionnaire de spiritualité ascétique et mystique, XII, 2, Paris 1985, coll. 1662-63.

Lexikon für Theologie und Kirche, II, Freiburg 1994³, s.v., coll. 1221-22.

Dizionario storico del Papato, a cura di Ph. Levillain, I, Milano 1996, s.v., pp. 328-30.

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