Clonazione

Il Libro dell'Anno 2000

Rita Levi Montalcini
Vittorio Sgaramella
Alessandro Villa

Clonazione

Ex uno plures?

Clonazione di geni, di cellule, di organismi

di Rita Levi Montalcini, Vittorio Sgaramella, Alessandro Villa

16 agosto

Il governo britannico consente l'impiego di cellule staminali, cioè non differenziate, ricavate da embrioni nella primissima fase di sviluppo, per ottenere tessuti differenziati da trapiantare in pazienti affetti da malattie incurabili come il diabete, il morbo di Parkinson, l'Alzheimer, la leucemia. Pochi giorni dopo il presidente degli Stati Uniti autorizza la ricerca pubblica sugli embrioni, al fine di produrre organi coltivati. Pur permanendo il divieto universale della clonazione riproduttiva, mirata allo sviluppo fino alla nascita di un intero organismo umano, si è riaperto così il dibattito su una forma di clonazione parziale, limitata allo sviluppo di determinate linee cellulari.

L'evoluzione degli studi

Oltre 10.000 anni fa l'uomo mosse i primi passi lungo la strada che l'avrebbe portato a un uso della biosfera sempre più sistematico, anche se non sempre più razionale. Fu allora che i cacciatori-raccoglitori divennero allevatori-agricoltori e incominciarono a esercitare una prima forma di controllo sulla riproduzione di animali e piante. Circa cinquecento generazioni di operatori hanno portato le tecnologie agroalimentari dai livelli del Neolitico a quelli attuali, sviluppando organismi che ora la clonazione vorrebbe diffondere e la transgenetica potenziare. Lungo questo percorso una svolta decisiva si è avuta nella seconda metà del 19° secolo, con la fondazione della moderna microbiologia e in particolare con lo sfruttamento industriale del lievito: anche i microrganismi venivano così addomesticati dall'uomo. Contemporaneamente nasceva la genetica, che ha permesso di identificare gli elementi che determinano le caratteristiche fisico-chimiche ereditabili dei viventi. La loro definizione concettuale deriva soprattutto dal lavoro di Gregor Mendel che, intorno alla metà del 19° secolo, decise di concentrare i suoi studi su una pianta (il pisello Pisum sativum) e in particolare su alcune sue caratteristiche, scelte per la loro stabilità: incrociando piante di pisello secondo appropriati schemi, Mendel concluse che quelle caratteristiche erano determinate da elementi, o fattori, che dovevano passare dai genitori ai figli in modo discreto, conservando la loro individualità e assortendosi casualmente. Quegli 'elementi' erano i geni (o meglio, i cromosomi), ma sarebbero dovuti passare alcuni decenni perché altri confermassero la validità di quelle che oggi sono note come leggi di Mendel. Per tutto il Novecento si sono accumulati moltissimi dati sulla struttura e sul ruolo dei geni: nella prima metà del secolo si sono chiariti i principi fondamentali della genetica formale, ma solo nella seconda metà, dopo l'affermazione dell'approccio molecolare, la biologia ha incominciato a produrre risultati più generali: la scoperta del DNA come molecola portatrice dell'informazione genetica; la risoluzione della sua struttura; la delucidazione del suo significato funzionale; la sua replicazione in provetta; la decifrazione del codice genetico e della sua validità universale; il concetto e la struttura dei genomi. Risale alla fine degli anni Sessanta la scoperta degli enzimi di restrizione, delle ligasi, dei plasmidi: si apre l'era del DNA ricombinante. La biologia da descrittiva diventa produttiva e manipolativa. Nasce l'ingegneria genetica e cadono alcune delle barriere che isolano riproduttivamente le diverse specie: geni anche 'umani' vengono prima isolati, poi sintetizzati in provetta, infine clonati, sia in vivo (attraverso la loro introduzione in animali, batteri e piante), sia in vitro, per mezzo della PCR (v. oltre). Ne è derivata l'esigenza di approfondire lo studio dei diversi sistemi biologici e di chiarirne le modalità riproduttive, anche per sfruttarne meglio le potenzialità sintetiche. Questo approccio ha richiesto tecniche che permettessero un saldo controllo delle tre strutture su cui si articola la vita: geni, cellule, organismi. A livello dei geni, la clonazione ne assicura una disponibilità sostanzialmente illimitata e ne permette studi funzionali, strutturali e manipolativi altrimenti problematici. A livello delle cellule, ne avvia la coltivazione prima in laboratorio e poi su scala industriale: nascono così la biologia cellulare, destinata a fondersi rapidamente con la biologia molecolare, e successivamente l'industria biotecnologica. Quanto agli organismi, dalla convergenza degli studi molecolari e di quelli cellulari sorgono le prime ipotesi, i primi esperimenti e i primi sensazionali risultati della clonazione riproduttiva.

Cercheremo quindi di descrivere le tre linee lungo le quali si stanno sviluppando le principali tecniche della clonazione e di approfondire le ragioni che ne complicano l'attuazione, soprattutto nei confronti di organismi pluricellulari, come i mammiferi e in particolare l'uomo, dotati di complesse caratteristiche spesso a determinazione multifattoriale, cioè insieme genetica e ambientale.

Clonazione di geni

Con l'espressione 'clonazione di geni' si intendono quelle procedure che permettono di moltiplicare le molecole di DNA che contengono i geni stessi. L'obiettivo è quello di poter disporre delle quantità di geni richieste per impieghi analitici o produttivi. Il termine clonazione era stato introdotto nei primi anni del 20° secolo dai genetisti di popolazioni per indicare un gruppo di individui geneticamente uguali; dopo un periodo di oblio, è stato recuperato alla fine degli anni Sessanta, grazie alla diffusione di una tecnica chiamata dapprima DNA ricombinante e quindi clonazione molecolare. Questa tecnica mirava all'unione o ricombinazione enzimatica di molecole di DNA in vitro, alla loro moltiplicazione e quindi al loro studio o impiego. Soprattutto per i prodotti di alcuni geni umani la disponibilità è spesso ridotta e talvolta anche la purezza è inadeguata in vista di usi farmacologici. Grazie alla clonazione di geni umani in sistemi batterici, vegetali e animali (cumulativamente detti di espressione), diventano facilmente disponibili le proteine corrispondenti, dall'insulina all'interferone, dagli ormoni proteici ai fattori di crescita, che prima erano sintetizzabili a fatica o purificabili in modo insoddisfacente. La clonazione di geni in vivo produce i cosiddetti organismi geneticamente modificati: sono organismi mono- o, in genere, pluricellulari nel cui genoma è stato introdotto un gene che deriva da una specie diversa, o che è comunque estraneo alla storia evolutiva dell'organismo che ne risulta modificato. Nel caso di organismi pluricellulari la modificazione può riguardare solo alcune cellule, per es. i fibroblasti o gli epatociti di un mammifero, a seguito di interventi genetici effettuati sulle cellule corrispondenti. Se invece al trapianto del gene sono interessate anche cellule riproduttive, cioè ovociti e spermatozoi, il gene clonato può essere ereditato secondo le leggi di Mendel. Si parla quindi di transgenetica e di organismi transgenici. Nel giro di una decina d'anni dall'avvio dell'ingegneria genetica veniva messa a punto un'altra tecnica di clonazione genica, la PCR (Polymerase chain reaction, reazione a catena della polimerasi). Enunciata per la prima volta all'inizio degli anni Sessanta dal gruppo di ricercatori che faceva capo al premio Nobel Har Gobind Khorana, è stata perfezionata e sviluppata solo negli anni Ottanta. Da allora, grazie soprattutto alla scoperta di enzimi polimerizzanti, si è diffusa rapidamente sino a diventare una delle tecniche più usate in genetica. Questa clonazione, a differenza della precedente, avviene in vitro: in poche decine di cicli porta a un aumento esponenziale del numero di copie del DNA di partenza e del gene che contiene. Date le ridotte dimensioni dei tratti clonati, da decine a migliaia di coppie di basi, la PCR è specialmente indicata nella clonazione di sequenze di DNA per fini analitici, diagnostici, legali e investigativi. Le sue caratteristiche di semplicità, sensibilità e efficienza ne spiegano il successo: al suo scopritore, Kary Banks Mullis, è stato assegnato nel 1993 il premio Nobel per la chimica.

Clonazione di cellule

Nel caso delle cellule la clonazione consiste nella produzione di una popolazione, o coltura, di cellule uguali fra loro in quanto derivate da un'unica cellula capostipite attraverso una serie di divisioni binarie. Si possono coltivare in vitro cellule animali e vegetali. Spesso la coltura porta alla loro trasformazione e all'acquisizione di proprietà diverse, tra le quali va ricordata una sorta di immortalità cellulare, cioè una possibilità di moltiplicazione infinita, in generale accompagnata da perdita del differenziamento. In questi ultimi anni ha avuto particolare risonanza la clonazione di particolari cellule, dette staminali: sono cellule che non hanno ancora terminato il loro percorso differenziativo e dividendosi possono dare origine a una cellula con le stesse proprietà della progenitrice, cioè anch'essa staminale, e a una seconda cellula destinata invece ad assumere forma e funzione differenziate. Grande enfasi è stata data alla recente scoperta che cellule indirizzate lungo specifici cammini differenziativi potrebbero modificare il loro percorso e, se coltivate in vitro o trapiantate in tessuti estranei, differenziarsi in accordo ai nuovi stimoli o alla nuova collocazione. La questione si è complicata quando si è compreso che la più semplice e ricca sorgente di cellule staminali sono gli embrioni. Nel giro di 5-6 giorni dalla fecondazione, gli embrioni umani diventano blastocisti e contengono al loro interno cellule staminali totipotenti, in quanto capaci di concorrere alla formazione di qualunque tessuto di un embrione nel quale vengano trapiantate: è da notare però che la loro totipotenza non sembra in grado di originare un intero organismo. Nel corso del suo sviluppo embrionale, fetale e postnatale, ogni individuo possiede un certo numero di cellule staminali che non si differenziano completamente e possono poi partecipare allo sviluppo di diversi tessuti (si parla di cellule pluri- o multipotenti). Cellule staminali sono state trovate nel midollo osseo, nei muscoli, nelle gonadi, nella pelle e nel cervello; in alcuni casi esse sembrano dotate di una plasticità inaspettata. È possibile trasformare cellule staminali cerebrali in cellule ematiche o muscolari: è così che si è inaspettatamente scoperta la loro capacità di transdifferenziamento. Da qui l'ipotesi di ricostituire tessuti danneggiati o mal funzionanti trapiantando nel paziente cellule staminali derivabili dai suoi stessi tessuti. La recente dimostrazione che è possibile clonare cellule staminali umane potrebbe portare a terapie di grande interesse. Le prospettive terapeutiche dell'impiego di cellule staminali sollevano tuttavia alcuni problemi, come, per es., quello che riguarda l'approvvigionamento. Ragioni etiche, oltre a considerazioni tecniche, suggerirebbero l'uso di tessuti dello stesso paziente: questi sarebbero i candidati migliori come disponibilità, ma anche i meno probabili come funzionalità, considerando sia il loro stadio di avanzato differenziamento sia la loro possibile predisposizione alla malattia che si vorrebbe curare. Si pensa anche di ricorrere al sangue del cordone ombelicale, più ricco in cellule staminali, oppure di utilizzare embrioni e feti abortiti, o infine embrioni prodotti in vitro e non trapiantati, in seguito a programmi di trattamento antisterilità; in questi programmi si prevedono l'induzione di superovulazione nell'aspirante madre, poi la fecondazione in provetta e quindi la produzione di embrioni in soprannumero rispetto a quelli che si possono trasferire nell'utero materno. Gli embrioni non trasferiti vengono crioconservati, in attesa di un'improbabile adozione o di un impiego sperimentale; in effetti sono destinati a un congelamento infinito o a un'inevitabile eliminazione. È anche tecnicamente possibile ricorrere alla produzione di embrioni, o meglio di cellule variamente differenziabili, modificando la tecnica del trapianto di nuclei somatici in ovociti (v. oltre).

La questione da tattica diventa quindi etica; ne sono valida testimonianza le controversie e le differenti soluzioni adottate o contemplate nei diversi paesi: si va dal permesso al loro uso entro 14 giorni dalla fecondazione, come succede nel Regno Unito, oppure in progetti che non abbiano finanziamenti pubblici, come negli Stati Uniti, alla proibizione di qualunque impiego, come per es. in Austria. In Italia, in attesa di una definizione giuridica, l'argomento è stato oggetto di studio da parte di una commissione etico-scientifica, appositamente costituita dal ministro della Sanità.

Clonazione di organismi

La clonazione di organismi mira alla produzione di più copie genetiche di un organismo: a rigore il termine clone spetterebbe solo alla popolazione, ma spesso lo si usa per indicare un suo singolo individuo. Per questa tecnica si usa anche la definizione di clonazione riproduttiva. Negli organismi pluricellulari sessualmente differenziati, e in particolare nei mammiferi, oggi esistono due metodi di clonazione. Uno comporta il trapianto di nuclei somatici in ovociti svuotati del loro nucleo, l'altro la suddivisione di embrioni precoci. In entrambi occorre produrre embrioni che dovrebbero poi svilupparsi in modo normale: mentre la generazione di embrioni avviene in vitro, il loro sviluppo embriofetale per ora ha luogo in vivo e per il suo completamento richiede una placenta naturale.

Nel primo metodo si preleva un certo numero di cellule somatiche da un organismo, possibilmente adulto; di solito le si coltiva in vitro per alcune generazioni, al fine di metterle nelle condizioni più favorevoli al riavvio dell'intero programma di sviluppo dell'organismo (queste condizioni non sono ancora chiare: in genere sono assimilabili a uno stato di quiescenza); infine le cellule vengono trapiantate, una alla volta, in altrettanti ovociti enucleati. La fusione tra le due cellule, la donatrice del nucleo e l'ovocita ricevente, è mediata da elettroshock. Risultati simili si ottengono per microiniezione della cellula somatica, più piccola, entro l'ovocita, di circa tre ordini di grandezza più voluminoso. In entrambi i casi la cellula somatica dona all'ovocita enucleato il suo nucleo, contenente un duplice assetto cromosomico. Grazie a questa donazione il genoma di una qualsiasi cellula somatica (cioè non riproduttiva) potrebbe, almeno in teoria, riprogrammare l'ovocita e originare una copia dell'organismo donatore. Perché ciò avvenga è però necessario che il nucleo somatico trapiantato conservi la totipotenza propria del genoma che si forma nell'ovocita fecondato naturalmente e che la possa esprimere pienamente. Le cellule somatiche sono in genere facili da procurare: un mammifero come l'uomo consta di molte migliaia di miliardi di cellule somatiche e repertorio queste possono a volte essere clonate e quindi ulteriormente moltiplicate. Più limitata è la disponibilità di ovociti: ogni donna alla pubertà dispone di qualche centinaio di ovociti immaturi, mentre nella vita fetale ne possedeva anche diversi milioni sotto forma di ovogoni. Nel caso degli animali, di norma sono disponibili quantità più che adeguate di ovociti.

Il metodo del trapianto di nucleo ha prodotto la ormai famosa pecora Dolly e ha reso la clonazione riproduttiva un argomento familiare a tutti, anche se in chiave più sensazionale che critica. Sebbene finora questo tipo di clonazione abbia prodotto topi, buoi, maiali, capre e pecore, restano non poche questioni irrisolte (v. oltre). Il secondo metodo di clonazione riproduttiva consiste nella suddivisione di un embrione (meglio se precoce, a non più di otto-sedici cellule, o blastomeri). La suddivisione porta, se parziale, ad aggregati cellulari; se totale, ai singoli blastomeri. Ciascun blastomero, o ciascun aggregato, potrebbe rappresentare un subembrione teoricamente sviluppabile in un organismo completo. Ancora una volta il richiamo a eventi fisiologici è doveroso: la natura fa qualcosa di simile quando da un unico zigote produce gemelli monozigotici, o identici, ma la loro frequenza è bassa, all'incirca una ogni trecento nascite; la selezione naturale non favorisce la clonazione. Non deve quindi sorprendere che anche in provetta, pur usando cellule estratte da embrioni precoci, questo metodo funzioni con rese scarse, spesso inferiori all'uno per cento. Resta da spiegare perché nei vegetali il sistema funzioni bene, anche con piante adulte: può darsi che il minor numero complessivo di tessuti diversi presenti in una pianta rispetto a un animale comporti un minore differenziamento, quindi una maggiore frequenza di genomi totipotenti.

Questioni irrisolte

Attualmente la clonazione riproduttiva è in fase di ripensamento. Le rese sono basse, l'identità genetica tra cloni e organismi modello è parziale (nucleo e mitocondri del clone vengono da due diversi individui), la salute di quei pochi che raggiungono la maturità non è soddisfacente; i soggetti che arrivano alla nascita sono generalmente più grossi della media: si parla quindi di una sindrome del feto sovrappeso, che spesso richiede parti cesarei. Un accurato studio pubblicato da un gruppo francese nel 1999, ma sostanzialmente ignorato, aveva denunciato l'elevata mortalità perinatale dei cloni bovini, senza peraltro identificare una regolarità nelle patologie diagnosticate. Purtroppo nella maggior parte delle clonazioni l'attenzione dei media, e di alcuni operatori, è sembrata diretta piuttosto a stupire il pubblico e ad ammaliare gli investitori che a garantire rigore scientifico all'esperimento.

Esemplare il caso di Dolly. In quell'esperimento ben quattrocentotrentaquattro cellule della mammella furono usate come donatrici e si ottenne un solo clone. La sua promozione mass-mediatica è stata più accurata della sua produzione sperimentale. Se si vuole rendere la clonazione una tecnica utile, è necessario individuarne e superarne i limiti che peraltro si rivelano di una frustrante persistenza. Alcuni di questi potrebbero derivare dal fatto che non è facile trapiantare solo il nucleo, come si vorrebbe: nell'ovocita si microinietta il nucleo insieme con una parte o tutto il citoplasma. Con la fusione per elettroshock vi si trasferisce l'intera cellula somatica, nucleo più citoplasma. Altri problemi potrebbero risultare dall'enucleazione dell'ovocita. Rimuovendone fisicamente il nucleo, dall'ovocita si asporta anche una porzione di citoplasma: questa potrebbe contenere i fattori di maturazione necessari per la successiva attivazione del nucleo trapiantato. È proprio nei confronti del nucleo trapiantato che tali fattori, ancora oggi poco conosciuti, devono svolgere la loro funzione di riprogrammazione: una loro rimozione anche parziale potrebbe comprometterla.

Alcune delle complicazioni che riducono tanto drasticamente l'efficienza del trapianto nucleare potrebbero avere cause più serie: infatti è improbabile che con il trapianto il clone riceva un genoma nucleare perfettamente funzionante. Il problema quindi sarebbe non tanto di identità o continuità tra i genomi del donatore e del clone risultante, quanto piuttosto di integrità del genoma trapiantato. Nel corso della vita di un organismo, il DNA delle sue cellule somatiche adulte ha compiuto diverse decine di cicli di replicazione, durante i quali ha subito una serie di modificazioni. Ne risulta che, rispetto alla sequenza del DNA dello zigote dal quale si è sviluppato l'organismo donatore, la sequenza del DNA del nucleo trapiantato non può non essere diversa. A questa diversità concorrono tre ordini di fenomeni: cambiamenti e riarrangiamenti programmati nello sviluppo dell'organismo, come quelli che riguardano i telomeri o alcuni geni, per es. quelli delle immunoglobuline; modificazioni transitorie (epigenetiche) responsabili del cosiddetto imprinting e quindi del controllo dell'espressione genica in funzione dell'origine materna o paterna del gene; danni subiti dal genoma nel corso della vita dell'organismo. I primi due sono fenomeni fisiologici, il terzo è un evento accidentale e potenzialmente patologico. Si può quindi ipotizzare che, a mano a mano che lo zigote si divide e lo stesso fanno poi le cellule che ne derivano, queste ultime conservino, rispetto al genoma dello zigote originale, una continuità sostanziale ma non totale. La diversa composizione genetica e la parziale continuità genomica (dovuta a riarrangiamenti programmati, modificazioni epigenetiche e danni subiti dal DNA di una cellula somatica, specie se adulta) potrebbero quindi influire su rese e salute dei cloni. Oggi risulta che nei nostri tessuti adulti coesistano cellule a diverso stadio di differenziamento e quindi a diverso grado di 'potenza', delle quali solo una piccola frazione potrebbe essere totipotente. Non è quindi escluso che potremmo trovarle con frequenza maggiore in un tessuto e minore in un altro; si pensi, per es., alla variabile distribuzione delle cellule staminali: i pochi successi della clonazione per trapianto di nucleo potrebbero essere dovuti proprio a questo fenomeno. Nella discussione sulla validità generale e quindi sulla praticabilità della clonazione per trapianto di nuclei, un'attenzione particolare meritano il caso di Polly e quello più recente di Diana. Si tratta di pecore rese transgeniche dallo stesso gruppo di ricercatori che aveva prodotto Dolly: la prima porta un gene umano che codifica una proteina importante nella coagulazione del sangue, il fattore IX; la seconda un gene che codifica un'altra proteina umana, l'α1-antitripsina, coinvolta nella degradazione di altre proteine e, se assente, nella comparsa di enfisema. Polly e Diana erano state ottenute per trapianto di geni umani in fibroblasti fetali, poi coltivati in vitro. Dopo che ne era stata verificata la natura transgenica, i loro nuclei erano stati trapiantati in ovociti enucleati. In vitro ne era derivato un certo numero di cloni: allo stadio di blastocisti, questi erano poi stati trasferiti in madri surrogate, che infine avevano partorito agnelline transgeniche. Il transgene umano che portavano nel loro genoma era stato manipolato in modo da funzionare nella ghiandola mammaria e quindi solo all'avvio della lattazione, come poi è stato possibile verificare. Ma se si pensa a impieghi industriali, di animali come questi ce ne vorrebbero molti. Sembra che da Polly e Diana in effetti siano state generate numerose pecore: tutte secernono nel latte le proteine codificate dai transgeni umani, ma sarebbero nate da femmine normali inseminate artificialmente con lo sperma recuperato da figli di Polly (o di Diana) e di un ariete normale; i donatori di sperma sarebbero stati selezionati per la presenza e la funzione del transgene umano fornito a Polly o a Diana e da queste passato a figli e figlie. Tra i primi viene scelto un maschio giudicato potenzialmente super: è il suo seme transgenico che originerebbe un gregge di pecore tutte capaci di produrre latte con il fattore IX o l'α1-antitripsina umani, grazie al corrispondente transgene passato dai padri che, a loro volta, l'avevano ricevuto da Polly (o da Diana), ma tutte diverse fra loro, in quanto 'mezze sorelle', cioè con lo stesso padre ma con madri diverse. Sembra quindi necessario concludere che almeno per ora la clonazione non funzionerebbe come previsto. Dolly è un clone di cellule adulte; Polly e Diana sono cloni di cellule fetali; invece le pecore che sintetizzano le proteine umane non sono cloni ma prodotti di una riproduzione sessuale normale, anche se assistita. Si noti che un'operazione come questa è possibile solo su caratteri monogenici dominanti: per avere la secrezione di proteine nel latte basta che sia presente il gene corrispondente, anche se su uno solo dei due cromosomi omologhi, e che sia stato dotato di adeguati segnali di espressione tessuto-specifici. Per caratteristiche poligeniche, o multifattoriali, la natura ibrida dei cloni rispetto ai donatori del materiale genetico (nucleare e mitocondriale) e le diverse condizioni di crescita rendono precaria la propagazione degli eventuali pregi che ne avrebbero motivato la clonazione.

Polly e Diana indicano che la clonazione riproduttiva è per ora impraticabile, al punto che gli stessi ricercatori specializzati non la usano e sostengono che le loro creature non sono cloni, bensì copie genetiche nucleari. Forse proprio questa impraticabilità potrebbe tornare utile e aprire la strada a un altro tipo di clonazione: quella terapeutica. Con la locuzione 'clonazione terapeutica' è stata definita la possibilità di indirizzare lo sviluppo di prodotti di trapianto nucleare, che per ora avviene in ovociti, verso specifici tipi di cellule piuttosto che verso improbabili embrioni. Nel futuro potrebbero derivarne terapie basate sulla coltura di popolazioni omogenee di cellule e sul loro trapianto nei pazienti. L'idea della clonazione terapeutica ha ricevuto impulso anche dalle recenti scoperte sulle cellule staminali, ma si tratta per ora di attraenti ipotesi di lavoro, non di protocolli sperimentali.

Il potere dei geni

Al fine di stabilire se la clonazione permetta di riprodurre un organismo adulto in tutte le sue caratteristiche strutturali, funzionali e comportamentali, è importante distinguere il ruolo dei geni e quello dell'ambiente e verificare il potere attribuito ai primi. È probabile che nelle diverse specie le due componenti agiscano in misura differente ma comunque sostanziale. In relazione all'effetto dell'ambiente, può essere utile ritornare brevemente alla clonazione per suddivisione embrionale. In ogni cellula il citoplasma circonda il nucleo, lo protegge e ne decodifica il genoma. I blastomeri, cioè le cellule delle blastocisti, hanno tutti un genoma completo, replica del genoma originale dello zigote, quindi presumibilmente continuo. Rispetto allo zigote i blastomeri sono però carenti in citoplasma. Uno zigote infatti diventa una blastocisti attraverso una mezza dozzina di cicli di divisione, che compie senza nutrirsi: nel processo consuma le scorte materne, non ingloba altro nutrimento e quindi non si ingrossa. Ne consegue che ogni blastomero, rispetto allo zigote, dispone di una replica completa, e presumibilmente fedele, del genoma, ma solo di una frazione del citoplasma dello zigote. Se si vuole ottenere uno sviluppo fisiologico di un organismo a partire da blastomeri, il genoma è certo necessario (per altro sempre ammettendo che sia totipotente), ma forse insufficiente. Senza una giusta dose di tutti i componenti del suo microambiente cellulare ed extracellulare, il programma genetico potrebbe non 'girare' bene. Il quadro che ne risulta è più complesso di quel che si pensava: succede infatti che neppure le cellule embrionali finora hanno dato rese accettabili quando sono state usate come donatrici di nuclei da trapiantare. Non sarebbero quindi solo le carenze del citoplasma ad abbattere le rese della clonazione per suddivisione embrionale, ma anche il fatto che il genoma di cellule di embrioni precoci potrebbe non essere sempre totipotente. Occorre infine ricordare che il metodo che parte da un embrione precoce e lo suddivide in più parti elimina di fatto l'organismo modello della clonazione. Si clonerebbe al buio: i rari cloni che sopravvivono non avrebbero quindi un modello adulto, a meno che tra i cloni prodotti ne venga fatto sviluppare soltanto uno; dopo aver verificato l'esito positivo di questa clonazione esplorativa, si avvierebbe lo sviluppo degli altri, nel frattempo crioconservati. Si tratta di una possibilità solo teorica, vanificata dalla lentezza dello sviluppo di molti mammiferi, oltre che dall'inefficienza della tecnica. In un noto esperimento, la resa si è abbassata al di sotto del 30%: da ben centosette embrioni precoci sono stati prodotti trecentosessantotto subembrioni; dopo reimpianto in madri surrogate, è stato possibile ottenere un unico clone, una scimmietta poi diventata famosa col nome di Tetra. Risultati simili sono stati ottenuti anche su ovini.

Queste sono solo alcune delle questioni irrisolte che mettono in discussione il potere dei geni.

Scenari aperti

L'interesse della clonazione tanto di cellule quanto di organismi è alto sotto molti aspetti: generale, scientifico e applicativo. Con la clonazione riproduttiva potremmo generare organismi (quasi) uguali al modello che aveva donato le cellule somatiche e in numero teoricamente illimitato: a riguardo, non si dimentichi che per animali e piante particolare attenzione va data alla conservazione della variabilità genetica come assicurazione evolutiva. Inoltre il beneficio per la ricerca consisterebbe soprattutto nella disponibilità di soggetti a costituzione genetica identica, almeno per quanto riguarda il nucleo: per es., lo studio degli effetti dei farmaci e dell'ambiente in generale ne sarebbero fortemente agevolati. Anche la produzione agroalimentare ne sarebbe rivoluzionata.

La possibilità di riprodurre molte copie identiche di un organismo biologico sembra comunque allontanarsi tanto più quanto più questo organismo è complesso a livello evolutivo, il suo sviluppo psicofisico individuale è avanzato e la sua maturazione condizionata dall'ambiente: è quindi lecito porsi la domanda se si possa arrivare a clonare ciò che più caratterizza un organismo superiore, cioè il suo comportamento. Nei mammiferi, e nell'uomo in particolare, il comportamento è il risultato di una complessa integrazione di un elevato numero di informazioni a opera del sistema nervoso, i cui elementi costitutivi sono i neuroni (circa dieci miliardi per ogni essere umano), elaboratori cellulari che interagiscono con altri neuroni a essi collegati, e le cellule gliali, dieci volte più numerose dei neuroni e responsabili dell'approvvigionamento delle sostanze nutritive e trofiche necessarie per il loro funzionamento. Alcuni neuroni possono contattare decine di migliaia di altri neuroni e a loro volta ricevere informazioni da decine di migliaia di altre cellule: si capisce così che queste miriadi di cellule formano delle reti neuronali, la cui complessità sfugge alla nostra attuale capacità descrittiva. I progressi dell'informatica, delle scienze cognitive e dell'intelligenza artificiale compiuti nella seconda metà del 20° secolo hanno tuttavia permesso la scoperta di alcune regole generali di funzionamento delle reti neuronali che permettono la riproduzione di caratteristiche del sistema nervoso. Queste conoscenze hanno portato alla creazione di manufatti inorganici, a base di silicio e di parti piccolissime di metalli nobili, assimilabili a sensori quali retine artificiali, orecchie digitali e polpastrelli sintetici che, se strutturalmente hanno poco da spartire con i loro omologhi biologici, pure possono riprodurne le funzioni in modo strabiliante. Se a questi sensori vengono associati adeguati elaboratori e attuatori, omologhi dei nostri organi motori, si possono creare macchine inorganiche, analoghe ai vecchi robot, capaci di esercitare sofisticate funzioni nervose. In Giappone è stato presentato un robot che legge uno spartito e suona il pianoforte come un eccellente maestro. Sono stati già costruiti anche i primi esemplari di robot capaci di maneggiare l'archetto per far vibrare le corde i un vero violino. Inoltre è noto che l'elaboratore Deep Blue può battere il campione mondiale di scacchi. Riconosciuta l'impossibilità, almeno per ora, di creare un clone fisico, cioè una fotocopia biologica, di un genio, artista o scienziato che sia, è ipotizzabile creare un suo clone mentale? Per poter dare una risposta positiva a questa domanda bisognerebbe conoscere i meccanismi che permettono all'informazione elaborata dalle reti neuronali di produrre un'attività nervosa che si esprima dapprima in una funzione neuronale standard e quindi in forme di creazione intellettuale eccezionalmente elevate. In seguito si dovrebbero fornire a questi circuiti le informazioni in base alle quali sarebbe stata conformata la mente di quello specifico individuo che si desidera clonare. Sebbene alcune regole di apprendimento e di ragionamento deduttivo e induttivo possano essere programmate in un computer, è molto difficile che nel prossimo futuro possa essere prodotto un robot che arrivi ad autoprogrammarsi ed evolversi fino a esprimere comportamenti etici, estetici e scientifici di un essere umano preso a modello anche per l'unicità delle sue prestazioni. Se la biologia di un individuo è difficilmente clonabile, e così la sua bioinformatica, intesa come struttura neuronale a determinazione mista biologica e ambientale, la sua biografia complessiva lo è ancor meno. Le caratteristiche che fanno di Albert Einstein un genio sono la somma di tutte queste componenti, più altre che ignoriamo.

L'informazione genetica e l'ambiente interagiscono quindi secondo regole complesse e in gran parte ancora sconosciute.

La clonazione come è oggi praticabile non può produrre vere copie genetiche di singoli individui. Viste le sue basse rese e la cattiva salute dei cloni, pare opportuno rivedere l'ormai passivamente accettata conclusione che dopo Dolly si possano produrre adulti identici al donatore della cellula somatica. Quello che avrebbe dovuto essere il motto della clonazione, ex uno plures, che richiama la speranza che da un individuo, meglio se super, se ne possano produrre tanti, va forse capovolto in e pluribus unum, parafrasando il famoso motto presente sulle banconote da un dollaro. Tuttavia la clonazione non deve essere considerata solo come mezzo di riproduzione di un individuo intero, così come la transgenetica non è soltanto uno strumento per incrementare i profitti delle multinazionali o per innescare bombe a orologeria genetiche ed ecologiche. Almeno alcuni dei numerosi problemi che limitano le applicazioni delle varie forme di clonazione che abbiamo delineato potranno forse essere risolti dopo un'attenta sperimentazione, che dovrebbe poterci indicare protocolli scientificamente validi, praticamente realizzabili ed eticamente corretti, specie sul versante terapeutico e zootecnico. Allontanato lo spettro dei replicanti, cloni umani demonizzati dalla fantascienza, ma anche quello della clonazione di individui eletti a modello in riconoscimento di alcune caratteristiche reputate superiori, la biomedicina deve incoraggiare le ricerche che possono avere importanti ricadute scientifiche e applicative, a fronte di rischi bassi e controllabili: la clonazione potrebbe essere tra queste.

repertorio

Clonazione e riproduzione

Il termine clonazione (dal greco klón, "germoglio") indica qualunque tecnica in grado di produrre una o più copie di una struttura biologica e fu introdotto originariamente nella biologia vegetale per designare la riproduzione per talea, che può generare un duplicato dell'intera pianta. È stato poi adottato dalla biologia cellulare per descrivere la produzione, per successive divisioni binarie, di popolazioni di cellule identiche fra loro e a un capostipite. Infine, è entrato nella biologia molecolare per definire la procedura che permette la comparsa di copie di specifiche sequenze di DNA introdotte in cellule viventi; si parla in questo caso di 'clonazione molecolare' o 'del DNA', locuzione spesso usata come sinonimo di ingegneria genetica.

In natura la clonazione è una modalità di riproduzione agamica, consistente nella divisione di una cellula in due cellule figlie. È propria dei procarioti (batteri) e di molti eucarioti sia unicellulari sia pluricellulari. Nei batteri la duplicazione del cromosoma fa sì che il patrimonio genetico delle due cellule figlie sia identico a quello della cellula progenitrice. Negli eucarioti la divisione del materiale genetico avviene attraverso un processo più complesso che prende il nome di mitosi; questa si svolge in cinque stadi che assicurano la corretta e completa trasmissione dell'informazione genetica contenuta nei cromosomi.

Nella maggioranza degli eucarioti la riproduzione è sessuata, derivando dalla fusione di due cellule riproduttive, o gameti, provenienti da individui di sesso opposto. La penetrazione del gamete maschile in quello femminile porta alla fusione dei due patrimoni genetici e alla formazione di un nuovo individuo simile ai genitori, ma nello stesso tempo diverso da ciascuno di essi. La riproduzione sessuata, rispetto a quella asessuata, richiede un dispendio di energie molto maggiore ma è largamente prevalente in natura in quanto favorisce la variabilità, una delle caratteristiche fondamentali per la sopravvivenza degli esseri viventi.

Diversamente dai batteri e dai protozoi, gli organismi multicellulari sono programmati geneticamente per lo sviluppo e il differenziamento. Per quanto riguarda l'uomo, geni variamente scelti tra gli oltre 60.000 del genoma vengono attivati e disattivati nel corso dello sviluppo: da questa espressione finemente modulata derivano i circa duecento tessuti diversi che compongono l'organismo. Alla fine le cellule muoiono e anche questo è un processo regolato da geni.

In base ai meccanismi della riproduzione sessuale, tutti gli esseri umani sono diversi fra loro in quanto hanno genomi diversi. Gli unici individui identici sono i gemelli monozigotici. Nella specie umana si ha in media un parto gemellare ogni cento. Due volte su tre i gemelli sono fraterni o dizigotici: i loro genomi sono diversi perché derivano dalla fecondazione di due o più ovuli diversi da parte di altrettanti spermatozoi. I gemelli monozigotici derivano invece dalla fecondazione di un unico ovulo da parte di un unico spermatozoo e dalla divisione dell'embrione che ne risulta in subunità capaci di svilupparsi in organismi individuali. Di conseguenza i gemelli monozigotici hanno lo stesso genoma e si può dire che originano un clone.

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Cenni storici sulla clonazione animale

I primi esperimenti di clonazione animale iniziarono negli anni Quaranta con lo scopo di approfondire uno dei problemi più affascinanti della biologia, quello del differenziamento embrionale. Ci si proponeva cioè di indagare i meccanismi che portano alla diversificazione strutturale e funzionale delle cellule embrionali a partire da un identico patrimonio genetico. Oltre che da questa ricerca di base, gli studi sono stati stimolati dalla prospettiva di ricavare importanti ricadute applicative. La produzione mediante clonazione di individui geneticamente identici rappresenterebbe, infatti, uno strumento di grande efficacia, in quanto consentirebbe di studiare gli effetti di agenti fisici, chimici e farmacologici senza tenere conto della variabilità interindividuale. È evidente inoltre l'importanza economica di riprodurre in misura teoricamente illimitata individui dotati di caratteristiche considerate in vario modo vantaggiose dal punto di vista commerciale. Infine la clonazione potrebbe rappresentare l'unico mezzo per salvare le specie animali in via di estinzione.

Gli approcci alla clonazione animale sono due: il primo consiste nel suddividere un embrione precoce a cellule totipotenti o pluripotenti (cioè in grado di generare, singolarmente le prime, in associazione le seconde, un intero organismo) in un certo numero di subembrioni e nel farne proseguire lo sviluppo in individui indipendenti (tecnica dell'embryo splitting). Nel secondo approccio si rimuove il nucleo di un ovocita, meglio se non fecondato, e lo si sostituisce con il nucleo di una cellula somatica (tecnica del trapianto nucleare).

Usando la tecnica dell'embryo splitting nel 1984 il ricercatore inglese S. Willadsen ottenne, suddividendo un unico embrione, cinque pecore tutte uguali. La tecnica è stata poi applicata ad altri animali. Un esperimento di questo tipo, per es., ha portato nel febbraio 2000 alla nascita della scimmia Tetra, ottenuta da un gruppo di ricercatori dell'Università di Portland, nell'Oregon.

Esperimenti di trapianto nucleare furono effettuati già negli anni Settanta da J. Gurdon nel rospo africano Xenopus laevis. Gurdon inserì per microiniezione nuclei di cellule intestinali di girini in uova nelle quali il nucleo era stato precedentemente distrutto con luce ultravioletta; nonostante molte uova non si sviluppassero affatto, un numero significativo di esse diede origine ad adulti normali. Pur se non confermati in altri anfibi, questi risultati dimostrarono che, almeno in Xenopus, il nucleo rimaneva totipotente fino a uno stadio molto avanzato di differenziamento. Nel 1981 M. Evans dimostrò che alcune linee cellulari coltivate in vitro di embrioni murini inoculate nella blastocisti di un topo contribuivano alla formazione di tutti i tessuti del nuovo organismo.

Nel 1997 un gruppo di ricerca del Roslin Institute di Edimburgo, diretto da I. Wilmut, ha utilizzato il nucleo di una cellula somatica prelevata dal tessuto mammario di una pecora adulta e l'ha inserito in una cellula uovo, proveniente da una seconda pecora, dalla quale era stato in precedenza sottratto il nucleo. L'uovo così trattato è stato impiantato nell'utero di una terza pecora, che ha partorito la pecora Dolly, dotata, secondo gli autori dell'esperimento, dello stesso patrimonio genetico della cellula somatica donatrice del nucleo. La stessa équipe ha ottenuto per clonazione da fibroblasti fetali Polly, un esemplare di pecora transgenica, nel cui DNA era stato incorporato il gene umano che codifica il fattore IX della coagulazione; ancora più recentemente un altro esemplare di pecora, Diana, è stato reso transgenico per la proteina α1-antitripsina.

A partire dal 1997 la tecnica del trapianto nucleare è stata sperimentata con successo su varie altre specie di animali (bovini, capre, maiali, topi), dimostrando inequivocabilmente che è possibile generare embrioni senza usare spermatozoi. In alcuni casi il processo è stato portato avanti fino alla nascita, analogamente a quanto è avvenuto per Dolly.

In connessione con questo tipo di esperimenti, si è cominciato a parlare insistentemente della possibilità di applicare le tecniche di clonazione animale anche all'uomo. A fronte delle gravi motivazioni di ordine etico e giuridico che si oppongono a tale prospettiva, organismi internazionali e nazionali hanno emesso una serie di documenti, per rendere esplicito il divieto di questa pratica. Così una Risoluzione dell'Organizzazione mondiale della sanità, datata al 14 maggio 1997, afferma che: "l'utilizzazione del clonaggio per riprodurre esseri umani non è accettabile sul piano etico ed è contraria all'integrità della persona umana". L'UNESCO, nella Dichiarazione universale sul genoma universale e i diritti umani dell'11 novembre 1997, esplicita che "le pratiche che sono contrarie alla dignità umana, quali la clonazione di esseri umani a fini di riproduzione, non devono essere permesse". A livello europeo, il Protocollo aggiuntivo alla Convenzione per la protezione dei diritti umani e la biomedicina, emanato dal Consiglio d'Europa il 12 gennaio 1998, proibisce "ogni intervento mirato a creare un essere umano geneticamente identico a un altro, vivo o morto"; il divieto è ribadito nella Carta europea dei diritti fondamentali, approvata dal Parlamento di Strasburgo nel novembre 2000.

Nei singoli paesi, tranne poche eccezioni, non esistono attualmente normative che prevedano precise sanzioni al divieto di clonazione e l'ampiezza di tale divieto è intesa in modo diverso. Mentre è generalmente condivisa la proibizione di creare embrioni destinati a essere sviluppati fino alla nascita, alcune delle proposte tendono a lasciare un margine di libertà più o meno ampio alla clonazione al fine di produrre presidi terapeutici (cellule, colture di tessuti ecc.). In tale ambito rientrano le disposizioni adottate nell'agosto 2000 nel Regno Unito e negli Stati Uniti: il governo inglese ha autorizzato la clonazione di embrioni umani per scopi scientifici (la decisione è stata ratificata dal parlamento nel mese di dicembre con l'approvazione dell'Human fertilization and embryology act); quello americano ha dato il via libera all'uso di cellule staminali di embrioni per la ricerca terapeutica. Nel novembre 2000, la possibilità di ricerche sugli embrioni, solo a fini terapeutici, è stata ammessa anche in Francia.

In Italia la definizione di una disciplina legislativa in materia è allo studio del Ministero della Sanità. Intanto è in vigore un'ordinanza (22 dicembre 1999) che ribadisce l'assoluto divieto di pratiche di clonazione umana e animale, fatta salva la clonazione di animali transgenici utilizzati per medicinali innovativi ottenuti con biotecnologie e quella delle specie in via di estinzione.

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