Amiatinus, Codex

Enciclopedia dell' Arte Medievale (1991)

Amiatinus, Codex

L. Speciale

Manoscritto decorato della Bibbia, di origine inglese, appartenuto alla basilica romana di S. Pietro; databile ante 716, venne probabilmente realizzato verso la fine del sec. 7°; attualmente è conservato a Firenze (Laur., Amiat. 1).

Vero e proprio monumento dell'arte insulare, con le sue oltre mille carte la Bibbia amiatina costituisce per dimensioni, caratteri formali ed eccezionale stato di conservazione una delle testimonianze più ponderose nella storia del libro altomedievale.

Riconosciuto grazie a una corretta rilettura del foglio di dedica (c. 1v), il manoscritto fu identificato da De Rossi (1888) nelle Pandectes che la notizia di un cronista anonimo, ripresa da Beda, ricorda fatte eseguire da Ceolfric (Hist. Abbatum, 20; 37; Beda, Hist. Abbatum, II, 15), abate dei monasteri di Wearmouth e Jarrow, per farne dono alla basilica vaticana. Presso quest'ultima il volume sarebbe rimasto sino al sec. 9°, momento al quale dovrebbe risalire - in base all'interpolazione del distico nelle carte iniziali - il suo trasferimento al monastero di S. Salvatore del monte Amiata, dal quale, nel sec. 18°, sarebbe infine pervenuto a Firenze.

Sebbene si conoscano quasi al dettaglio le circostanze della donazione, sono rimaste imprecisate tanto l'esatta data di redazione del codice quanto quella del suo arrivo a Roma. La confezione delle Pandectes quasi certamente dovette richiedere un arco di tempo assai più lungo di quanto fosse necessario ai semplici preparativi del viaggio (Wright, 1967); molto probabilmente l'esecuzione del volume interessò gli ultimi anni dell'abbaziato di Ceolfric, che solo in occasione del viaggio ne avrebbe deciso il trasporto a Roma. Secondo il racconto dell'anonimo (Hist. Abbatum, 36-37), tuttavia, il volume avrebbe raggiunto S. Pietro soltanto dopo la morte dell'abate, avvenuta durante il viaggio. Di recapitarlo si sarebbero incaricati gli altri componenti della missione, forse non estranei all'insediamento della più antica delle Scholae peregrinorum impiantate presso la basilica vaticana, ricordata già nel 727 (Lib. Pont., II, p. 36, n. 27).

Unico resto di uno dei grandi patrimoni librari della Roma altomedievale, l'A. rivela per intero la sua qualità di codicemonumento; dell'eccezionale ricchezza del dono sono testimonianza la scelta, rara per l'epoca, di compendiare in un solo volume - una pandetta - l'edizione completa della Bibbia e le costose dimensioni atlantiche del formato: si calcola che per l'esecuzione siano state utilizzate le pelli di almeno cinquecento animali.Interamente vergato in una variante inglese dell'onciale (Lowe, 1937; Wright, 1967), il manoscritto conserva una delle versioni più antiche e complete della Vulgata geronimiana. A questa si accompagna un corredo illustrato piuttosto scarno, ridotto alle poche carte del fascicolo iniziale e al frontespizio del Nuovo Testamento. Nel primo quinterno, mal ricomposto nel corso di una rilegatura ottocentesca, sono raccolte insieme al ritratto del profeta Esdra una schematica rappresentazione del Tabernacolo del tempio di Gerusalemme e tre diagrammi che riportano la divisione della compagine vetero e neotestamentaria secondo Ilario, Gerolamo e Agostino. Più avanti (c. 796v), introduce ai libri del Nuovo Testamento una rappresentazione della Maiestas Domini che presenta il Salvator Mundi al centro di un globo celeste circondato dalle figure degli evangelisti e dei quattro viventi; seguono alcune carte con le tavole dei canoni eusebiani.

Intorno all'origine di questa, in fondo modesta, compagine iconografica - per altro strettamente connessa alla questione del prototipo - si è dipanato un controverso dibattito critico, che ha coinvolto problemi di tradizione del testo, fonti grafiche e modelli storico-formali del codice fiorentino. Singolare esordio illustrativo di una scuola di miniatura che avrebbe affidato l'espressione più matura della propria civiltà figurativa alle potenzialità squisitamente grafiche della scrittura, l'A. e la vicenda critica a esso legata costituiscono una testimonianza esemplare di quanto nelle forme di un codice decorato - testo e immagini - si riflettano i caratteri del modello.

Un orientamento critico consolidato tende ormai a riconoscere la dipendenza dell'A. dalle bibbie fatte eseguire da Cassiodoro per la biblioteca del monastero di Vivarium. Meno semplice a definirsi, e tuttora discussa, resta l'esatta natura del rapporto che lega le Pandectes di Ceolfric a ciascuno degli esemplari cassiodoriani: se, e soprattutto in quale misura, l'A. debba considerarsi una copia palmare di una sola delle bibbie vivariane o piuttosto una contaminatio di fonti diverse, sia pure d'origine cassiodoriana.

L'ipotesi, formulata per la prima volta da De Rossi (1888), è in larga misura fondata sulle analogie di composizione che il primo fascicolo dell'A. rivela con quello del Codex Grandior [...] veteris translationis (Institutiones, I, 5, 14), il più grande dei due codici cassiodoriani che raccoglievano in un solo volume il testo completo della Bibbia. Da questo, osservava De Rossi, l'A. doveva aver derivato la rappresentazione del Tempio di Salomone (cc. 2v, 3r) e i diagrammi con le divisioni dei libri. La supposizione traeva inoltre conforto da una notizia riportata da Beda (De Tabernaculo, II, 1565), che attesta in anni contemporanei alla redazione dell'A. la presenza del Codex Grandior a Jarrow, probabile luogo d'origine della Bibbia inglese. Acquistato quasi certamente a Roma, dove erano confluiti dopo la distruzione del monastero molti dei codici di Vivarium, il Grandior doveva trovarsi fra i codici portati dall'Italia in Northumbria da Benedetto Biscop, fondatore dei monasteri gemelli di Wearmouth e Jarrow (Beda, Hist. Abbatum, I, 4).

A complicare il problema, apparentemente risolto, interveniva però una questione testuale: il Codex Grandior conteneva infatti la tradizione della Vetus latina, dunque esso avrebbe potuto suggestionare l'A. soltanto nell'apparato iconografico, non certo nella tradizione testuale. A questa prima obiezione si sarebbe aggiunta un'interessante lettura iconografica del frontespizio veterotestamentario proposta qualche decennio più tardi da Courcelle (19482): un dettaglio del ritratto di Esdra "restauratore delle Sacre Scritture" (c. 5r) - rappresentazione nella quale non è difficile riconoscere un trasparente richiamo allo stesso Cassiodoro - chiama direttamente in causa almeno un altro dei manoscritti di Vivarium. Un'attenta interpretazione dell'immagine, suggeriva Courcelle, consentiva di riconoscere nell'armarium alle spalle del profeta i nove volumi della grande Bibbia novae translationis suddivisa per cola et commata (Institutiones, I, 13). Su questa base, identificando nell'immagine un'eco figurativa del frontespizio di quest'ultima, Courcelle sostenne che uno o più volumi di questa fossero disponibili nello scriptorium di Jarrow al momento della redazione dell'A., frutto quindi dell'assemblaggio di modelli diversi, non di un solo antigrafo cassiodoriano. Un ultimo contributo alla discussa interpretazione del frontespizio è venuto infine da una brillante ipotesi di ricostruzione di Fischer (1962). A giudizio di quest'ultimo, nel ritratto di Esdra sarebbero in realtà rappresentate tutte e tre le bibbie eseguite a Vivarium: la grande Bibbia in nove volumi dell'armarium, le Pandectes di piccolo formato, scritte minutiore manu (Institutiones, I, 12), identificabili nel volume aperto in primo piano confuso tra gli strumenti scrittori del copista sparsi sul pavimento, e finalmente il Grandior, raffigurato nel volume che il profeta tiene sulle ginocchia; esemplare al quale, secondo Fischer, il frontespizio con il ritratto dovrebbe giustamente essere riferito.

Altrettanto discussa, soprattutto in relazione al problema del prototipo figurativo utilizzato (con buona probabilità derivato da una diversa fonte culturale) è la questione che ha investito la paternità della Maiestas Domini nel secondo frontespizio (c. 796v). La singolare disparità qualitativa che caratterizza, rispetto al ritratto del profeta, questa seconda immagine ha suggerito a Nordhagen (1976; ma prima Masai, 1957, e una lunga tradizione critica precedente) una nuova attribuzione del frontespizio veterotestamentario a un maestro italo-bizantino. L'ipotesi, che aggira senza risolverla la questione cassiodoriana, contrasta tuttavia con l'assoluta omogeneità tecnica (Bruce-Mitford, 1969) che accomuna il foglio di Esdra alla Maiestas Domini. Del resto, come è stato osservato, neppure il ritratto del profeta si sottrae a una certa secchezza di tratto, difficilmente spiegabile in un pittore di formazione continentale e perfettamente giustificata nella copia di un maestro northumbro, la cui scarsa autonomia rispetto a un modello più colto traspare interamente nella Maiestas Domini, esemplata probabilmente da un prototipo qualitativamente inferiore (Alexander, 1978).

Più in generale, circa la pluralità di modelli grafici e figurativi sudeuropei che, tra la metà del sec. 6° e l'inizio dell'8°, sembrano essere confluiti nei monasteri delle Isole Britanniche (molti dei quali mediati da manoscritti di provenienza italiana), va rilevato che l'A. costituisce una testimonianza tutt'altro che isolata.

Al contrario, una traccia consistente di motivi decorativi di origine mediterranea si rivela in diversi prodotti della miniatura insulare, favorita dalla presenza di codici affini all'Evangeliario di S. Agostino (Cambridge, C.C.C., 286) o da questi più o meno direttamente influenzati (Libro di Lindsfarne; Londra, BL, Cott. Nero D. IV).

Bibliografia

Fonti:

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