Cognizione degli animali

Lessico del XXI Secolo (2012)

cognizione degli animali


cognizióne degli animali locuz. sost. f. – Campo di ricerca sviluppatosi principalmente nella seconda metà del 20° secolo, ma che ha origine dai dibattiti suscitati dalla teoria darwiniana sulla continuità/discontinuità dei processi mentali nelle diverse specie. Lo studio della cognizione degli animali è affrontato da diverse discipline, la psicologia comparata, l’antropologia, la biologia evoluzionistica, le neuroscienze e le scienze cognitive; nella filosofia concerne principalmente le teorie della mente, della razionalità, della comunicazione, della cognizione sociale e della morale animale. I risultati della psicologia comparata nello studio delle ‘altre menti’ e in particolare nello studio della cognizione animale sono presentati negli studi di G. Vallortigara (Altre menti, lo studio comparato della cognizione animale, 2000; Cervello di gallina, visite ‘guidate’ tra etologia e neuroscienze, 2005) e, più recentemente, nel volume di V.A. Sovrano, P. Zucca, L. Regolin, Il comportamento degli animali, evoluzione, cognizione e benessere (2009); con particolare riguardo ai temi del cognitivismo in R. Marchesini, Intelligenze plurime, manuale di scienze cognitive animali (2008). Negli indirizzi di ricerca cognitivisti si assume che gli animali siano sistemi cognitivi, dotati di una mente; acquisizione che comporta problemi interpretativi che sorgono nel considerare gli animali o come meccanismi guidati da processi stimolo-reazione o come agenti dotati di desideri e credenze (giungendo a teorizzare l’intenzionalità della mente animale), e dunque come meccanismi complessi i cui comportamenti non sono orientati in senso deterministico. Tali considerazioni pongono la questione della ridefinizione del concetto di mente secondo prospettive pluralistiche che tengano in conto la molteplicità dell’intelligenza, dei processi di apprendimento, della memoria, della comunicazione, della percezione e della presa di decisione, al di fuori dell’antropomorfismo, e orientandosi prevalentemente secondo teorie computazionali della mente, con apporti che possono venire dalla teoria della mente modulare (J. Fodor) e dalle nuove prospettive della cognizione estesa o cognizione incarnata (v.). Nell’ambito degli studi dell’evoluzione biologica gli indirizzi si dividono preliminarmente nello stabilire se la possibilità di acquisire cognizioni comporti linee evolutive convergenti e omogenee o diverse. La razionalità animale è stata studiata da un punto di vista filosofico in relazione all’evoluzione biologica (D. Dennett, Do animals have beliefs?, in H. Roitblat, J. Meyer, Comparative approaches to cognitive science, 1995, pp. 111-18), ma alcuni studiosi hanno insistito sulla necessità di riferirsi comunque al funzionamento dell’intelligenza umana per comprendere la razionalità animale (si veda J. Bermúdez, Thinking without words, 2003; Animal reasoning and proto-logic, in S. Hurley, M. Nudds, Rational animals?, 2006, pp. 127-138). La possibilità che alcune credenze possano influire sui comportamenti animali è studiata in relazione alle teorie proposizionali del pensiero; perché si abbia una credenza, capace di costituire una cognizione e influire su un comportamento, si può ritenere o meno necessario che il contenuto di tale credenza sia presente nella mente come contenuto proposizionale (D.L. Cheney, R.M. Seyfarth, Baboon metaphysics, the evolution of a social mind, 2007; J. Bermúdez, Thinking without words, 2003.; H.J. Glock, Can animals judge?, in Dialectica, 64, 2010, pp. 11-33). I filosofi D. Dennett e R. Davidson, da diverse prospettive ma fondandosi sulla necessaria connessione fra concetti, credenze e linguaggio, hanno negato che gli animali abbiano credenze poiché sono privi di un linguaggio esterno. Negli studi recenti tuttavia, sulla base dell’interpretazione di esperimenti condotti su diverse specie animali, si tende sia a ritenere non necessaria la connessione fra concetti e linguaggio, sia anche a proporre che sia possibile possedere concetti pur non avendo sviluppato un linguaggio naturale. In merito alla comunicazione animale si tratta di stabilire innanzi tutto se l’emissione di un segnale, per es. vocale riguardo a un pericolo, sia da considerare come referenziale, ossia in riferimento a un oggetto esterno, o come espressivo, ossia come espressione di uno stato interno dell’animale. Quest’ultima tesi era presente già in Darwin nel saggio The expression of emotions in man and animals (1872; trad. it. 1999), che attribuiva alla comunicazione animale un carattere espressivo di una sorta di emozione da parte dell’animale. Per stabilire però che i segnali emessi dagli animali abbiano un valore intenzionale, si dovrebbero, secondo D. Dennett, attribuire loro credenze, desideri e razionalità. Tale assunto comporta diverse accezioni a seconda che l’emittente comunichi un suo proprio stato o invece preveda l’effetto del suo segnale su un altro individuo (nelle interpretazioni più minimaliste affinché un segnale sia intenzionale è sufficiente che esso sia sottoposto al controllo volontario di chi lo emette). Quanto alla comunicazione mediante segni i risultati sperimentali sono numerosi e importanti: si è riusciti a far apprendere agli animali una cospicua parte del linguaggio dei segni umano e anche a condurre esperimenti comparati sull’apprendimento degli animali e quello dei bambini. Nell’insieme le ricerche sul rapporto fra comunicazione e cognizione animale hanno condotto a ipotizzare, a superamento della tesi darwiniana dell’espressività, una relazione diretta fra circostanze ambientali e sociali e comunicazione, integrando quest’ultima in un insieme di azioni finalizzate alla sopravvivenza. Relativamente alla teoria della mente, gli esperimenti condotti sugli animali, in partic. sugli scimpanzé, hanno dimostrato la capacità degli individui di comprendere finalità, intenzioni e percezioni degli altri, ma non quella di comprendere le false credenze, ossia, più genericamente, di distinguere il falso dal vero; ciò che comporta una forte revisione e restrizione del concetto di mente (M. Tomasello, J. Call, B. Hare, Chimpanzees understand psychological states-the question is which ones and to what extent, in Trends in cognitive science, 7, 2003, pp. 153-156; si veda inoltre, M. Tomasello, M. Carpenter, J. Call et al., Understanding and sharing intentions. The origins of cultural cognition, in Behavioral and brain sciences, 28, 2005, pp. 675-735). Lo studio dell’ambiente sociale nel quale avvengono i processi della cognizione degli animali ha evidenziato, oltre alla dimensione sociale del comunicare e dell’agire (sulla mente sociale, si veda  Altre menti, lo studio comparato della cognizione animale, 2000, pp. 263-314), anche aspetti interpretati nel senso di una proto-morale fondata su funzioni molto essenziali di empatia e reciprocità (M. Bekoff, J. Pierce, Wild Justice: The Moral Lives of Animals, 2009; tra. it. 2010). Temi che si ricollegano a quelli più generali dell’etica animale di P. Singer e R. Garner (Animal ethics, 2005), ma con una specifica attenzione ai processi cognitivi che sembrano permettere di attribuire alla mente animale la cognizione di stati quali l’empatia, la cooperazione, la punizione.