CARMIGNANO, Colantonio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 20 (1977)

CARMIGNANO, Colantonio

Claudio Mutini

Per molto tempo l'identità di questo scrittore è stata celata sotto lo pseudonimo di "Partenopeo Suavio", con cui il C. firmò le Operette in varji tempi et per diversi subietti composte. Et alla amorosa et moral sua Calamita intitolate (Bari 1535). Gli eruditi e gli stessi storici della letteratura operanti fra Sette e Ottocento (Crescimbeni, Quadrio, Tafuri, Minieri-Riccio) credettero di ravvisare sotto lo pseudonimo l'opera del noto umanista Crisostomo Colonna; A. Darowski, storico polacco di Bona Sforza, propose, agli inizi del nostro secolo, di identificare l'autore del resoconto del viaggio che Bona compì da Manfredonia a Cracovia per diventare sposa di Sigismondo re di Polonia (il Viaggio de la Serenissima S. Donna Bona Regina da la sua arrivata in Manfredonia andando verso del suo Regno in Polonia è compreso nelle Operette)conil dignitario di corte Spinetto Ventura. Si deve invece alle ricerche di G. Rosalba la retta identificazione del Partenopeo Suavio con l'autore de Le cose vulgare de messere Colantonio Carmignano gentiluomo napolitano morale et spirituale nuovamente impresse (Venezia 1516): edizione che, a un semplice confronto, si rivela in gran parte conforme con quella delle Operette del 1535.

Il libro è raro e fu sconosciuto a quasi tutti i bibliografi tranne che al Quadrio, il quale tuttavia ne fornì una descrizione parziale. Pressoché identiche sono le due dediche che si leggono all'inizio delle Operette e de Le cose vulgare:quella a Ferdinando di Capua di Pontremoli e quella a Iacopo Sannazzaro. Seguono una serie di sonetti (fino al n. XXXV) che sono identici nei due testi e si susseguono inoltre osservando quasi lo stesso ordine. I sonetti del Suavio dal n. LXXXVI al n. XCVIII non sono nel Carmignano. Seguono venti capitoli in terza rima e un sonetto identici nei due testi, e i capitoli si susseguono con il medesimo ordine e con gli stessi titoli. Quattro egloghe in terzine sdrucciole con canzoni intercalate e una sestina in lode del Sannazzaro, e con gli stessi nomi classici attribuiti agli interlocutori, sono comuni tanto alle Operette quanto a Le cose vulgare.Le quali tuttavia non contengono il resoconto del viaggio compiuto da Bona in Polonia (e non poteva essere altrimenti essendo questo stato effettuato nel 1518), trentadue sonetti non numerati, una composizione in terzine che si intitola "Diversi subietti sopra certe candele bianche donate", una canzone in ottonari con strofe ritornellate, due capitoli in terzine dal titolo "Ad sericum domun variis coloribus" una "Vision de lo Authore sopra de una Egloga dove sono Suavio, Tirinto et Silano interlocutori" (componimenti misti di prosa e di versi), una "Visione alla morte de lo Illustrissimo S. Ferrante de Capua Duca de Termoli" in terza rima, dieci capitoli dedicati a Pietro Antonio Sanseverino principe di Bisignano, preceduti da una dedica in prosa a Giulia Orsini e seguiti da tre sonetti e da tre capitoli alla medesima, una "Cingaria fatta recitare in lo advento di Isabella di Capua principessa di Molfetta, nello stato di Giulia Orsini principessa di Bisignano", un'egloga recitata nella medesima occasione, e infine un'altra serie di capitoli e sonetti comprendenti complessivamente otto componimenti del primo tipo e ventinove del secondo.

Nonostante queste divergenze le affinità continuano. Esiste nel testo delle Operette una prosa nella quale il Suavio, confessandosi pubblicamente pentito delle proprie rime giovanili - che sarebbero state edite contro la sua volontà e a richiesta altrui -, promette di far seguire ad esse poesie di pentimento e versi in lode di Dio. Orbene, tale inserto prosastico coincide alla lettera col testo di una "Epistola" inserita dal C. nell'edizione de Le cose vulgare, e identici nell'uno e nell'altro testo si rivelano dieci sonetti di argomento spirituale nonché alcuni versi sciolti in onore del Crocefisso. Con questi termina il volume de Le cose vulgare, mentre il testo del Suavio continua e termina con tre capitoli e due sonetti di argomento edificante.

La biografia del C. - almeno per quel che attiene ai tratti fondamentali ricostruiti dal Rosalba sulla scorta dei documenti e dei richiami interni alle opere - dà ragione sia dell'affinità esistente tra le due raccolte sia delle aggiunte che presenta la seconda rispetto alla prima.

La famiglia Carmignano era una delle più antiche e nobili di Napoli, appartenente al "seggio" di Montagna. Il padre del C., Andrea, morto nel 1512, faceva parte di un circolo legato alle persone di Isabella d'Aragona e di Bona, come appare dal romanzo Question de amor di cui ebbe a interessarsi a suo tempo Benedetto Croce. Dello stesso cenacolo faceva parte Ferrante di Capua, al quale il C. dedica numerose rime piangendone la morte, avvenuta nel 1531, in una visione in terza rima. è quindi molto probabile che lo scrittore fosse ben presto introdotto alla frequentazione di amicizie altolocate che godevano del mecenatismo di Isabella d'Aragona. Di Isabella il C. appare tesoriere nel 1518. Nel medesimo anno egli accompagna Bona nel suo viaggio nuziale in Polonia. A questo riguardo lo scrittore stesso ci informa di trovarsi "in grandissima obbligazione" con Prospero Colonna e che da lui gli è stato "a bocca comandato" di descrivere il viaggio di lei: impegno cui il C. si sarebbe assoggettato nonostante qualche titubanza.

Intorno al 1528 il C. appare sicuramente al servizio di Antonio Sanseverino principe di Bisignano, al quale sono dedicati ben dodici capitoli (compresi nelle Operette) i qualisono preceduti da una dedica in prosa alla moglie del Sanseverino, Giulia Orsini. Lo scrittore si propone di narrare le operazioni militari condotte dagli Spagnoli contro i Francesi del Lautrec allo scopo di riconquistare la Calabria dal giorno in cui egli "partì da Taranto per servitio della Cesarea maiestà in la recuperation de la Calabria et del suo antiquissimo et felice stato". Dalla narrazione non appaiono le funzioni svolte personalmente dal C. durante la campagna militare, ma la precisione dei dettagli, l'uso della prima persona in talimi passi dei capitoli non lasciano dubbi circa la sua partecipazione diretta agli avvenimenti.

Sembra lecito dedurre da alcune testimonianze dello stesso C. che la decisione di entrare al servizio del Sanseverino avvenne per certi dissapori venutisi a creare con la casa d'Aragona e con Bona Sforza. Nella prosa di dedica a Giulia Orsini dei capitoli in onore del marito egli si giudica afflitto "da multe varie mondane angustie et calamità": espressioni che il C. ripete in alcuni versi rivolti al Sanseverino ("E ben che afflitto me ritrovi e mesto / de molti colpi di fortuna fella / come è già a tutto il mondo manifesto…"). Certo è che la riconciliazione con gli antichi mecenati dové avvenire con soddisfazione da parte del C. - dopo la parentesi del servizio con il Sanseverino - giacché nel 1537 egli rioccupa il vecchio posto di tesoriere presso Bona Sforza. Forse era tornato ad esercitare questa mansione già nel 1535 allorché stampa a Bari l'edizione delle Operette con lo pseudonimo di Partenopeo Suavio, dove, con relativa parsimonia, figurano cinque sonetti e un capitolo in lode di Bona e dei componenti la famiglia reale di Polonia.

Sappiamo che la regina di Polonia e duchessa di Bari mirava ad estendere il suo potere anche sul castello della città, i cui castellani l'imperatore si era riservato il diritto di nominare mentre ancora pendeva la lite per l'assegnazione delle terre a Bona Sforza. Ora questa riuscì nel suo intento il 28 apr. 1537 allorché fu fatta la consegna del castello, dietro versamento di 3.000 ducati, a Nicolò Maria di Somma, castellano regio, da parte del C. "general tesoriere" di Bona. Nel 1539 il C. è castellano e tesoriere insieme, essendogli dati tali titoli da Giacomo Ferdinando, barese, medico della regina di Polonia, il quale indirizza allo scrittore una lettera privata.

La data della sua morte deve essere posta entro il 1544 poichè il 10 dic. 1543 il C. è ancora citato in atti pubblici come castellano di Bari, mentre l'ultimo giorno di maggio del 1544 è "vice castellano del Castello della città di Bari" un tal Annibale Carmignano di Bari, forse suo figlio, e il 27 giugno dello stesso anno risulta tesoriere generale della regina di Polonia negli Stati del Regno di Napoli certo Nicolò Dottula di Bari.

Alle relazioni pubbliche che il C. intrattenne in qualità di tesoriere reale e di uomo d'armi al servizio del Sanseverino non fanno riscontro - o per lo meno non sono state appurate sinora - analoghe relazioni nel campo della cultura. L'autore de Le cose vulgare del 1516 dovette essere pressoché unosconosciuto, del tutto ignoto al mondo delle accademie. Cosicché egli, considerandosi un dimenticato, quando tornò a Bari e volle ripubblicare nel 1535 i primitivi componimenti aggiungendovene di nuovi, per ingraziarsi Bona Sforza che, insieme con la madre, era già stata sua mecenate, pensò di tacere il vero nome e di foggiarsi uno pseudonimo classicheggiante, quasi in competizione con quelli adottati dai poeti aderenti alle accademie, e forse anche per far dimenticare alla sua protettrice che egli era colui il quale aveva tentato una diversa fortuna abbandonando la casa reale per dedicarsi al servizio del Sanseverino.

Non possediamo alcuna notizia sui suoi studi e sappiamo di certe predilezioni letterarie soltanto per ciò che egli stesso dichiara in apertura sia delle Operette che de Le cose vulgare.D'altro canto, il nome del Sannazzaro non è molto significativo data la generale stima di cui godeva l'autore della Arcadia presso gli scrittori meridionali e il pressoché unanime consenso di tributi che gli veniva indirizzato. Il solo letterato col quale sembra che il C. fosse in concrete relazioni è il mediocre Girolamo Britonio. Altro non è lecito riferire sulla base deì sondaggi che sono stati compiuti sul terreno degli epistolari umanistici e nei confronti di chi può avere avuto dei rapporti con l'Accademia Pontaniana, alla quale sicuramente il C. non fu ascritto.

Anche ciò che si deduce dallo stile dei versi ha valore più limitativo che positivo. Sembra essere stato immune, come giustamente rilevava il Rosalba sulla base di un certo numero di campioni estratti dalle Operette, dalla moda "concettistica" divulgata da Serafino Aquilano e seguita in larga misura dagli scrittori di ambiente soprattutto meridionale. Ugualmente assenti appaiono nelle liriche di ispirazione amorosa gli influssi del Bembo e dell'opera petrarchistica degli scrittori di ambiente bembiano. Mentre infine nelle egloghe è dato riscontrare un seppure esterno influsso del Sannazzaro, nei capitoli in terza rima il C. si dimostra del tutto alieno dalla tradizione "comica" che stava godendo dei massimi favori proprio nel primo trentennio del secolo XVI.

Forse il meglio della sua produzione poetica è costituito dalle rime religiose, ove alla sincerità degli accenti si unisce una non disprezzabile vigilanza formale. Ma, nel complesso, i versi del C. sembrano veramente scaturiti dalla penna di un dilettante. La mancanza di notizie relative a sistematici studi e la rarità delle relazioni culturali forse stanno a testimoniare una scarsità reale di cognizioni letterarie, probabilmente dovuta al fatto che nel C. dovette essere preponderante, almeno fino al tempo della pubblicazione delle Operette, un tipo di preparazione capace di istradarlo alla carriera amministrativa.

Migliori prove di sé il C. le dà nelle prose. Quella del Viaggiode la serenissima S. donna Bona è scarna ma precisa e ricca di dettagli, anticonvenzionale e scarsamente incline alla retorica ed è perciò che essa ha potuto costituire una notevole fonte storica per gli studiosi delle relazioni fra Italia e Polonia nel Cinquecento. Anche in questo caso la figura che emerge del C. è quella di un letterato dilettante e occasionale, intento più alle cose che non al loro rivestimento retorico.

Si segnala infine del C. la traduzione in volgare del Rationale Divinorum Officiorum di Gugliemo Durante (Napoli 1539), che lo scrittore eseguì "de verbo ad verbum" e "per consolamento" di Bona Sforza, alla quale è dedicata con un epigramma in latino di non spregevole fattura.

Fonti e Bibl.: S. Mazzella, Della descrit. del Regno di Napoli, I, Napoli 1597, pp. 653 ss.; G. Crescimbeni, Commentari della volgar poesia, IV, Venezia 1730, p. 27; B. Tafuri, Storia degli scritt. nati nel Regno di Napoli, II, 2, Napoli 1744, p. 387; G.Rosso, Istoria delle cose di Napoli sotto l'imperio di Carlo V, Napoli 1770, pp. 11 ss.;S.Ciampi, Bibliografia crit. delle antiche reciproche corrispondenze dell'Italia con la Russia, la Polonia…, I, Firenze 1834, pp. 160 s.; C.Minieri-Riccio, Mem. stor. degli scrittori nati nel Regno di Napoli, Napoli 1844, sub voce;F. S. Quadrio, Della istoria della volgar poesia, II, Milano 1841, p. 229; G.Angeluzzi, Ragionamento intorno alla vita e alle opere di Crisostomo Colonna da Caggiano, Napoli 1856; G.Patroni, Storia di Bari, II, Napoli 1857, pp. 564 ss.; L. Volpicella, Bibl. stor. della prov. di Terra di Bari, Napoli 1884, p. 213; B. Croce, Di un antico romanzo spagnolo relativo alla storia di Napoli: la "Question de Amor", Napoli 1894; G. Beltrami, L. Valeri, tipografo romano in Puglia durante il sec. XVII, in Rassegna pugliese, IX(1895), p. 241; A. Darowski, Bona Sforza, Roma 1904, pp. 133 ss.; Id., Ilviaggio di Bona Sforza in Polonia, in L'Italia moderna, VI(1908), 7, pp. 716 ss.; L. Pepe, Bona Sforza da maritare, in Storia della success. degli Sforzeschi negli atti di Puglia e di Calabria, Bari 1910, pp. 305 ss.; G. Rosalba, Chi è il "Partenopeo Suavio"?, in Rassegna crit. di letter. ital., XXIII(1917), I, pp.1-34; F. Flamini, Il Cinquecento, Milano s.d., p. 179.

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