COLCHICINA

Enciclopedia Italiana - II Appendice (1948)

COLCHICINA

Alberto Chiarugi

. È un alcaloide contenuto nei semi (3%), nei bulbi (0,40%), e del resto in tutta la pianta del colchico. La sua formula, determinata empiricamente da S. Zeisel come C22H25O6N, sembra abbia, secondo M. J. S. Dewar (1945), la seguente costituzione più probabile:

nella quale i due anelli B e C sono a sette atomi di carbonio. Se nell'anello C il gruppo CH3 è sostituito da H si ha la colchiceina; se nello stesso anello i gruppi −OCH3 e =O sono invertiti di posizione, si ha l'isocolchicina (Dewar). Oltre le applicazioni farmacologiche descritte nella voce colchico (X, p. 718), in questi ultimi anni si è riconosciuta l'importanza della colchicina come agente carioclasico, cioè atto a turbare la regolarità del ritmo della moltiplicazione mitotica della cellula, e come agente poliploidizzante, atto cioè ad indurre, attraverso turbamenti cariocinetici, la formazione di nuove razze poliploidi nelle piante.

Soltanto nel 1934 A. P. Dustin e collaboratori - dopo le prime osservazioni fatte da W. E. Dixon (1905) - intrapresero a Bruxelles le prime ricerche sistematiche sull'azione citologica della droga: fu riconosciuto per la prima volta nei tessuti animali che questa azione consiste nell'arresto delle divisioni nucleari e che essa pertanto si può considerare un veleno carioclastico, perché tende a distruggere i nuclei. L'Allen, nel 1937 in America, l'adoperò per determinare, per mezzo dell'arresto delle mitosi, la loro abbondanza relativa nei varî tessuti animali durante l'accrescimento sotto l'influenza degli ormoni. Le applicazioni mediche della colchicina sono state condotte in seguito a tali ricerche verso tre campi di indagine: quello della cancerologia, quello della cicatrizzazione e quello dell'endocrinologia.

Nel 1937 si iniziò simultaneamente in varî luoghi da parte di molti ricercatori l'applicazione della colchicina ai tessuti vegetali: a Bruxelles A. P. Dustin, L. Havas e F. Lits ne studiarono l'azione sui cromosomi mitotici di Triticum, Allium e Tulipa attribuendola alla sua capacità di inibizione del meccanismo fusale; in America, sotto l'influenza dei lavori endocrinologici di Allen, i botanici O. J. Eigsti e D. F. Jones, indipendentemente l'uno dall'altro, riconobbero il valore della sua applicazione alle piante e ne suggerirono l'uso il primo a A.F. Blakeslee, il secondo a B. R. Nebel, i quali ne misero subito in rilievo il grande valore genetico come agente capace di indurre mutazioni e poliploidia. Il Blakeslee pubblicò per primo i suoi risultati, ed è quindi a lui, specialmente per mezzo della memoria condotta in collaborazione con l'Avery (1937), che va il merito di avere imposto all'attenzione dei genetisti questo nuovo potente mezzo per la creazione sperimentale di nuove razze di piante, seguito dopo poco da B. R. Nebel e da M. L. Ruttle (1937). È poi merito di A. Levan (1938) la più accurata descrizione della mitosi influenzata dalla colchicina.

L'effetto fondamentale della colchicina sulla mitosi è la distruzione dell'apparato fusale, una conseguente forte o fortissima superspiralizzazione (o contrazione dei cromosomi), e un ritardo della divisione del centromero; i cromosomi si dividono, sia pure con ritardo, ma le loro metà figlie (cromatidi) non sono distribuite ai poli. La mitosi influenzata dalla colchicina prende il nome di "c-mitosi" (A. Levan), o meglio di "c-mitosi restituzionale" (E. Battaglia).

Sembra che la droga non eserciti nessuna influenza sul nucleo in riposo o sugli stadî profasici della mitosi; agisce invece durante la metafase, l'anafase e la telofase attraverso la completa inibizione dell'apparato acromatico.

Se la droga inizia la sua azione al principio della metafase, i cromosomi con la scomparsa della membrana nucleare non si adunano in piastre equatoriali e non si orientano ma si sparpagliano invece per la cellula in modo del tutto irregolare, perché non ancorati alle fibrille acromatiche del fuso. Si realizza così una figura pseudometafasica, durante la quale i cromatidi restano lungamente riuniti fra loro dal centromero: scompare gradualmente ogni rapporto di torsione fra ciascun paio di cromatidi i quali si respingono pur essendo ancora riuniti fra loro dal centromero indiviso; essi acquistano così un aspetto ad X o aspetto cruciforme: le paia di cromatidi ad X si chiamano paia colchiciniche o "c-paia" (Levan). La tipica forma ad X delle c-paia dipende dalla repulsione elastica esercitata fra i cromatidi separati già per tutta la loro lunghezza e tenuti legati dal centromero indiviso (Oestergren 1943). La divisione del centromero avviene qualche ora dopo la metafase colchicinica, oppure durante la ricostituzione del nucleo quiescente, addirittura nell'interfase (Hawkes 1942). Le c-paia rimangono incluse in un unico nucleo che prende il nome di "c-nucleo di restituzione". Se la divisione centromerica è precoce, i cromatidi restano affiancati parallelamente a guisa di un "paio di sci" (Levan). Nella "c-mitosi" è soppresso lo stadio caratteristico dell'anafase; questo è particolarmente esatto quando la concentrazione della droga è tale da determinare una "c-mitosi completa" i con totale inattivazione del fuso; con soluzioni sempre attive ma più diluite si determina una "c-mitosi parziale", in cui il fuso non è completamente inattivato cosicché ne risulta una caratteristica anafase multipolare. Costituitosi il nucleo di restituzione, all'inizio della mitosi successiva il centromero, anche se ha ritardato la scissione, risulta in ogni caso diviso, e così ogni elemento delle c-paia (cromatidio) si comporta come un cromosoma distinto: il nucleo di restituzione risulta pertanto costituito da un numero raddoppiato di cromosomi. Se l'azione della droga continua, il processo della c-mitosi si ripete più volte portando alla formazione di nuclei altamente poliploidi: nei meristemi delle radici colchicinizzate di Allium Cepa sono stati osservati da Levan nuclei contenenti oltre un migliaio di cromosomi (128n = 1024).

Se la droga inizia la sua azione durante l'anafase, i cromosomi, a causa della distruzione totale del fuso, rimangono nella posizione raggiunta in quel momento (Hawkes); se l'azione si inizia alla telofase, l'assenza del fuso non permette la formazione della membrana cellulare e alla mitosi successiva i due nuclei distinti della stessa cellula per confluenza del loro contenuto cromatico (endoduplicazione) si comportano come un nucleo unico; anche in questo caso il resultato della "c-mitosi" è il raddoppiamento del numero dei cromosomi.

La "c-mitosi" si può quindi definire una "mitosi dei cromosomi alla quale non segue né mitosi del nucleo né mitosi della cellula" (Levan).

L'azione della colchicina è sempre legata ad un effetto tossico, forte negli animali, assai debole e quasi nullo nelle piante: durante la profase ed interfase esso si manifesta in modo evidente con un prolungamento in durata delle profasi e il loro ritorno alla quiescenza per reversione (reversione profasica), e con uno spiccato potere mitoinibitore che impedisce talvolta in alcune cellule interfasiche di entrare in mitosi. Per il rallentamento del processo mitotico e per l'arresto alla fine della profase la mitosi colchicinica è stata anche chiamata "statmocinesi" (Dustin).

Circa il meccanismo d'azione della colchicina si ritiene che l'attività c-mitotica sia di natura chimica e si svolga sulla fase lipidica del protoplasma disturbandola nella sua funzione orientatrice; la distruzione del fuso sarebbe dovuta al legarsi della droga alle catene lipidiche laterali delle grosse molecole proteiche costituenti le fibre fusali, operando la distruzione del fuso per passaggio del "tattoide" dalla forma fibrillare a quella granulosa. Anche la forte spiralizzazione dei cromosomi indotta dalla colchicina si spiega come una forte contrazione delle catene polipeptidiche in seguito al trattamento. Anche l'azione sui centromeri viene spiegata con il loro probabile alto contenuto in lipoidi. In alcuni casi i resti del fuso distrutto, e trasformato in proteine di forma corpuscolare, sembrano costituire una "sfera acromatica" i che spinge i cromosomi contro le pareti cellulari.

Nella pratica genetica la colchicina si adopera in soluzione da 0,02 o 0,8% sui semi in germinazione o sui meristemi del fusto. Occorrono prove preliminari per stabilire la concentrazione migliore e il tempo d'azione necessario per ogni specie. L'azione sui semi non è esente da inconvenienti per la radichetta embrionale che presenta tumori (c-tumori) che ne impediscono l'ulteriore accrescimento. Il trattamento della colchicina sul germoglio in stato attivo di accrescimento è da preferire; in tal caso l'azione della droga sui meristemi provoca la formazione di rami a numero cromosomico duplicato. Numerose sono le specie in cui si sono ottenuti sperimentalmente poliploidi con questo mezzo.

L'agente poliploidizzante non sempre duplica esattamente il numero dei cromosomi, ma produce molto spesso mutanti con extra cromosomi o con deficienze cromosomiche: la colchicina è quindi un mezzo per assicurare la produzione non soltanto di poliploidi equilibrati, ma anche di tipi non equilibrati per la perdita o l'acquisto di uno o più cromosomi.

Altri agenti chimici hanno un'azione analoga a quella della colchicina. Fra queste sostanze, dette c-mitotiche, da un punto di vista pratico è da ricordare in primo luogo per l'intensità della sua attività poliploidizzante l'acenaftene (C12H10), che ha la seguente formula di costituzione:

Esso fu utilizzato con successo da D. Kostoff e da altri russi; agisce sotto forma di vapori o in soluzioni sature ed è meno tossico della colchicina. Altre sostanze usate con successo sono il cacodilato di sodio (A. F. Blakeslee), l'anetolo (J. Lefévre), l'apiolo (P. e N. Gavaudan), il feniluretano (J. Lefèvre), il paradiclorobenzene (M. Guinochet e M. Simonet), la veratrina (E. R. Witkus e C. A. Berger). Attività cariocinetotropa presentano infine un numero grandissimo di sostanze organiche (G. Oestergren; F. D'Amato) e inorgamche (A. Levan). La dimostrazione dell'efficienza c-mitotica delle sostanze c-mitotiche è in molti casi complicata dalla loro tossicità. La relativa distanza fra la concentrazione capace di provocare effetti venefici e la soglia della c-mitosi è variabilissima da sostanza a sostanza. In alcuni casi questi limiti sono ben separati, in altri sono molto vicini, e in altri ancora gli effetti tossici si verificano ad una concentrazione più bassa della soglia delle c-mitosi, e pertanto la dimostrazione di un'attività c-mitotica nelle sostanze non significa che essa possa essere adoperata come mezzo poliploidizzante.

La sperimentazione delle sostanze c-mitotiche si effettua immergendo un teste biologico ben noto, come ad esempio le radici di Allium Cepa, in una serie di soluzioni aventi una concentrazione che si estende dalla saturazione a una diluizione così debole da non produrre più alcun effetto: generalmente questa serie di concentrazioni si estende da 1 a 1 × 10 mol./l. (A. Levan). La reazione del tessuto vivente permette di distinguere in questa serie di concentrazioni le seguenti zone: 1) zona letale, in cui le cellule sono uccise istantaneamente e mancano le reazioni che richiedono un processo vitale, come la c-mitosi e i c-tumori, ma in cui possono essere studiate particolarità delle strutture cromosomiche, come la despiralizzazione, le differenziazioni eterocromatiche, le suddivisioni dei cromatidi, ecc., utilizzando il lavaggio degli acidi nucleinici dai cromosomi; 2) zona narcotica, ad effetto c-mitotico, in cui oltre la c-mitosi si determinano talvolta anche c-tumori; 3) zona subnarcotica, ad effetto radiomimetico, in cui si producono sui cromosomi effetti mutagenici che ricordano l'azione dei raggi X, come frammentazioni, constrizioni, pseudochiasmi, ecc.: questi effetti, di interesse per la genetica non minore della c-mitosi, sono prodotti da sostanze possedenti particolari gruppi chimici, come l'iprite e composti affini (azotoiprite), fenoli, chinoni e ammine. Questo metodo di analisi degli effetti di sostanze chimiche sul nucleo e sui cromosomi, oltre che a problemi teorici di citologia sperimentale e di genetica, si applica anche alla farmacologia, alle ricerche sul cancro, allo studio degli insetticidi, erbicidi, anticrittogamici, ecc.

Per lo scarsissimo effetto tossico, per la sua notevolissima solubilità, e per la possibilità della ripetizione delle c-mitosi (le altre sostanze generalmente non permettono più di un ciclo mitotico e quindi arrestano la poliploidia a 4n) la colchicina rimane insuperata. Essa ha una solubilità massima del 20% ed è attiva anche in soluzioni di 0,005%. La sua attività termodinamica, come è definita da J. Ferguson (1939), cioè il rapporto fra la concentrazione limite inducente la c-mitosi e la concentrazione di saturazione in acqua, è di 1:4000, mentre quella dell'acenaftene è uguale a 1. Secondo A. Levan e E. Steinegger le sostanze c-mitotiche con attività termodinamica maggiore di 1/20 agiscono fisicamente, mentre quelle con un'attività termodinamica minore agiscono chimicamente. L'azione della colchicina è quindi ovviamente di natura chimica.

Bibl.: Houdé-Laborde, Le Colchique et la colchicine, in C.-R. Acad. Sc., XCVIII, 1887, p. 1442; M. J. S. Dewar, Structure of colchicine, in Nature, CLV, 1945, pp. 141-142, 479; W. E. Dixon, A manual of pharmacology, Londra 1905, 4ª ed. 1915; A.P. Dustin, Action de la colchicine sur le sarcome greffé type Croker, de la souris, in Bull. Acad. Roy. Med. Belgique, XIV, 1934, pp. 427-488; A. P. Dustin, Nouvelles applications des poisons caryoclasiques à la phatologie expérimentale, à l'endocrinologie et à la cancérologie, in Sang., XII, 1938, pp. 677-697; E. Allen, G. M. Smith e W. U. Gardner, Accentuation of the growth effect of theelin on genital tissues of ovariectomized mouse by arrest of mitosis with colchicine, in Amer. J. Anat., LXI, 1937, pp. 321-329; A. P. Dustin, L. Havas e F. Lits, Action de la colchicine sur les divisions cellulaires chez les végétaux, in C.-R. Assoc. Anatomistes, XXXII, 1937, pp. 170-176; O. J. Eigsti, A cytological study of colchicine effects in the induction of polyploidy in plants, in Proc. Nat. Acad. Scienc., XXIV, 1938, pp. 56-63; P. e N. Gavaudan, Modifications numériques et morphologiques des chromosomes, induites chez la végétaux par l'action de la colchicine, in C.-R. Soc. Biol., CXXVI, 1937, pp. 985-988; A. F. Blakeslee, Dédoublement du nombre de chromosomes chez les plantes par traitement chimique, in C.-R. Acad. Sc. Paris, CCV, 1937, pp. 476-479; A. F. Blakeslee e A. G. Avery, Methods of inducting doubling of chromosomes in plants, in Journal of Heredity, XXVIII, 1937, pp. 313-411; A. F. Blakeslee, The present and potential service of chemistry to plant breeding, in Amer. Journ. of Botany, XXVI, 1939, pp. 163-172; B. R. Nebel, Mechanism of polyploidy through colchicine, in Nature, CXL, 1937, p. 1101; B. R. Nebel e M.L. Ruttle, The cytological and genetical significance of colchicine, in Journ. of Heredity, XXIX, 1938, pp. 3-9; D. Kostoff, Irregularities in the mitosis and polyploidy induced by colchicine and acenaphtene, in C. -R. Dokl. Acad. Sc. URSS, XIX, 1938, pp. 197-199; A. Levan, The effect of colchicine on root mitosis in Allium, in Hereditas, XXIV, 1937, pp. 471-486; A. Levan, The effect of colchicine on meiosis in Alium, in Hereditas, XXV, 1939, pp. 9-26; J. Ferguson, The use of chemical potentials as indices of toxicity, in proc. R. Soc., Londra, Ser. B, CXXVII, 1939, pp. 387-404; A. Levan e G. Oestergren, The mechanism of c-mitotic action, in Hereditas, XXIX, 1943, pp. 381-443; G. Oesterren, Elastic chromosome repulsions, in Hereditas, XXIX, 1943, pp. 444-450; id., Colchicine mitosis, chromosome contraction, narcosis and protein chain folding, in Hereditas, XXX, 1944, pp. 429-467; J.G. Hawkes, Some effects of the drug colchicine on cell division, in Journ. of Genetics, XLIV, 1942, pp. 11-22; E.R. Witkus e C. A. Berger, Veratrine, a new polyploidy inducing agent, in Journal of Heredity, XXXV, 1944, pp. 130-133; J. M. Krythe e S. J. Wellensiek, Five years of colchicine research, in Bibliographia Genetica, XIV, 1942, pp. 1-132; F. D'Amato, The effect of colchicine and ethylene glycol on sticky chromosomes in Allium Cepa, in Hereditas, XXXIV, 1948, pp. 83-103; A. Levan e E. Steinegger, The resistance of Colchicum and Bulbocodium to the c-mitotic action of colchicine, ibid., XXXIII, 1947, pp. 552-566; E. Battaglia, Sulla terminologia dei processi mitotici, in Nuovo giorn. bot. ital., n. s., LIV, 1947; id., Sull'azione mutagenica dell'azotoiprite (Ny), in Rend. Accad. Naz. Lincei, Cl. sc. fis., s. 8ª, III, 1948; F. D'Amato, Sull'attività colchicinomitotica e su altri effetti citologici del 2,4-diclorofenossiacetato di sodio, ibid.; id., Ricerche sull'attività citologica di alcuni composti organici, con particolare riguardo alla colchicinomitosi e agli effetti tossici, in Caryologia, I, 1948; A. Levan, The influence of chemicals on mitosis and chromosomes as studied by the Allium test, in Eighth intern. Congress of Genetics, Abstr. Book, Stoccolma 1948, pp. 82-83; C. Cappelletti, La colchicina e i poliploidi, in Il Saggiatore, II, 1941, pp. 293-306; C. Ciferri, L'impiego della colchicina in biologia, ibid., pp. 216 e 261.

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