Colera

Universo del Corpo (1999)

Colera

Augusto Panà
Riccardo De Sanctis

Il colera è una malattia infettiva acuta, caratterizzata da violente scariche diarroiche, vomito, crampi muscolari, e infine eventuale collasso cardiocircolatorio, causata da un batterio di forma allungata e ricurva classificato come vibrione (Vibrio cholerae). La malattia, endemica in alcune aree e principalmente in India nella regione del delta del Gange, in epoca moderna si è frequentemente manifestata in forma epidemica in tutti i continenti. La mortalità, in passato superiore al 50%, si è però oggi molto ridotta, grazie allo sviluppo di cure miranti a ristabilire l'equilibrio idroelettrolitico. La diffusione della malattia è arginata da attente misure di profilassi. Il termine colera è impiegato anche per indicare una sindrome gastroenterica dell'infanzia (cholera infantum), o infezioni acute di animali, quali suini o polli, che sono tuttavia forme distinte, determinate da agenti eziologici diversi.

Inquadramento clinico

di Augusto Panà


Il colera è un'infezione intestinale acuta che, dalla zona endemica originaria del delta del Gange e del Brahmaputra, si è diffusa in Medio Oriente, in Africa e anche in Europa, trasformando alcune aree geografiche in zone endemiche. Si considera che negli ultimi due secoli si siano succedute almeno sette grandi epidemie coleriche, dette anche pandemie per la loro diffusione in vaste aree geografiche, e in epoca recente, anche per un cambiamento delle vie di diffusione della malattia e per effetto degli intensificati scambi tra i diversi paesi, numerosi episodi di colera si sono verificati in tutto il mondo. Una grande epidemia si è avuta in Egitto nel 1947, e una pandemia si è verificata intorno al 1970. Nel 1973 in Italia, dove il colera aveva fatto la sua prima comparsa nei primi decenni del 19° secolo, si sono registrati 277 casi, con 24 decessi. In alcune regioni africane la malattia ha oggi una diffusione superiore a quella delle aree asiatiche da cui è originata. L'agente eziologico della malattia, Vibrio cholerae, è un batterio a bastoncello, tipicamente incurvato a forma di virgola e con un flagello che ne assicura la mobilità; esso si sviluppa in condizioni anaerobie nei comuni terreni, anche in ambiente fortemente alcalino (pH 8,5). Se ne distinguono, su base sierologica, tre tipi. Non possiede attività emolitica, a eccezione del ceppo conosciuto come vibrione El Tor. Quest'ultimo, considerato in passato come scarsamente patogeno, è poi risultato responsabile di varie epidemie. Il biotipo El Tor ha una maggiore resistenza agli agenti fisico-chimici ed è in grado di permanere più a lungo nell'intestino dei soggetti infettati, che divengono pertanto portatori sani. L'unico serbatoio accertato del vibrione è l'uomo, anche se recenti osservazioni negli Stati Uniti e in Australia fanno ipotizzare un serbatoio ambientale. La suscettibilità alla malattia varia molto nei diversi individui, in relazione ad alcune caratteristiche organiche e socioeconomiche.

All'infezione segue generalmente un'immunità specifica, anche se di breve durata. Il vibrione raggiunge per via canalicolare l'interno dell'intestino, dove produce una esotossina di natura proteica, termolabile, che agisce sulle cellule delle mucose attivando l'adenilciclasi (enzima che trasforma l'adenosintrifosfato in adenosinmonofosfato ciclico) e determinando un aumento della permeabilità e del trasporto degli elettroliti, con conseguenti notevoli perdite, per via enterica, di acqua e ioni inorganici. Il più importante veicolo d'infezione è l'acqua contaminata da feci o vomito di malati o portatori sani; altri veicoli sono gli alimenti crudi, quali verdura e frutta, e in particolare i frutti di mare crudi o poco cotti, allevati in acque inquinate. Il contagio può prodursi anche per mezzo di mosche. Il pericolo di contagio esiste finché si eliminano vibrioni con le feci. Il periodo d'incubazione varia da poche ore a 2-5 giorni. Dal punto di vista clinico, il colera inizia con sintomi di diarrea profusa, dolori addominali, vomito, crampi muscolari, scariche di liquido con aspetto simile ad acqua di riso. Nelle forme più gravi, il grave squilibrio idroelettrico può condurre a collasso cardiocircolatorio, per cui è essenziale intervenire immediatamente con perfusioni di sali e acqua, associate a una terapia antibiotica protratta, per ridurre il rischio di persistenza del vibrione a livello intestinale. Spesso la malattia si presenta in forme più lievi e talora asintomatiche, ma pericolose in quanto produttrici di portatori cronici. L'accertamento diagnostico avviene mediante identificazione di Vibrio cholerae nelle deiezioni.

Il colera è una delle malattie 'quarantenarie', per le quali vi è obbligo d'isolamento coercitivo in ospedale e di denuncia internazionale. La profilassi diretta richiede anche l'inchiesta epidemiologica, da eseguire insieme all'accertamento di laboratorio. Importante è la quarantena per i conviventi del malato e per i soggetti comunque entrati in contatto con questo; tali soggetti devono essere sottoposti a controlli per tutto il periodo di incubazione e a chemioprofilassi con sulfamidici e antibiotici. Devono essere praticate la disinfezione continuativa delle deiezioni e della biancheria del malato, e quella terminale dell'ambiente. Tra gli interventi di prevenzione specifica si considera anche la vaccinazione, che però ha un'efficacia limitata, in quanto conferisce immunità nei confronti dell'agente eziologico, ma non della sua esotossina. La vaccinazione non previene l'infezione e il pericolo di contagio della malattia, né tantomeno riduce la gravità delle manifestazioni cliniche, per cui è ormai sempre meno richiesta.

Le grandi epidemie

di Riccardo De Sanctis

Con il termine χολέρα, che in greco antico indicava una violenta scarica di bile (χολή), i greci intendevano una malattia che si manifestava con una diarrea violenta, senza tracce di sangue, vomito continuo e contrazioni addominali. La definizione corrisponde a quella attuale, ma per i medici dell'antichità si trattava di una sindrome gastrointestinale acuta aspecifica, mentre per la medicina moderna questa diagnostica è propria di una malattia grave dovuta a infezione di Vibrio cholerae. Il termine è lo stesso, il concetto è cambiato (Grmek 1994).

Il vibrione doveva essere presente in India già in tempi remoti. In un antico testo religioso indù si fa riferimento a una malattia designata con termini che significano vomito e diarrea, mentre una delle prime descrizioni del colera si trova in un manoscritto tibetano, in sanscrito, del 9° secolo circa. Vasco de Gama accennava a una malattia con questo nome nel 1490; Gaspare Caneva la descriveva poi diffusamente una cinquantina d'anni dopo, nel 1543. È comunque certo che fin dal 16° secolo i navigatori arabi ed europei sapevano dell'esistenza, nei grandi delta dell'Asia meridionale, soprattutto presso i fiumi Gange e Brahmaputra, di una malattia a cui davano il nome greco di χολέρα (Spariani 1973). I sintomi erano sempre gli stessi e i malati morivano per disidratazione in pochi giorni, al massimo qualche settimana.

Per circa due secoli il colera venne considerato una febbre tipica dei paesi esotici, comunemente localizzata in India, finché, senza alcuna spiegazione plausibile se non l'intensificarsi dei traffici commerciali, all'inizio del 19° secolo il morbo cominciò a viaggiare. Le epidemie si susseguirono sino alla fine del secolo, toccando Asia, Europa, Africa, America del Nord e America Latina. Un calcolo preciso delle vittime è difficile e azzardato: si stima che nel secolo scorso siano morte di colera milioni di persone; secondo alcuni, dai trenta ai quaranta milioni. La prima pandemia si diffuse da Calcutta, nel Bengala, nel 1817. Da qui verso Est, via mare, contagiò le isole della Sonda, una parte dell'Indocina e poi la Cina. Si diresse quindi verso Ovest, giunse nell'isola di Ceylon e nel 1821 in Persia, forse trasportata dalle truppe inglesi che si spostavano da Bombay al Golfo Persico. Due anni dopo, seguendo la via delle carovane, arrivò alle foci del Volga. Gli enormi danni provocati dalla malattia permisero all'Impero russo di appropriarsi di vaste regioni della Persia, ma l'esercito dello zar venne contagiato e perse decine di migliaia di uomini (Ruffié-Sournia 1993). Nel 1826, una nuova pandemia si diffuse con violenza in Cina e Russia, sconvolgendo Mosca nel 1830. Passò poi per Varsavia, Vienna, Berlino, Amburgo, Londra, e all'inizio del 1832 sbarcò sulle coste settentrionali della Francia, dove fece almeno 103.000 vittime, di cui 20.000 nella sola Parigi. L'anno successivo raggiunse Stati Uniti, Canada, Messico e Cuba, nel 1834 Spagna e Portogallo, nel 1835 l'Italia, e in particolare Genova e Torino. Una terza pandemia, che durò una quindicina di anni, partì nel 1841, sempre dall'India, arrivò a Costantinopoli e da qui si diffuse a San Pietroburgo e successivamente nel resto dell'Europa. Nel 1849 le vittime in Francia furono 100.000, nel 1854 furono 145.000. Nello stesso anno il colera si propagò in Italia, prima a Genova e in Piemonte, poi a Napoli dove fece 15.000 morti, mentre a Messina le vittime furono 20.000.

Le pandemie si susseguirono, una più violenta dell'altra. La grande paura fece sì che nel 1851 venisse indetta a Parigi una Conferenza sanitaria internazionale per individuare metodi comuni di lotta contro il diffondersi della malattia; in particolare, si giunse a un accordo fra le nazioni sulle misure di quarantena. Ci si chiedeva quali fossero le cause della malattia, come la si potesse curare e, nello spirito del tempo, come fosse possibile che paesi così civilizzati come la Francia e l'Inghilterra potessero essere contaminati gravemente da un morbo proveniente dal centro dell'Asia, da paesi dove regnavano la povertà, la sporcizia, l'ignoranza. Si cercavano i responsabili, talvolta si accusava il potere politico. In Francia la popolazione, frustrata dalla rivoluzione del 1830, pensò che il potere volesse punire i repubblicani: ne nacquero violenti moti di piazza. A Parigi la prefettura fece affiggere manifesti che invitavano alla vigilanza pubblica contro possibili avvelenatori che avrebbero diffuso il morbo: fu la caccia sconsiderata all'untore, diverse persone ritenute sospette vennero massacrate. Gli stessi medici furono talvolta accusati del diffondersi della malattia: in Polonia e in Russia vennero distrutti alcuni ospedali, assassinati medici e infermieri. Le misure profilattiche erano sempre tardive e spesso insufficienti: si disinfestavano gli abiti degli ammalati nelle stufe, si lavavano le mura, i pavimenti, le latrine con disinfettanti, si appendevano al collo sacchetti di canfora, e si riteneva che pastiglie deodoranti a base di camomilla e menta fossero sufficienti a evitare il morbo. C'era grande incertezza sulle terapie: si ricorreva al solito salasso, con esiti immaginabili, trattandosi di malati completamente disidratati. Si faceva uso, oltre che di canfora, di bismuto, di oppio, spesso con bagni di vapore. In Inghilterra si faceva ricorso a più efficaci iniezioni di soluzioni saline.

Erano le condizioni d'igiene, in particolar modo nelle metropoli, che favorivano il propagarsi dell'epidemia, e soprattutto il fatto che l'acqua scarseggiasse e fosse spesso inquinata. Il primo vero passo avanti nel controllo del colera si fece, infatti, in Inghilterra nel 1854, quando il medico J. Snow dimostrò che il diffondersi dell'epidemia in un quartiere periferico di Londra era dovuto all'inquinamento dell'acqua di un'unica pompa. Ancor prima che fossero identificati i microbi come causa della malattia e si riconoscesse l'esistenza di un contagio, vennero prese misure d'igiene pubblica e nacquero le prime istituzioni con questo scopo specifico.

Sul versante scientifico, già nel 1835 un medico di Pistoia, F. Pacini, lavorando al microscopio sulla patologia del colera, si era convinto dell'azione patogena dei batteri, fra i quali vide e disegnò quel vibrione che soltanto cinquanta anni dopo sarebbe stato descritto da R. Koch come il bacillo del colera: nel 1883, mentre era in missione in Egitto, Koch stabilì senza ombra di dubbio che il 'bacillo-virgola' già individuato da Pacini (Vibrio cholerae) era il responsabile della malattia. Ma perché la sua scoperta avesse un senso bisognò attendere L. Pasteur, con la messa a punto della teoria dei germi e la conseguente rivoluzione batteriologica. Gli studi batteriologici ed epidemiologici sul colera si approfondirono durante la pandemia sviluppatasi tra il 1882 e il 1893. In quegli anni ci si pose il problema della variabilità morfologica, biologica e patologica dei vibrioni, e si scoprì che alcuni vibrioni colerigeni erano diversi da quello indiano. Nel 1884, J. Férran adoperò alcune culture batteriche come vaccino durante l'epidemia in Spagna, e nel 1892 W. Haffkine preparò dei vaccini vivi. Nel 1905, nel lazzaretto El Tor, sul Mar Rosso, venne identificato un altro vibrione, molto simile a quello di Koch. Questo batterio era conosciuto fin dal 1897, ma lo si credeva non patogeno. Le caratteristiche di Vibrio El Tor erano diverse da quelle del suo antenato: infettava meno persone e fra quelle contagiate produceva meno morti. In anni successivi, tuttavia, il colera causato dal vibrione El Tor cominciò a diffondersi nei paesi del Pacifico occidentale e nell'Asia del Sud-Est. Oggi il colera non è più così temibile come in passato, soprattutto nei paesi più ricchi, perché le moderne cure consentono di ridurre notevolmente il rischio di morte, mentre le misure di profilassi ne impediscono la diffusione con crescente efficacia.

Bibliografia

m. grmek, Les maladies à l'aube de la civilisation occidentale, Paris, Payot, 19942, p. 20.

j. ruffié, j.-c. sournia, Les épidémies dans l'histoire de l'homme, Paris, Flammarion, 19932 pp. 133 e segg.

a. spariani, Colera. Storia, diagnosi, terapia, Milano, Bietti, 1973.

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