COLONIA

Enciclopedia dell' Arte Medievale (1994)

COLONIA

A. Tomei

(lat. Colonia Ara Claudia Agrippinensium; ted. Köln)

Città della Germania (Nordrhein-Westfalen), situata sul Reno.

Archeologia e Architettura

L'oppidum romano, fondato all'epoca dell'imperatore Augusto sulla riva sinistra del fiume, fu elevato nel 50 al rango di colonia e dall'85 ca. divenne residenza dei governatori e capoluogo della provincia romana della Germania Inferior. Una nuova cinta muraria in pietra, con fossati, torri e nove porte, venne allora a racchiudere una superficie di ha 96,8 (Hellenkemper, 1975; Süssenbach, 1981; Wolff, 1993⁴). Questa cinta di mura condizionò fino al sec. 12° la storia dell'insediamento.Con la cristianizzazione - avviata a partire dal sec. 4°, epoca in cui si ricordano vari nomi di vescovi - vennero costruiti i primi edifici di culto (il duomo, St. Gereon, St. Severin, St. Ursula), che svolsero un importante ruolo per lo sviluppo topografico della città durante il Medioevo.L'avvento della dominazione dei Franchi, non ancora convertiti al cristianesimo, all'inizio del sec. 5° portò a una riduzione della popolazione e a una decadenza del centro urbano. Il pretorio romano (Precht, 1973) divenne la residenza dei locali re merovingi e proprietà dell'erario franco. L'insediamento, contrattosi all'interno delle mura, ebbe nuovamente un vescovo solo dalla metà del sec. 6°, epoca a partire dalla quale prese avvio un processo di crescita che avrebbe portato C. a diventare nel pieno Medioevo la più grande città dell'Europa settentrionale. Le strade romane, un tempo ampie, si restrinsero in misura rilevante e cessarono di essere elementi dominanti nello sviluppo urbanistico della città. La rete viaria romana, tuttavia, definita anche dagli assi determinati dalle porte urbiche, rimase alla base di quella medievale, benché ampliata da nuove direttrici (Hellenkemper, Meynen, 1979).Dall'epoca carolingia l'arcivescovo fu signore della città e consigliere di alto rango dell'imperatore e, nel pieno Medioevo, cancelliere imperiale per l'Italia; C. era contemporaneamente anche città palatina (Brühl, 1990). A partire dal tardo sec. 9°, dopo le scorrerie dei Normanni negli anni 881-882, rimangono testimonianze documentarie assai numerose (annali cittadini e imperiali; documenti ecclesiastici, comunali e privati) e dal sec. 12° - ininterrottamente fino al 1796 - si conservano documenti e libri d'archivio, quali inventari di carattere topografico e registri relativi alla proprietà, che costituiscono il più ricco patrimonio documentario topografico di cui disponga una città europea. Si conservano anche numerosi sigilli della città di epoca romanica e gotica; risale al 1388 il primo sigillo dell'Università di C. e numerosi sono anche quelli delle parrocchie e delle congregazioni (Diederich, 1980). C. godeva inoltre del privilegio di coniare moneta sin dall'epoca romana e merovingia e successivamente dall'epoca carolingia fino al 1796, quando cessò di essere libera città dell'impero (Hävernick, 1935).Il baricentro dell'insediamento, che era all'interno della cinta muraria romana, si spostò dall'età carolingia verso E, in direzione del fiume. L'isola situata di fronte alla città, sulla quale si era costruito fin dall'epoca romana, si unì progressivamente alla terraferma e il porto sul Reno posto davanti al fronte orientale delle mura romane venne sostituito da aree adibite a mercato, lunghe fino a m. 800 (forum; Altermarkt e Heumarkt, citate per la prima volta da un documento nel 988; Hellenkemper, Meynen, 1979); queste aree nel corso di un primo ampliamento della città vennero racchiuse da semplici mura in pietra (prima del 944). Nella parte occidentale della città sorse, secondo un ben preciso progetto dell'inizio del sec. 11°, il Neumarkt (novus mercatus, 1076; forum novum, 1118).La rapida crescita dell'insediamento determinò nel 1106 un secondo ampliamento di C., con il quale vaste aree situate a N, a O e a S della città vennero annesse alla cinta romana tramite mura dotate di un fossato; a questa stessa epoca risale la suddivisione in quartieri, i cui confini coincidevano con quelli delle parrocchie. Lo sviluppo economico condusse poi, a partire dal 1179, alla costruzione di una grande cinta muraria, terminata nel 1259 (terzo ampliamento), comprendente undici porte fortificate sul lato rivolto verso la campagna (Mainzer, 1973) e una nuova cinta verso il Reno, con ventidue porte più piccole, aperte lungo l'area del porto. Tale nuova cinta muraria - della quale si conservano alcune delle porte urbiche fortificate (Severinstor, Hahnentor, Eigelsteintorburg) - costituisce uno dei maggiori interventi di architettura civile dell'Europa medievale, abbracciando una superficie urbana di ha 405, comprendente quindici quartieri, ciascuno con la propria amministrazione locale.A partire dal sec. 11° le crescenti tensioni con il potere arcivescovile, conseguenti allo sviluppo demografico ed economico, condussero all'emancipazione della città sotto la guida delle famiglie più importanti, che dal sec. 12° assunsero un ruolo determinante all'interno del consiglio cittadino con due borgomastri di loro elezione. Il Rathaus (domus civium), eretto sull'antico pretorio romano, si trovava al centro di C., ma era allo stesso tempo extraterritoriale, in quanto situato nel quartiere ebraico (Kober, 1920). Dopo che nel 1288 la cittadinanza ebbe sconfitto l'arcivescovo, al quale rimasero solamente il potere ecclesiastico e quello giudiziario, C. divenne di fatto libera città dell'impero, ma la sanzione ufficiale si ebbe solo nel 1475 con un documento di Federico III.Nel 1396 al dominio delle famiglie si sostituì un nuovo consiglio cittadino, costituito dalle corporazioni e da singoli membri liberi.Le chiese parrocchiali costituivano il centro di ciascun quartiere, ma erano superate sul piano architettonico e per ricchezza dalle collegiate e dai monasteri posti nelle loro immediate vicinanze. È importante sottolineare la notevole estensione delle aree di immunità di cui disponevano collegiate e monasteri e la vicinanza di tali fondazioni con le parrocchiali (Hellenkemper, Meynen, 1979); questo fece sì che si costituissero 'famiglie di chiese', di cui si conserva un esempio nel gruppo formato dalla parrocchiale di St. Peter e dalla collegiata di St. Cäcilien.In epoca ottoniana e nella prima età salica a C. si contavano già più di venti chiese - tra nuove fondazioni e rifacimenti di modesti edifici di epoche anteriori - per la maggior parte documentate da indagini archeologiche (Kubach, Verbeek, 1976). Nei secoli seguenti, fino al Tardo Medioevo, sorsero più di duecento edifici religiosi, tra chiese, monasteri, collegiate, conventi e fondazioni a carattere caritativo. C. ebbe fin dal sec. 4° una chiesa vescovile, che si è cercato di individuare al di sotto dell'attuale duomo, visto che le ricostruzioni successive della cattedrale insistettero tutte su un unico sito. Gli scavi, condotti ininterrottamente a partire dal 1946 e i cui risultati sono stati valutati in modo controverso (Doppelfeld, Weyres, 1980; Weyres, 1987), non hanno portato nessun risultato certo in rapporto alla fase più antica. I livelli pavimentali tardoromani individuati nella metà orientale del duomo di C. potrebbero appartenere a questa prima chiesa vescovile, forse distrutta nuovamente nel sec. 5°, in seguito alla dominazione dei Franchi. Prima della metà del sec. 6° sulle rovine di questa chiesa venne eretto uno stretto edificio a navata unica con abside orientale, nel quale furono poste le sepolture di due appartenenti alla nobiltà merovingia, dotate di un ricco corredo risalente al secondo quarto del sec. 6° (Doppelfeld, Weyres, 1980, pp. 264-391); all'esterno di questo edificio sono state trovate anche altre sepolture, saccheggiate, di epoca merovingia (Hauser, 1982). Dopo la metà del sec. 6° questa piccola costruzione fu sostituita da una nuova chiesa vescovile d'impianto basilicale, che probabilmente utilizzò muri di fondazione e membrature architettoniche preesistenti. Il cantiere procedette a intervalli dalla metà del sec. 6° agli inizi del 9°, fino alla costituzione di un impianto con abside orientale, transetto occidentale con abside occidentale e paradisus anulare. Dell'arredo liturgico di questa cattedrale faceva parte, a E, un ambone circolare, più tardi sostituito da una schola cantorum.Nella seconda metà del sec. 9° (forse dopo una distruzione avvenuta nell'857 a causa di un fulmine) la cattedrale fu completamente ricostruita, a tre navate con transetto e absidi sia a E sia a O, e consacrata nell'870 (Hauser, 1991). All'epoca dell'arcivescovo Brunone (953-965), fratello di Ottone I (936-973), è documentato un ulteriore ampliamento, che portò a cinque il numero delle navate, sostituendo i precedenti muri perimetrali con un sistema alternato di pilastri e colonne (Doppelfeld, Weyres, 1980). Sul lato sud l'arcivescovo Eriberto (999-1021) eresse la cappella palatina di St. Johannes in Curia, probabilmente a due piani, di cui si conservano le fondamenta (Wolff, in Doppelfeld, Weyres, 1980, pp. 614-662). All'atrio orientale di epoca salica, di cui si sono conservate le tracce, si aggiunse alla metà del sec. 11°, sull'asse orientale della cattedrale stessa, la chiesa di St. Maria ad Gradus, di cui sono state portate alla luce le fondazioni.Contemporaneamente all'epoca romanica della cattedrale sorsero all'interno della città, in modo particolare tra il 1050 e il 1250, numerosi edifici religiosi di grande rilievo architettonico e plastico. Questo insieme di chiese, per lo più fondate su edifici preesistenti, fece di C. il centro principale dell'archittetura romanica tra il Reno e la Mosa. In seguito alla secolarizzazione, conseguente all'invasione francese della fine del sec. 18°, quarantasette chiese di epoca romanica e gotica furono profanate e distrutte; alcuni dei più significativi monumenti architettonici, tuttavia, assunta la funzione di parrocchiali, si sono conservati, benché ampiamente restaurati dopo le distruzioni della seconda guerra mondiale. La fase della ricostruzione ha portato, a partire dal 1945, ad ampie e analitiche ricerche archeologiche e storico-architettoniche.La collegiata di St. Andreas, probabilmente fondata dall'arcivescovo Brunone, conserva elementi riferibili a diverse fasi costruttive: la cripta di età salica, il corpo longitudinale e il gruppo di torri occidentali di epoca sveva, il coro allungato, il transetto e le cappelle laterali di epoca gotica.La collegiata dei St. Aposteln sorse - sul luogo di una piccola chiesa citata dalle fonti per la prima volta nel sec. 10° - a opera dell'arcivescovo Pellegrino (1021-1036) come basilica a pilastri e copertura piana, transetto occidentale, coro occidentale quadrato (innalzato sopra una cripta a quattro sostegni) e coro a terminazione rettilinea a E. In epoca sveva l'edificio subì una generale ristrutturazione, che interessò in modo particolare la parte orientale, caratterizzata dal notevole impianto triconco tardosvevo (1192), e comportò la copertura a volte dell'intera collegiata. A S della chiesa sono individuabili ancora il chiostro e gli edifici monastici, ma soltanto in pianta (Stracke, 1992).La collegiata di St. Cäcilien insisteva sulle antiche terme romane e forse, in origine, su un piccolo edificio di culto cristiano, finora non identificato, con tombe di epoca altomedievale. All'arcivescovo Villiberto (870-889) si deve la costruzione di una chiesa ad aula con coro rettangolare, ampliata notevolmente in varie fasi nel corso del sec. 10° e nell'11° dotata di una cripta a due campate divisa in cinque navate che precedeva quella sottostante il coro delle canonichesse; alla metà del sec. 12° la chiesa venne infine trasformata in un edificio a tre navate, di dimensioni sensibilmente maggiori (Kubach, Verbeek, 1976, pp. 523-527; Spiegel, 1984).St. Georg, fondazione dell'arcivescovo Annone II (1056-1075), sorse, forse nei primi anni del sec. 8°, sul luogo di un oratorio dedicato a s. Cesario, del quale sono state individuate soltanto le fondazioni; si trattava di una costruzione a tre navate, di cui non è nota però la conclusione absidale orientale. Questo edificio, completamente demolito, fu sostituito da una basilica a colonne, con una navata mediana a copertura piana, transetto e coro a terminazione tripartita a E. Sul lato occidentale venne eretto prima del 1188 un imponente fabbricato cubico, su cui doveva ergersi una torre che non fu mai portata a termine. Intorno alla metà del sec. 12° vennero voltati la navata mediana e gli spazi orientali, mentre tra i pilastri furono inserite arcate su colonne (Kubach, Verbeek, 1976, pp. 529-533).La collegiata di St. Gereon, l'ultimo grande intervento architettonico di epoca sveva a C., sorge su un complesso di carattere monumentale dell'ultimo terzo del sec. 4°, comprendente un edificio a pianta centrale coperto da cupola, un nartece voltato disposto in senso trasversale e un atrio a colonne con quattro ali (Deckers, 1982). La pianta di questo edificio, con orientamento E-O, si differenzia dalle consuete tipologie a pianta centrale di tradizione romana; sui lati nord e sud si aprivano quattro esedre di uguali dimensioni, ad andamento curvilineo, in origine disposte a E intorno a un'abside emergente più alta delle esedre, che nel sec. 11° venne distrutta per far posto a un più ampio coro; sia le esedre sia l'abside erano coperte da semicupole. L'arcivescovo Annone fece erigere un coro allungato a E, con due torri e una grande cripta, consacrato nel 1067-1069.La costruzione della collegiata femminile di St. Maria im Kapitol sulle fondazioni della cella del Capitolium romano risale al 700 circa. La chiesa, già riedificata forse in età ottoniana, nelle forme attuali è pertinente alla ricostruzione di poco anteriore alla metà del sec. 11° (consacrazione nel 1065).La parrocchiale di St. Kolumba, sorta come piccolo edificio a navata unica e abside semicircolare del sec. 7°, divenne nel sec. 9° una chiesa ad aula e infine, in epoca romanica, un edificio a tre navate, che subì vari ampliamenti, in una successione di fasi costruttive individuate tramite estesi scavi (Seiler, 1977).La chiesa di St. Maria Lyskirchen, a quanto attestano le fonti archeologiche e documentarie (a partire dal 948), era una semplice costruzione ad aula del sec. 10°, ampliata nell'11° (forse nel 1067) con una cripta o trasformata (Krombholz, 1990). L'edificio, interamente ricostruito nel 1199-1200 a tre navate con matroneo, absidi e cripta (Krombholz, 1992), venne rimaneggiato in forme tardogotiche tra il 1520 e il 1530.Sull'impianto di un complesso di horrea romani sull'isola del Reno sorse la collegiata Gross St. Martin, fondata dall'arcivescovo Brunone. Una serie di livelli pavimentali e di murature ne testimonia le varie fasi costruttive tra il sec. 10° e il 12°, prima della monumentale riedificazione (Kubach, Verbeek, 1976, pp. 572-579; Wegner, 1992).L'abbaziale benedettina di St. Pantaleon, strettamente legata alla dinastia imperiale degli Ottoni, venne anch'essa fondata dall'arcivescovo Brunone. Al di sotto della navata mediana sono state riportate alla luce le fondazioni di un ampio edificio ad aula dotato di un Westwerk, di pianta rettangolare, posto trasversalmente all'asse del fabbricato e aggettante su entrambi i lati rispetto al corpo dell'aula, che fa presumere anche la presenza di un atrio di accesso con volte su sostegni. Al di sotto del coro sopraelevato munito di abside era situata una cripta a galleria, mentre ai lati della costruzione si aprivano i bracci del transetto absidati. La consacrazione di St. Pantaleon (forse ancora privo del Westwerk) avvenne nel 980 a opera dell'arcivescovo Warinus; dopo il 984, grazie forse al determinante interessamento dell'imperatrice Teofano, venne ricostruita la cripta, ingrandito il coro, prolungate le navate e, forse, realizzato o riedificato il Westwerk. Questo importante edificio abbaziale ottoniano, forse dotato di tribuna per l'imperatore, venne ampliato tra il 1150 e il 1160 con la costruzione di navate laterali e l'inserimento di possenti pilastri lungo l'asse della navata mediana (Kubach, Verbeek, 1976, pp. 582-593; Fussbroich, 1983).Nell'area meridionale della città si ergeva la collegiata di St. Severin, di cui è documentabile lo sviluppo ininterrotto dall'epoca tardoantica. Lungo la strada della valle del Reno che conduceva a Bonn, sul sito di un ricco ed esteso cimitero romano esistente dal sec. 1°, sorsero nel sec. 4° alcune costruzioni a destinazione funeraria, tra le quali una sala absidata, ampliata verso la fine dello stesso secolo con due navate laterali (o forse ambienti annessi) e un nartece. A questo edificio si addossò sul lato ovest, nella seconda metà del sec. 6°, davanti all'abside, un atrio a Fachwerk con funzioni di atrio del coro; un'ulteriore trasformazione avvenne intorno al 700: l'atrio a Fachwerk venne distrutto e l'edificio del sec. 4° prolungato verso O e concluso da un coro rettilineo. In epoca carolingia la chiesa a tre navate con transetto venne orientata a E, mentre il coro occidentale veniva sostituito da un Westwerk; nel sec. 10° sorse infine una basilica a pilastri a tre navate con copertura piana, nartece rettangolare e coro orientale con cripta a galleria, mentre una più tarda cripta a sala conclusa a O da una confessio, ancora conservata, distrusse parte delle fondazioni precedenti. Allo stato attuale, l'edificio, consacrato nel 1237, è costituito da un insieme di fasi di età romanica e gotica, nelle quali vennero reimpiegate le pareti laterali risalenti ai secc. 9° e 10° (Kubach, Verbeek, 1976, pp. 596-603; Päffgen, 1992).La collegiata femminile di St. Ursula (fino al sec. 17° dedicata alle sante vergini) sorse su una basilica romana del tardo sec. 4°, situata al centro di una necropoli di epoca imperiale. La tradizione medievale, a partire dal sec. 10°, vi individuò il luogo del martirio della santa e delle undici vergini sue compagne, poi leggendariamente divenute undicimila; tale credenza fu avvalorata dal ritrovamento di sepolture e iscrizioni. Fino al sec. 10° la collegiata subì forse due distruzioni e numerose ricostruzioni, sempre sul modello della basilica romana a tre navate (forse separate da colonne) con abside semicircolare orientale (Sediari, 1990). Nel primo decennio del sec. 12°, nel periodo di massima intensità nella ricerca delle reliquie, nell'area della chiesa venne eretta una nuova basilica. La chiesa, tuttora conservata, fu ulteriormente rimaneggiata nei secoli successivi (Kubach, Verbeek, 1976, pp. 603-609).Le fonti e le notizie documentarie fanno risalire l'origine della collegiata di St. Kunibert al vescovo Cuniberto (sec. 7°); scavi ancora in corso hanno individuato sul sito della costruzione attuale strutture riferibili a edifici religiosi dei secc. 10° e 11° che precedettero la basilica a volte, con tre torri, del primo quarto del sec. 13° (Kubach, Verbeek, 1976, pp. 549-554).Nel quartiere ebraico, al centro della città, si trovava dal sec. 10° la sinagoga, un semplice ambiente rettangolare, forse con sostegni interni lignei, ricostruito nel sec. 12° sulle antiche fondazioni (Doppelfeld, 1959). Nelle immediate vicinanze era la mikwe, il bagno di culto ebraico, forse del sec. 10°, dotata di un pozzo profondo m. 16; la ricostruzione degli ambienti di accesso sotterranei risale al secondo terzo del sec. 12° (Doppelfeld, 1959).Non sono molti gli edifici civili di carattere pubblico che possono essere studiati attraverso testimonianze documentarie o archeologiche. Fin dal sec. 10° sul lato sud del duomo si trovava un palazzo imperiale, ricordato come palatium Coloniae nel 965 e come curtis regia nel 1075; i muri di fondazione individuati permettono di riconoscere un grandioso complesso edilizio con numerosi ambienti a sala; nel sec. 12° il palazzo imperiale fu sostituito da un palazzo vescovile, di cui si hanno testimonianze archeologiche e figurative e il cui nucleo era costituito da una sala, di epoca sveva, di m. 80 ca. di lunghezza (Hellenkemper, 1980). Alcuni edifici profani ad aula, del sec. 10°, sono stati individuati dagli scavi archeologici nel quartiere di Sankt Alban.Il nucleo romanico del Rathaus (prima metà sec. 12°) presentava una sala, detta Hansasaal, rimaneggiata nel sec. 14° in forme gotiche. A causa del continuo rinnovamento della città, si sono conservati solo pochi esempi delle abitazioni patrizie e borghesi di epoca romanica e gotica, ma alcuni sono noti grazie a scavi archeologici (Wiedenau, 1979).In età romana era situato di fronte alla città sulla riva destra del Reno il castrum costantiniano di Divitia (od. Deutz), di impianto quadrato con diciotto torri circolari e collegato a C. fin dal sec. 5° tramite un ponte. Nel 1003 l'arcivescovo Eriberto fondò, all'interno della fortificazione romana, all'epoca ancora conservata (Gechter, 1989), un'abbazia benedettina con una chiesa a pianta circolare, articolata da nicchie determinanti all'interno un impianto ottagonale, presumibilmente coperta da una volta a spicchi e dotata a O di un nartece con copertura a botte e torri laterali (Vorromanische Kirchenbauten, 1991).Agli inizi del Quattrocento risalgono le prime vedute di C. (conservate su tavole o nelle cronache), che mostrano tutte la città di prospetto o a volo d'uccello e vista da E, oltre il Reno (Borger, Zehnder, 1982).

Bibl.:

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Letteratura critica. - L. Ennen, G. Eckertz, Quellen zur Geschichte der Stadt Köln, 6 voll., Köln-Neuss 1860-1879 (rist. Aachen 1970); Die Kunstdenkmäler der Stadt Köln, a cura di P. Clemen, 8 voll., Düsseldorf 1906-1937 (rist. anast. 1980); H. Keussen, Topographie der Stadt Köln im Mittelalter, 3 voll., Bonn 1910 (rist. anast. Düsseldorf 1986); H. Rahtgens, Die Kirche St. Maria im Kapitol zu Köln, Düsseldorf 1913; A. Kober, Grundbuch des Kölner Judenviertels 1135-1425 (Publikationen der Gesellschaft für rheinische Geschichtskunde, 34), Bonn 1920; W. Hävernick, Die Münzen von Köln, Köln 1935; P. Clemen, Die Kunstdenkmäler der Stadt Köln. Der Dom zu Köln (Die Kunstdenkmäler der Rheinprovinz), Düsseldorf 1937; E. Hegel, Die Entstehung des mittelalterlichen Pfarrsystems der Stadt Köln, in Kölner Untersuchungen. Festgabe zur 1900-Jahrfeier der Stadtgründung, a cura di W. Zimmermann (Die Kunstdenkmäler im Landesteil Nordrhein, 2), Ratingen 1950, pp. 69-89; F. 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L'architettura di età salica a C. e in buona parte della regione circostante è legata alla famiglia del conte palatino Ezzone, della quale erano membri, tra gli altri, l'arcivescovo Ermanno II (1036-1056), la badessa Ida e la regina di Polonia Richeza. È però con l'arcivescovo Annone II (1056-1075) che l'architettura di età salica raggiunse a C. il suo massimo sviluppo, tanto che tale periodo viene spesso indicato negli studi come età di Annone: pur proseguendo e sviluppando le premesse dell'età degli Ottoni, l'edilizia del sec. 11° introdusse forme nuove, derivate da altre regioni o create nella città stessa.St. Maria im Kapitol, il monumento più significativo di quest'epoca, appare una originale sintesi delle tendenze decorative anticheggianti dell'architettura ottoniana, di cui costituisce l'aspetto 'rivoluzionario' (Jantzen, 1947; Grodecki, 1958); d'altra parte, però, rispetto ai contemporanei monumenti di Essen e Werden, dai quali pure in parte dipende, sembra inserirsi all'interno dell'architettura salica per i suoi legami con la prima fase del duomo di Spira (Kubach, Verbeek, 1976-1989, IV); la chiesa determinò uno stile, in pianta e nella decorazione, a cui gli architetti della regione, e in particolare di C., restarono a lungo fedeli e che, pur nelle innumerevoli variazioni, caratterizzò in senso conservatore le realizzazioni architettoniche della città fino all'inizio del 13° secolo. L'edificio, consacrato da Annone nel 1065, appare frutto di un progetto unitario: a un corpo longitudinale a tre navate venne unito un coro a pianta centrale costituito da un ampio triconco i cui tre lati - riuniti intorno a un incrocio quadrato - sono fiancheggiati da un colonnato che si riunisce ai pilastri divisori della navata, a creare una sorta di ambulacro lungo tutto il perimetro della chiesa, una soluzione che appare derivata dalla distrutta abbazia di Stavelot (Belgio), di poco precedente. Il corpo longitudinale - con navata centrale in origine non voltata - era diviso da larghi pilastri 'ritagliati nella parete' (Kubach, Verbeek, 1984), decorato da semplici arcate cieche e concluso da un Westbau tripartito (non è chiaro se già nel sec. 12° questo emergesse in altezza, come avviene nell'edificio attuale), con tribuna separata dalla navata da una balaustra a tre livelli analoga a quelle della Cappella Palatina di Aquisgrana, e che forse sostituì un precedente Westbau dell'epoca di Brunone (953-965), con possibile riutilizzo di capitelli precedenti (Meyer-Barkhausen, 1952b; Krings, 1984b). La cripta 'a sala', con terminazione interna poligonale, affiancata da due corpi annessi e con cappelle in spessore di muro, riprende quella di Spira.All'episcopato di Annone risalgono inoltre la fondazione o il restauro di una serie di chiese, a C. o nei dintorni, di grande importanza per lo sviluppo artistico della regione. Oltre all'edificazione del monastero di Siegburg presso Bonn deve essere ricordato l'ampliamento di St. Gereon.Dopo l'epoca di Annone l'attività edilizia a C. si interruppe, a causa soprattutto delle lotte tra gli arcivescovi e la città, con l'unica eccezione dell'oratorio Sancta Crucis et duodecim Apostolorum, presso St. Pantaleon, consacrato nel 1094, a pianta centrale, forse coperto a botte (Mühlberg, 1961-1962). La ripresa si ebbe con la ricostruzione di St. Ursula, nel secondo quarto del sec. 12°: la chiesa presentava una concezione arcaica dello spazio, ancora 'a scatola', con impianto basilicale (a pilastri) a copertura piana e transetto basso; il coro allungato, sebbene trasformato in età gotica, risale all'edificio originario e si inserisce nella tradizione locale (St. Gereon, St. Severin). Di notevole interesse è la presenza del matroneo - il primo in area renana -, adottato in seguito a C. nel perduto St. Johannes Baptist e in St. Maria Lyskirchen; diversamente da quelli normanni del sec. 11°, ai quali è stato ricondotto, esso articola soltanto superficialmente la parete, senza intaccare - a causa dell'uniformità dei pilastri - lo spazio dell'edificio (Mühlberg, 1970; Künstler, 1984). A St. Ursula compare inoltre un nuovo tipo di corpo occidentale, l'atrio sormontato da un'unica torre centrale, che l'avvicina al perduto St. Mauritius, pressappoco coevo, il primo edificio di C. a presentare volte a crociera costolonate nella navata centrale unite al sistema alternato (Fussbroich, 1984).Con la consacrazione della cappella a pianta centrale di Schwarzrheindorf presso Bonn, avvenuta nel 1151 a opera di Arnoldo di Wied, arcivescovo di C., si assiste nella città e nell'area da essa dipendente a uno sviluppo architettonico che, appena influenzato nella prima metà del sec. 13° dal Gotico, rimase sostanzialmente fedele alle forme, alle icnografie e alla concezione della parete elaborate nel sec. 11°, sino alla frattura totale con la tradizione romanica operata invece dalla ricostruzione del duomo.Nonostante l'atteggiamento conservatore, l'architettura di quest'epoca - il grande secolo dell'architettura di C., secondo l'espressione di Meyer-Barkhausen (1952a) - non mancò di creare veri e propri capolavori e di presentare soluzioni che si impongono per originalità nel contesto europeo.Tra il 1151 e il 1156 con la rielaborazione del coro di Annone a St. Gereon fu creata una Chorfassade (contemporanea a quella analoga del duomo di Bonn), che costituì, fino al tardo esempio di St. Severin (1237), una forma peculiare dell'architettura romanica renana, caratterizzata da un coro, suddiviso in tre piani e coronato da una galleria nana e chiuso da due torri, che rimanda al Medio Reno (duomo di Spira e duomo di Magonza, fine sec. 11°-inizio 12°), dove tuttavia l'articolazione della parete era soltanto verticale. D'altra parte un modello per la soluzione di St. Gereon si può individuare anche nel coro occidentale del duomo di Treviri (sec. 11°), nel quale mancavano sia la compattezza del gruppo torriabside sia l'effetto chiaroscurale della facciata dell'edificio di Colonia. Per lo straordinario risalto plastico la Chorfassade si distingue tanto dalle coeve facciate a schermo italiane quanto da quelle a due torri francesi.Alla consacrazione del 1172 va fatto risalire il triconco di Gross St. Martin, che riprese in forme semplificate quello di St. Maria im Kapitol, mediato dalla cappella di Schwarzrheindorf, imponendo nuovamente a C. la pianta 'centralizzata'. Gross St. Martin era tuttavia un'architettura nuova: sia all'esterno, per il serrato gruppo delle quattro torri impostate agli angoli delle tre absidi che si addossano alla torre centrale (analoghe per la strutturazione della parete a quelle di St. Gereon), sia per la modulazione dell'interno, dove il suggestivo ambulacro presente a St. Maria im Kapitol è sostituito da una parete articolata in due piani di arcate, con un passaggio all'altezza delle finestre che diventa nella navata vero e proprio triforio (Kubach, 1934). Questa concezione della parete costituita da due strati di muratura, che si aprono all'esterno e all'interno tramite arcate, nicchie, passaggi a muro, gallerie nane, a evidenziare l'intercapedine posta tra le due cortine o semplicemente a sottolineare la costruzione a 'doppio strato' della muratura, se può ricordare soluzioni analoghe dell'architettura gotica, permise tuttavia agli architetti di Gross St. Martin e delle coeve costruzioni renane una più razionale distribuzione delle forze, senza che il muro perdesse il suo carattere di chiusura (Zimmermann, 1950). È stata a lungo dibattuta la priorità di progettazione del triconco di Gross St. Martin rispetto a quello dei St. Aposteln, che però va ritenuto successivo (Zimmermann, 1950; Meyer Barkhausen, 1952a); in effetti, nonostante le analogie esistenti tra i due edifici - all'esterno, l'articolazione dell'abside su due piani, i fregi lisci e la galleria nana, il carattere unitario di abside e torri scalari e, all'interno, l'articolazione della parete -, l'architettura dei St. Aposteln ha un aspetto più misurato e 'classico'. Meno serrato vi è infatti il gruppo del tiburio e delle torri angolari, che non si addossano alla centrale, e più matura la decorazione plastica dell'interno (Meyer Barkhausen, 1952a).Tra la metà del sec. 12° e gli inizi del Duecento importanti interventi interessarono anche St. Maria im Kapitol. Dapprima furono ricostruite le parti superiori delle conche nord e sud; quindi, nel primo decennio del sec. 13°, venne rielaborata sul modello dei St. Aposteln l'abside orientale, con arcature cieche e galleria nana all'esterno, mentre all'interno si adottò il passaggio all'altezza delle finestre e, all'incrocio del triconco, fu eretta una cupola su pianta ellittica (Krings, 1984b). Tra le grandi imprese dell'architettura romanica fino alla metà del sec. 13° deve essere ricordato St. Kunibert, che presenta a E il gruppo delle torricoro, derivato da St. Gereon, unito a una Chorhalle orientale, esemplata su quelle occidentali diffuse all'epoca tra Reno e Mosa (St. Viktor a Xanten, S. Servazio a Maastricht, S. Bartolomeo a Liegi). Tale associazione costituisce una soluzione originale dell'architettura di epoca sveva, mentre il corpo longitudinale, così come il Westbau, dipende invece dalla chiesa dei St. Aposteln.L'ultima grande creazione dell'architettura romanica coloniense e renana in genere è il decagono di St. Gereon, in cui si rivela chiarissima la capacità creativa e innovativa degli architetti di C., all'interno tuttavia della tradizione. Nel 1219, constatate le condizioni di precarietà statica della chiesa tardoantica, se ne decise una ricostruzione che conservasse l'impianto centrale e la struttura, inglobata nella muratura duecentesca. L'edificio, con un alzato a quattro piani impostato sulle esedre tardoantiche (piano delle arcate, matroneo, passaggio all'altezza delle finestre piccole assimilabile a un triforio e finestre alte), unificato da pilastri che proseguono nei costoloni della volta, è stato avvicinato all'architettura gotica francese, in particolare a Reims (Branner, 1971), per alcune particolarità come i contrafforti, l'alzato a quattro piani (nuovo per C.), il passaggio a muro, l'uso della tracery e lo slancio verticale (m. 34,55), che raggiunge l'altezza media delle cattedrali francesi tra 12° e 13° secolo. Il rifacimento di St. Gereon costituisce indubbiamente in qualche modo il passaggio dal sistema a parete, proprio dell'architettura romanica renana, a quello 'a struttura portante' dell'architettura gotica (Meyer Barkhausen, 1952a) e rappresenta un prototipo delle costruzioni gotiche a pianta centrale (Götz, 1968), come, nella stessa C., St. Heribert a Deutz (nella riedificazione del 1382-1389). St. Gereon è tuttavia ancora pienamente romanica nelle forme: all'esterno, il decagono, nonostante il profilo acuto delle finestre, riprende la suddivisione in piani coronata da galleria propria dei triconchi.In St. Gereon, pur nelle affinità con le architetture gotiche francesi, non si poté o non si volle operare quella frattura con l'architettura romanica renana che venne invece attuata nelle chiese dei Domenicani (a C. dal 1221) e dei Francescani (dal 1229) e nella costruzione del nuovo duomo.Perduto è l'edificio domenicano (Heiligkreuz), a tre navate, iniziato nel 1229, terminato nel 1241 e dotato nel 1271 di un nuovo coro, costituito da un impianto a tre navate a due campate e da un coro alto di una campata e terminazione poligonale (5/10); è invece conservata la Minoritenkirche, St. Maria Empfängnis, iniziata nel 1248 (contemporaneamente al duomo) a partire dal coro, terminato nel 1260. Verbeek (1950) aveva ipotizzato una primitiva sistemazione 'a sala' dell'edificio - attualmente in forme basilicali -, impianto che lo avrebbe ricondotto, anche per le forme del coro (per es. la tracery), alla Elizabethkirche di Marburgo. In realtà non sono concordemente accolte né l'ipotesi della ricostruzione 'a sala' né l'analogia con Marburgo: la Minoritenkirche è stata di recente ricollegata a S. Francesco di Bologna e, per altri aspetti, alla Liebfrauenkirche di Treviri (Schenkluhn, 1985). È certo comunque che al coro lungo della Minoritenkirche - oltre che a quello del duomo - si deve il passaggio decisivo dal Romanico al Gotico a C.: esso non costituisce un'opposizione al coro da cattedrale, bensì la sua geniale sintesi (Schenkluhn, 1985) ed ebbe larga diffusione non soltanto tra le chiese degli Ordini mendicanti, ma anche in altri edifici, come testimoniano nella stessa C. il coro di St. Andreas, in costruzione dal 1420 (Kahle, Kahle, 1984), e quello di St. Ursula, dell'ultimo quarto del sec. 13° (Künstler, 1984).Del tutto nuovo era anche il progetto per il duomo - attribuito al maestro Gerhard, tedesco formatosi in Francia -, che può essere considerato l'ultima delle cattedrali classiche e l'unica al di fuori della Francia (Kurmann, 1979-1980). Per la pianta e per le forme particolari (la tracery e le modanature dei costoloni), ma anche per le sue enormi proporzioni, essa riprende la cattedrale di Amiens (Pfitzner, 1937), il cui stile è tuttavia mediato dal Gotico rayonnant, in particolar modo dalla Sainte-Chapelle (Branner, 1965), cui il coro di C. non deve soltanto la propria eleganza, ma anche la forma delle finestre delle navatelle. Così, se il duomo di C. può essere considerato come un progresso all'interno della 'famiglia' di Amiens, ciò è dovuto alla maturazione del progetto alla luce dello stile di corte parigino. Più legato alla tradizione tedesca era invece il cantiere; se infatti per il duomo venne usata una pietra dura, squadrata in blocchi di dimensioni molto maggiori e più regolari che nelle chiese romaniche della città, le tecniche di costruzione si differenziarono da quelle francesi: le maestranze di C., legate ai metodi costruttivi renani, mal si adeguarono al sistema del 'prefabbricato', a cui pure giunsero intorno al 1170 non senza qualche incertezza (Kimpel, 1979-1980).Gerhard non poté vedere il compimento del progetto e Arnoldo di Wied dovette succedergli come capomastro intorno al 1260, quando erano già completate la cappella assiale e la cappella dedicata a s. Giovanni; si proseguì quindi fino a voltare il deambulatorio e nel 1277 venne portata a termine la sagrestia (sala del capitolo o cappella del Sacramento), ambiente a pianta centrale vicino alle sale capitolari inglesi. Nel 1300, completato il coro, si iniziò la facciata ovest a due torri. L'adattamento della facciata a un impianto a cinque navate introduceva un problema di difficile soluzione: si impostò ciascuna torre sulle prime due campate di ciascuna coppia di navate laterali, ottenendo così una base ampia, che necessitava di un notevole sviluppo in altezza perché le proporzioni non risultassero troppo massicce. La torre sud, costruita a partire dal 1325 e sostanzialmente completata all'inizio del Quattrocento, rappresentò per l'architettura gotica tedesca - ma anche per la scultura - un vero e proprio 'corso di formazione': legata alla Francia sul piano costruttivo, nella decorazione plastica invece presenta già gli stilemi parleriani, poiché numerosi membri della famiglia Parler furono attivi al duomo nel corso del sec. 14° (Der gotische Dom in Köln, 1986). Per tutto il Tardo Medioevo si procedette secondo un progetto ormai superato e il duomo doveva apparire già arcaico rispetto alle contemporanee realizzazioni in area tedesca: almeno fino al maestro Johannes di Frankenberg (noto fino al 1491), non si seguì il concetto di modernitas, adottato generalmente negli edifici medievali, bensì quello di conformitas, dovuto alla particolare importanza della costruzione.

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Scultura

La storia della scultura di C. durante il Medioevo è strettamente legata alle vicende della cattedrale. È il caso anche dell'opera più antica e prestigiosa della produzione plastica coloniense, il monumentale crocifisso ligneo dell'arcivescovo Gerone (969-976), che si trovava nel duomo, dove era collocato in posizione centrale di fronte al sepolcro dell'arcivescovo (attualmente si trova come immagine miracolosa su un altare barocco nella cappella della Croce). La sua datazione a un periodo anteriore al 976, anno di morte di Gerone, è stata spesso discussa, ma risulta confermata dall'indagine dendrocronologica (Das Gero-Kreuz im Kölner Dom, 1976). L'opera, che rappresenta Cristo morto con i segni della sofferenza (Haussherr, 1963), costituì una novità nell'ambito della scultura ottoniana e, come un'icona, dovette esercitare una grande influenza sulla scultura di C. dei secoli successivi. Per questo capolavoro sono stati indicati modelli bizantini, romani e carolingi, senza tuttavia riuscirne a spiegare in maniera convincente lo stile ineguagliabile: la sua qualità tecnica ne attesta l'esecuzione in un momento già assai evoluto dello sviluppo dell'arte plastica. Paragonabile al crocifisso è una coeva Madonna del sec. 10° rivestita in oro (Essen, Münsterschatzmus.), anch'essa realizzata probabilmente in una bottega di C. (Haussherr, 1973, p. 391).Le opere conservate inducono a ritenere che l'immagine di Cristo sulla croce, derivante dal crocifisso di Gerone e recepita in modi diversi, costituisse il tema centrale della produzione plastica del sec. 11°, legata soprattutto all'attività dell'arcivescovo Annone (Monumenta Annonis, 1975, p. 133ss.). La più nota testimonianza della scultura salica a C. è il crocifisso ligneo proveniente da St. Georg (Schnütgen-Mus.), da porre probabilmente in relazione alla consacrazione della chiesa, avvenuta nel 1067 (Monumenta Annonis, 1975, p. 135). Rispetto alle forme organiche del crocifisso di Gerone, in quello di St. Georg risaltano la stilizzazione, la rigidità e la durezza proprie di quest'epoca di passaggio all'arte romanica e corrispondenti allo spirito della rigorosa riforma della Chiesa attuata all'epoca di Annone (Legner, 1975); tali caratteristiche appaiono ancora più evidenti nel crocifisso ligneo di St. Martin di Benninghausen (1070-1080), che costituisce di fatto la copia più fedele di quello di Gerone (Monumenta Annonis, 1975, p. 137).Allo stile severo delle grandi croci citate si contrappone decisamente quello della porta lignea di St. Maria im Kapitol. Eseguita certo prima del 1065, anno di consacrazione dell'edificio, essa rappresenta in un fresco stile narrativo la Vita di Cristo e costituisce - anche per la vivace policromia, ancora oggi ben conservata - un testo figurato di carattere popolare (Ornamenta Ecclesiae, 1985, II, p. 332ss.). Le piccole figure della porta evidenziano però, nonostante la diversità delle dimensioni, una vicinanza stilistica non trascurabile con il crocifisso di St. Georg.La lacuna che si evidenzia nella produzione plastica di C. a partire dal 1080 ca. appare una conseguenza delle lotte per le investiture e dei conflitti conseguenti all'emergere del ceto borghese (Niehoff, 1985). Assai scarse sono le testimonianze conservate della produzione plastica coloniense fino alla prima metà del sec. 12° (Haussherr, 1973, p. 395ss.); soltanto dopo la metà del secolo sembra avviarsi una nuova fase di sviluppo della scultura, in coincidenza con l'edificazione delle chiese romaniche della città. La questione degli esordi della scultura romanica a C. - per la quale si erano ipotizzati gli anni 1130-1140 oppure 1150-1160 - si è risolta a favore della datazione più tarda. La varietà delle opere conservate, che oggi costituiscono solo parte di una produzione plastica basata su solide tradizioni, non permette tuttavia di stabilire per esse una cronologia, né assoluta né relativa. Tra le opere importanti realizzate a C. nel periodo compreso tra il 1160 e il 1190 vanno ricordate la singolare Madonna di Siegburg e le lunette dei portali di St. Cäcilien e di St. Pantaleon oggi allo Schnütgen-Mus. (Ornamenta Ecclesiae, 1985, II, pp. 304, 355); ancora in situ si trovano invece in St. Maria im Kapitol una Vergine Eleúsa stante e la lastra tombale di Plektrudis (m. dopo il 717), fondatrice della chiesa, e nell'abbaziale di St. Nikolaus und Medardus a Brauweiler un retablo in pietra; la recinzione del coro di Gustorf è invece conservata a Bonn (Rheinisches Landesmus.).Tra le numerose sculture lignee riferite dagli studiosi alle botteghe di C. devono essere ricordate le figure, di grande qualità, di un angelo in trono (Berlino, Staatl. Mus., Pr. Kulturbesitz, Skulpturengal.) e di una pia donna (Esztergom, Keresztény Múz.; Niehoff, 1985), provenienti da un Ostergrab (gruppo delle Pie donne al sepolcro), oltre alla Madonna di Hoven, della stessa bottega (Zülpich-Hoven, monastero di Marienborn; Ornamenta Ecclesiae, 1985, II, p. 378). Nonostante la loro varietà, le opere del periodo romanico sono caratterizzate da forme rigide e robuste, nonché da una vicinanza ancora notevole ai modelli romani o bizantini.Sugli scultori di C. sembra aver esercitato un'influenza continua l'oreficeria, almeno nella seconda metà del sec. 12° e agli inizi del 13°; è il caso per es. della Madonna in trono del retablo di Brauweiler, che presenta notevoli analogie con quella raffigurata sul lato frontale della cassa-reliquiario di s. Eriberto (Deutz, Neu St. Heribert, Schatz), o del panneggio geometrico e piatto di altre statue della Vergine (Aquisgrana, Suermondt Ludwig Mus.; Bonn, Rheinisches Landesmus.), ispirato alla lavorazione a sbalzo del reliquiario di s. Maurino in St. Pantaleon (Schatz; Schnütgen-Museum, 1989, p. 23).La produzione plastica a cavallo del sec. 13° è documentata principalmente da sculture eseguite in pietra, come per es. alcuni rilievi con un suonatore di viola, un danzatore e un angelo annunciante conservati allo Schnütgen-Mus. (Ornamenta Ecclesiae, 1985, II, pp. 384-388). Da notare è la crescente tendenza alla resa del panneggio in forme antichizzanti, sulla base della netta influenza della produzione orafa. Accanto a opere realizzate nel c.d. Muldenfaltenstil, come per es. la Madonna con cristallo di rocca allo Schnütgen-Mus. (Schnütgen-Museum, 1989, nr. 14), ne compaiono anche altre strettamente imparentate con gli sbalzi del reliquiario dei re Magi nel duomo, come per es. la Madonna di Aquisgrana, realizzata intorno al 1230, oggi allo Schnütgen-Mus. (Schnütgen-Museum, 1989, nr. 15), nella quale la ricezione dell'Antico di Nicola di Verdun appare tradotta in scultura.La fase di passaggio dal Tardo Romanico alle forme nervose e più decisamente organiche del Gotico, che in altre regioni artistiche è possibile seguire, ha lasciato a C. poche tracce. Soltanto per la seconda metà del sec. 13° si conserva un maggior numero di sculture, ma si deve tenere presente l'incremento delle importazioni dalla vicina Francia.Nel 1248 venne posta la prima pietra della nuova cattedrale gotica. Il grande cantiere, orientato verso direttive formali francesi, dovette impiegare anche maestranze provenienti dalla Francia, che diedero un nuovo indirizzo al gusto locale. Le prime sculture conservate pertinenti a questa nuova cattedrale, risalenti al 1260 ca. - quali un gruppo della Vergine con un santo (conservato nel deposito) e soprattutto la figura giacente in bronzo del fondatore del duomo, l'arcivescovo Corrado di Hochstaden (1238-1261), nella cappella di S. Giovanni -, presuppongono la conoscenza delle più recenti innovazioni stilistiche francesi (Legner, 1973; Bergmann, Lauer, 1984). È il caso anche di alcune contemporanee immagini della Vergine, come la c.d. Madonna su trono largo dello Schnütgen-Mus. (Schnütgen-Museum, 1989, nr. 34), che può essere accostata alla figura giacente di Corrado, o come un'altra grande Madonna in trono dello stesso museo (Schnütgen-Museum, 1989, nr. 33), che per qualità non è inferiore a opere parigine. Furono invece importate direttamente dalla Francia sculture quali la Madonna di St. Severin o gli stalli del coro di St. Gereon, perduti durante la seconda guerra mondiale (Suckale, 1979-1980, p. 251). In una fase di poco precedente, a partire dal 1260 ca., è possibile individuare l'attività di una bottega di C. detta del 'gruppo stilizzato', alla quale appartengono, oltre a figure della Vergine, quali la Madonna di Ollesheim e quella di Kendenich nello Schnütgen-Mus. (Schnütgen-Museum, 1989, nrr. 32, 35), anche un monumento funebre nell'abbaziale di Maria Laach e soprattutto i più antichi busti-reliquiario di legno conservati, un tipo di produzione artistica che appare peculiare di C. (St. Ursula, Goldene Kammer; St. Andreas; Schnütgen-Mus.). Caratteristici di questa prima scultura gotica sono un'impostazione dei corpi ancora rigida e i tratti del volto fortemente stilizzati, che indicano come l'idioma stilistico francese si fosse innestato sul carattere ieratico della tradizione locale.Nei decenni successivi, fino al 1320 ca., la scultura delle botteghe di C. continuò ad avere una propria specificità, contraddistinta da uno stile fresco e immediato. Spesso perdurarono elementi dell'antica tradizione nelle forme, non ancora unitarie, dello zoccolo, così come anche nell'atteggiamento rigidamente frontale delle figure sedute oppure nella presenza del drago sotto i piedi della Vergine. Appartengono al periodo compreso tra la fine del sec. 13° e gli inizi del 14° la Madonna di Füssenich nel duomo di C., la Madonna da St. Johann Baptist dello Schnütgen Mus. e la Vergine della collegiata di Münstereifel, mentre a epoca posteriore può risalire la Madonna in trono in St. Martin a Drove (Schnütgen-Museum, 1989, p. 26). Nello stile delle botteghe cittadine cambiamenti radicali intervennero intorno al 1320, epoca in cui dovette affermarsi la produzione delle Madonne in trono e dei busti-reliquiario noti come coloniensi.Il passaggio dalle opere della seconda metà del sec. 13°, lavorate ciascuna con proprie peculiarità, a una produzione dalle caratteristiche unitarie fu determinato naturalmente dal cantiere del duomo.La produzione destinata alla ricca decorazione plastica del coro del duomo, realizzata dal 1290 al 1315 ca., non sembra peraltro avere esercitato subito una diretta influenza sulla scultura di Colonia. Le figure sui pilastri dell'ambulacro rivolte verso il presbiterio, un insieme comprendente i dodici apostoli, Cristo e Maria coronati da angeli musicanti su baldacchini, benché stilisticamente francesi, influenzate notevolmente dalla scultura di Reims, furono realizzate totalmente nel cantiere di C. (Suckale, 1979-1980). Analoga, dal punto di vista stilistico, è la Mailänder Madonna, in legno, nella cappella della Vergine. Di poco posteriori, del 1300 ca., sono le sculture dei portali della recinzione del coro, il seggio dei diaconi (Dreisitz) e il pulpito, opere che, eliminate in epoca barocca, sono state ritrovate nel corso degli scavi effettuati nel duomo (Verschwundenes Inventarium, 1984). Costruite le finestre del cleristorio, nel 1300 il coro del duomo doveva essere terminato; a quel periodo dovrebbero risalire anche la gigantesca cattedra in legno di quercia e l'altare maggiore.Nonostante il forte orientamento verso le nuove tendenze stilistiche francesi e la presenza nel duomo di maestranze provenienti dalla Lotaringia (altare maggiore) e da Parigi (stalli del coro), fu importante anche l'apporto delle botteghe locali (Bergmann, 1987); infatti, verso la fine della fase di costruzione del coro si era costituito uno stile del tutto particolare, frutto di una commistione di valori formali della tradizione di C. e della Lotaringia. Le analogie tra gli stalli, datati tramite la dendrocronologia al 1308-1311 (Bergmann, 1987), e l'altare maggiore, realizzato in marmo bianco e nero, sono tali da far pensare a una realizzazione contemporanea. Intorno al 1315 la produzione plastica destinata alla decorazione del coro del duomo ebbe termine. Gli artisti che intagliarono gli stalli e che scolpirono l'altare maggiore, specializzati quindi sia nella scultura in pietra sia nell'intaglio ligneo, dovettero nella fase immediatamente successiva creare una serie di monumenti funebri nei dintorni di C.: nella Elizabethkirche a Marburgo uno doppio e uno singolo per i langravi di Assia, nella Neustädter Marienkirche a Bielefeld un doppio monumento funebre e il pontile, a St. Johannes a Kappenberg il monumento dedicato al fondatore e una Madonna in trono in pietra, a Caldern un crocifisso (Hamann, Wilhelm-Kästner, 1929; Bergmann, 1987). L'impressione di una tendenza alla realizzazione in serie, apparsa già in nuce nelle figure marmoree della mensa dell'altare maggiore e in quelle degli stalli del coro, si rafforza sensibilmente nei pleurants dei monumenti funebri; il tipo di veste che si venne sviluppando in queste tombe era destinato a rimanere in uso nella scultura di C., accanto alla ripresa di forme dalle prime figure dei pilastri del coro, fino a oltre la metà del secolo. Tra le opere prodotte nella cerchia diretta degli artisti attivi sul cantiere del duomo sono da ricordare anche alcune sculture lignee, quali S. Lorenzo a Verviers (Mus. Communal) e S. Albino in Saint-Aubin a Bellevaux-Ligneuville (Rhein und Maas, 1972-1973, I, nrr. N 15-16), entrambe esportate dal Belgio in area mosana, e inoltre un S. Pietro nell'abbazia di Heisterbach, oggi allo Schnütgen-Mus. (Schnütgen-Museum, 1989, nr. 53). A questo contesto deve essere ugualmente ricondotta la figura giacente dell'arcivescovo Brunone nell'abbazia cistercense di Altenberg (Bergmann, 1990).Lo stile sviluppatosi nel cantiere del duomo di C. caratterizzò dunque una vasta produzione plastica, che rafforzò la posizione della città quale metropoli artistica al centro di un'ampia area di influenza, come si può dedurre dalla diffusione delle sculture prodotte nel 14° secolo. Fondamentale per lo sviluppo delle botteghe della città fu inoltre il rinvenimento di numerose reliquie, principalmente delle vergini martiri compagne di s. Orsola, che dovevano essere conservate in appositi reliquiari e che spesso venivano esportate in busti-reliquiario. Mentre in età romanica per custodirle si realizzavano casse o reliquiari in metalli nobili oppure in osso, meno costoso, dal 1270 ca. vennero prodotti bustireliquiario in legno che nel corso del Trecento ebbero grande diffusione. Secondo le fonti un numero enorme di reliquie fu ritrovato ed esportato da C. e busti raffiguranti le vergini martiri giunsero fino in Italia, nelle Fiandre e in Francia. Nelle stesse botteghe furono eseguite inoltre numerose Madonne e figure di santi - anch'esse talvolta con funzione di reliquiari - esportate principalmente lungo il Reno, in direzione N e S, nell'intera regione dell'Eifel e soltanto in scarsa misura in Vestfalia. Allo stato attuale delle ricerche sono stati individuati per quest'epoca ca. duecentoventi busti, cento statue della Vergine e quaranta di santi e vescovi, cui devono aggiungersi alcuni altari a sportelli con figure e busti-reliquiario, il c.d. Klarenaltar nel duomo di C., quello di Marienstatt e il grande altare a sportelli della Liebfrauenkirche a Oberwesel.Nella scultura lignea di C. della prima metà del sec. 14° si utilizzava quasi esclusivamente il noce, in sostituzione del legno di quercia, molto usato in precedenza. Caratterizzano questa scultura gli incarnati naturalistici a colori vivaci e, nelle Madonne, la resa detta 'ideale', che prevedeva la doratura delle vesti e l'inserzione di bordure ornate di pietre. In maniera analoga venivano realizzati i busti-reliquiario, dagli incarnati naturalistici e dalle vesti riccamente lavorate a punzone e decorate di pietre (Schnütgen-Museum, 1989, p. 100ss.). Sono scarse le datazioni sicure che potrebbero consentire di ordinare cronologicamente questo materiale. Il punto di partenza dell'intera produzione, ovvero la datazione delle sculture del duomo, è stato stabilito mediante l'analisi dendrocronologica, purtroppo effettuabile soltanto per il legno di quercia. Nel caso dell'altarolo detto Kleiner Dom (Monaco, Bayer. Nationalmus.), singolare per tipologia ma stilisticamente affine agli altari a sportelli della produzione coloniense, questa ne ha fissato la realizzazione in un momento sicuramente successivo al 1350 (Hilger, Goldberg, Ringer, 1985). Nello stesso gruppo di opere si può individuare una fase tarda dello stile della scultura di C. alla metà del sec. 14° e nel periodo successivo. Ulteriori elementi di datazione si ricavano dalle fonti storiche: alcuni busti-reliquiario nella Goldene Kammer di St. Ursula - che ne conserva centoventi, ovvero la maggior parte di quelli pervenuti - possono essere datati in base alla tradizione relativa al ritrovamento delle reliquie che ciascuno contiene; per altri si sono conservati gli stemmi dei donatori, che permettono di ordinarli cronologicamente. Un importante criterio di datazione deriva inoltre dallo studio delle tecniche di esecuzione, che, specialmente nei busti, ma anche nelle Madonne, subirono nel corso dei decenni un'evoluzione. Grazie a questi punti di riferimento è possibile stabilire una cronologia approssimativa delle opere di scultura di C. della prima metà del sec. 14°, epoca che per le botteghe della città coincise con la fase di massima fioritura. Il primo stile, quello relativo agli anni intorno al 1320, è caratterizzato da proporzioni molto ampie e dilatate, delle quali offrono alcuni esempi la Madonna di Oberwesel e quelle conservate a Monaco (Bayer. Nationalmus.) e a Bonn (Rheinisches Landesmus.; Schnütgen-Museum, 1989, p. 30ss.).Verso la metà del Trecento si sviluppò un più accentuato naturalismo, con figure sottili, mentre tra i busti-reliquiario comparvero le immagini di fanciulle con cuffia (Kruseler); tali busti sono presenti anche nell'altare a sportelli dell'abbazia cistercense di Marienstatt, che esemplifica il tipo di altarereliquiario prodotto a C., nel quale si intrecciano le immagini e le reliquie, le sculture e le rappresentazioni di reliquie. Il Klarenaltar nel duomo, di poco più tardo, presenta un lato destinato a essere mostrato in occasione di particolari solennità religiose, con sculture e reliquie, e ante dipinte che permettono di aprire l'altare in vari punti.Il singolare fenomeno di una produzione così differenziata e ampiamente diffusa nel pieno Medioevo, che trova il suo fondamento nella precedente produzione seriale di figure in connessione con il cantiere del duomo e nell'incremento del culto delle reliquie, ebbe termine poco dopo la metà del sec. 14°, a causa probabilmente di una diminuzione del numero delle traslazioni, ma anche dell'epidemia di peste che colpì la città nel 1349. La scultura di C. era destinata a non raggiungere mai più un'importanza pari a quella della fase medievale, per la quale peraltro sono completamente ignoti i nomi degli artisti.Alla decorazione del duomo si continuò tuttavia sempre a lavorare. Nelle sculture degli stipiti e del timpano del portale di S. Pietro, aperto nella torre occidentale sud, al quale si lavorò negli anni settanta del sec. 14° e che era stato iniziato in forme decisamente tradizionali, uno scultore della famiglia dei Parler operò in uno stile innovativo (Die Parler, 1978, I, p. 159ss.); esso diede nuovo slancio alla scultura di C., le cui botteghe offrirono in questa fase una produzione varia e qualitativamente alta. Tale ripresa di attività si distingue per il suo carattere internazionale, proprio anche all'immediatamente successivo schöner Stil. Oltre alle statue della Vergine eseguite da botteghe della città successivamente al portale di S. Pietro, del quale subirono l'influsso (Schnütgen-Museum, 1989, p. 60), vanno ricordati per questa fase il monumento funebre di Goffredo di Arnsberg nel duomo, un'Annunciazione e un monumento funebre doppio nel duomo di Altenberg, oltre al rilievo del Rheinturm a Zons, tutti eseguiti nell'ambito del cantiere del duomo (Die Parler, 1978, I, pp. 174-184). Il carattere internazionale di questa scultura è attestato per es. dal notissimo busto parleriano dello Schnütgen-Mus., probabilmente eseguito a Praga (Die Parler, 1978, I, p. 187); anche le belle Pietà (Vesperbilder), di cui si conservano esempi a C. (St. Gereon, St. Alban, St. Kolumba), sono verosimilmente opere di importazione (Die Parler, 1978, I, p. 190ss.). Personalità artistica indipendente nell'epoca tarda dello schöner Stil è il Maestro di Saarwerden, così chiamato dal suo capolavoro, la tomba dell'arcivescovo Federico di Saarwerden nella cappella della Vergine del duomo di C., realizzata nel 1414. Nell'eleganza e nella stupefacente e quasi infantile espressione sentimentale di questa scultura si ritrovano molteplici influssi provenienti dai Paesi Bassi meridionali e da André Beauneveu.Un tipo di scultura particolare, che si sviluppò a partire dalla metà del sec. 14° e fino all'epoca dello schöner Stil, è quello del Crocifixus dolorosus (Alemann-Schwartz, 1976). Numerosi furono i crocifissi detti della peste, di cronologia ancora incerta, ispirati alla croce di St. Maria im Kapitol, probabilmente un'opera d'importazione, datata secondo l'iscrizione al 1304.

Bibl.: O. Isphording, Zur Kölner Plastik des 15. Jahrhunderts, Bonn 1912; R. Hamann, K. Wilhelm-Kästner, Die Elisabethkirche zu Marburg und ihre künstlerische Nachfolge, II, Die Plastik, Marburg a. d. L. 1929; O. Karpa, Kölnische Reliquienbüsten der gotischen Zeit aus dem Ursulakreis (von ca. 1300 bis ca. 1450), Düsseldorf 1934; H. Appel, Die Bildwerke des Kölner Dombaumeisters Konrad Kuyn (✝ 1469), WRJ 10, 1938, pp. 91-131; G. Andre, Konrad Kuene und der Meister des Frankfurter Mariaschlafaltars, MarbJKw 11-12, 1938-1939, pp. 159-280; R. Haussherr, Der tote Christus am Kreuz. Zur Ikonographie des Gerokreuzes, Bonn 1963; H.P. Hilger, Der Meister des hl. Christophorus im Dom zu Köln, KölDb 26-27, 1967, pp. 65-74; id., Zum Werk des Kölner Bildhauers Tilman van der Burch, ZDVKw 23, 1969, pp. 61-78; J.A. Schmoll, Lothringen und die Rheinlande. Ein Forschungsbericht zur Lothringischen Skulptur der Hochgotik (1280-1340), Rheinische Vierteljahresblätter 33, 1969, pp. 60-77; A. Legner, Spätgotische Skulpturen im Schnütgen-Museum, Köln 1970; R. Wesenberg, Frühe mittelalterliche Bildwerke. Die Schulen rheinischer Skulptur und ihre Ausstrahlung, Düsseldorf 1972; Rhein und Maas. Kunst und Kultur 800-1400, cat. (Köln-Bruxelles 1972), 2 voll., Köln 1972-1973; R. Haussherr, Die Skulptur des frühen und hohen Mittelalters an Rhein und Maas, ivi, II, 1973, pp. 387-406; H. Rode, Plastik des Kölner Doms in der zweiten Hälfte des 13. Jahrhunderts. Das Hochstaden-Grabmal und die Chorpfeilerskulpturen, ivi, pp. 429-444; A. Legner, Anmerkungen zu einer Chronologie der gotischen Skulptur des 13. und 14. Jahrhunderts im Rhein-Maas-Gebiet, ivi, pp. 445-456; id., Die Grabfigur des Erzbischofs Konrad von Hochstadens im Kölner Dom, in Intuition und Kunstwissenschaft. Festschrift Hanns Swarzenski zum 70. Geburtstag am 30. August 1973, Berlin 1973, pp. 261-290; Monumenta Annonis. Köln und Siegburg. Weltbild und Kunst im hohen Mittelalter, a cura di A. Legner, cat., Köln 1975; A. Legner, Kruzifixe, ivi, pp. 133-146; M. von Alemann-Schwartz, Cruzifixus dolorosus. Beiträge zur Polychromie und Ikonographie der rheinischen Gabelkruzifixe (tesi), Bonn 1976; Das Gero-Kreuz im Kölner Dom. Ergebnisse der restauratorischen und dendrochronologischen Untersuchungen im Jahre 1976, KölDb 41, 1976, pp. 9-56; G. Fabian, Kruzifixe von Tilman. Neue Funde zum Werk und zur Person eines kölnischen Bildschnitzers, ivi, 42, 1977, pp. 267-276; H.P. Hilger, Der Claren-Altar im Dom zu Köln, ivi, 43, 1978, pp. 11-22; C. Nostitz, Late Gothic Sculpture of Cologne (tesi), New York 1978; Die Parler und der Schöne Stil 1350-1400. Europäische Kunst unter den Luxemburgern, cat., 3 voll., Köln 1978; R. Suckale, Die Kölner Domchorstatuen. Kölner und Pariser Skulptur in der 2. Hälfte des 13. Jahrhunderts, KölDb 44-45, 1979-1980, pp. 223-254; A. Legner, Deutsche Kunst der Romanik, München 1982; Verschwundenes Inventarium. Der Skulpturenfund im Kölner Domchor, a cura di U. Bergmann, cat., Köln 1984; U. Bergmann, R. Lauer, Die Domplastik und die Kölner Skulptur, ivi, pp. 37-54; H.P. Hilger, G. Goldberg, C. Ringer, Der "Kleine Dom" - zum kölnischen Schreinaltärchen des 14. Jahrhunderts im Bayerischen Nationalmuseum in München, ZDVKw 39, 1985, 3, pp. 40-69; F. Niehoff, Die Kölner Heilig-Grab-Gruppe. Studien zum Heiligen Grab im Mittelalter (tesi), München 1985; Ornamenta Ecclesiae. Kunst und Künstler der Romanik, a cura di A. Legner, cat., 3 voll., Köln 1985; U. Bergmann, Das Chorgestühl des Kölner Domes, 2 voll., Neuss 1987; Schnütgen-Museum. Die Holzskulpturen des Mittelalters (1000-1400), a cura di U. Bergmann, Köln 1989; U. Bergmann, Die Kölner Erzbischofstumba in der ehemaligen Zisterzienserabteikirche Altenberg, KölDb 55, 1990, pp. 141-166.U. Bergmann

Pittura e vetrate

La conoscenza delle origini della pittura medievale a C. si fonda essenzialmente su opere del periodo romanico, ma sembra in qualche modo ipotizzabile l'esistenza di complessi figurativi monumentali nelle maggiori chiese della città sin dai primi secoli del Medioevo. Né poteva essere diversamente in un centro come C., che sembra aver vissuto, per quanto riguarda la produzione figurativa, il passaggio dalla Tarda Antichità al Medioevo virtualmente senza interruzioni e mantenendo sempre stretti collegamenti culturali e linguistici con l'arte classica romana.In St. Gereon, per es., dovette esistere una ricca decorazione a mosaico, secondo quanto riferito da Gregorio di Tours intorno al 590 (De gloria martyrum, 62; PL, LXXI, col. 761; Ornamenta Ecclesiae, 1985, II, p. 94), e, comunque, nella cripta della stessa chiesa si conservano parti importanti di un ciclo musivo eseguito tra il 1151 e il 1156, sotto l'arcivescovo Arnoldo di Wied. Si tratta di mosaici pavimentali, in origine collocati nella zona del coro, raffiguranti le Storie di Sansone, di Davide e i Segni dello zodiaco. Dal punto di vista stilistico i mosaici di St. Gereon presentano tangenze con i litostrati dell'Italia settentrionale, pur essendo caratterizzati da una resa più naturalistica delle figure e da un maggiore realismo delle scene (Kier, 1970, pp. 110-115; Ornamenta Ecclesiae, 1985, II, p. 234, nr. E 27).Nella stessa chiesa, agli inizi del sec. 12°, fu eseguita nel matroneo del decagono monumentale una decorazione a fresco di grandi dimensioni, i cui resti furono staccati e restaurati nel 1970 (Ornamenta Ecclesiae, 1985, II, pp. 234-235, nr. E 28) per essere poi trasferiti nello Schnütgen-Museum. La loro frammentarietà rende impossibile la definizione del programma iconografico, che forse dovette svolgere temi vetero e neotestamentari; in uno dei frammenti più grandi è possibile riconoscere la figura di un profeta, con il braccio sinistro sollevato, sormontata da un'altra figura maschile; dal punto di vista stilistico e iconografico esse sembrano mostrare tangenze con la coeva pittura centroitaliana (affreschi di S. Sebastianello a Roma, di S. Pietro a Tuscania, di Castel Sant'Elia presso Nepi). Ancora in St. Gereon, sempre agli inizi del sec. 12°, l'atrio occidentale fu decorato con affreschi forse raffiguranti un ciclo cristologico, di cui rimangono pochi frammenti con le immagini del Salvatore e di alcuni apostoli. Alla metà ca. del Duecento è invece databile la decorazione delle nicchie del decagono, andata distrutta nel 1942, a parte alcuni scarni lacerti, che raffigurava la Leggenda di s. Dionigi, i Martiri della legione tebana, i simboli degli evangelisti e altre figure di santi, con una ricca ornamentazione che copriva interamente le membrature architettoniche. I brani superstiti mostrano le caratteristiche del c.d. Zackenstil nella sua fase più matura, unitamente alla morbidezza e alla fluidità di trattamento tipiche della tradizione pittorica coloniense, riscontrabili anche nella coeva produzione miniata (Demus, 1968, trad. it. pp. 199-200).La più importante testimonianza, punto di partenza di tale tradizione, si conserva nella sala capitolare dell'ex abbazia benedettina di Brauweiler, nell'area di influenza della città renana; si tratta di un ciclo affrescato su sei volte a crociera, svolgente un complesso programma iconografico basato sull'illustrazione di Eb. XI, 1-40 (Demus, 1968, trad. it. pp. 186-187). L'esecuzione degli affreschi di Brauweiler si colloca approssimativamente nel terzo quarto del sec. 12° e fu opera di una bottega coloniense attiva nello stesso giro di anni anche nella chiesa di St. Klemens a Schwarzrheindorf, presso Bonn (Demus, 1968, trad. it. pp. 184-185). Lo stile dei due cicli, di difficile valutazione a causa del pessimo stato di conservazione, soprattutto a Schwarzrheindorf, appare comunque caratterizzato da una particolare eleganza formale, espressa attraverso un trattamento morbido dei panneggi e un calibrato linearismo, che fanno di questi affreschi il prodotto eccellente di una tendenza figurativa - e, in particolare, quasi certamente di un unico entourage pittorico - originalmente elaborata in ambito coloniense, fondendo elementi linguistici ottoniani, soprattutto di ambito miniatorio, e stilemi di origine bizantina.Alla metà ca. del Duecento risale il terzo grande monumento della pittura medievale coloniense. Si tratta del ciclo affrescato della chiesa di St. Maria Lyskirchen, che si svolge sulle volte a crociera della navata centrale. Il programma iconografico è incentrato su episodi della Vita di Cristo, cui si pongono in parallelo quelli dell'Antico Testamento prefiguranti la venuta del Messia. Dal punto di vista stilistico gli affreschi di St. Maria Lyskirchen presentano una versione locale assai accentuata dello Zackenstil, con figure nettamente segnate dalle linee di contorno, dall'andamento irregolare, con panneggi complessi, dai bordi taglienti e spezzati, leggeri nella resa delle superfici.Nel battistero della chiesa di St. Kunibert un affresco raffigurante la Crocifissione, dell'ottavo decennio del sec. 13°, mostra gli esiti estremi, ormai di maniera, della medesima tendenza stilistica. Formule linguistiche analoghe si riscontrano anche in alcune figure nella cripta di St. Pantaleon (Demus, 1968, trad. it. pp. 202-203). Intorno alla metà del Duecento sono databili dieci figure apostoliche (in origine, ovviamente, dodici) dipinte su tavolette rettangolari di scisto di grandi dimensioni (altezza cm. 94 ca.; larghezza cm. 60-65 ca.), conservate nella chiesa di St. Ursula; sembrano dipendere stilisticamente dagli affreschi di St. Maria Lyskirchen, di cui ripropongono i caratteristici, complessi panneggi a pieghe spezzate.Sono infine da ricordare, nel coro di St. Cäcilien, gli affreschi agiografici della santa titolare della chiesa, datati a cavallo tra il 13° e il 14° secolo.Opera capitale della pittura mediotrecentesca a C. è la decorazione della recinzione del coro del duomo. Si tratta di più cicli iconografici dipinti a tempera su pietra intorno al 1340, opera di un pittore - verosimilmente affiancato da diversi aiuti - ormai concordemente ritenuto dalla critica (Schmidt, 1979-1980) come formatosi nell'ambito della scuola pittorica del Nord della Francia. Entro complesse ed eleganti arcature gotiche dipinte sono raffigurate numerose scene della Leggenda dei ss. Felice e Nabore, di s. Gregorio di Spoleto, dei ss. Pietro e Paolo, dei re Magi, nonché storie di Costantino e Silvestro e scene dalla Vita di Maria. Nella complessità delle partiture decorative di tipo architettonico, nell'impaginazione generale delle scene, come pure nel trattamento stilistico delle figure, improntato a un elegante e misurato linearismo, appaiono evidenti gli influssi della miniatura francese, in particolare parigina, del secondo quarto del 14° secolo.Al 1360-1370 sono databili alcuni frammenti di affresco (Wallraf-Richartz-Mus.) già facenti parte di un ciclo perduto, raffigurante gli eroi del cristianesimo, del paganesimo e dell'ebraismo, con profeti e figurazioni varie, eseguito nella Hansasaal del palazzo municipale di Colonia. I frammenti superstiti recano le teste di quattro profeti e un ritratto dell'imperatore Carlo IV. Si tratta di resti particolarmente importanti perché documentano un momento innovativo nello sviluppo della pittura monumentale coloniense, in cui le tendenze disegnative e linearistiche della prima metà del sec. 14° si fondono armonicamente con una nuova sensibilità per la volumetria delle figure, sottolineata da un uso chiaroscurale della gamma cromatica.Nel corso del Trecento prima, e del Quattrocento poi, a C. si ebbe anche una vasta produzione di dipinti su tavola. Una piccola Crocifissione tra santi, conservata ad Amburgo (Hamburger Kunsthalle), databile intorno alla metà del secolo, mostra una notevole consistenza plastica delle figure e un uso corposo del colore.Intorno al 1360-1370 si è soliti datare il c.d. Klarenaltar nel duomo, un altare-reliquiario a sportelli, di grandi dimensioni, che svolge un ampio programma iconografico comprendente ventiquattro scene della Vita di Cristo, figure di santi, gli evangelisti, la Vergine con il Bambino e angeli. Lo stile dell'opera mostra tutte le caratteristiche della scuola coloniense: figure mosse ed esili, quasi ritagliate sul fondo d'oro tramite un insistito linearismo.Tra il 1395 e il 1415 fu attivo a C. il Maestro della Santa Veronica, che trae la sua denominazione da un dipinto conservato a Monaco (Alte Pinakothek). A questo maestro, formatosi su modelli tratti dalla miniatura francese di fine Trecento e miniatore egli stesso, vengono attribuite (Die Parler, 1978, I, pp. 210-211) altre opere su tavola, tra cui una con la Crocifissione, il c.d. Kleine Kalvarienberg (Wallraf-Richartz-Mus.), e un'altra Crocifissione (Washington, National Gall. of Art). Lo stile del Maestro della Santa Veronica, morbido ed elegante, caratterizzato da una contenuta volumetria, segna virtualmente la fine della pittura medievale coloniense, prima dell'attività di Stefan Lochner (m. nel 1451), che avrebbe costituito, con le atmosfere fiabesche e irreali della sua pittura, il momento di passaggio tra Medioevo e Rinascimento.Anche nello specifico settore della pittura di vetrate la scuola coloniense raggiunse livelli di altissima qualità.A. TomeiPensata e realizzata in funzione di un impianto architettonico ancora totalmente romanico, la vetratura di coro e transetto di St. Kunibert dovette accompagnare la riedificazione di quel tratto della chiesa avvenuta tra il 1215 e il 1226. Restano sostanzialmente integre, anche se pulite da restauri, le vetrate di cinque monofore dell'ordine inferiore, ciascuna con una figura di santo: Cecilia e Caterina nel transetto nord, Cordula e Orsola nella cavità absidale, Giovanni Battista nel transetto sud. Alte oltre due metri, ieratiche e frontali, si impongono maestose, esaltate da larghe e fastose bordure a guisa di cornici, come enormi icone o tavole d'altare, rese ancor più abbaglianti dall'azione della luce diretta. Le tre monofore di analoga forma, ma ancora più ampie, dell'ordine superiore dell'abside contengono invece vetrate narrative: le Vite dei ss. Clemente papa e Cuniberto, ai lati di un albero di Iesse. Questo tema iconografico riceve qui una formulazione nuova e destinata a grande fortuna nelle terre germaniche dell'impero, che ne accentua la lettura come asse della storia della salvezza: nei medaglioni quadrangoli formati dai rami dell'albero saliente dal grembo di Iesse dormiente stanno non le figure degli antenati, ma cinque fatti salienti della vita di Cristo dall'Annunciazione all'Ascensione, in cui Cristo, alla sommità arcuata della vetrata, sta in trono sopra le teste degli apostoli circondati da sette colombe simboleggianti i doni dello Spirito Santo e fiancheggiato da angeli turiferari. Immagini di precursori, profeti, angeli e anche antitipi veterotestamentari sono relegate in figurazioni secondarie ai margini, o intessute nel girale della cornice. Ovunque in toni chiari e freddi prevalenti, il vetro è una tela cromatica su cui la pittura si esercita abbondantemente sia nel disegno, prevalendo nelle pieghe occhielli di Muldenstil insieme ad arricciamenti romanici degli orli, sia nel chiaroscuro, caricando di ornamenti e dettagli cornici, abiti dei santi, fondi.A. CadeiIl complesso più cospicuo di vetrate - nonostante i danni subìti nei secoli - è senza dubbio quello del duomo, dove vennero poste in opera, quasi senza soluzione di continuità, dalla metà ca. del Duecento fino al 16° secolo. La cappella dei re Magi, nel coro, conserva le vetrate forse più interessanti, databili per una prima fase al 1250-1260 e per una successiva al 1315-1320. Vi si svolge un esteso programma iconografico vetero e neotestamentario, con ampi motivi ornamentali e figure di santi (Rode, 1974, p. 48ss.). Nella cappella di S. Giovanni, sempre nel coro, sono situate altre vetrate, databili al 1315-1320 ca., che dispiegano storie agiografiche di santi e scene cristologiche. All'ultimo ventennio del sec. 13° e al primo del successivo appartengono alcune vetrate nelle cappelle dedicate a s. Materno, a s. Michele e alla Vergine. Ai primi decenni del Trecento sono, ancora, databili le finestre del coro con figure di re e profeti e motivi ornamentali. Vetrate trecentesche si conservano, inoltre, negli edifici annessi al corpo principale del duomo. Soprattutto per quanto riguarda le vetrate del sec. 14°, forte appare l'influsso della coeva produzione francese, mentre per ciò che concerne quelle della cappella dei re Magi, cospicui sono i riscontri con le opere della pittura coloniense del Duecento, come pure con opere di oreficeria e miniatura.A. Tomei

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Miniatura

Il sorgere e l'affermarsi a C. di una scuola di miniatura - e quindi di centri di produzione del libro manoscritto - sono legati all'erezione della città a sede arcivescovile in età carolingia e, successivamente, a diocesi metropolita, nonché all'importanza da essa assunta in età ottoniana per gli stretti legami tra arcivescovi e impero. Il primo scriptorium documentato, attraverso elementi contenuti nei manoscritti stessi (note di possesso, explicit, sottoscrizioni dei copisti), è proprio quello di St. Peter, la chiesa cattedrale: nei Commentarii in evangelium Matthaei di Giovanni Crisostomo (inizio sec. 9°; Colonia, Erzbischöfliche Diözesan-und Dombibl., 41, c. 1r) compare l'annotazione, vergata con un'alternanza di capitali squadrate e di onciali: "Codex sancti Petri sub pio patre Hildebaldo archiepiscopo". La scritta, che pone in relazione il manoscritto con Ildeboldo, primo arcivescovo di C., ritorna simile in altri codici della prima metà dello stesso secolo (Erzbischöfliche Diözesan-und Dombibl., 55, 92, 74, 115; Jones, 1932, pp. 33, 35). Un'attività scrittoria dovette fiorire anche, tra i secc. 8° e 9°, presso St. Gereon e forse presso il monastero benedettino femminile di St. Maria im Kapitol, mentre al tempo dell'arcivescovo Gunthar (850-870) può essere assegnato il De architectura di Vitruvio (Londra, BL, Harley 2767), che è stato messo in rapporto con il cenobio benedettino di St. Pantaleon, sulla base del riferimento a un Goderamnus prepositus (c. 145v), documentato presso l'abbazia nei primi anni dell'11° secolo. Presso St. Pantaleon, infatti, è attestato, nei secoli successivi e fino al Duecento, un fiorente scriptorium, alla cui produzione si deve la ben nota Chronica S. Pantaleonis, databile tra il sec. 12° e il 13° (Wolfenbüttel, Herzog August Bibl., Guelf. 74.3 Aug. 2°). Nei secc. 11°-13° una ricca serie di codici testimonia l'attività di una scuola scrittoria presso Gross St. Martin (Opladen, 1954).Al sec. 8° si data il più antico codice attribuito alla produzione libraria coloniense, i S. Augustini opuscula (Colonia, Erzbischöfliche Diözesan- und Dombibl., 76; Jones, 1932, pp. 17, 29-30); non è stata determinata con sicurezza invece la provenienza di altri manoscritti anteriori o a esso contemporanei, come per es. i Patrum veterum verba (Erzbischöfliche Diözesan- und Dombibl., 165; Jaffé, Wattenbach, 1874, p. 65), scritto in onciale tra il sec. 6° e il 7°, la Collectio canonum (Erzbischöfliche Diözesan- und Dombibl., 213; Jaffé, Wattenbach, 1874, p. 95), del sec. 7°-8°, che una mano più tarda riferisce alla chiesa di St. Peter con una nota sul foglio di guardia aggiunto, o ancora il codice composito, del sec. 8°, contenente la Collectio canonum Hibernensis e una Canonum collectio (Erzbischöfliche Diözesan- und Dombibl., 210; Jaffé, Wattenbach, 1874, p. 92), in cui l'apparato decorativo - lettere capitali ornate con pesci e uccelli - fa parte di un repertorio genericamente diffuso in area merovingia e insulare e la gamma coloristica è assai ristretta nell'uso esclusivo del rosso, del bruno e del nero. L'accostamento di forme irlandesi (la puntinatura di color rosso che accompagna il profilo delle lettere iniziali, per es. a c. 2r) e di motivi ornamentali zoomorfi di origine merovingia (nella P d'incipit di Preceptum l'asta è sostituita dal corpo di un canide la cui testa è contenuta nella pancia della lettera, a c. 16r) connota l'apparato decorativo dei già citati S. Agustini opuscula, ornamento peraltro limitato alle sole lettere iniziali e agli incipit rubricati. L'influenza insulare, in particolare irlandese, che caratterizza anche l'elemento grafico soprattutto per quanto riguarda il sistema abbreviativo, e quella merovingia, nell'ornamentazione a protomi animali e umane, continuarono a essere determinanti nella produzione miniata a C. per tutto il sec. 8° e per i primi decenni del 9°, anche quando, sotto l'influenza di centri scrittorî precarolingi e carolingi come Tours, alla scrittura merovingia andò sostituendosi progressivamente una minuscola carolina rotonda e chiara, quasi del tutto priva di tratti corsivi, soprattutto nel corso del 9° secolo. D'altro canto non è improbabile che l'importanza assunta dalla sede arcivescovile di C. nel quadro dell'Europa carolingia favorisse l'afflusso di codici provenienti da quegli scriptoria: basti citare l'esempio della Expositio in Psalmos di Alcuino di Tours (Erzbischöfliche Diözesan- und Dombibl., 106; fine sec. 8°-inizi 9°), un manoscritto che si è supposto fosse giunto a C. da Tours, o comunque ivi fosse stato esemplato su uno dei codici donati da Alcuino a Ildeboldo (Jones, 1929). All'intersezione di queste coordinate stilistiche, sul piano dell'impianto sia grafico sia decorativo, si colloca il trattato di cronologia e astrologia degli inizi del sec. 9° (Erzbischöfliche Diözesan- und Dombibl., 83II. Jones, 1929, p. 57; 1932, pp. 37-40; Codices Latini antiquiores, 1959, nr. 1154; Bischoff, 1965; Rhein und Maas, 1972-1973, I, p. 165; Ornamenta Ecclesiae, 1985, I, p. 421). L'opera, caratterizzata dall'impiego di scritture diverse, dalla precarolina alla capitale e all'onciale - queste ultime due utilizzate per i titoli nei quali le lettere sono semplicemente contornate a inchiostro alternativamente rosso e nero, riempite di colore o campite da motivi geometrici e a intreccio -, e da un'ampia gamma di tinte (nero, azzurro, verde, giallo, rosso intenso, rosso chiaro), appare illustrata da raffigurazioni di segni zodiacali e di costellazioni (cc. 146r-171v), realizzate a disegno rosso o bruno, in parte rifinite con il colore, in parte lasciate incompiute, e decorata da iniziali a motivi vegetali e da motivi zoomorfi e antropomorfi (cc. 146r-153v) ancora di matrice merovingia; nella iniziale A di Arati (c. 146r), ornata nella parte terminale dei tratti da teste di canidi e di uccelli, spicca al centro una testa umana 'all'antica'; mentre la lettera H d'incipit di Hic (c. 153r), in cui una testa di lupo che morde l'asta della lettera si contorce a formarne la pancia, rappresenta una sorta di anticipazione del vocabolario ornamentale romanico.Il retaggio merovingio, con lo svolgersi del sec. 9°, tende a scomparire - ne sopravvive una traccia nel Commentarium in Psalmos di s. Agostino (Erzbischöfliche Diözesan- und Dombibl., 67; secondo-terzo decennio sec. 9°), dove nell'incipit (c. 2v) i corpi di tre piccoli pesci sono giustapposti con il muso a formare l'iniziale E di Ecce -, rimpiazzato da un progressivo e diffuso avvicinamento alla cultura carolingia, sia per le scelte grafiche - sotto quest'aspetto va affermandosi, in una fase di transizione, l'imitazione della minuscola carolina nella tipizzazione di Tours (Rand, 1929, p.9) - sia per ciò che concerne l'ornamentazione.Nello stile dei manoscritti di età carolingia si impone la tendenza alla semplicità e alla simmetria: diventano rare le iniziali zoomorfe e si prediligono, al contrario, il motivo a intreccio geometrico, più regolare e schematico rispetto a esempi precedenti, a campire il corpo delle lettere, e gli ornamenti vegetali e floreali nei tratti terminali. Della produzione dello scriptorium di St. Peter si conservano, della seconda metà del sec. 9°, alcuni esempi interessanti, tra i quali i Commentarii di s. Ambrogio (Erzbischöfliche Diözesan- und Dombibl., 39), scritti in una minuscola carolina di rara eleganza per l'arcivescovo Gunthar, come indica la sigla liber Guntarii, il De civitate Dei di s. Agostino (Erzbischöfliche Diözesan-und Dombibl., 75), pure ascrivibile al periodo di Gunthar, o il già citato De architectura di Vitruvio (Jones, 1932, pp. 22-33).In un manoscritto della fine del sec. 9°, il Sacramentarium Gregorianum (Erzbischöfliche Diözesan- und Dombibl., 137), che si pone in una fase di transizione dalla miniatura tardocarolingia verso quella ottoniana, compare, pur nella varietà di moduli decorativi - intrecci geometrici, motivi vegetali, profili circolari e cuoriformi, puntinatura policroma -, l'influenza della scuola franco-sassone, in cui si coniugano stilemi francesi e anglo-irlandesi. Tale ascendente si manifesta nella decorazione di numerose iniziali, che prevede, insieme agli intrecci geometrici, la diffusa presenza di protomi animali, collocate nei tratti terminali, e soprattutto nell'adozione, nelle pagine d'incipit del Canone e del Prefazio, di lettere in monocromo sovramodulate, realizzate in legatura e ornate a intreccio molto stilizzato, con teste di uccello dal becco adunco alle estremità dei tratti (Jones, 1932, tav. XCVI; Amiet, 1955, pp. 80-81; Deshusses, D'Arragon, 1982, p. 47ss.; Ornamenta Ecclesiae, 1985, I, p. 437). Le iniziali del sacramentario tardocarolingio di C. rappresentano quasi un'anticipazione del monogramma monumentale, che nel libro ottoniano avrebbe conquistato l'intera pagina, e nel contempo si riallacciano agli incipit dell'arte insulare, forse proprio per il tramite della miniatura franco-sassone e anche di quella carolingia che aveva adottato l'invenzione insulare arricchendola di porpora e d'oro, elementi mutuati dalla simbologia imperiale. Non è un caso, quindi, che, proprio in relazione all'impostazione ornamentale della pagina d'incipit, sia stato indicato come fonte per l'Evangelistario di Gerone il c.d. Gero Codex (Darmstadt, Hessische Landes- und Hochschulbibl., 1948), l'Evangeliario di Lorsch, realizzato appunto presso lo scriptorium di corte di Carlo Magno (Alba Iulia, Bibl. Batthyaneum, R. II. 1; Roma, BAV, Pal. lat. 50; Dodwell, Turner, 1965, p. 8ss.). Con l'Evangelistario di Darmstadt, prodotto a C., secondo le più recenti risultanze critiche (Ornamenta Ecclesiae, 1985, II, p. 152; Mayr-Harting, 1991, I, p. 24ss.), nella seconda metà del sec. 10° per Gerone, cappellano di corte di Ottone I e poi arcivescovo di C., a opera di uno dei più grandi artisti dell'epoca, il Maestro del Registrum Gregorii (Mayr-Harting, 1991, I, p. 39ss.), si può far iniziare la fase ottoniana della miniatura coloniense.In età ottoniana la produzione del libro miniato a C. raggiunse un così alto livello qualitativo - dal punto di vista decorativo e figurativo, nell'impiego diffuso della pergamena purpurea e della crisografia, nel formato e nell'impaginazione grafica, cioè a dire nella fattura del codice come prodotto artistico nel suo complesso - da contrapporsi quasi, come è stato sottolineato, al primato artistico della scuola della Reichenau (Mayr-Harting, 1991, II, p.99). L'Evangeliario di Ottone, del 996 (Manchester, John Rylands Lib., 98), riferibile anch'esso al Maestro del Registrum Gregorii, rappresentò, per una serie di codici prodotti a C. tra la fine del sec. 10° e i primi decenni dell'11° (Bloch, Schnitzler, 1967-1970, I, pp. 13-93), il modello figurativo, nelle scelte stilistiche e iconografiche, e il prototipo librario, nell'impostazione del rapporto all'interno delle pagine d'incipit tra elemento grafico, decorazione e illustrazione. Proprio a partire da questo codice si possono indicare i caratteri salienti della prima fase della miniatura ottoniana di C.: da un lato la stesura rapida, spesso realizzata direttamente con il colore, senza disegno preparatorio, una tavolozza cromatica dalle tonalità accese, ravvivata da lumeggiature bianche che esaltano la volumetria delle figure, e l'effetto vibrante del pennello, che riprende la tecnica pittorica della scuola di Reims, applicato però non a tutta la raffigurazione, ma limitato alle sole figure umane; dall'altro la forte carica narrativa nelle numerose illustrazioni a piena pagina e la grande importanza data alla pagina d'incipit, in cui l'iniziale sovramodulata, a intrecci e a volute vegetali in oro su fondo porpora, definita da una cornice a più listelli geometrici e vegetali di consistenza plastica, diventa signum sacro e immagine per eccellenza (Jantzen, 1940; Swarzenski, 1954, p. 13), manifestando la straordinaria vena decorativa di calligrafi e miniatori. A questo gruppo di manoscritti appartengono: il Lezionario dell'arcivescovo Everger (Colonia, Erzbischöfliche Diözesan- und Dombibl., 143), scritto e miniato nell'ultimo decennio del secolo forse a St. Peter (Bloch, Schnitzler, 1967-1970, I, pp. 13-25; Mayr-Harting, 1991, II, p. 109); il Sacramentario di St. Gereon (Parigi, BN, lat. 817), realizzato anch'esso dai miniatori di St. Pantaleon tra il 996 e il 1002 (Leroquais, 1924, I, pp. 97-99; Bloch, Schnitzler, 1967-1970, I, pp. 37-44; II, p. 93; Ornamenta Ecclesiae, 1985, II, p. 246); infine quattro evangeliari. L'Evangeliario di St. Gereon, del 983-991 ca. (Colonia, Historisches Arch. der Stadt, W 312; Bloch, Schnitzler, 1967-1970, I, pp. 25-31; Rhein und Maas, 1972-1973, I, p. 209; Ornamenta Ecclesiae, 1985, II, p. 246), e quello di Milano (Bibl. Ambrosiana, C.53 sup.; Prochno, 1929, p. 59ss.; D'Ancona, 1933-1934, p. 59; Bloch, Schnitzler, 1967-1970, I, pp. 37-44; Gengaro, Villa Guglielmetti, 1968, pp. 26-28), databile intorno all'anno Mille, sono opera entrambi, probabilmente, dello scriptorium benedettino di St. Pantaleon, come pure l'Evangeliario della badessa Hitda di Meschede (Darmstadt, Hessische Landes- und Hochschulbibl., 1640), che si data ai primi due decenni del sec. 11° (Bloch, Schnitzler, 1967-1970, I, pp. 44-59; Mayr-Harting, 1991, II, p. 100ss.), e l'Evangeliario di Giessen (Universitätsbibl., 660; Bloch, Schnitzler, 1967-1970, I, pp. 54-59), del 1020 circa. In tutti si individuano chiaramente, se pure tanto ben assorbiti da divenire caratteri precipui dello stile miniatorio di C., gli apporti della cultura carolingia e tardocarolingia (Dodwell, 1971, pp. 67-68): nella realizzazione degli sfondi architettonici (per es. nell'Evangeliario di Hitda, alle cc. 6r e 21r, o nel Sacramentario di St. Gereon, alla c. 12r), nel linguaggio all'antica, per plasticità pittorica e monumentalità, con cui sono espresse le figure degli evangelisti (in particolare nei ritratti di Matteo e di Luca, alle cc. 21r e 110r dell'Evangeliario di St. Gereon, e in quello di Marco, a c. 78r dell'Evangeliario di Milano, di impianto però decisamente tardoantico e bizantino) e nelle inquadrature architettoniche classicheggianti che contengono le tavole dei canoni, per es. nell'Evangeliario di Milano (cc. 11r-16v). Vi si osserva anche, con pari evidenza, l'influenza dell'arte bizantina, talora contrastata dalla dinamicità delle immagini e dall'espressionismo fisionomico, ma forse più determinante di quella carolingia per la presenza a C. di artisti chiamati direttamente dall'Oriente al tempo di Ottone I, e ancora in seguito al matrimonio di Ottone II con la bizantina Teofano, e riscontrabile, oltre che in alcune componenti iconografiche delle illustrazioni (a titolo di esempio vanno ricordati, nel Sacramentario di St. Gereon, soprattutto la Vergine orante dell'Annunciazione a c. 12r e le Pie donne al sepolcro a c. 60r, o il Battesimo di Cristo a c. 75r dell'Evangeliario di Hitda), nell'immagine monumentale e ieratica a un tempo della Maiestas Domini (per es. a c. 7r dello stesso codice di Hitda) e nella Crocifissione che venne realizzata, sul modello del crocifisso di Gerone, sottolineando i caratteri di drammaticità e ponendo l'accento sull'umanità sofferente di Cristo (Wessel, 1966, pp. 53-54), come nel Sacramentario di St. Gereon (c. 59r) o nell'Evangeliario di Giessen (c. 188r).Alla prima fase della miniatura ottoniana di C. appartiene anche un secondo gruppo di codici, omogenei per l'ornamentazione e per la composizione stilistica e iconografica delle figure, che al gruppo sopra trattato mostrano di ispirarsi, direttamente e senza soluzione di continuità, per il richiamo, da un lato, alle 'fonti' carolinge, e in particolare alle bibbie turoniane, nella realizzazione degli sfondi architettonici e nell'organizzazione dei gruppi di figure, e, dall'altro, per le forti componenti bizantine, nella frontalità e fissità di alcune immagini (soprattutto nelle raffigurazioni della Maiestas Domini): è innegabile, infatti, il richiamo dell'Evangeliario di Illino (Colonia, Erzbischöfliche Diözesan- und Dombibl., 12; 1020-1030 ca.) al citato codice di Gerone. Il codice di Illino rappresenta in qualche modo il punto di avvio di questa seconda fase, in cui si collocano anche l'Evangeliario di St. Maria ad Gradus (Erzbischöfliche Diözesan- und Dombibl., 1a), dello stesso decennio, quelli assai affini di Bamberga (Staatsbibl., Bibl., 94) e di New York (Pierp. Morgan Lib., M.651) e inoltre un evangelistario (Colonia, Erzbischöfliche Diözesanund Dombibl., 144), tutti del secondo quarto del secolo (Bloch, Schnitzler, 1967-1970, I, pp. 69-93; Rhein und Maas, 1972-1973, I, pp. 210-211; Ornamenta Ecclesiae, 1985, I, pp. 233-234; II, p. 278).Le suggestioni della miniatura carolingia, d'altro canto, si andarono attenuando nei decenni successivi, fino ad apparire quasi trascurabili, per l'irrigidimento delle forme e l'impoverimento dell'impianto decorativo, nell'Evangeliario di St. Gereon (Stoccarda, Württembergische Landesbibl., Bibl.fol.21), di poco anteriore al 1067 (Ornamenta Ecclesiae, 1985, II, p. 253), che pure sembra richiamarsi allo stile del Maestro del Registrum Gregorii. Tra il sec. 11° e il 12°, per ciò che concerne l'impianto decorativo, si verificò una ripresa di modi zoomorfi precarolingi che si innesta su un linguaggio ornamentale divenuto ormai vegetale: significativi in tal senso appaiono il De glorificatione Trinitatis et processione Sancti Spiritus di Ruperto di Deutz, del secondo quarto del sec. 12° (Colonia, Erzbischöfliche Diözesan- und Dombibl., 112), decorato con iniziali policrome a intrecci vegetali che si trasformano in forme animali e antropomorfe, e l'Evangelistario di Bonn (Universitätsbibl., 714), prodotto forse a St. Kunibert intorno al 1135-1140, che presenta in talune iniziali fogliami intrecciati e popolati di figure umane e animali, secondo formule diffuse nella Francia settentrionale.Sopravvissero invece ben oltre la fine del sec. 11° gli influssi bizantini, come mostrano la rappresentazione della Maiestas Domini nel Lezionario dell'arcivescovo Federico del 1130 ca. (Colonia, Erzbischöfliche Diözesan- und Dombibl., 59, c. 308) o nell'Evangeliario del 1140 ca. (Colonia, Historisches Arch. der Stadt, W 244, c. 12v) e le figure degli evangelisti nell'Evangeliario di St. Pantaleon (Colonia, Historisches Arch. der Stadt, W 312a) - miniato nello scriptorium omonimo intorno al 1140, usando colori intensi e coprenti che sembrano prendere a modello gli smalti traslucidi (Euw, Plotzek, 1979-1985, I, p. 156; Ornamenta Ecclesiae, 1985, II, 9, p. 291) -, dove appaiono coniugati con la tradizione della miniatura ottoniana, tradizione ancora molto viva a C. se nella pagina d'incipit (c. 1r) dell'Historia ecclesiastica gentis Anglorum di Beda (Lipsia, Universitätsbibl., 58a), assegnata al primo quarto del sec. 12°, vengono seguite le formule dettate dal codice di Illino. Intonazioni del linguaggio bizantino, d'altro canto, non sono neanche estranee a quei manoscritti che, prodotti a cavallo tra la prima e la seconda metà del secolo nello scriptorium benedettino di Gross St. Martin, gravitano nell'orbita del libro miniato cistercense - un frammento di Bibbia (Düsseldorf, Universitätsbibl., A 2) e la Compilatio Flori (Colonia, Historisches Arch. der Stadt, W 245), nei quali la figura di re Salomone (c. 64v), alta e allungata all'interno degli intrecci, nella iniziale P di Parabola, e quella di s. Paolo (c. 136r), in posizione frontale al lato della P di Paulus, ricordano le iniziali figurate dei manoscritti di Cîteaux - e giungono a interessare, nella prima metà del Duecento, l'Evangelistario di Gross St. Martin (Bruxelles, Bibl. Royale, 9222; Swarzenski, 1936, I, pp. 11-13), arricchito da un ampio ciclo cristologico, che mostra le suggestioni della plastica di Nicola di Verdun, nel tratto dinamico e vibrante e nell'intensità fisionomica delle figure.Con questo manoscritto si giunge alla fase gotica della pittura libraria di Colonia. I codici prodotti nei secc. 13° e 14° (per la maggior parte di destinazione liturgica: messali, antifonari, graduali) perdono l'elevata qualità formale e il carattere peculiare della miniatura di età ottoniana e romanica, risentendo fortemente degli influssi provenienti dal Nord della Francia, verso la quale si andava spostando, in questo periodo, l'asse della produzione artistica e in particolare - in seguito alla nascita e allo sviluppo dello studium parigino - quella del libro miniato (Lejeune, 1967, p. 83). Il tributo pagato alla miniatura gotica francese e poi a quella fiamminga è evidente - per es. in un antifonario (Colonia, Historisches Arch. der Stadt, W 274; secondo quarto sec. 14°) o nel Messale di Corrado di Rennenberg, databile alla metà del Trecento (Colonia, Erzbischöfliche Diözesan- und Dombibl., 149) - nella tecnica pittorica dinamica e vibrante, nella sinuosità e nell'eleganza delle figure e nell'accentuazione dell'elemento drammatico, nonché nella decorazione a tralci di foglie spinose popolati di drôleries, forme fantastiche di natura umana e animale, nelle inquadrature architettoniche (a pinnacoli, timpani, torrette), collegate all'architettura delle cattedrali forse attraverso la mediazione di oggetti di scultura e di arredo liturgico, e negli sfondi a motivi stilizzati geometrici e floreali.

Bibl.:

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Arti suntuarie

Per tutto il corso del Medioevo la Renania e, in particolare, la città di C. costituirono un'area di produzione figurativa caratterizzata da un particolare sviluppo delle arti suntuarie. In questo specifico settore gli ateliers coloniensi raggiunsero, soprattutto nei secc. 12° e 13°, livelli qualitativi e tecnici di assoluta eccellenza, influenzando in modo determinante non solo la produzione orafa della Germania, ma anche quella di gran parte dell'Europa centromeridionale, compresa l'Italia.In realtà, sin dall'epoca romana e tardoantica C. appare essere stata un centro assai importante per la produzione di oggetti d'arte suntuaria. Ritrovamenti archeologici molto consistenti documentano, infatti, l'esistenza di botteghe di artigiani, tra cui vetrai, forgiatori, intagliatori di metalli - preziosi e non - e scultori di avorio.Per ciò che concerne l'Alto Medioevo, le più cospicue testimonianze di tale attività risalgono ai secc. 5° e 6° e riguardano oggetti di oreficeria prodotti dai Franchi; gli scavi effettuati nel secondo dopoguerra in alcuni importanti cimiteri di età merovingia hanno infatti riportato alla luce una grande quantità di corredi funerari, oggi al Römisch-Germanisches Mus., comprendenti manufatti preziosi di altissimo livello qualitativo e delle più diverse tipologie: fibule, bracciali, collane, spille, guarnizioni di cintura.I siti cimiteriali più importanti sono quelli di Müngensdorf, di Junkersdorf e del chiostro di St. Severin, insieme a due tombe di nobili - una dama e un giovane guerriero - scavate nel 1959 al di sotto dell'attuale edificio del duomo, nella zona del coro, e risalenti alla prima metà del 6° secolo. Particolarmente significativi per la grande finezza di esecuzione sono gli ornamenti preziosi trovati nella tomba femminile: fibule, spille, collane a filigrana, orecchini, bracciali, guarnizioni di cintura, prevalentemente decorati a cloisonné, insieme a vetri, monete e paste vitree. Nel sepolcro del giovinetto sono invece state rinvenute armi difensive e offensive (elmo, scudo, spatha, francisca, angone, lancia, scure), unitamente ad altri manufatti come una fiasca e uno splendido letto funebre in legno (Doppelfeld, Weyres, 1980).In età carolingia e ottoniana nacque - e ben presto si consolidò in modo definitivo - una tradizione di committenza ecclesiastica che ebbe ben pochi termini di confronto in tutta l'Europa medievale. Praticamente senza soluzione di continuità, l'episcopato coloniense svolse una funzione di promozione delle arti, e di quelle suntuarie nello specifico, i cui sviluppi - in termini sia quantitativi sia qualitativi - e la cui influenza sulla produzione delle aree limitrofe ebbero caratteristiche di eccezionalità fino alla fine del Medioevo.Tra le più interessanti opere di età ottoniana deve essere citata la c.d. croce di Matilde (Essen, Münsterschatzmus.), sorella di Ottone II e badessa di Essen, eseguita probabilmente in un bottega di C. tra il 973 e il 982 (Ornamenta Ecclesiae, 1985, I, p. 150). In lamina d'oro sbalzata, incisa e filigranata, reca una ricca ornamentazione in smalti e pietre semipreziose; la figura di Cristo è animata da un forte risalto plastico e sia l'iconografia - anche delle incisioni del verso raffiguranti l'Albero della vita e l'Agnello mistico - sia lo stile sembrano dipendere dalla coeva produzione miniata.Uno dei primi personaggi-chiave dello sviluppo della produzione artistica coloniense fu l'arcivescovo Annone II (1056-1075), raffinato committente di manoscritti e oggetti di arte suntuaria destinati alle chiese di C., oppure spesso inviati in dono o in dotazione alle numerose istituzioni religiose di cui il prelato fu fondatore o protettore, sia in Germania sia in altre regioni dell'impero.Alcune opere, tra quelle prodotte a C., rivestono particolare interesse sia per la loro qualità artistica sia per il valore di testimonianza del gusto e della cultura - non solo in campo figurativo - di un tale committente. Tra queste va innanzitutto ricordato il pastorale di Annone (Siegburg, St. Servatius, Schatzkammer), il cui rocchio eburneo, dalla forma semplice ed elegante, termina in una testa di serpente che stringe nelle fauci un uccello, simboli, rispettivamente, del male e dell'anima che ne è prigioniera. La decorazione è completata da due fascette d'argento poste al di sopra e al di sotto del nodo e recanti un'iscrizione di gusto schiettamente classicheggiante, che allude all'iconografia del terminale del rocchio (Monumenta Annonis, 1975, p. 173). Il rocchio del pastorale di Annone costituisce uno dei numerosi esempi di manufatti in avorio prodotti a C., dove la lavorazione di questo materiale prezioso conobbe una particolare diffusione e raggiunse livelli di assoluta eccellenza qualitativa. A una bottega coloniense attiva intorno alla metà del sec. 12° va riferito il c.d. pettine di Annone (Siegburg, St. Servatius, Schatzkammer), molto probabilmente una 'reliquia di contatto', recante l'iscrizione "Pecten S(ancti) Annonis" e raffigurante su ambedue i lati due draghi affrontati (Ornamenta Ecclesiae, 1985, I, p. 453, nr. C 32).Intorno all'anno Mille risale una splendida coperta di evangeliario (Colonia, Schnütgen-Mus.) che reca, entro una cornice in rame argentato ornata di smalti e pietre semipreziose, una placca in avorio raffigurante Cristo pantocratore nella mandorla sorretta da due angeli, tra i ss. Gereone e Vittore. Sul retro è un'immagine di Cristo in trono tra i ss. Pietro e Paolo, lavoro bizantino del sec. 6°, che testimonia dell'influsso che gli avori di provenienza orientale dovettero esercitare sugli scultori di C. (Ornamenta Ecclesiae, 1985, II, p. 238, nr. E 32). Alla metà ca. del sec. 11° e agli inizi del 12° risalgono le placche eburnee inserite nelle coperte di alcuni manoscritti, conservate rispettivamente a Darmstadt (Hessisches Landesmus.) e a C. (Schnütgen-Mus.; già St. Maria Lyskirchen), ambedue raffiguranti la Crocifissione.Particolarmente significativa fu anche la produzione di avori - raffiguranti principalmente scene della Vita di Cristo - utilizzati nella decorazione di altaroli portatili, di cui rimangono interessanti esempi, databili alla seconda metà del sec. 11° (Colonia, Schnütgen-Mus.; Melk, Benediktinerstift; Darmstadt, Hessisches Landesmus.; Osnabrück, Domschatzkammer und Diözesanmus.), che sembrano derivare stilemi e iconografie dagli avori della scuola di corte di Carlo Magno (Monumenta Annonis, 1975, p. 147ss.). Anche nei secc. 12° e 13° le botteghe coloniensi continuarono a lavorare in quantità rilevante manufatti d'avorio e d'osso, la cui produzione si sviluppò al punto da assumere, per quanto concerne il materiale meno prezioso, un vero e proprio carattere di serie, soprattutto nell'esecuzione di numerose cassette-reliquiario, tra cui particolarmente significativi sono la c.d. pisside di s. Volfango, del 1200 ca. (Ratisbona, Diözesanmus., Pfarrkirchenstiftung St. Emmeram), e il reliquiario di Sayn, del 1180 (Bruxelles, Mus. Royaux d'Art et d'Histoire), in forma di complesso edificio religioso (Ornamenta Ecclesiae, 1985, II, pp. 414-427). Tra i più importanti manufatti in avorio (in questo periodo quasi sempre di tricheco) vanno ricordati i rilievi, databili intorno al terzo quarto del sec. 12° (Ornamenta Ecclesiae, 1985, II, pp. 428-439), con l'Adorazione dei Magi e con l'Ascensione (Londra, Vict. and Alb. Mus.) e quelli con la Nascita di Cristo e con la Crocifissione (Colonia, Schnütgen-Mus.).Sempre nei secc. 11° e 12° conobbe particolare fioritura la lavorazione di crocifissi bronzei di piccole dimensioni, di cui si sono conservati numerosi esemplari e a proposito dei quali esiste un problema critico riguardante la localizzazione della loro effettiva produzione nelle fonderie di C., ovvero se essi siano da riferirsi più genericamente all'area culturale del Basso Reno (Ornamenta Ecclesiae, 1985, II, pp. 391-395). Tuttavia i ritrovamenti, effettuati tra il 1955 e il 1962, di scorie di bronzo, carbone di legna, pezzi di forme per metallo e altri oggetti documentano almeno l'esistenza di una fonderia per il bronzo nell'area dell'abbazia benedettina di St. Pantaleon (Ornamenta Ecclesiae, 1985, II, p. 399).La lavorazione dei metalli ebbe comunque a C. uno sviluppo che non trova facilmente confronti nel Medioevo occidentale, sia per la durata nel tempo sia per l'eccellenza qualitativa dei manufatti prodotti, come pure per le novità tipologiche, tecniche e stilistiche che tali manufatti spesso dispiegano. Fu soprattutto nel campo delle suppellettili liturgiche che le botteghe coloniensi svolsero un ruolo di primaria importanza a livello europeo sin dall'età ottoniana.Intorno alla metà del sec. 12° si colloca la produzione di un orafo il cui nome è conosciuto attraverso un'iscrizione ("Eilbertus Coloniensis me fecit") apposta su di un altarolo portatile, ornato da splendide figure in smalto. L'opera faceva parte del c.d. tesoro dei Guelfi (Berlino, Staatl. Mus., Pr. Kulturbesitz, Kunstgewerbemus.) e, dal 1173 ca., dovette essere destinata alla dotazione della cattedrale di Brunswick, fondata, appunto in quell'anno, dal duca di Sassonia Enrico il Leone (1129-1195). Lo stile della decorazione - costituita da placche con smalti champlevés (alcuni cloisonnés) raffiguranti scene della Vita di Cristo, Cristo in maestà, diciotto profeti - è strettamente dipendente dalla cultura figurativa renana di età ottoniana, ma mostra anche influssi, soprattutto nelle figure di profeti, desunti da modelli bizantini (Gauthier, 1972, pp. 142-143). Stilisticamente affine al pezzo conservato a Berlino, anche se non riferibile allo stesso orafo, è un altro altare portatile (Siegburg, St. Servatius, Schatzkammer), detto di s. Maurizio, eseguito in una bottega coloniense intorno al 1160 per l'abbazia di St. Michael a Siegburg; allo stesso giro di anni e nello stesso ambito stilistico si colloca un altro altarolo, conservato a Mönchengladbach (Propstei- und Münsterkirche St. Vitus, Münsterschatzkammer). Verso il 1180 è invece databile l'altarolo di s. Gregorio (Siegburg, St. Servatius, Schatzkammer), decorato da finissimi smalti champlevés, attorno al quale si sono raggruppate altre opere, riferite all'attività di un orafo convenzionalmente denominato Gregoriusmeister. Si tratta, in particolare, di una placca in rame dorato, inciso e smaltato a champlevé (Chantilly, Mus. Condé; ca. 1180), di un reliquiario a torre per le reliquie dei martiri della legione tebana e delle undicimila vergini compagne di s. Orsola (Darmstadt, Hessisches Landesmus.; ca. 1165-1175) e di un reliquiario a cupola - forse per il cranio di s. Gregorio Nazianzieno -, già facente parte del tesoro dei Guelfi (Berlino, Staatl. Mus., Pr. Kulturbesitz, Kunstgewerbemus.; ca. 1175). Sulla placca, riutilizzata successivamente in una legatura di libro, sono raffigurati al centro la Crocifissione, le Pie donne al sepolcro, l'Ascensione e intorno scene dell'Antico Testamento, profeti e varie immagini simboliche con lunghe iscrizioni (Gauthier, 1972, p. 356, n. 103). Il reliquiario di Berlino, invece, monumentale per struttura e dimensioni (larghezza cm. 40 ca., altezza cm. 45) - dubitativamente riferito all'atelier del Gregoriusmeister (Gauthier, 1972, p. 358, n. 105) -, presenta, oltre alla decorazione a smalto con motivi geometrici e vegetali, anche un ricco apparato di statuette e rilievi istoriati in avorio, intagliati con grande accuratezza e notevole sensibilità per la resa plastica delle figure (Gauthier, 1972, p. 152); in quest'opera sembra rinnovarsi la tradizione antica di unire in un unico manufatto due materiali preziosi, come lo smalto e l'avorio. Alcune somiglianze con questo gruppo di opere mostra anche un altare, con smalti raffiguranti la Vergine con il Bambino in trono tra apostoli del 1160-1180 ca. (Colonia, Schnütgen-Mus.; già St. Maria im Kapitol).La tipologia nella quale gli ateliers coloniensi - insieme a quelli dell'area mosana - svolsero un ruolo di assoluta preminenza è comunque quella delle grandi casse-reliquiario, la cui diffusione era ovviamente connessa alle traslazioni delle reliquie e allo sviluppo del culto dei santi, fenomeni particolarmente incrementatisi nel sec. 12° (Ornamenta Ecclesiae, 1985, II, pp. 61-78). Tra i primi e più interessanti esempi di questa categoria di manufatti è la cassa di s. Maurino eseguita a C. intorno al 1170 (St. Pantaleon, Schatz). Si tratta di una cassa in legno di quercia, di grandi dimensioni (lunghezza cm. 130, larghezza cm. 42, altezza cm. 60), racchiusa entro una monumentale struttura architettonica in lamina di rame, dorata, ornata di smalti a champlevé e pietre semipreziose e incisa a bulino. I lati lunghi presentano una stuttura a portico sostenuto da pilastrini, di gusto marcatamente classicheggiante, mentre i lati corti recano un motivo a quadrilobo e un grande arco trilobato, sostenuto da due colonnine. Sia i pilastrini dei fianchi sia le colonnine portano capitellini fogliati eseguiti con grande finezza di modellazione e intaglio. Il coperchio, a spioventi, è decorato con rilievi entro cornici a smalto quadrilobate, che raffigurano sul lato sinistro scene del Martirio dei ss. Pietro, Bartolomeo, Stefano, Lorenzo e Vincenzo, su quello destro dei ss. Paolo, Andrea, Maurino, Giovanni Evangelista e di un altro santo non identificato. Altri santi, angeli e personificazioni delle Virtù cardinali completano il programma iconografico della cassa; vi è anche la raffigurazione del committente, il priore Herlivus dell'abbazia di St. Pantaleon, e di un non meglio identificato Fridericus, che in passato era stato erroneamente ritenuto l'artefice dell'opera (Ornamenta Ecclesiae, 1985, II, p. 297). Affinità stilistiche e decorative con la cassa di s. Maurino presenta la c.d. croce di Alberto (ca. 1170; St. Pantaleon, Schatz), che reca sul recto una decorazione a smalto con girali vegetali - il corpo di Cristo è un'aggiunta moderna di restauro -, mentre sul verso è finemente inciso un medaglione con il busto di Cristo tra l'alfa e l'omega e i simboli degli evangelisti, all'interno di una fitta tessitura a girali vegetali.Vero e proprio capolavoro dell'oreficeria coloniense del settimo decennio del sec. 12° è la cassa-reliquiario di s. Eriberto di Deutz (ca. 1160-1170; Deutz, Neu St. Heribert, Schatz), la cui ricchezza decorativa e complessità architettonica, unitamente alla qualità assoluta dei rilievi e degli smalti, sembrano preannunciare termini stilistici e tipologici dell'opera dell'orafo mosano Nicola di Verdun, di lì a pochi anni attivo nella stessa Colonia. La cassa di s. Eriberto fu eseguita da due maestri di diversa formazione, uno coloniense, l'altro sicuramente proveniente dall'area mosana. Sia gli smalti del coperchio, con scene agiografiche di s. Eriberto, sia quelli prettamente ornamentali e aniconici, come pure i rilievi dei lati lunghi, in argento dorato, con le immagini di Cristo e degli apostoli, alternate a placchette smaltate raffiguranti profeti, presentano le caratteristiche tipiche delle due tendenze, rendendo l'opera emblematica per il riconoscimento della complessità e vivacità culturale che caratterizzano la produzione della città renana. Gli smalti del coperchio dovuti al maestro mosano, per es., mostrano una spiccata preferenza per la resa pittorica dell'immagine, animata da un vivido gusto per il movimento e la volumetria, diverso dalla composta solennità dello stile propriamente coloniense. Differenze analoghe si riscontrano nelle figure di Cristo e del collegio apostolico nei rilievi sui fianchi: quelli mosani segnati da pose più fluide e da un trattamento pittorico e volumetrico del panneggio, quelli renani, più solennemente atteggiati e coperti da manti segnati da fitte pieghettature, che rimandano direttamente agli stilemi propri della scuola miniatoria di Colonia.Negli ultimi tre decenni del sec. 12° altri notevoli esemplari di casse-reliquiario furono prodotti dalle botteghe coloniensi. Vanno ricordati, tra gli altri, quello di s. Eterio (ca. 1170; St. Ursula), caratterizzato da un coperchio in forma di volta a botte, che si incrocia a metà della lunghezza con una struttura analoga, e quelli dei ss. Maurizio e Innocenzo (ca. 1185), di s. Benigno (ca. 1190; entrambi a Siegburg, St. Servatius, Schatzkammer) e di s. Albino (ca. 1186; St. Pantaleon, Schatz). Citazione particolare merita la cassa di s. Annone (ca. 1183; Siegburg, St. Michael), sia per la qualità dell'opera sia per l'importanza del personaggio cui essa è dedicata. Nel 1183 lo scheletro del santo arcivescovo fu rimosso dalla primitiva sepoltura nella chiesa dell'abbazia benedettina di St. Michael e, poco tempo dopo, deposto nella nuova, ricchissima cassa-reliquiario, che venne sistemata nello stesso luogo della tomba precedente. Essa presenta un'elegante struttura architettonica, con arcature trilobate sui lati lunghi, sorrette da colonnine binate sormontate da capitelli doppi, finemente modellati, che presentano tangenze stilistiche con la coeva Bauplastik coloniense. All'inizio del sec. 19° andarono purtroppo quasi completamente perduti tutti gli elementi figurativi dell'opera, di cui si conosce però il programma iconografico grazie a un dipinto settecentesco che riproduce la cassa con ricchezza di dettagli (Belecke, St. Pankratius; già monastero benedettino di Grafschaft; Monumenta Annonis, 1975, p. 190ss.).Punto di arrivo della produzione di questa tipologia e capolavoro assoluto dell'arte orafa europea è la c.d. cassa dei re Magi nel duomo di C. (1181-1230 ca.), lavoro dell'orafo mosano Nicola di Verdun (v.), attivo tra la seconda metà del sec. 12° e i primi anni del successivo. Pur non essendo la cassa riferibile con certezza a Nicola (che invece firma e data l'ambone dell'abbaziale di Klosterneuburg nel 1181 e il reliquiario di Notre-Dame a Tournai nel 1205), all'artista vengono concordemente attribuite l'ideazione e la progettazione formale dell'opera - destinata ad accogliere le reliquie dei re Magi (trasferite da Milano a C. nel 1164) e quelle dei ss. Felice e Nabore -, come pure l'esecuzione in prima persona di alcuni dei rilievi e degli smalti più raffinati e classicheggianti. La struttura della cassa dei re Magi segue nella tipologia dell'insieme la tradizione delle casse-reliquiario coloniensi e mosane, ma ne rende più complessa l'articolazione architettonica, impostando una struttura basilicale con copertura a doppio spiovente per la parte centrale e a spiovente semplice per quelle laterali, articolata da calibratissime membrature e da una vera e propria, ricchissima, Bauplastik. Il trattamento stilistico sia della pura ornamentazione sia, soprattutto, della plastica, ma anche certe scelte iconografiche, mostrano come sfondo un costante riferimento ai modelli figurativi della classicità (Ornamenta Ecclesiae, 1985, II, pp. 447-456) e una vivida adesione a formule di schietto naturalismo nella resa delle figure umane, che caratterizzano il maestro come un vero caposcuola dello 'stile 1200', non solo nell'ambito della produzione orafa, ma anche in quello della scultura tout court. Il naturalismo e il classicismo dell'arte di Nicola di Verdun sarebbero divenuti di lì a pochi decenni - anche grazie agli influssi esercitati dalla sua opera - patrimonio comune ed effettivo background linguistico del Gotico europeo.Nel corso del sec. 13° le botteghe orafe di C. continuarono a produrre oggetti preziosi in grande quantità, mantenendo sempre ottimi livelli qualitativi, ma forse senza svolgere più quel ruolo di leadership innovativa che aveva caratterizzato il secolo precedente. Si riproponevano infatti costantemente tipologie già affermate e, dal punto di vista stilistico, la lezione di Nicola di Verdun influenzò in modo determinante l'arte degli orafi coloniensi, che viravano in termini sempre più precisi verso stilemi propriamente gotici. Tra le opere duecentesche più interessanti si devono almeno ricordare la cassa di s. Onorato (ca. 1230; Siegburg, St. Servatius, Schatzkammer), un reliquiario in cristallo di rocca del 1200-1230 ca. (Colonia, Domschatzkammer), e un braccio reliquiario (post 1222; St. Kunibert) dalla ricca ornamentazione in smalti e pietre semipreziose.Anche nell'età gotica matura e tarda la tradizione orafa coloniense mantenne livelli di assoluta eccellenza qualitativa, creando opere di notevole complessità strutturale, sempre informate da una concezione 'architettonica' della suppellettile liturgica. Si tratta, in particolare, dei trecenteschi reliquiari a ostensorio, tra i quali vanno segnalati un esemplare conservato a Essen (Münsterschatzmus.; ca. metà sec. 14°), che mostra alla sommità della cuspide un pellicano accovacciato e che, nella parte centrale, è animato da elegantissime statuine raffiguranti Cristo, la Vergine con il Bambino e santi, entro edicole a gâbles, e, ancora, un reliquiario a torre (1394; Ratingen, St. Peter und Paul), che per struttura e apparato decorativo si colloca pienamente nell'ambito del Gotico internazionale (Die Parler, I, 1978, p. 200).Anche la produzione di tessuti conobbe a C. una particolare fioritura, tanto che un caratteristico lino di colore blu già in età medievale, e fino al sec. 17°, veniva definito in tutta Europa filum Coloniense (Ornamenta Ecclesiae, 1985, II, pp. 440-445). Si sono conservati numerosi esemplari di paramenti liturgici, borse per reliquie e di altre tipologie, i cui patterns decorativi sono molto spesso fortemente influenzati dai tessuti orientali che vennero importati in gran numero a C., soprattutto a partire dal sec. 12°, per essere usati essenzialmente nell'abbellimento dei più preziosi reliquiari.In una bottega coloniense fu tessuto anche il più antico panno d'arazzo occidentale conservatosi; si tratta del c.d. panno di s. Gereone, ritrovato nel 1857 nell'omonima chiesa e oggi diviso tra i musei di Norimberga (Germanisches Nationalmus.), dove si trova la parte più consistente, di Londra (Vict. and Alb. Mus.) e di Lione (Mus. Historique des Tissus); un altro frammento, già a Berlino (Staatl. Mus., Pr. Kulturbesitz, Kunstgewerbemus.), è andato distrutto nel 1945. Il panno, databile al terzo quarto del sec. 11°, presenta una decorazione a medaglioni ripetuti, entro cui è raffigurato un grifo alato che assale un toro (v. Arazzo). Il carattere orientaleggiante del tema decorativo del panno di s. Gereone è facilmente spiegabile con i numerosi esemplari di tessuti orientali presenti a C., come per es. quello in seta rinvenuto nel sarcofago di Viventia (St. Ursula), manufatto dell'Asia Minore, databile tra i secc. 10° e 11°, oggi allo Schnütgen-Museum.

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Musei

Ricchissimo appare il panorama museale di C.: oltre, infatti, alle istituzioni di più o meno recente formazione, le maggiori chiese conservano nei loro tesori principalmente opere di arte suntuaria di grande importanza e preziosità.Il Römisch-Germanisches Mus. conserva una delle più importanti raccolte europee di reperti di età romana (vetri, monete, metalli lavorati, avori, sculture), insieme al materiale - soprattutto oreficerie - emerso dagli scavi delle necropoli altomedievali di Colonia.Il Wallraf-Richartz-Mus., costituito nel 1824 in seguito a un lascito testamentario di Ferdinand Franz Wallraf (1748-1824), conserva importanti opere di pittura medievale coloniense (Maestro della Santa Veronica, Stefan Lochner) e alcune tavole italiane, tra cui una Madonna con il Bambino di Simone Martini.Lo Schnütgen-Mus., situato nella chiesa sconsacrata di St. Cäcilien, conserva invece un'importantissima collezione di sculture in legno tedesche dal sec. 11° al 15° (tra cui il famoso crocifisso di St. Georg, del 1070 ca.), oltre a una ricchissima raccolta di opere in metallo, tra cui numerosi crocifissi romanici in bronzo di area renana e coloniense. Possiede anche una notevole raccolta di codici miniati a C. in età carolingia e ottoniana, con alcune coperte di legatura in avorio, e, ancora, oreficerie (per es. l'antependium di St. Ursula, ca. 1070, in rame dorato e smalti), acquamanili, candelabri. Fu fondato dal collezionista Alexander Schnütgen (1843-1918), canonico del duomo e fine conoscitore dell'arte coloniense.Tra i tesori va ricordata innanzitutto la Domschatzkammer, dove si conservano opere di ambito non solo coloniense e medievale, come per es. il bastone di s. Pietro (tardoantico, modificato a C. dal sec. 10° al 16°) o quello del primo cantore del duomo, eseguito a C. (ca. 1200), insieme a oreficerie come la croce-reliquiario da St. Maria ad Gradus (lavoro bizantino del sec. 12° rilavorato a C. verso il 1240) o un'altra, coloniense, della seconda metà dell'11° secolo.Particolarmente ricco è il tesoro di St. Pantaleon (Schatz), in cui si conservano, tra le altre opere, soprattutto di oreficeria e in avorio, la cassa di s. Maurino, quella di s. Albino e la croce di Alberto.L'Erzbischöfliches Diözesanmus., che è sistemato nell'antico palazzo vescovile, conserva un'importante collezione di manoscritti coloniensi datati tra i secc. 10° e 14° con alcune coperte di legatura in avorio, come pure preziose oreficerie di epoca medievale (tra le quali la croce di Erimanno; Werden, ante 1056), dipinti su tavola della scuola coloniense e una vastissima raccolta di sigilli dell'episcopato di C., dall'età ottoniana al sec. 15° e oltre. Rilevante è anche la raccolta di sculture lignee, come del resto quella di stoffe copte e orientali.

Bibl.: - J. Eschweiler, Das Erzbischöfliche Diözesan-Museum zu Köln, Köln 1924; Das Schnütgen-Museum. Eine Auswahl, Köln 1968⁴ (1958); H. Borger, Das Römisch-Germanische Museum, München 1977; W. Schulten, Kostbarkeiten in Köln. Erzbischöfliches Diözesan-Museum Köln, Köln 1980; A. von Euw, Schnütgen-Museum Köln, Braunschweig 1984; Wallraf-Richartz-Museum. Köln. Von Stefan Lochner bis Paul Cézanne. 120 Meisterwerken der Gemäldesammlung, a cura di M. Schlagenhaufer, Milano-Köln 1986; Schnütgen-Museum. Die Holzskulpturen des Mittelalters (1000-1400), a cura di U. Bergmann, Köln 1989; D. Renner-Volbach, Spätantike und koptische Textilien im Erzbischöflichen Diözesanmuseum in Köln, Wiesbaden 1992.A. Tomei

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