COLUMBIA PICTURES CORPORATION

Enciclopedia del Cinema (2003)

Columbia Pictures Corporation

Giuliana Muscio

Casa di produzione e distribuzione statunitense, fondata nel 1924. Rispetto alle vere e proprie majors fu, almeno agli inizi, una compagnia più piccola, come la Universal Pictures e la United Artists, e come queste non controllava catene di sale. Tuttavia è stato uno dei pochi studios originari ad aver proseguito l'attività, pur con profonde modificazioni dell'assetto proprietario e con il capovolgimento del proprio status da minor a major.

I tre fondatori, i fratelli Harry e Jack Cohn e Joseph (Joe) Brandt, avevano iniziato a lavorare nella produzione indipendente con Carl Laemmle alla Universal, finché nel 1919 non decisero di lasciarla per fondare la Cohn Brothers, che si trasformò in breve in C.B.C. Sales Corporation (dai nomi Cohn-Brandt-Cohn, ma scherzosamente rinominata Corned Beef and Cabbage, per via della 'economia domestica' caratteristica dei suoi metodi produttivi). Mentre il settore esecutivo restò a New York, H. Cohn preferì trasferirsi in California per occuparsi della produzione, installandosi a Poverty Row, la zona in cui erano situati gli studios minori. Nel 1924, dopo aver rafforzato l'apparato produttivo e distributivo, la casa assunse il nome di Columbia Pictures Corporation, con Brandt nel ruolo di presidente e con il compito di mediare tra i due litigiosi fratelli. Una decisione cruciale, subito assunta, fu quella di non espandersi nell'esercizio, ma di concentrarsi invece nella produzione e nella distribuzione. Nel 1927 la casa arruolò il regista Frank Capra che mise a segno una serie di successi di critica e commerciali tali da far decollare la società, tra cui It happened one night (1934; Accadde una notte), che ottenne ben cinque Oscar, permettendo alla C. P. C. di entrare tra le majors.

A partire dagli anni Trenta la C. P. C., favorita dal nuovo sistema di programmazione in sala, il doppio programma, che prevedeva la proiezione di due film (uno di serie A e uno di serie B) al prezzo di uno solo e che quindi necessitava di un buon prodotto per la posizione B del cartellone, divenne una mini-major. Sfruttando il talento dei suoi sceneggiatori, ottenne ottimi risultati grazie a commedie sofisticate come Theodora goes wild (1936; L'adorabile nemica) di Richard Boleslawski e The awful truth (1937; L'orribile verità) di Leo McCarey, che lanciarono in questo genere l'attrice Irene Dunne, e grazie ai film di Howard Hawks, Twentieth century (1934; Ventesimo secolo), Only angels have wings (1939; Avventurieri dell'aria) e His girl Friday (1940; La signora del venerdì). Punto forte dell'economia dello studio furono però i film a basso costo, i western e le serie, distribuiti per lo più nelle sale periferiche.

Nelle favorevoli condizioni del periodo bellico, la casa poté permettersi la sua prima star, la pin-up Rita Hayworth, per la quale avviò la produzione di musical come Cover girl (1944) di Charles Vidor. Negli anni Quaranta furono prodotti alcuni film noir ben confezionati, come Dead reckoning (1947; Solo chi cade può risorgere) di John Cromwell o The lady from Shanghai (1948; La signora di Shangai) di Orson Welles. I grandi successi commerciali di The Jolson story (1946; Al Jolson) di Alfred E. Green, Jolson sings again (1949; Non c'è passione più grande) di Henry Levin e soprattutto di Gilda (1946) di Vidor permisero alla società di raddoppiare i profitti tra il 1940 e il 1946, e di superare con un certo agio la crisi del secondo dopoguerra, anche perché la C. P. C. riuscì a fronteggiare la minaccia della televisione, diventando la prima casa cinematografica ad avviare la produzione di telefilm attraverso la sussidiaria Screen Gems. Dai film realizzati in quel periodo giunse una serie notevole di Oscar: All the king's men (1949; Tutti gli uomini del re) di Robert Rossen, Born yesterday (1951; Nata ieri) di George Cukor (premio Oscar alla protagonista, la nuova stella Judy Holliday), From here to eternity (1953; Da qui all'eternità) di Fred Zinnemann, On the waterfront (1954; Fronte del porto) di Elia Kazan, The bridge on the river Kwai (1957; Il ponte sul fiume Kwai) di David Lean, prodotto dall'indipendente Sam Spiegel.

La morte sorprese H. Cohn nel 1958, mentre lo studio system si avviava verso un inesorabile declino: fu la fine di un'era e per la prima volta la casa subì dei passivi. Nei primi anni Sessanta, la nuova leadership (Abe Schneider e Sam Jaffe) si aprì alla distribuzione di film inglesi di successo (The guns of Navarone, 1961, I cannoni di Navarone, di J. Lee Thompson; Lawrence of Arabia, 1962, Lawrence d'Arabia, di Lean) e ottenne buoni incassi da Funny girl (1968) di William Wyler, con Barbra Streisand. Nel 1968 la società si trasformò in Columbia Pictures Industries e si trasferì, nei primi anni Settanta, a Burbank; il vecchio studio assunse un ruolo trainante nel rinnovamento del cinema hollywoodiano, offrendo ampi spazi agli indipendenti e distribuendo alcuni dei film più significativi del periodo come Easy rider (1969) di Dennis Hopper e Five easy pieces (1970; Cinque pezzi facili) di Bob Rafelson, ma conservando la tradizionale saggezza commerciale, grazie ai grandi successi riportati dalla Streisand con le sue interpretazioni in The way we were (1973; Come eravamo) di Sydney Pollack e Funny lady (1975) di Herbert Ross.

Dal 1973 iniziarono profondi mutamenti dell'assetto proprietario, quando la finanziaria Allen and Co. acquisì la società, affidandola a un gruppo, composto da David Begelman, Peter Guber e Alan Hirschfield, che realizzò una serie di film notevoli: Shampoo (1975) di Hal Ashby, Taxi driver (1976) di Martin Scorsese, Close encounters of the third kind (1977; Incontri ravvicinati del terzo tipo) di Steven Spielberg, Kramer vs. Kramer (1979; Kramer contro Kramer) di Robert Benton, che nel 1980 ottenne l'Oscar come miglior film. Nel 1978, in seguito a uno scandalo che aveva travolto Begelman, era stato nominato vicepresidente incaricato della produzione Frank Price, il quale realizzò Tootsie (1982) di Pollack e Gandhi (1982) di Richard Attenborough, che vinse ben otto Oscar, oltre a Ghostbusters (1984; Ghostbusters ‒ Acchiappafantasmi) di Ivan Reitman e The Karate kid (1984; Per vincere domani) di John G. Avildsen, che ottennero entrambi enorme successo presso il pubblico giovanile.

La Columbia fu una delle prime case ad adattarsi ai nuovi sistemi produttivi (package deals) e distributivi (uscita a tappeto) e ad aprirsi alle nuove tecnologie, facendo una joint venture con la RCA (Radio Club of America) nel settore dell'home video e acquisendo nel 1981 la produzione televisiva della Time-Life. I successi manageriali, quelli commerciali e di critica la resero molto appetibile sul mercato finanziario; nel 1982 la Coca-Cola l'acquistò per inglobarla nel settore entertainment, dando vita anche alla Tri-Star Pictures ‒ in alleanza con HBO (Home Box Office, ovvero televisione a pagamento), la rete CBS (Columbia Broadcasting System) e la CPI Film Holdings (sussidiaria della Coca-Cola) ‒, che poté contare nel 1985 sul successo di Rambo: first blood, Part II (Rambo 2 ‒ La vendetta) diretto da George Pan Cosmatos. Infastidito dal tipo di produzione voluta dalla Coca- Cola, Price se ne andò e venne sostituito da una serie di dirigenti, tra i quali il brillante filmmaker inglese David Puttnam, che nel 1988 fece vincere alla casa ben nove Oscar con The last emperor (1987; L'ultimo imperatore) di Bernardo Bertolucci, permettendole di superare così tutti gli altri studios per il numero di Oscar vinti. Ma Puttnam si era fatto nel frattempo troppi nemici e se ne andò, mentre la nuova scena delle grandi multinazionali della comunicazione sembrava essere sconvolta da lotte di potere più dure di quelle esistenti all'epoca dell'impulsivo H. Cohn.

Anche i tempi di permanenza in un ruolo dirigenziale si ridussero sensibilmente, producendo un ricambio che di rado permetteva di imprimere un tocco personale alle scelte produttive. Alla fine del 1987 la Coca-Cola ridistribuì le quote azionarie, trasformando la società in Columbia Pictures Entertainment, controllata per il 49% dalla Coca-Cola e per il 20% dagli azionisti della Tri-Star. Alla presidenza venne nominato Victor Kaufman; la dirigenza produttiva andò a una donna, Dawn Steel, ma permanevano forti divergenze nei modelli manageriali, vista l'eterogeneità della produzione rispetto alla casa madre. Sotto la guida di Kaufman, la casa razionalizzò i propri metodi, con buoni risultati, attirando l'attenzione della società giapponese Sony, che nel 1989 offrì alla Coca-Cola 3,4 miliardi di dollari per lo studio e inoltre un archivio costituito da 3000 film Columbia, 270 serie televisive, una catena di sale (la Loew's Theatre Management di 850 sale), la RCA/Columbia Home Video, la Tri-Star e la distributrice Triumph.Dopo un veloce ricambio ai vertici (Jon Peters e Peter Guber, Alan Levine nel 1993) e il successo di Sleep-less in Seattle (1993; Insonnia d'amore) diretto da Nora Ephron e di Philadelphia (1993) di Jonathan Demme, la stabilità è stata raggiunta nel 1996 quando la Sony ha deciso di concentrarsi sul digitale e di mettere a capo della casa un team esperto. Evitando l'ostruzionismo antigiapponese delle gestioni precedenti, il capo della produzione John Calley ha ben accolto l'amministratore Nozoe Yuki; con una partecipazione più diretta della Sony alla gestione aziendale, ma con minori interferenze nella produzione cinematografica, nel 1997 la Columbia TriStar ha ottenuto il maggior successo commerciale che uno studio abbia mai riscosso in un anno, con una serie di film fortunati quali Jerry Maguire (1996) di Cameron Crowe, Men in black (1997; MIB ‒ Men in black) di Barry Sonnenfeld, Air force one (1997) di Wolfgang Petersen, My best friend's wedding (1997; Il matrimonio del mio migliore amico) di P.J. Hogan e As good as it gets (1997; Qualcosa è cambiato) di James L. Brooks; segno che forse è stato trovato un equilibrio tra esigenze manageriali moderne e l'imprevedibile mondo dell'immaginario cinematografico. Dato il suo collegamento con la Sony, la casa si è inoltre posta all'avanguardia nel restauro digitale dei film del proprio prezioso archivio.

Bibliografia

B.B. Hampton, A history of the movies, New York 1931.

E. Buscombe, Notes on Columbia Pictures Corporation 1926-41, in "Screen", 1975, 16, 3, pp. 65-82.

Columbia Pictures: portrait of a studio, ed. B.F. Dick, Lexington (KY) 1992.

Frank Capra: author-ship and the studio system, ed. V. Zagarrio, R. Sklar, Philadelphia 1998.

C. Hirschorn, The Columbia story, New York 1999.

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