COMETA

Enciclopedia Italiana (1931)

COMETA (dal gr. κομήτης "cometa"; fr. comète; sp. cometa; ted. Komet, Schweifstern; ingl. comet)

Luigi GABBA

Aspetto. - Le comete appariscono di aspetto, di forma e con movimenti differenti a seconda dei casi; sono visibili durante periodi di tempo relativamente brevi. Molte sono percettibili soltanto col cannocchiale, talune divengono visibili anche all'occhio disarmato. Nella sua forma tipica la cometa appare costituita da una testa o chioma che circonda un nucleo più luminoso e di uno strascico o coda protendentesi in direzione opposta al Sole. L'apparente grandezza di una testa cometaria può variare da quella d'una piccola stella fino ad avere la dimensione angolare della luna; il nucleo è generalmente assai piccolo e brillante e la coda può talora estendersi per molti gradi e svanire nell'oscurità del cielo. La parte maggiormente caratteristica delle comete è la testa, che si presenta in ogni caso, mentre o nucleo o coda, e talora entrambi, possono mancare, specialmente nelle comete poco luminose. Si videro talvolta comete così luminose da poterle osservare in piena luce diurna; sempre appaiono così trasparenti, fatta eccezione per il nucleo, che riesce possibile attraverso di esse l'osservazione di stelle senza affievolimento del loro splendore.

Numero. - Prima dell'invenzione del cannocchiale (anno 1609) è ricordata l'apparizione di circa 400 comete; altrettante vennero osservate dopo tale data. Ora se ne scoprono circa da 3 a 10 ogni anno.

Grandezza e massa delle comete. - Le dimensioni delle comete sono molto variabili dall'una all'altra apparizione, e, per una medesima cometa, col tempo. Il diametro del nucleo può determinarsi solo in via approssimata; esso può raggiungere parecchie migliaia di chilometri. La testa può essere ben più ampia; si ricorda la cometa del 1811, la testa della quale avrebbe avuto un volume 350 volte maggiore di quello del pianeta Giove. La coda può essere lunga pochi milioni di chilometri, ma in qualche caso può superare anche la distanza fra il Sole e la Terra (circa 150 milioni di chilometri) e avere un volume uguale ad alcune migliaia di volte quello del Sole.

Di contro a così colossali dimensioni le masse cometarie sono pressoché trascurabili. Ciò si deve ritenere fuori dubbio, malgrado la mancanza di determinazioni della loro massa, per alcuni fatti che hanno valore probativo. E cioè: il non aver mai il moto della Terra e quello dei pianeti risentito perturbazione alcuna dall'avvicinarsi delle comete, le quali invece hanno avuto perturbato dai pianeti, talora notevolmente, il loro moto; il non aver subito perturbazione alcuna il sistema dei satelliti di Giove, allorquando alcune comete (quella del 1770, quella del 1889 V) sono passate attraverso di esso. La cometa del 1882, brillante nella luce diurna, fu completamente invisibile quando passò dinnanzi al Sole. La massa d'una cometa si può con probabilità ritenere non superiore a 1/100.000 di quella della Terra; quindi può essere di alcuni milioni di tonnellate.

La densità delle comete è oltremodo piccola. Piccole stelle infatti si sono potute vedere attraverso le teste cometarie in prossimità del nucleo, senza un'apprezzabile diminuzione di splendore. In media la densità d'una testa cometaria si può ritenere dell'ordine di quella che ha l'aria rarefatta in una camera da una buona pompa aspirante. La densità di una coda è ancora minore.

Molte comete si sono frantumate e hanno originato sciami di stelle meteoriche, il che consente l'ipotesi che le teste cometarie sono costituite da pietre meteoriche separate fra loro da spazî vuoti. Tale ipotesi riceve appoggio anche dal non aver mai le comete presentato indizio alcuno di fasi di luminogità.

Designazione. - Si sogliono in un primo tempo designare col numero dell'anno nel quale ogni cometa appare o si scopre, seguito dalle lettere dell'alfabeto minuscolo a, b, c,..., secondo l'ordine dell'apparizione. In un secondo tempo, non appena sia noto il cammino del nuovo astro intorno al Sole, le comete si designano con i successivi numeri romani I, II, III...., secondo l'ordine col quale ciascuna passa per il punto (perielio) del suo percorso (orbita) più vicino al Sole. Così la cometa 1928 a è la prima scoperta nel 1928, la 1928 I è la prima che nel 1928 passò al perielio. Assai comune è pure l'uso d'indicare le comete col nome del loro scopritore o di colui che le ha fatte oggetto di qualche ricerca notevole.

Durata della visibilità e splendore. - La durata della visibilità di tali astri è variabile, secondo i casi, da pochi giorni a molti mesi e talora ha raggiunto qualche anno; naturalmente i mezzi d'osservazione odierni, e in specie la fotografia, consentono di osservarle per assai più tempo che per il passato.

Differente è lo splendore delle varie comete; molte sono visibili soltanto con i massimi strumenti; all'incirca una sopra cinque riesce percettibile ad occhio nudo; qualcuna diviene così cospicua da essere scorta anche di chiaro giorno in prossimità del Sole.

Natura, movimento, origine delle comete. - Le apparizioni cometarie sono state per lungo volgere di secoli riguardate come fenomeni atmosferici e perciò escluse dalle indagini dell'astronomia. Prevalse l'incontrastata opinione, avvalorata dalla grande autorità di Aristotele, che venissero prodotte da esalazioni terrestri innalzatesi nell'atmosfera e ivi accese per l'azione degli astri e specialmente del Sole; sebbene a tale ipotesi non sia mancata, anche nell'antichità, qualche opposizione, e notevolissima quella di Seneca. È durante il sec. XV che qualche scienziato, dubbioso della natura atmosferica delle comete, comincia a farle oggetto di studio. Il merito di avere per il primo fatto di tali astri osservazioni d'importanza scientifica spetta a Paolo Dal Pozzo Toscanelli, il quale, per diverse comete, scoperte da lui stesso e da altri, determinò a dati istanti la posizione del cielo, riferendole a stelle conosciute. Tycho Brahe provò che le comete non sono corpi sublunari ma corpi cosmici, cioè molto più distanti da noi della Luna e riuscì a provare ciò paragonando le osservazioni proprie fatte a Uraniborg con quelle contemporanee fatte a Praga dal Hajek sulla cometa del 1571. Posto fuori di dubbio che le comete siano astri, s'impose il problema di spiegare le apparenze del loro moto e di stabilire quali fossero le orbite da esse descritte. Dopo alcuni tentativi, fatti a tale scopo da Brahe medesimo, da Keplero e da Hewelke (1611-1687), Giovanni Borelli espose per il primo (1665) l'dea che anche le comete, come i pianeti, si muovono intorno al Sole e compiono il loro giro intorno a questo su ellissi enormemente allungate, tanto allungate che il vertice di esse più distante dal Sole ne sia lontano così che le ellissi appaiano convertirsi in parabole. Tale intuizione in seguito venne sanzionata dalla legge della gravitazione universale scoperta da Newton ed ebbe conferma da Halley.

Effettivamente i calcoli orbitali, che sono stati fatti delle' molte comete, hanno mostrato l'esistenza non solo di orbite paraboliche o quasi paraboliche, ma anche l'esistenza di orbite percorse in breve periodo di tempo (inferiore a 10 anni).

Circa le orbite paraboliche, o quasi, è da notare che il piano, nel quale giacciono, può assumere qualsiasi posizione e che, sebbene sia molto preponderante la forma parabolica, pure si presentano casi di deviazione da tale forma verso quella di ellissi allungatissime, e anche verso quella d'iperboli. Una tale constatazione ha condotto a pensare che vi possono essere comete connesse permanentemente al sistema solare e comete che soltanto temporaneamente penetrino nella sfera dell'attrazione del Sole per poi uscirne di nuovo. Le prime, quelle a lungo periodo, delle quali in qualche caso si osservò il ritorno, deriverebbero dalla medesima nebulosa primitiva che ha dato origine anche ai pianeti. Le comete con orbite iperboliche hanno dato occasione a investigazioni notevoli, iniziate dal Laplace e continuate fino ai giorni nostri. L'essere le iperboli, che risulterebbero percorse da tali astri, di pochissimo differenti da parabole (l'avere cioè l'eccentricità di assai poco superiore a uno) e l'essere in numero esiguo, e inoltre lo scarso grado di certezza che presentano tali determinazioni di orbite iperboliche, hanno portato a indagare se le iperboli non siano la conseguenza d'incertezza o d'insufficienza dei dati di osservazione dai quali dipendono, o anche non siano dovute alle perturbazioni che la cometa può aver subito nel suo corso per effetto dell'attrazione di qualche pianeta. È precisamente alle cause ora accennate che sarebbe da ascrivere il carattere iperbolico di alcune poche orbite cometarie e non all'effettiva esistenza di corpi, che giungano nel sistema solare dagli spazî interstellari. A un tale risultato, per vie e con considerazioni differenti, tendono le ricerche teoriche di diversi investigatori, segnatamente quelle di Laplace, Gauss, Seeliger, Schiaparelli, Fabry, Fayet, Thraen, Strömgen e Armellini. L'origine solare delle comete ne risulta pertanto assai probabile ma non assolutamente certa. Esistono infatti ricerche che asseriscono l'origine interstellare delle comete ed è notevolissimo uno degli ultimi lavori dello Schiaparelli, il quale afferma che almeno una parte delle comete costituisce una corrente cosmica, di per sé esistente, di origine interstellare e avente comune col sistema solare soltanto il movimento nello spazio.

Le comete a breve periodo si muovono in orbite, le quali differiscono da quelle planetarie essenzialmente soltanto per la forma allungata (per l'eccentricità) i cui piani non sono molto inclinati rispetto a quelli del movimento dei pianeti; esse sono quasi tutte astri di poco splendore apparente e quasi tutte visibili soltanto con l'aiuto degli strumenti. Quasi tutte tali comete hanno il punto della loro orbita più distante dal Sole (l'afelio) non lontano dall'orbita di Giove, donde venne la denominazione di famiglia delle comete di Giove, e si congetturò pure l'esistenza di famiglie cometarie di Saturno, di Urano e di Nettuno, congettura che ora però non si ritiene verosimile.

Secondo una concezione emessa primieramente dal Laplace, le comete a breve periodo della famiglia di Giove si sarebbero originariamente mosse in orbite allungatissime, le quali avrebbero poi subito alterazioni e modificazioni così da diventare ristrette e a breve periodo perché le comete che le percorrevano vennero a trovarsi così vicine a Giove da sentire l'effetto della sua attrazione e da averne quindi perturbato il movimento e trasformata l'orbita. Tali comete avrebbero, come si suol dire, subito la cattura di Giove. In qualche caso, la prova che una cometa si sia avvicinata all'orbita di Giove e ne abbia avuto il corso originario modificato, anzi trasformato, si è avuta, per es., per le comete scoperte dal Lexell e dal Wolf.

Spettro delle comete. Loro costituzione. - Le osservazioni spettroscopiche dapprima e poi quelle spettrografiche hanno fornito grande copia di dati. Non sempre facile e sicura è però la loro interpretazione; ogni progresso che si compie in tale campo si collega col continuo perfezionarsi delle nostre cognizioni fisiche.

Il primo a fare indagini spettroscopiche sulle comete è stato l'italiano G. B. Donati, che osservò lo spettro della cometa del 1864; in seguito furono ripetute da molti altri in occasione di nuove apparizioni cometarie ogni volta che furono abbastanza cospicue da poterne ottenere un buono spettro. Il risultato di tali indagini è, per le teste delle comete, la constatazione della presenza di due tipi di spettri, sovrapposti l'uno all'altro. Si ha lo spettro continuo formato dalle comuni strisce colorate e che il fisico sa interpretare come quello dovuto ai corpi solidi o fluidi incandescenti; e si ha inoltre lo spettro cosiddetto discontinuo, costituito cioè da righe o da gruppi di righe isolati fra loro, brillanti, di colore differente, tipo di spettro che si conosce essere caratteristico dei corpi gassosi incandescenti. Dalla posizione e dall'aspetto degli accennati gruppi di righe o delle semplici righe (nelle parti gialla, verde e azzurra dello spettro) si è potuto concludere che i gas incandescenti sono carbonio e suoi composti gasosi, rimanendo però indeciso se siano idrocarburi ovvero ossidi di carbonio. Il Huggins ha mostrato che le linee brillanti ora accennate sono le medesime che nei laboratorî si ottengono dalla fiamma azzurra del becco di Bunsen. In diversi casi sono state constatate apparenze spettroscopiche che si differenziano da quella tipica or ora ricordata; sono infatti comparse le righe indicatrici della presenza di alcuni vapori metallici, quali quelle del sodio, del magnesio e forse anche del ferro. Non è però da credere che esistano masse cometarie di composizioni differenti. Se la constatazione della presenza dei vapori metallici è stata raggiunta soltanto in alcuni casi, ciò avvenne solo per quelle comete che si sono notevolmente avvicinate al Sole, tanto avvicinate da averne, per la sua forte azione calorifica, vaporizzate anche le parti metalliche. È stato posto il quesito se la luce delle comete è propria di tali astri ovvero è riflessa in tutto o in parte. Non fu fino ad ora possibile dire se la luce cometaria sia o non sia luce polarizzata. La presenza delle linee brillanti, cioè dello spettro discontinuo, non può ehe attribuirsi a luce propria di tali astri. Lo spettro continuo invece dapprima venne ritenuto senz'altro dovuto a luce solare riflessa dalla massa cometaria, e ciò specialmente per la presenza in esso delle linee di Fraunhofer; ma ora si ritiene la cosa molto dubbia. E il dubbio deriva dal fatto che in diverse comete, anche di recente apparse, si sono osservati subitanei aumenti di splendore, concomitanti ad aumenti dell'intensità dello spettro, onde ora s'inclina verso l'ipotesi che anche lo spettro continuo delle comete possa, almeno in parte, essere dovuto a luce propria della testa di tali astri.

Difficilmente fu accessibile a osservazioni visuali lo spettro delle code delle comete. È riuscito solo di constatare che le code, in prossimità della testa, hanno il medesimo spettro di questa, donde la plausibile conseguenza che la costituzione della coda e le condizioni di luminosità di essa siano le medesime che si hanno per la testa.

All'ispezione dello spettro fatta dall'occhio umano, si è aggiunta negli ultimi tempi la fotografia. Con l'indagine spettrografica è divenuto possibile l'esame dello spettro cometario nella sua parte ultravioletta ed è stato facilitato lo studio dello spettro delle code. Da tali indagini sono risultate differenze dagli spettri dei normali idrocarburi, differenze delle quali si può dar ragione attribuendole, parzialmente, a miscele di monossido di carbonio e di cianogeno ed attribuendole in parte alle pressioni ridotte, nelle quali si trovano le masse cometarie. La luminosità propria delle comete si vuole ora attribuire non a incandescenza, ma a fenomeni elettrici della loro massa, idea questa. che ha il suffragio dei fenomeni elettrici che si osservano con le scariche nel vuoto dei tubi di Geissler.

Formazione e natura delle code cometarie. - Per dare spiegazione del come possano formarsi le code cometarie e della ripulsione che il Sole sembra esercitare su esse, sono state proposte diverse teorie, le quali tutte non sono esenti da obiezioni o da critiche. L'astronomo russo Bredichin ha dato una completa teoria, la quale prende le mosse dall'idea, già esposta dallo Zöllner e dall'Olbers, che il fenomeno in esame sia dovuto alla repulsione elettrostatica di materia emessa dal nucleo della cometa. In tale teoria la forza ripulsiva si suppone che sia inversamente proporzionale al peso molecolare dei gas che il nucleo emette, e che per conseguenza sia massima per il gas idrogeno. In conformità di tale veduta il Bredichin ha raggruppato le code cometarie in tre tipi a seconda del rapporto fra l'intensità della forza di gravitazione e la forza repulsiva: 1. code lunghe e diritte sarebbero costituite principalmente da idrogeno; la forza di repulsione del campo elettrico solare è assunta non meno di otto volte più grande che l'attrazione dovuta alla gravitazione, donde consegue che piccole parti del nucleo lo abbandonino con velocità relativa che dovrà aumentare rapidamente; 2. code più brevi di quelle del tipo precedente, e più incurvate sarebbero costituite con preponderanza di carbonio; in queste la forza di repulsione è supposta di circa il doppio soltanto dell'attrazione gravitazionale; 3. code brevi, tozze, molto incurvate; si suppongono costituite da gas metallici, da sostanze per le quali la forza repulsiva si assume uguale soltanto ad una frazione della forza di gravitazione. Esisterebbero comete, specialmente fra quelle che apparvero di splendore cospicuo, nelle quali si sono potuti scorgere riuniti i tre anzidetti tipi di coda.

Attualmente la teoria del Bredichin ha perduto alquanto del consenso che le venne accordato in passato; ha invece maggior credito la teoria che vuol spiegare il fenomeno in parola ricorrendo alla pressione di radiazione, alla pressione cioè che la luce esercita sui corpi che ne vengono colpiti. Una tale pressione, dimostrata teoricamente dal Maxwell e provata con l'esperienza da fisici diversi, è piccolissima e proporzionale all'area che ne viene colpita; ma quando le masse siano oltremodo esigue, come quelle dei corpuscoli onde è composta la coda di una cometa, può superare la forza attrattiva della massa solare stessa. La pressione di radiazione può talvolta superare anche da 30 a 100 volte l'attrazione solare.

Le code cometarie sarebbero dunque correnti di particelle espulse dal nucleo, le quali continuano il loro movimento sotto l'azione solare. Una tale veduta risulta corroborata dai fatti, che per alcune code cometarie si son potuti porre in evidenza col mezzo della fotografia, durante le apparizioni verificatesi negli ultimi decennî. Nelle loro code si sono visti talora dei gruppi di materia, dei punti di condensazione luminosa; e le fotografie ottenute a intervalli di tempo l'una dall'altra hanno mostrato il distacco di masse di materia dalla massa principale e il loro rapido moto di allontanamento dalla testa della cometa. In qualche caso, come avvenne per la cometa scoperta dal Morehouse nel 1908, si videro mutazioni assai rapide nell'aspetto della coda (v. tav. CLXXIX).

Dissipazione della materia cometaria. - La materia emessa dal nucleo, ed eventualmente anche da qualche nucleo secondario distaccatosi da quello principale, è probabilmente di debole ammontare e si ritiene venga dispersa nello spazio. Ciò è provato dall'affievolimento dello splendore e dall'abbreviamento delle code, che si sono constatati in alcune comete periodiche a ogni successivo ritorno (cometa di Encke, cometa di Halley), ed è provato pure dalla cometa di Biela divisasi in parecchie altre comete assai deboli e che, nei previsti ritorni periodici successivi a quello in cui si osservò la divisione, non si è più riusciti a scorgere.

Di alcune apparizioni cometarie particolarmente notevoli. - La cometa di Halley. - La cometa apparsa nel 1682, dai calcoli del Halley, venne ritenuta un ritorno di quella del 1607, e poiché era conservata la notizia di comete cospicue vistesi in precedenza a intervalli di anni 751/2 circa, nel 1531 e nel 1456 e anche prima del 1456, il Halley fu tratto a pronosticare il ritorno di tale astro nel 1758. Nell'intervallo di tempo precedente tale data fu calcolato dal Clairaut l'effetto delle perturbazioni esercitate da Giove e da Saturno sull'orbita della cometa e predetto il passaggio di essa al perielio con l'incertezza di un mese. La previsione si verificò e la cometa, riapparsa nel 1758, passò precisamente al suo perielio con un mese di anticipo rispetto alla data calcolata. In seguito i calcoli per le previsioni dei successivi ritorni si sono maggiormente perfezionati, tenuto pure conto delle perturbazioni arrecate dalle masse planetarie di Urano e di Nettuno prima ignoti; cosicché l'ultimo passaggio al perielio il 20 aprile 1910 si verificò con soli tre giorni di ritardo sul dato calcolato dal Cowell e dal Crommelin.

Durante il suo ritorno del 1910 la cometa di Halley è passata davanti al disco del Sole senza che di essa sia stato possibile scorgere nulla e senza che sia stato apprezzabile assorbimento alcuno della luce solare: essa ebbe durante il mese di maggio una coda di enormi dimensioni la quale raggiunse una lunghezza apparente in cielo di 150° e un'estensione lineare di 30 milioni di km. Il passaggio della Terra attraverso la coda di tale cometa, congetturato come possibile, non si è verificato, almeno attraverso la coda principale, come l'Antoniazzi aveva previsto.

La cometa di Biela. - Scoperta nel 1826 e percorrente la sua orbita nel periodo di anni 6,6, fu riosservata nel 1832, non lo fu nel 1839 per le sfavorevoli condizioni della sua posizione. Fu invece riveduta nel 1846; apparve dapprima con aspetto regolare, dopo qualche settimana con la testa di forma allungata, e dopo altro breve tempo scissa in due parti che percorrevano orbite separate e consimili. Nella riapparizione del 1852 i due frammenti dell'astro avevano accresciuto la loro distanza; dopo d'allora non si sono mai più potuti scorgere al ripetersi d'ogni periodo. Si deve per conseguenza ritenere che l'astro si sia frantumato; alcuni frammenti di esso, invisibili per loro stessi, si muoverebbero però ancora lungo l'orbita della cometa, come provano con certezza quasi assoluta le piogge di stelle cadenti (Leonidi) verificatesi il 27 novembre del 1872, nonché quelle del 27 novembre 1885 e del 23 novembre 1892.

La cometa di Encke. - È la prima che si è tr0vata appartenente alla famiglia di Giove ed è quella che compie la sua rivoluzione nel periodo più breve che si conosca, cioè in anni 3,33. È un astro telescopico, debole, ma è assai notevole per i forti cambiamenti del suo volume e soprattutto per il fatto che la durata di ogni sua rivoluzione si è abbreviata di ore 2,5 fino al 1858, e d'allora in poi è variabile in misura minore.

Tale fatto venne dall'Encke attribuito alla resistenza di un mezzo tenuissimo il quale riempirebbe lo spazio e, per la sua tenuità, sarebbe incapace di esercitare una qualsiasi resistenza al moto dei pianeti, ma la eserciterebbe invece sopra una massa tanto esigua quanto quella di una cometa, molto meno densa dell'aria. La resistenza opposta al moto da un tale mezzo (etere resistente) avrebbe per conseguenza un aumento della forza attrattiva del Sole, donde una diminuzione dell'asse maggiore dell'orbita e una corrispondente diminuzione del periodo rivolutivo.

La constatata variabilità di tale diminuzione, e il non presentarsi l'abbreviamento della durata rivolutiva in altre comete periodiche pure di breve periodo, hanno condotto il Backlund a riprendere e a sostenere l'ipotesi, già emessa prima da altri, che la variabilità dell'accelerazione della cometa e l'abbreviamento della durata del suo periodo rivolutivo siano dovuti a sciami di masse meteoriche attraverso le quali la cometa si troverebbe a passare quando viene in prossimità del suo perielio.

V. tavv. CLXXIX e CLXXX.

Bibl.: N. Herz, Kometen und Meteore, in Handwörterbuch der Astronomie, II, Breslavia 1898; I. Plassmann, Die Kometen, Colonia 1910; G. F. Chambers, The story of the Comets, Oxford 1910; S. Oppenheim, Kometen, in Encyclopädie der mathem. Wissensch., VI, ii, Lipsia 1923; M. F. Baldet, Recherches sur la constitution des comètes et sur les spectres du carbon, in Annales de l'Observ. d'Astron. physique de Paris, VII, Orléans 1926; A. Kopf, Kometen und Meteore, in Handb. d. Astrophysik, IV, Berlino 1929.

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