Competizione

Dizionario di Medicina (2010)

competizione


Tipo di relazione che si instaura tra due o più organismi che concorrono all’utilizzo della medesima risorsa. L’effetto negativo che scaturisce da tale relazione deriva dal controllo o dal consumo che uno dei competitori attua sulla risorsa stessa che, per definizione, è limitata. La presenza della c. nel campo del vivente è trasversale e diffusa: basti pensare alla c. nel caso del darwinismo neurale (secondo la definizione di Gerald M. Edelman) che porta alla ‘sopravvivenza’ solo di alcune sinapsi nel corso della vita di un individuo, o alla c. tra gli spermatozoi durante la corsa alla fecondazione. Allargando il campo, esiste c. tra individui per lo sfruttamento delle risorse, o tra tribù umane per la terra da coltivare, o ancora fra nazioni per il dominio territoriale. Dal livello microscopico a quello macroscopico la c., assieme alla predazione e alla cooperazione, è uno dei tre meccanismi fondanti che connettono gli organismi l’uno all’altro e che controllano la loro distribuzione e il loro sviluppo. Ogni organismo, infatti, tenderebbe a riprodursi con velocità esponenziale, ma viene frenato dalla disponibilità limitata delle risorse di cui ha bisogno per vivere, e dunque dalla c. con gli altri organismi con cui interagisce durante la sua vita. La prima forma di c. è quella biologica darwiniana, coinvolta nella selezione naturale. Gli organismi che possiedono le caratteristiche più idonee rispetto all’ambiente in cui vivono sono in grado di competere con le armi migliori rispetto a quelli che ne sono sprovvisti. Altri autori hanno a lungo discusso sul livello in cui questa c. agisce. Per Richard Dawkins, l’evoluzione va ricondotta a una c. tra i geni, mentre per Stephen J. Gould la c. avviene a diversi livelli, che comprendono geni, organismi, specie e cladi (gruppi che racchiudono specie diverse con origine filogenetica comune).

Diversi tipi di competizione

Le interazioni competitive possono essere di diverso tipo a seconda del meccanismo attraverso cui la c. opera: c. per interferenza, se un organismo interferisce direttamente con un altro (territorialità, aggressione), oppure c. per sfruttamento delle risorse se la c. avviene in maniera indiretta attraverso la riduzione della disponibilità della risorsa. Le interazioni competitive dipendono anche dall’organismo che compete: la c. interspecifica avviene quando a competere sono organismi appartenenti a specie diverse, mentre la c. intraspecifica avviene tra individui appartenenti alla stessa specie.

La competizione nell’uomo

Anche per l’uomo la c. svolge un ruolo fondamentale e la nostra società ne è impregnata: la c., soprattutto nella società moderna occidentale, entra in diversi ambiti, da quello sportivo a quello scolastico a quello politico, da quello lavorativo a quello economico. Però essa non è un valore universalmente riconosciuto: in alcune società, come quella statunitense, la c. viene esaltata e incoraggiata, mentre in altre società viene più o meno disincentivata. L’antropologa Margaret Mead ha studiato popolazioni, per es. gli indiani americani Zuni, in cui la c. non viene premiata e ha un valore assai inferiore rispetto alla collaborazione. Secondo Mead la c. è un aspetto del comportamento umano creato culturalmente e la sua prevalenza in una società piuttosto che in un’altra dipende da come questa società valuta questo carattere. Dal punto di vista psicoanalitico Sigmund Freud interpreta la c. come una caratteristica comportamentale naturale che compare sin dalla primissima età. Noi competiamo sin da neonati per l’attenzione dei nostri genitori e continuiamo a competere per la loro attenzione durante l’infanzia, sia con i nostri fratelli sia con l’altro genitore. Poi, crescendo, diveniamo preda della c. tra la necessità di appagare i nostri istinti e quella di rispettare le regole sociali e culturali che regolano le nostre vite.

Competere o collaborare

Dopo la formulazione della teoria dell’evoluzione delle specie di Charles Darwin, si è spesso creduto che la c. fosse un carattere importantissimo nel decretare la vittoria di un individuo nella lotta per la sopravvivenza. Ma gli studi attuali hanno fatto emergere che nulla nel concetto di selezione naturale suggerisce che la c. sia la migliore arma per sopravvivere. Darwin stesso ammette, infatti, che la battaglia per la sopravvivenza è da lui descritta metaforicamente e facilmente potrebbe includere anche la cooperazione. Alcune teorie, come quelle avanzate da Alfie Kohn, sostengono che la continua c. tra simili comporti nell’uomo moderno infelicità e solitudine e che sia controproducente nel campo dell’apprendimento. Nei suoi studi Kohn ha evidenziato come il successo lavorativo e personale sia inversamente proporzionale al livello di competitività. Ma quando è meglio competere e quando collaborare? La teoria dei giochi affronta il dilemma in termini matematici, studiando situazioni conflittuali e loro eventuali soluzioni. In questi studi, ampiamente utilizzati oltre che in psicologia anche in economia, in politica e in sociologia, la scelta di un individuo (collaborare o competere) è legata alla decisione altrui e influenza sia il risultato di chi la attua, sia quello degli altri partecipanti al gioco. Ma la scelta se competere o collaborare va anche contestualizzata: l’identificazione con un gruppo primario (familiare, tribale o nazionale) è, per es., importante per l’eventuale instaurarsi di un comportamento cooperativo. L’abilità di negoziare in situazioni competitive è una componente essenziale del processo di socializzazione ed è probabilmente appresa durante i primi anni di vita. Bambini con una buona competenza sociale sono infatti capaci di bilanciare la competizione tra il desiderio di appagamento dei propri bisogni e la necessità di mantenere relazioni positive con gli altri.

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