Compianto

Enciclopedia Dantesca (1970)

compianto

Andrea Mariani

. Il sostantivo compare solo in If V 35 quivi le strida, il compianto, il lamento; / bestemmian quivi la virtù divina. Il termine era usato generalmente, all'epoca di D., col valore di " pianto ", " lamento " (e cfr. ad esempio Brunetto Latini Tesoretto VIII 86, luogo in cui il nome ha il valore retorico di " elogio funebre ", " condoglianza "). Nel caso dantesco quindi è possibile che la coppia di sostantivi (compianto... lamento) rappresenti una dittologia sinonimica.

Il Torraca invece cerca di spiegare i sostantivi usati da D. come indicanti una gradazione nella manifestazione del dolore, per cui le strida, il compianto, il lamento indicherebbero il dolore quale esso è espresso " dalle voci più alte ed acute alle più fievoli ". Il Momigliano, accettando questa interpretazione, aggiunge che ciò " conferisce alla descrizione un tono di pietà: è il primo accenno della compartecipazione di Dante ". Ma in questo luogo pare assai prematuro vedere un primo sintomo della pietà dantesca: D. non può ancora sentire pietà per dei dannati che non solo ‛ piangono ' e ‛ si lamentano ', ma anche bestemmian... la virtù divina.

Questa difficoltà non insorge se accettiamo l'interpretazione di altri commentatori, secondo i quali il compianto è, in senso etimologico, il " pianto corale ", la manifestazione collettiva del dolore (e cfr., ad esempio, il Buti: " compiangonsi e lamentansi insieme come insieme peccarono ", per il quale però il ‛ piangere insieme ' si riferisce al concorde lamentarsi delle varie coppie di amanti, che peccarono insieme). Secondo questa interpretazione, che ritroviamo nel Tommaseo, le strida sono gli urli isolati e inconsulti, che emergono dal contesto del generale compianto, mentre ancora più sordo e gonfio di rancore è il lamento.

La chiosa di Benvenuto a questo passo è alquanto sconcertante, ma vale la pena di citarla: " amans complangit, conquerit de amata, cui saepe secatur gula, et ergo amata de amato, qui trucidatur propter eam ". Secondo l'antico chiosatore, dunque, il piangere e il lamentarsi delle anime lussuriose non andrebbe riferito alla coscienza del peccato commesso e alla disperazione di fronte alla pena eterna, bensì sarebbe un " rimpianto " della vita, un rimorso per il sangue versato.