Condimento

Universo del Corpo (1999)

Condimento

Anna Maria Paolucci

Il termine indica qualsiasi sostanza, liquida o solida, aggiunta ai cibi per insaporirli o esaltarne il gusto: sono condimenti le spezie, le erbe aromatiche, il sale (v.), i grassi e gli oli (v. oli e grassi), come pure l'aceto, che è di uso antichissimo. Esiste poi una categoria di prodotti commerciali 'moderni' (quali gli esaltatori di sapidità, per es. il glutammato monosodico, che rientrano nella composizione dei dadi da brodo, e le salse come il ketchup, di introduzione piuttosto recente nella cucina italiana), che vengono peraltro usati sempre più diffusamente, non solo negli alimenti di origine industriale, ma anche nella pratica casalinga, sia per lo scarso tempo che oggi è possibile dedicare alla cucina, sia per una sorta d'internazionalizzazione dei gusti alimentari, specie nella fascia più giovane della popolazione.

Aceto

Fin da tempi remoti è noto che il vino, lasciato a contatto dell'aria, può trasformarsi spontaneamente in aceto. La causa di questa trasformazione rimase misteriosa finché L. Pasteur non chiarì che l'acetificazione del vino è il risultato di un'ossidazione dell'alcol etilico a opera di microrganismi particolari, gli Acetobacter, i quali si moltiplicano sulla superficie del vino costituendo la componente utile della cosiddetta madre dell'aceto.L'aceto continua a essere prodotto con metodi artigianali empirici, ma quello in commercio, di produzione industriale, deve rispondere a determinati requisiti di legge. In Italia la legge prescrive che l'aceto sia prodotto solo da vino e che abbia un contenuto di acido acetico non inferiore al 6%. In altri paesi l'aceto può essere ottenuto per fermentazione del sidro, del malto, della birra, della melassa, del riso, o addirittura per diluizione di acido acetico puro. L'aceto di vino si produce a partire sia da vini bianchi e rosati sia da vini rossi; la sua qualità dipende da quella del vino di partenza e dalla tecnologia di produzione: quella che prevede una fermentazione lenta e naturale in botti di quercia (metodo di Orléans) è considerata la migliore, anche se il prodotto che ne deriva è più costoso. Aceti particolarmente aromatici sono quelli di champagne, di sherry e l'aceto balsamico di Modena. Quest'ultimo si ottiene dal mosto di uva filtrato, cotto e sottoposto contemporaneamente a fermentazione alcolica e acetica. Il vero aceto balsamico è molto costoso perché richiede un procedimento di produzione complesso e un lunghissimo invecchiamento in botticelle di legni diversi, che contribuiscono a conferire al prodotto il colore e l'aroma caratteristici: ne risulta un liquido piuttosto denso, di consistenza vellutata e di sapore agro-dolce. In commercio esiste anche una versione economica dell'aceto balsamico, che può considerarsi un surrogato di quello tradizionale. L'aggiunta di aceto, creando un ambiente acido, cui i microrganismi sono particolarmente sensibili, contribuisce, insieme al calore, ad abbattere la carica microbica eventualmente presente nei cibi, effetto questo di notevole importanza nella preparazione di alimenti conservati. Inoltre, nelle marinate e nella cottura delle carni l'aggiunta di aceto ha un effetto denaturante sulle proteine, contribuendo a rendere più tenera la carne, mentre nelle salse cotte a base di uova l'aggiunta di piccole quantità di aceto (o di limone) impedisce alle proteine d'uovo di coagulare.

Spezie ed erbe aromatiche

I.

Definizione

È difficile dare una definizione che distingua nettamente le spezie dalle erbe aromatiche, perché entrambe contengono sostanze capaci di conferire a cibi e bevande aromi e sapori caratteristici, spesso piccanti, molto apprezzati fin dai tempi più remoti. Nelle fonti antiche e moderne, in effetti, spezie ed erbe aromatiche vengono quasi sempre classificate sotto un'unica voce, che a volte è 'spezie', altre volte è 'aromi'. Sia le une sia le altre, quando non vengano considerate sotto il profilo medicinale o cosmetico, ma si faccia riferimento al loro uso culinario, possono poi essere catalogate sotto la voce 'aromatizzanti naturali', oppure sotto 'condimenti'. La definizione più appropriata di spezie sembra essere quella già data, nel 4° secolo a.C., da Teofrasto nella sua Storia delle piante: "esse sono o parti diverse di differenti piante, o parti diverse di una stessa pianta, adibite a scopi svariati, cioè la radice, la corteccia, i ramoscelli, il legno, i semi, i fiori e così via. Le piante delle spezie crescono in varie località, ma le più note e le più fragranti provengono dall'Asia e dalle terre assolate". Il luogo d'origine, infatti, è forse il criterio che meglio riesce a differenziare le spezie dalle erbe aromatiche: le piante che producono le spezie crescono in ben delimitate zone tropicali, perché necessitano di un particolare equilibrio di luce, calore e umidità per sviluppare la loro fragranza, mentre le erbe aromatiche sopravvivono anche nelle zone temperate e soprattutto in quelle dell'area mediterranea, di cui molte di loro sono indigene; inoltre si coltivano facilmente negli orti o sui balconi domestici e se ne utilizzano prevalentemente le foglie allo stato fresco, anche se è possibile trovarle essiccate o liofilizzate (in questo caso, però, perdono gran parte del loro aroma).

2.

Cenni storici

Gli autori classici che, nel trattare a vario titolo di erbe aromatiche e spezie, ne hanno anche descritto il luogo d'origine e i modi in cui i mercanti se le procuravano, sono numerosi. Tra essi Plinio il Vecchio (1° secolo d.C.), che nella sua Naturalis historia le identificò botanicamente, regione per regione d'origine, con risultati che, per alcune di esse, sono stati confermati dalla ricerca moderna. Tra le spezie vere e proprie Plinio cita il pepe, lo zenzero, i chiodi di garofano, il cardamomo e, spezia particolare per il mistero che allora circondava la sua origine, il cinnamomo (cannella). Plinio riferisce che era commerciato nella Trogoditica, corrispondente all'incirca all'odierna Somalia, ma, individuando in terre più lontane e sconosciute la sua origine, scrive che era trasportato per mare con zattere da uomini 'provvisti solo di coraggio'. Oggi sappiamo che quegli uomini ardimentosi, che Plinio cita con ammirazione, erano marinai indonesiani che con semplici canoe a bilanciere, prive di timone e di vela, trasportavano il cinnamomo e altre spezie dalla Cina e dall'arcipelago indonesiano fino al Madagascar e alla vicina costa africana, sfruttando il monsone che d'inverno soffiava sull'Oceano Indiano da est a ovest e d'estate in senso contrario, in un viaggio che, tra andata e ritorno, durava cinque anni. L'insieme di varie fonti, tra cui il Periplo del Mar Rosso (1° secolo d.C.), un rapporto redatto in greco da un capitano marittimo rimasto anonimo, in cui sono descritti dettagliatamente i traffici per mare tra l'India e la penisola arabica, nonché quelli lungo il Mar Rosso con i relativi approdi e le merci commerciate, ha permesso di ricostruire il percorso di quella straordinaria rete di traffico commerciale, chiamata via delle spezie, che, con tragitti in parte terrestri e in parte marittimi o fluviali, congiungeva la lontana Cina, l'arcipelago indonesiano, l'India, l'Arabia e l'Africa orientale con i porti del Mediterraneo. Ai tempi dell'Impero Romano la parte terminale del commercio delle spezie fu controllata saldamente da Roma, che instaurò anche una propria linea marittima diretta con l'India meridionale e impose pesanti tasse doganali su questi articoli. Il termine spezie deriva in effetti dal latino species, parola che indicava le merci cui l'erario romano imponeva un dazio d'importazione più elevato. Nel tariffario d'Alessandria, incluso poi nel Digesto di Giustiniano, cinnamomo, cardamomo, zenzero e altre spezie erano appunto elencate insieme a smeraldi, diamanti, filati di seta e altre merci di lusso.

A Roma l'utilizzazione delle spezie come condimento del cibo e del vino ebbe il massimo sviluppo in epoca imperiale, dopo che la pax Augusta aveva garantito sicurezza ai traffici commerciali. Apicio (vissuto nel 2° secolo d.C. e autore di una raccolta di ricette, De re coquinaria, di cui ci è giunto un rifacimento in latino volgare probabilmente del 4° secolo d.C.) fu il primo autore a parlare delle spezie come condimento nel senso moderno della parola. I cibi e i vini ricordati nelle sue ricette erano di una grande varietà e la maggior parte richiedeva un condimento di spezie, oltre che di erbe aromatiche. Tra i vini figuravano il 'vino con spezie a sorpresa' (conditum paradoxum) e un vermut romano (apsinthium Romanum). Nelle ricette le spezie, le erbe aromatiche e le radici bulbose, usate in combinazioni svariate, erano, con qualche eccezione, le stesse che usiamo oggi: il cumino, il coriandolo, il pepe, il cardamomo, l'aneto, il ginepro, la cannella, i semi di papavero, i pinoli, il sesamo, la cipolla, l'aglio, la ruta, la salvia, il cerfoglio, la menta, l'origano, il timo, lo scalogno, il porro, la maggiorana, il finocchio, il levistico o sedano di montagna, la santoreggia e altre ancora, come per es. il pregiatissimo silfio della Cirenaica, estinto per il grande e indiscriminato uso che se ne fece. Il nardo o spigonardo, usato talvolta da Apicio, era una delle spezie più costose e pregiate; esso, in realtà, era impiegato per la preparazione di oli e unguenti odorosi, piuttosto che per uso culinario. Esaminando le ricette del De re coquinaria, non sembra che l'uso delle spezie fosse troppo stravagante rispetto ai gusti odierni, anzi si ha l'impressione che la spezia maggiormente usata fosse, come oggi, il pepe e che prevalesse piuttosto l'utilizzo delle erbe aromatiche, rimasto poi una caratteristica della cucina mediterranea fino ai nostri giorni.

Dopo un intervallo di alcuni secoli, in cui la cucina si semplificò per le necessità imposte dalle circostanze storiche, il Medioevo riscoprì le spezie grazie ai commerci degli arabi e delle repubbliche marinare, in particolare Venezia: rientrarono così nell'uso antiche ricette e furono inventate nuove salse, nelle quali si ha però l'impressione che venissero aggiunte molte più spezie di quanto avvenisse in epoca romana, in un conflitto di aromi e sapori che probabilmente tendevano ad annullarsi gli uni con gli altri e che, comunque, schiacciavano quello dell'alimento di base. Non solo i cibi, ma anche i vini venivano ampiamente aromatizzati con chiodi di garofano, noce moscata, zenzero e svariate erbe aromatiche, come assenzio, aloe, issopo, mirto, anice, rosmarino, salvia e altre, consuetudine che oggi è rimasta confinata ai vermut, agli aperitivi e amari. Si è sostenuto che l'abuso medievale di spezie servisse a mascherare il sapore di alimenti che cominciavano a deteriorarsi. In realtà, i ricchi, cioè i soli che potessero permettersi di usare le spezie in abbondanza, avevano a disposizione alimenti freschissimi e di giornata; la profusione di spezie nei loro cibi era perciò, con ogni probabilità, un'ostentazione di ricchezza, oltre che una questione di gusto. Va ricordato poi che nel Medioevo si dava grande importanza al modo con cui cibi venivano presentati nelle tavole signorili: il colore era un elemento importante della presentazione e variava con le stagioni. Così le spezie erano impiegate per colorare di giallo e rosso i cibi invernali, mentre succhi di erbe aromatiche venivano usati per colorare di verde quelli estivi.

Se si guarda alle ricette del 14° e 15° secolo, epoca in cui furono scritti i primi libri europei di cucina dopo quello di Apicio, che rimase per secoli un testo di riferimento, non si notano quindi grandi cambiamenti rispetto all'epoca romana. I primi mutamenti radicali nella cucina europea si ebbero nella Francia del 17° e 18° secolo, epoca in cui si cominciò a utilizzare le spezie con parsimonia e solo per sottolineare il sapore naturale dei cibi. L'esempio francese fu prontamente seguito da Italia e Spagna, mentre i paesi appartenenti alla sfera d'influenza culturale germanica e quelli dell'Est europeo, arrivati più tardi a conoscere le spezie, ne conservarono più a lungo l'uso. Il nuovo indirizzo culinario, in direzione della semplicità e della riscoperta del sapore proprio degli alimenti, favorì l'impiego prevalente delle erbe aromatiche meno violente e invadenti. Le erbe aromatiche erano state sempre usate nella cucina della gente comune, anche per le proprietà curative che a esse si attribuivano fin dai tempi della medicina greco-romana. La rivoluzione gastronomica del Seicento e Settecento segnò piuttosto la loro adozione culinaria da parte delle élite signorili e l'inizio di uno spostamento d'interesse generale da un loro utilizzo prevalentemente medicinale a quello alimentare.A una riscoperta o rinascita d'attenzione scientifica nei confronti di questo gruppo di vegetali si sta assistendo anche attualmente, dopo che ricerche di tipo epidemiologico hanno evidenziato come determinati stili alimentari, quale per es. quello mediterraneo, caratterizzato da un costante consumo di olio d'oliva, erbe aromatiche, aglio e cipolla, siano legati a una minore incidenza di alcune malattie, per es. quelle cardiovascolari. La cucina fortemente speziata e soprattutto piccante è rimasta invece una caratteristica dell'India, dell'Indocina, dell'Indonesia e dei paesi dell'Africa settentrionale e orientale. A questi vanno anche aggiunti alcuni paesi caribici e dell'America Latina.

3.

Le principali spezie ed erbe aromatiche

a) Aglio. L'aglio, originario dell'Asia centrale, ha poi raggiunto le rive del Mediterraneo, trovandovi grande diffusione. A Roma veniva considerato un alimento per le classi inferiori ed era distribuito a soldati e marinai prima della battaglia, imitando un uso in auge presso i greci, che lo ritenevano capace di dare vigore fisico. Il suo aroma è dovuto a una sostanza sulfurea, di per sé inodora che, per azione di un enzima che si libera dai tessuti quando l'aglio viene schiacciato, dà luogo a formazione di allicina. Esistono molte varietà d'aglio di differente colore, dimensione e aroma: le più comuni sono quelle in cui la pellicola di rivestimento degli spicchi è bianca, rosa o violacea; quest'ultima è ritenuta la varietà migliore. Nei paesi mediterranei e in quelli del Medio ed Estremo Oriente, zone calde dove cresce l'aglio di più forte aroma, se ne usano quantità abbondanti come ingrediente di salse e come aromatizzante di carni arrostite, verdure, insalate ecc. Considerato per secoli una panacea, capace di curare un'infinità di malattie, è tornato oggi in auge come rimedio terapeutico, perché si è dimostrato capace di ostacolare l'aggregazione delle piastrine, diminuendo così il pericolo di formazione di trombi all'interno dei vasi sanguigni: è questa una delle ipotesi che si avanzano per spiegare la più bassa incidenza di malattie cardiovascolari nei paesi dove si fa regolare consumo d'aglio. L'effetto è dovuto a un composto, l'ajoene, che si forma dall'allicina quando viene riscaldata in presenza d'acqua. Le sostanze che si formano dall'aglio e quindi le sue proprietà come condimento e in farmacologia variano a seconda di come esso venga manipolato. Le sostanze efficaci sono quelle dotate del tipico odore agliaceo: sono perciò probabilmente privi di effetto i preparati commerciali di aglio disidratato, polverizzato e deodorizzato.

b) Alloro. L'alloro, o lauro, diffuso in tutta l'area mediterranea, è un arbusto di cui si utilizzano le foglie sempreverdi, di consistenza coriacea e di un verde intenso e brillante. Le foglie fresche hanno un leggero sapore amarognolo che scompare con un breve essiccamento. L'aroma è intenso e si adatta a quasi tutti i cibi. L'alloro, che entra pure nella composizione di amari e liquori, stimola la secrezione biliare ed è quindi considerato un ingrediente che favorisce la digestione dei grassi.

c) Anice. L'anice comune, detto anche pimpinella, è una pianta originaria dell'area mediterranea, dove cresce spontaneo. Apprezzato e coltivato in Italia fin dai tempi antichi, fu esportato dai coloni romani in altre parti d'Europa e oggi è coltivato in molti paesi a clima temperato. I semi hanno un aroma molto forte e un sapore dolce e penetrante. Torte, biscotti e altri prodotti dolciari possono essere aromatizzati con l'anice, ma il suo uso più abbondante è come aromatizzante di caratteristici liquori, molto diffusi e apprezzati nei paesi mediterranei, quali per es. l'anisetta italiana, l'ouzo greco, i vari pastis francesi, che vengono in genere consumati come aperitivi o come digestivi: all'anice vengono infatti attribuiti poteri digestivi e di stimolazione dell'apparato digerente.

d) Basilico. Il basilico, originario dell'India dove è una pianta perenne la cui varietà Ocimum sanctum è considerata sacra al dio Krishna, si è poi diffuso in tutta l'Asia, in Egitto e nelle zone mediterranee. 'Erba reale', secondo l'etimologia greca, è una delle erbe aromatiche più usate nella cucina mediterranea. Il suo contenuto in essenze odorose è piuttosto modesto, in relazione a quello di altre erbe, e la sua fragranza, fresca e gradevolmente appetitosa, si apprezza meglio quando viene consumato a crudo. Il basilico non si presta in effetti a essere essiccato e perde gran parte della sua fragranza con la cottura. Come accade per altre erbe aromatiche, l'essenza volatile che caratterizza il basilico è contenuta in piccole ampolle situate sulle foglie e sul calice dei fiori, che si rompono con grande facilità, facendo sviluppare l'aroma. Oltre al basilico comune, si conoscono altre varietà con foglie di varia grandezza e colore e anche aroma leggermente diverso, tra cui un basilico a foglie minute, a forma di cespuglietto compatto e rotondeggiante, conosciuto come basilico greco, e un basilico a foglie di colore rosso violaceo, con aroma leggermente speziato, più diffuso in Gran Bretagna, dove è però coltivato prevalentemente a scopo ornamentale.

e) Cannella. Con il nome di cannella si indica la spezia ottenuta da due delle principali specie di piante arboree appartenenti al genere Cinnamomum: il Cinnamomum zeylanicum, originario dello Sri Lanka, ma ora coltivato in altre parti del mondo, da cui si ottiene una cannella ritenuta di migliore qualità, detta anche cannella vera, e il Cinnamomum cassia, originario della Cina, da cui si ottiene la cannella di Cina, o cassia, o cannella bastarda, di aroma più forte, pungente e meno delicato della prima. Il termine cannella, il cui uso risale alla Francia e all'Italia medievali, deriva dalla forma esibita dalla spezia: questa è infatti rappresentata dalla scorza asportata dai rami più giovani, che viene raschiata ed essiccata; con l'essiccamento la sottile pellicola residua, ricca di essenza, si accartoccia su sé stessa assumendo la forma di una piccola canna. La cannella è una spezia molto fragrante, ma dolce e delicata, usata nella cucina europea quasi esclusivamente per aromatizzare creme, dolci e cioccolato, oppure vini e vermut. In Oriente la cannella, o meglio la più economica cassia, occupa invece una posizione centrale nei piatti a base di carne e riso.

f) Chiodo di garofano. Il chiodo di garofano comunemente in commercio è costituito dal bocciolo del fiore di una pianta arborea della famiglia delle Mirtacee, i cui boccioli, colti quando sono ancora chiusi, vengono fatti essiccare al sole o al calore moderato fino a che non diventano di colore marrone. Coltivata oggi in tutta la fascia tropicale, ma specialmente a Zanzibar, la pianta cresceva un tempo solo nelle Isole Molucche, nell'Indonesia orientale, nelle quali nel 17° secolo gli olandesi instaurarono un vero e proprio monopolio della coltivazione e del commercio di questa spezia e della noce moscata. Il chiodo di garofano, estremamente fragante, dall'aroma caldo e forte che ricorda quello dei garofani, nell'antichità veniva utilizzato prevalentemente a scopo medico o come ingrediente di profumi. La diffusione dell'uso alimentare inizia nel Medioevo, periodo nel quale veniva aggiunto a profusione ai cibi. Oggi è usato con moderazione nella cucina occidentale per aromatizzare vini caldi e piatti sia dolci sia salati. Gli oli essenziali contenuti nel chiodo di garofano hanno notevoli proprietà antibatteriche, antifungine e in parte anestetiche, che venivano un tempo sfruttate in odontoiatria. Recentemente è stato dimostrato un loro potere antiossidante, atto a prevenire l'irrancidimento dei grassi.

g) Cipolla, scalogno e porro. La cipolla, appartenente alla stessa famiglia dell'aglio, è coltivata da millenni in tutta la fascia equatoriale, tropicale e temperata del globo, tanto che si è persa traccia della sua origine. Essa si presta a essere usata sia come condimento sia come alimento. Si conoscono parecchie varietà di cipolla che si distinguono per il colore della pellicola di rivestimento, per la forma e per l'aroma. Le più comuni sono le cipolle dorate, fortemente aromatiche, di ottima conservabilità durante l'inverno e adatte per aromatizzare piatti che richiedono lunghe cotture; le cipolle bianche, più dolci delle prime, adatte a essere consumate come alimento; le cipolle rosso-violacee, dette anche cipolle italiane, di forma che può variare dalla rotonda all'allungata, ancora più dolci delle bianche, adatte ad aromatizzare piatti che non richiedano un gusto troppo forte. Lo scalogno, considerato il parente nobile della famiglia, ha un aroma che ricorda sia quello della cipolla sia quello dell'aglio ed è molto usato nella cucina francese. Infine, il porro, appartenente alla stessa famiglia dell'aglio e delle cipolle, è una pianta di aroma e sapore più delicato delle cipolle, di cui si consuma il tenero fusto cilindrico ingrossato, sia come condimento sia come alimento. Recenti studi scientifici attribuiscono alla cipolla proprietà antiossidanti per la presenza di una sostanza chiamata quercetina, nonché proprietà ipoglicemiche, ipocolesterolemiche e anche fibrinolitiche.

h) Menta e mentuccia. Il genere Mentha è uno dei più complicati, perché le numerose specie ibridano facilmente tra di loro, dando origine a sottospecie, tipi e razze. Le due specie culinarie più diffuse sono la Mentha spicata, o menta verde, conosciuta anche con il nome di menta romana, e la Mentha piperita, di aroma più intenso, che si ritiene essere un ibrido tra la Mentha spicata e la Mentha aquatica, conosciuta anche con il nome di mentastro. La menta, cui si attribuiscono proprietà digestive, deve il suo penetrante aroma alla presenza di mentolo, accompagnato da altre essenze che contribuiscono a dare finezza all'aroma finale. Il suo principale impiego alimentare è nella confetteria e nella liquoristica industriale, anche se non mancano usi culinari, come aromatizzante. La cosiddetta mentuccia o nepetella non ha invece niente a che vedere con il genere Mentha, pur avendone l'aroma; è diffusa allo stato selvatico in tutta l'area mediterranea e trova impiego come aromatizzante in cucine regionali.

i) Noce moscata. La noce moscata è il seme del frutto di un albero appartenente alla famiglia delle Miristicacee, originario delle isole Banda, ma oggi coltivato anche nelle Indie Occidentali e in molti paesi tropicali. Il seme, contenuto all'interno di un frutto grande e succoso, è circondato da un arillo di colore rosso scarlatto, di aspetto merlettato, chiamato macis. Noce moscata e macis vengono essiccati separatamente: la prima assume un colore brunastro, talvolta con sfumature biancastre dovute alla calce con cui viene trattata per proteggerla da vermi e insetti, mentre il macis essiccato assume la forma di lamine di colore rossastro che vengono commerciate come tali oppure sotto forma di polvere. L'aroma della noce moscata è dolce e caldo, e svanisce presto una volta che essa venga aperta; l'aroma del macis è simile a quello della noce moscata, ma è più delicato. Non sembra che macis e noce moscata fossero usate in epoca romana: in Occidente furono portate dagli arabi e divennero immediatamente molto popolari e diffuse. Si ritiene che la noce moscata abbia effetti benefici sulla digestione, ma a dosi elevate (l'equivalente di due, tre noci ingerite contemporaneamente) può produrre pericolosi e documentati effetti narcotici e allucinogeni.

l) Pepe. Il pepe è la spezia maggiormente usata nella cucina di tutto il mondo fin da tempi antichissimi. Originario dell'India, oggi è coltivato anche in Indonesia e in Brasile. A Roma, nel periodo imperiale, il pepe nero era una spezia enormemente diffusa e popolare, tanto da non essere inclusa tra quelle tassabili, perché considerata quasi di prima necessità. Il pepe che viene commerciato oggi in Occidente può essere di tre tipi, ottenuti tutti dal Piper nigrum, una pianta rampicante che cresce rigogliosa in India meridionale: il pepe nero, che si ottiene dai frutti immaturi, colti quando ancora sono verdi e fatti essiccare al sole finché non diventano neri; il pepe bianco, che si ottiene dai frutti lasciati maturare sulla pianta fino al colore rosso, poi colti, immersi in acqua per una decina di giorni, decorticati ed essiccati; il pepe verde, raccolto quando è ancora immaturo e conservato principalmente allo stato umido, anche se è possibile trovarlo essiccato. L'aroma del pepe nero è più intenso e pungente di quello del pepe bianco o verde, il più piccante è però quello bianco. Il pepe grigio non è altro che una miscela di pepe nero e bianco, macinati insieme. Il pepe è di uso ubiquitario in cucina: non esiste vivanda, o quasi, che non preveda una seppur piccola aggiunta di pepe macinato o in grani. Grani di pepe intero vengono anche usati nella preparazione di insaccati crudi e cotti non solo per conferire aroma e gusto piccante, ma anche perché gli oli essenziali in essi contenuti hanno un potere repellente nei riguardi di eventuali agenti infestanti. Dal punto di vista della fisiologia dell'alimentazione, il pepe è considerato un ingrediente che, in modica quantità, favorisce l'appetito e stimola la secrezione gastrica.

m) Peperoncino. Il peperoncino è originario del Messico, dove veniva coltivato fin dai tempi più remoti con il nome di chili, termine tuttora usato per denominare una salsa messicana a base di peperoncino, cumino e aglio. Importato in Europa dagli spagnoli, si è diffuso poi in tutto il mondo. Esistono centinaia di varietà di peperoncino, tutte del genere Capsicum. Alcune sono di gusto più blando, altre sono estremamente piccanti per la presenza di notevoli quantità di capsaicina, una sostanza pungente, bruciante e irritante, insolubile in acqua e concentrata soprattutto nei semi e nelle nervature. L'assunzione alimentare di capsaicina, in quantità moderata, non provoca effetti indesiderati, anzi si ritiene che sia di stimolo all'appetito e alla digestione. Se la dose è eccessiva e non abituale, provoca però lacrimazione e sudorazione, oltre a sensazione di intenso bruciore in bocca. Il peperoncino è ricco anche di vitamina C e ha attività antiossidanti, che proteggono i grassi dall'irrancidimento.

n) Prezzemolo. Il prezzemolo anticamente era conosciuto più per le sue proprietà medicinali che per quelle culinarie e tra l'altro era usato per regolarizzare le mestruazioni e come abortivo, con conseguenze talvolta letali. Il principio attivo responsabile di questa proprietà è l'apiolo, contenuto nelle foglie, nei frutti, impropriamente detti semi, e nelle radici. Il prezzemolo è ricchissimo di vitamina C, ma lo si usa in piccola quantità e quindi non può essere considerato una fonte significativa di questa vitamina (aumentandone la quantità potrebbe diventare tossico). Esistono due tipi di prezzemolo: quello comune a foglie lisce verde scuro, più adatto a essere usato nei cibi sottoposti a cottura perché di aroma più forte, e quello a foglie arricciate, di colore verde brillante, usato per lo più come guarnizione. Il prezzemolo è di uso ubiquitario in cucina, anche se il suo aroma è da alcuni considerato non particolarmente significativo.

o) Salvia e rosmarino. La salvia e il rosmarino hanno una composizione chimica simile. La salvia, ritenuta sacra dai romani, è una pianta fortemente aromatica originaria del Mediterraneo, considerata a lungo preziosa per le sue proprietà medicinali e diventata poi preponderante come aromatizzante alimentare. Le foglie, con superficie superiore verde grigiastra e vellutate al tatto, sono caratterizzate da un'essenza aromatica originale per la presenza del tuione, una sostanza che in piccole dosi, come quelle che si possono trovare nelle poche foglie usate per aromatizzare una pietanza, ha proprietà stimolanti per il sistema nervoso centrale, ma che a dosi elevate può produrre uno stato eccitatorio e convulsioni. Anche il rosmarino è originario della zona mediterranea, lungo le cui coste può crescere spontaneo. Le foglie, aghiformi, di colore verde scuro brillante nella faccia superiore, hanno una fragranza particolare che ricorda un po' quella dell'incenso e un retrogusto leggermente amaro. Alcuni suoi componenti hanno un effetto antiossidante, quindi sono utili per prevenire l'irrancidimento dei grassi; al rosmarino si accredita inoltre la capacità di stimolare il deflusso di bile nell'intestino, facilitando così la digestione dei grassi. Con il ritorno d'interesse che si è verificato per la medicina a base di erbe, l'infuso di foglie di rosmarino è talvolta usato come bevanda benefica per il fegato, dopo i pasti. Come per la salvia occorre però non eccedere nell'uso, per effetti che a lungo andare potrebbero essere dannosi.

p) Sedano. Il sedano è una pianta coltivata, spesso sottoposta a imbiancamento, di cui si utilizzano prevalentemente i fusti carnosi e croccanti. Per il suo particolare aroma è usato nella preparazione di sughi, carni e minestre. Viene talvolta consumato crudo, oppure può essere cotto in umido ed entrare a far parte di particolari ricette regionali. Al sedano, come alla maggior parte delle erbe aromatiche, vengono attribuite proprietà digestive. Il sedano di montagna, o levistico, è una pianta spontanea del bacino mediterraneo, che può essere anche coltivata. Di essa vengono utilizzate le foglie, i fusti, i semi e perfino le radici giovani. Tutte le parti della pianta emanano un forte aroma che somiglia a quello del sedano ma che, essendo più intenso, si amalgama meglio con piatti di sapore robusto. Le foglie conservano l'aroma anche quando sono essiccate e ne basta perciò una piccola quantità.

q) Senape. La senape è detta anche mostarda, dal latino mustum ardens, in quanto i semi venivano pestati con il mosto, cui conferivano un gusto piccante. Ne esistono diverse specie, tutte della famiglia delle Brassicacee: la nigra o senape nera, la juncea o senape marrone, e l'alba o senape bianca, originaria delle zone mediterranee e meno piccante della nera e della marrone. Nella cucina occidentale la senape è preferenzialmente usata sotto forma di salsa cremosa, fin dai tempi romani. A tal scopo i semi, interi o macinati, vengono prima fatti macerare in un liquido che può essere succo o mosto d'uva, vino, aceto, o anche semplice acqua, perché l'aroma della senape si sviluppa solo quando entra in contatto con un liquido. In commercio si trovano, sotto varie denominazioni, due tipi di senape: la media e la forte. La media è preparata utilizzando, oltre i semi, anche il baccello; la forte usando solo i semi. La senape agisce anche come conservante.

r) Timo, origano e maggiorana. Il timo, di cui si conoscono almeno una cinquantina di specie botaniche, è diffuso in tutta l'area mediterranea, dove cresce spontaneo, soprattutto nella forma Thymus vulgaris. Anche di quest'ultimo si conoscono, tuttavia, differenti chemiotipi, con diversa composizione dell'essenza: timolo e carvacrolo sono i composti dominanti che conferiscono al timo il caratteristico aroma, ma esistono anche tipi di timo ricchi di citrale che gli conferisce un odore simile a quello del limone. Il timo, utilizzato un tempo per le sue proprietà medicinali, tra cui quelle antielmintiche, utili contro i parassiti intestinali, è oggi soprattutto usato nella cucina dei paesi mediterranei in unione con altre erbe aromatiche e con l'aglio. Il suo aroma resiste bene alla cottura. Maggiorana e origano, anch'esse piante originarie della regione mediterranea, hanno un aroma molto simile, anche se quello della maggiorana, chiamata anche erba persia, è più delicato e può essere apprezzato al massimo della sua fragranza quando le foglie vengono usate fresche. Al contrario, l'aroma dell'origano si accentua con l'essiccamento ed è particolarmente intenso nelle specie selvatiche che crescono nelle regioni più assolate dell'Italia meridionale e della Grecia.

s) Vaniglia. La vaniglia è il frutto, a forma di baccello stretto e allungato, di un'orchidea rampicante, originaria del Messico e importata in Europa dagli spagnoli nel 16° secolo. Le piante, trasferite fuori dal Messico, non riuscivano però a fruttificare finché non si scoprì che nella terra d'origine l'impollinazione era assicurata da uno speciale insetto non esistente altrove. Da allora l'impollinazione viene eseguita a mano da operatori esperti e coltivazioni di Vanilla planifolia sono diffuse in parecchie zone, ma soprattutto nel Madagascar, che da solo ne assicura buona parte della produzione mondiale. Il frutto viene raccolto quando è ancora verde e se ne arresta la maturazione mediante immersione in acqua molto calda; lo si fa poi fermentare per 15-60 giorni, fino a che gli enzimi che si liberano non attaccano particolari substrati dai quali si sviluppa la vanillina, la sostanza che conferisce alla vaniglia il suo inimitabile aroma. Le stecche assumono un colore marrone e si ricoprono di minuti cristalli bianchi di vanillina. La vaniglia, già usata dagli aztechi per profumare la loro bevanda reale, il chocolatl, è anche oggi adoperata quasi esclusivamente per aromatizzare preparazioni dolciarie, quali creme, budini, cioccolato, gelati. A causa della complessità della sua produzione, la vaniglia è una spezia molto costosa, ma le stecche di vaniglia usate intere per aromatizzare il latte, o creme, possono poi essere lavate, asciugate e usate più volte. In commercio è possibile trovare anche estratti di vaniglia, che essendo molto concentrati vanno utilizzati con grande parsimonia.

t) Zafferano. Lo zafferano, il cui nome deriva dall'arabo za'farān, è una spezia il cui uso si perde nella notte dei tempi. È menzionato nell'Iliade e fra i greci era oggetto di un mito, quello di Crocos che, ucciso per sbaglio da Mercurio, fu da esso trasformato nel fiore omonimo. La spezia è costituita dai tre grandi stigmi arancione dei fiori del Crocus sativus, colti a mano quando il fiore è completamente aperto. Considerato che la raccolta è manuale e che occorrono 100.000 fiori per ottenere 5 kg di zafferano fresco e 1 kg di zafferano essiccato, si capisce perchè questa spezia sia una di quelle più costose e più adulterate presenti sul mercato. La regione di Valencia in Spagna, la Provenza in Francia, la Grecia e, in Italia, la zona intorno all'Aquila sono i principali centri europei di produzione fin dal 10°-13° secolo. Lo zafferano è diffuso soprattutto nei paesi mediterranei ma è usato anche nella cucina mediorientale e in quella orientale. Di maggiore pregio e costo sono gli stimmi interi che hanno l'aspetto di filamenti sottili, lunghi 2-3 cm, dotati di un aroma sottile, dolce e pungente, tanto più intenso quanto più sono freschi. Essi vanno usati in modica quantità, altrimenti conferiscono un sapore amaragnolo agli alimenti. Lo zafferano in polvere, avendo perso gran parte dell'aroma, è in pratica solo un colorante per alimenti e si presta a essere adulterato con il cartamo, chiamato anche zafferanone, e con la curcuma.

u) Zenzero. La spezia è costituita dal rizoma sotterraneo della pianta Zingiber officinale, originaria dell'Asia sudoccidentale, ma oggi coltivata in tutte le regioni tropicali; il rizoma, dissotterrato quando i fiori e gli steli della pianta sono avvizziti, viene lavato, bollito, essiccato ed eventualmente polverizzato. Per il suo aroma fresco, penetrante e caldo, quasi bruciante che si sposa bene sia con piatti dolci sia salati, è una delle spezie maggiormente usate fin dall'antichità, non solamente in Oriente, ma anche in Occidente, dove ha goduto il massimo favore nella cucina medievale. Attualmente trova largo impiego nella cucina orientale, in particolare quella indiana, e nei paesi anglosassoni, come ingrediente di dolci e di bevande più o meno alcoliche (ginger ale, ginger beer ecc.). L'aroma dello zenzero fresco è diverso da quello essiccato, perché la composizione delle essenze varia con la conservazione. Il sapore bruciante è dovuto principalmente al gingerolo, il costituente maggioritario del rizoma fresco. Allo zenzero, come al pepe, si attribuisce la facoltà di stimolare la secrezione di succhi gastrici. Lo zenzero fresco, oltre a proprietà antiscorbutiche, possiede proprietà proteolitiche, che facilitano la digestione degli alimenti carnei.

Bibliografia

p. delaveau, Les épices. Histoire, description et usage des différents épices, aromates et condiments, Paris, Michel, 1987.

Enciclopedia delle erbe aromatiche, spezie e aromi, a cura di E. Lambert Ortiz, Milano, Fabbri, 1993.

j.i. miller, The spice trade of the Roman empire. 29 B.C. to A.D. 641, Oxford, Clarendon Press, 1969 (trad. it. Roma e la via delle spezie, Torino, Einaudi, 1974).

j.-f. revel, Un festin en paroles, Paris, Pauvert, 1979 (trad. it. 3000 anni a tavola, Milano, Rizzoli, 1979).

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