CONGO

Enciclopedia del Cinema (2003)

Congo

Giuseppe Gariazzo

Cinematografia

Con il nome C. si indicano i Paesi africani compresi entro il bacino del fiume Zaire; tale zona venne spartita negli anni 1880-1885 tra Francia e Belgio. Le due ex colonie, indipendenti dal 1960, hanno cambiato entrambe più volte la loro denominazione ufficiale, che è attualmente Repubblica Democratica del Congo per quella ex belga e Repubblica del Congo per quella ex francese.

Repubblica Democratica del Congo

Rispetto alle altre cinematografie africane, quella del C. (denominato Repubblica dello Zaire nel periodo 1971-1997) ha avuto una storia unica, dovuta alla considerevole produzione dei padri missionari, tra il 1945 e il 1960, durante gli ultimi anni della dominazione coloniale. Essi furono i pionieri della diffusione di un cinema didattico, destinato alla popolazione indigena, e finalizzato alla propaganda religiosa. Nel 1946 infatti l'Office catholique international du cinéma (OCIC, con sede in Belgio) aveva creato il Centre congolais d'action catholique cinématografique (CCACC), molto attivo negli anni successivi. Osservata oggi con uno sguardo critico, quella produzione era decisamente originale. Da ricordare sono i lavori dei padri Alexandre Van den Heuvel (a Léopoldville, od. Kinshasa), con la serie d'animazione Les palabres de Mboloko (1953-1955), Albert Van Haelst (a Luluabourg, od. Kananga), con le celebri e magnifiche comiche mute Matamata et Pilipili (1950-1959), e Roger de Vloo (a Costermansville, od. Bukavu); Erich Weymeers-ch fu invece il regista di L'impasse (1960), film folgorante e inclassificabile che, con uno sguardo alternativo e libero, racconta la vita errabonda di un prete costretto a lasciare la missione in Africa per tornare a Roma. In quegli stessi anni, tra i pionieri autoctoni si possono annoverare Mongita, già noto come Albert (La leçon du cinéma, 1951) e Lubalu (Les pneus gonflés, 1953).

Diventato indipendente sotto la guida di P. Lumumba, dopo i violenti disordini seguiti alla secessione del Katanga (in cui fu ucciso lo stesso Lumumba), il Paese visse anni drammatici, dal 1965, sotto la dittatura di J.D. Mobutu. Nel difficile clima, il cinema fece fatica a mantenere una posizione significativa, anche perché non sostenuto da finanziamenti pubblici, a differenza di quanto avveniva per la televisione, grande veicolo di propaganda per Mobutu. Si è dovuto così attendere il 1976 per il primo lungometraggio, Le hasard n'existe pas di Kiese Masekela Madenda. Un fine didattico e figure femminili sono stati al centro dell'opera di Mambu Zinga Kwami, già noto come Roger (Moseka, 1972; N'Gambo, 1984), il cui L'esprit de Salongo (1975) non è mai stato distribuito. Più fortuna ha avuto Mweze Ngangura, già noto come Dieudonné, con le commedie La vie est belle (1987) e Pièces d'identités (1998) e il mediometraggio, di assai migliore fattura, Kin Kiesse (1982), indagine soggettiva sulla vita nella capitale Kinshasa. All'animazione si è dedicato Jean-Michel Kibushi Ndjate Wooto con Le crapaud chez ses beaux-parents (1991) e Muana Mboka (1999), mentre a un cinema specificamente politico appartengono i lavori di Balufu Bakupa-Kanyinda, come Thomas Sankara (1991) e Le damier (1996). Più articolata e varia è la filmografia di Joseph Kumbela: dal dramma (Perle noire, 1995) alla commedia urbana, quasi in forma di comica (Taxcarte, 1997; Colis postal, 1997). Il rapporto con la città e le tensioni sociali e razziali è evidente anche nei lavori di José (poi Zeka) Laplaine Macadam Tribu (1996, girato a Bamako, in Mali), Le clandestin (1996), Paris XY (1999).

Repubblica del Congo

In questo Paese (denominato Repubblica Popolare del Congo tra il 1970 e il 1991, e chiamato comunemente Congo-Brazzaville dal nome della capitale) il cinema ha avuto una storia breve ma intensa. Gli anni Sessanta hanno visto operare a Brazzaville una figura di primo piano, Sébastien Kamba, regista dello straordinario mediometraggio dal titolo esemplare Kaka-Yo (1966, Solo tu), che narra di una giovane donna che attraversa, come in trance, i luoghi della capitale nella speranza di ritrovare l'uomo che ama. Nel 1973 Kamba ha realizzato il suo unico lungometraggio di finzione, La rançon d'une alliance, nel quale esplora il delicato tema dello schiavismo tra africani nel C. anteriore alla colonizzazione.Gli altri nomi di rilievo di questa cinematografia sono stati quelli di Jean-Michel Tchissoukou e David Pierre Fila. Tchissoukou in La chapelle (1979) ha proposto un ritratto umoristico, ma prevedibile nelle immagini, del conflitto fra cattolici ed esponenti dei culti tradizionali in un villaggio degli anni Trenta. Fila si è invece interessato ad altri argomenti sociali, dai conflitti etnici a quelli familiari, nei documentari Le dernier des Babingas (1991) e Tala tala (1992) e nel film a soggetto Matanga (1995) sulla veglia funebre come momento centrale della vita comunitaria congolese, che serve al giovane architetto protagonista per scoprire i cambiamenti sociali sopravvenuti nelle metropoli dell'Africa nera. Negli anni Novanta ha anche iniziato a fare cinema una nuova generazione di registi, usando prevalentemente il video per opere di documentario o finzione: Léandre-Alain Baker, Ferdinand Batsimba Bath, Parfait Doudy, Dieudonné Bashila Kabongo. Camille Mouyeke lavora invece più regolarmente in pellicola (L'épreuve du feu, 1992; Les Mavericks, 1998).

Bibliografia

R. Otten, Le cinéma colonial au Zaïre, au Rwanda et au Burundi, Bruxelles 1984.

F. Ramirez, Ch. Rolot, Histoire du cinéma colonial au Zaïre, au Rwanda et au Burundi, in "Annales des sciences historiques", 1986, 7.

L'association des trois mondes, Dictionnaire du cinéma africain, 1° vol., Paris 1991, pp. 333-52, pp.103-11.

La nascita del cinema in Africa. Il cinema dell'Africa sub-sahariana dalle origini al 1975, a cura di A. Speciale, Torino 1998 (in partic. P. Haffner, Il Congo dei missionari, pp. 41-52. Il Congo ex Zaire, grande assente del cinema africano, pp. 115-20).

G. Gariazzo, Breve storia del cinema africano, Torino 2001, pp. 109-12.

S. Toffetti, Hic sunt leones, e L. Codelli, Cronologia, in Storia del cinema mondiale, a cura di G.P. Brunetta, 4° vol., Americhe, Africa, Asia, Oceania. Le cinematografie nazionali, Torino 2001, pp. 461-62, 473 e 1176-77.

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