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CONSANGUINEITÀ

di Renzo Giuliani - Enciclopedia Italiana (1931)
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CONSANGUINEITÀ (lat. consanguinitas; fr. consanguinité; sp. consanguinitad; ted. Blutsverwandschaft; ingl. consanguinity)

Renzo Giuliani

È la riproduzione fra di loro d'individui parenti. Nel linguaggio zootecnico la consanguineità si riferisce a quel metodo di riproduzione che consiste nel far accoppiare animali appartenenti alla stessa famiglia, dando però a questa parola un significato più lato del comune, e cioè quello della discendenza da una stessa coppia per un certo numero di generazioni (4 secondo alcuni zootecnici, 10 secondo altri). Il Davenport distingue tre forme di consanguineità che si riscontrano nella vita delle piante e degli animali; la consanguineità di primo grado o autogamica (cioè l'autofecondazione che si manifesta in alcune piante e in pochi animali inferiori); la consanguineità di secondo grado o consanguineità propriamente detta degli animali superiori, consistente nell'unione del padre con le figlie, della madre con i figli, delle sorelle con i fratelli; la consanguineità di terzo grado o d'accoppiamento in parentela, consistente nell'unione di cugini, zii e nipoti, nonni e nipoti, pronipoti, ecc.

Le unioni fra parenti, sia nell'uomo sia negli animali, sono ritenute, nell'opinione comune, responsabili di manifestazioni degenerative e patologiche: indebolimento costituzionale, diminuzione di peso, riduzione di statura, frigidità, diminuzione di prolificità, sterilità, poca resistenza alle malattie comuni e infettive, ecc. Molto disparate furono, specialmente in passato, le opinioni dei biologi in generale, degli zootecnici in particolare, circa l'interpretazione delle manifestazioni della consanguineità. La leggenda e la storia dicono che la consanguineità anche più stretta era praticata abbastanza frequentemente presso alcuni popoli primitivi e soltanto col progredire della civiltà apposite leggi vietarono l'incesto e il matrimonio fra parenti stretti. Il diritto canonico interdice il matrimonio indefinitamente in linea retta, e in linea collaterale fino al terzo grado incluso (c. 1076, §§1-2); anche l'attuale legislazione dei popoli civili proibisce in generale le unioni strette del 4° e 3° grado. Queste leggi, però, furono ispirate piuttosto che da considerazioni d'ordine biologico, da ragioni d'ordine morale e politico-sociale.

Dal punto di vista zootecnico è particolarmente degno di rilievo il fatto che molte delle attuali e migliori razze d'animali domestici si sono formate e consolidate grazie all'uso, opportunamente fatto dagli allevatori, della riproduzione consanguinea. Specialmente gli allevatori inglesi applicarono questo metodo di riproduzione al miglioramento e alla fissazione delle loro razze. Le razze bovine Durham e Hereford, la razza cavallina puro sangue inglese, la razza ovina Dishley, sono altrettanti esempî di razze perfezionate con l'uso giudizioso della consanguineità. I fautori dell'uso di questo metodo di riproduzione insistevano specialmente su questo concetto: che la consanguineità non è per sé stessa causa di fenomeni degenerativi o patologici ma che, esaltando la potenza ereditaria dei genitori, può dare buoni o cattivi risultati a seconda che i riproduttori adoperati possedevano qualità eccellenti oppure difetti o tare.

La scoperta delle leggi del Mendel sull'eredità e l'affermarsi della nuova scienza della genetica hanno portato molta luce su questo tanto dibattuto metodo di riproduzione. Da questi nuovi studî è risultato che nell'individuo bisogna distinguere il fenotipo, che è dato dall'insieme dei caratteri morfologici e fisiologici manifesti, e il genotipo, che è rappresentato dal complesso dei fattori ereditarî contenuti nelle cellule sessuali. A eccezione degl'individui geneticamente puri o omozigoti, in cui il fenotipo e il genotipo si confondono, negli altri (e sono, fra gli animali, la maggioranza) cioè quelli impuri ed eterozigoti, l'individuo può avere latenti (recessivi) nel suo genotipo i fattori di determinati caratteri che potranno rendersi manifesti nei discendenti quando, praticandosi la riproduzione consanguinea, si verificherà il fenomeno mendeliano della disgiunzione dei caratteri e la comparsa, accanto a individui coi caratteri dominanti, d'individui coi caratteri recessivi. Il meccanismo d'azione della consanguinetà sta appunto in questo: nella messa in evidenza, nei discendenti, di caratteri che erano latenti nei genitori. Oggi s'è quindi d'accordo nel riconoscere che la consanguineità per sé stessa non è causa né di buone né di cattive qualità, ma provoca la comparsa nei discendenti delle caratteristiche esistenti nel genotipo dei genitori. Ma la consanguineità, sempre per il principio mendeliano della disgiunzione dei caratteri, porta a un'altra conseguenza notevole: essa favorisce la formazione d'individui puri o omozigoti i quali non solo appariranno sempre più uniformi, ma possederanno una forte potenza ereditaria per il fatto che il loro fenotipo coincide col genotipo.

Bibl.: A. Lustig e G. Galeotti, Trattato di patologia generale, 6ª ed., Milano 1923; V. Viggiani, La consanguineità al lume delle più recenti vedute della genetica, in Rivista di zootecnia, Firenze 1924; R. Giuliani, Genetica animale, in Collana della Rivista di zootecnia, Firenze 1928.

Vocabolario
consanguineità
consanguineita consanguineità s. f. [dal lat. consanguinĭtas -atis, rifatto su consanguineo]. – L’essere consanguineo; relazione di parentela esistente fra persone aventi uno o più ascendenti comuni, o anche, spec. nel diritto canonico,...
sanguinità
sanguinita sanguinità s. f. [der. di sanguineo, nel sign. 2], ant. – Consanguineità, relazione di parentela: questi fu tanto distretto di s. con questa gloriosa, che nullo più presso l’era (Dante); ad alcuno di loro per s. era congiunta...
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