CONSOCIAZIONE

Enciclopedia Italiana (1931)

CONSOCIAZIONE

Alessandro Vivenza

. In agricoltura si dice consociazione la coltura contemporanea di due o più specie di piante sullo stesso terreno. Ma anche sui terreni poco o nulla coltivati può aver luogo, per vegetazione spontanea, consociazione naturale di piante diverse. Ivi anzi si possono verificare le più complesse consociazioni vegetali, come il caso abbastanza frequente di boschi popolati da svariate specie di piante, arbusti ed erbe e come il caso dei pascoli e dei prati naturali dove crescono in intima promiscuità piante differenti da potersi contare anche a decine e persino a centinaia di specie diverse. Nell'ordine naturale tale vegetazione polifitica, più o meno complessa, trae origine sia da più o meno attivi processi di disseminazione spontanea, sia da speciali condizioni di terreno e di clima pressoché egualmente favorevoli ai diversi vegetali.

La vegetazione delle piante consociate non è sempre contemporanea nelle sue varie fasi, anzi frequentemente è spostata nel tempo, per modo che, mentre alcune specie di piante crescono, altre riposano, salvo a mettersi più tardi in vegetazione attiva; così la fioritura e la fruttificazione, pur presentando un periodo di maggiore intensità complessiva, è distribuita in stagioni diverse; in un prato naturale, per esempio, alcune specie d'erbe crescono prevalentemente in primavera, altre in estate, altre in autunno.

Generalmente la consociazione fa sì che il suolo rimanga più a lungo e più fittamente coperto di vegetazione nel corso dell'anno e determina quindi una maggiore produzione di materia vegetale sotto forma di legno, foglie, frutti, steli, detriti organici diversi.

In agricoltura la consociazione delle piante è regolata dall'uomo, dato che egli non preferisca la coltura monofitica, cioè la coltura delle singole specie di piante utili in separati appezzamenti di terreno. La tecnica agraria annovera diversi tipi di consociazioni.

Consociazione di piante erbacee con piante erbacee. - Le consociazioni di questo tipo possono essere numerosissime. Così è comune la pratica di seminare l'erba medica, il trifoglio, la lupinella o la sulla in mezzo al frumento o all'avena laddove si voglia far seguire il prato artificiale alla coltura di detti cereali. Tali foraggere, avendo origine da semi piccolissimi, hanno una prima fase vegetativa molto lenta, durante la quale vivono in mezzo al cereale senza recargli nocumento; frattanto s'impossessano del terreno mediante sviluppo di ricco sistema radicale, preparandosi a formare buon prato dopo la mietitura del grano o dell'avena. Peraltro, l'intensiva coltura del grano può talora essere incompatibile con la buona formazione del prato, perché le piante di grano molto rigogliose aduggiano le piantine della foraggera, impedendo il loro regolare sviluppo; in tali casi conviene rinunciare alla consociazione della foraggera con il grano, consociandola invece con avena o con granoturco, da falciarsi in erba prima che si verifichi l'inconveniente suindicato. In alcuni casi può anche convenire di coltivare da sola la foraggera, rinunciando a qualsiasi consociazione della medesima con altre piante.

Al granoturco coltivato per granella si consocia talora il fagiuolo, il cece, la zucca, il cavolo, ecc.; ciò specialmente nella piccola coltura.

Non di rado viene effettuata la consociazione di due o più piante foraggere a formare prati polifitici, come la lupinella con l'erba medica, con il trifoglio pratense e talora con la sulla. Le due prime consociazioni sono specialmente consigliabili quando s'intenda ricavare dal prato, oltre al foraggio, anche buon seme di medica o di trifoglio. La consociazione di lupinella e sulla è consigliabile laddove, pur essendo il terreno molto adatto alla sulla, questa foraggera stenti ad attecchire perché coltivata per la prima volta.

Nelle colture foraggere di breve durata, dette erbai o ferrane, frequenti sono le consociazioni più svariate, come avena o orzo con veccia, con trigonella o fieno greco, con trifoglio incarnato, con rapa, ecc. e talora la consociazione è assai complessa, come il caso del cosiddetto pascone, nel Napoletano, formato di trifoglio incarnato, rapa, rucola, favetta, moco, lupino, ecc.

Ma i più svariati tipi di consociazioni fra piante erbacee si riscontrano nella coltura ortense. Negli orti talora tre o più piante di specie diverse crescono sullo stesso terreno, intendendo l'orticultore per tal modo utilizzarlo al massimo grado sia in superficie, ia in profondità, facendo si che per nessun periodo dell'anno il terreno rimanga spoglio di piante. Le consociazioni ben regolate e non troppo complesse, in orticoltura, determinano effettivamente un aumento di reddito; ma quelle molto complesse e non bene assortite possono anche non corrispondere al tornaconto del coltivatore.

Anche nel giardinaggio si hanno esempî di numerose e svariate consociazioni, le quali possono avere per scopo non solo la massima utilizzazione dello spazio, ma altresì la realizzazione di speciali effetti decorativi.

Consociazione di piante legnose con piante legnose. - È molto frequente; il caso più tipico è quello della vite con alberi destinati a sostenerla, cioè della vite maritata agli alberi.

La vite ha naturale tendenza ad appoggiarsi agli alberi, e, con l'aiuto dei suoi cirri o viticci, affianca i proprî tralci ai rami e raggiunge facilmente le cime. Il coltivatore interviene disciplinando lo sviluppo della vite e dell'albero mediante potature opportune e altre cure colturali che hanno per scopo la maggiore e migliore produzione di uva.

L'albero generalmente preferito come sostegno vivo della vite è l'acero comune (Acer campestre) detto anche oppo, loppo, stucchito, il quale si presta bene a tale ufficio perché di sviluppo limitato e facilmente regolabile a volontà del potatore. Inoltre l'acero ha poche esigenze nei riguardi del terreno, e, con la sua tenue ombra, aduggia poco la vite. Altro albero frequentemente adottato è l'olmo, indicato specialmente per località piuttosto umide, dove conviene portare i tralci della vite a una notevole altezza dal suolo, come nel Bolognese, nel Modenese, ecc. Altrove, specialmente in località collinari e a terreno più o meno ghiaioso, viene preferito il frassino comune o orniello (Fraxinus ornus), mentre in zone a terreno fresco si usa talora il pioppo e, più raramente, il salice.

La longevità delle viti maritate è molto maggiore di quella delle viti basse, allevate a vigna fitta; ciò si spiega per il più libero sviluppo concesso alle prime, assai distanziate le une dalle altre, e meno torturate con le operazioni di potatura. Le viti maritate vivono in media da 50 a 70 anni, e in ottime condizioni anche più di un secolo; spesso sopravvivono agli alberi loro mariti. La coltura della vite alberata è molto diffusa nell'Italia settentrionale e centrale, pochissimo nella meridionale, eccetto nella Campania.

Da qualche tempo si nota una certa tendenza a trasformare detta coltura, sostituendo sostegni morti agli alberi vivi, o associando gli uni agli altri, o anche sostituendo agli alberi suindicati aventi quasi unicamente funzione di sostegno delle viti, altri alberi capaci di dare qualche maggiore prodotto che non quello del solo legname, per es. l'olivo o i comuni alberi da frutto (pero, melo, ciliegio, susino, ece.). Tale sostituzione implica però notevoli modificazioni colturali, poiché è necessario evitare che le viti si arrampichino sugli alberi, la funzione dei quali si riduce perciò a quella di sostegni vivi a sussidio d'apposite armature di legno e di fil di ferro, idonee a sostenere la vite. In questo caso le viti, anziché vicine agli alberi, vengono piantate a una certa distanza dai medesimi, negl'interspazî fra albero e albero, per formare spalliere o pergolati lungo tutto il filare.

Molte altre consociazioni si possono dare fra piante legnose diverse. Nella parte più meridionale della Sicilia è frequente la consociazione del mandorlo con la vite bassa o a vigna. La piantagione è contemporanea. Per un certo periodo, di 8-12 anni, prevale lo sviluppo della vite e il reddito del terreno è costituito quasi esclusivamente dal prodotto dell'uva; in seguito assume prevalenza il mandorlo, ormai cresciuto e produttivo, cui diviene poi incompatibile la coesistenza della vite. Così, per effetto di questa consociazione temporanea, la duplice coltura si svolge in due fasi; nella prima prevale il vigneto, nella seconda il mandorleto che finisce per occupare da solo il terreno per l'ultimo periodo della non lunga sua durata.

Nelle regioni centrali e meridionali d'Italia, e in generale nelle regioni mediterranee propizie all'olivo, viene talora effettuata una consociazione temporanea simile a quella suindicata, piantando insieme la vite (a vigneto fitto o vigna) e l'olivo. Il vigneto dura 15-20 anni, poi subentra l'oliveto, che può avere durata indefinita.

Molte altre consociazioni possono ancora farsi fra alberi da frutto di generi o specie diverse, come pero, melo, ciliegio, susino, pesco, fico, ecc., in coltura variamente promiscua, allo scopo d'ottenere dallo stesso podere svariata produzione di frutta; se ne hanno numerosi esempî, specialmente nei piccoli frutteti.

Anche in selvicoltura, come già s'è accennato, si può dare la consociazione di diversi generi di piante forestali o, come si dice in linguaggio tecnico, di diverse essenze forestali. Così alla quercia vera o rovere (Quercus robur) è spesso consociato il cerro (Quercus cerris); quercia e cerro possono essere anche consociate col leccio (Quercus ilex), in Sardegna anche con la sughera (Quercus suber) e con l'olivo selvatico; in alcune zone dell'Appennino centrale sono alcune specie di pini (specialmente il Pinus halepensis) che si consociano con la quercia e il cerro. E alle specie forestali di grande sviluppo vanno frequentemente associate specie di piccolo sviluppo, come il carpino, l'allerone, l'avellano, il corniolo, ecc., costituenti il cosiddetto sottobosco.

Consociazione di piante legnose con piante erbacee. - Esistono in Italia circa 6 milioni di ettari di terreno classificato dalla statistica agraria seminativo arborato. Si tratta principalmente di terreni dotati di olivi o di viti, quest'ultime per lo più maritate ad alberi, in piantagione piuttosto rada, o a filari più o meno distanti, sui quali terreni vengono fatte anche comuni colture erbacee, come grano e altri cereali, erbai per foraggio, leguminose da granella, ecc.

La coltura erbacea viene spinta fino ai ceppi delle piante legnose, oppure rimane un po' distanziata da essi lasciando libera una certa area sotto ciascun albero, o una striscia di terreno lungo i filari degli alberi stessi o delle viti.

Molti altri casi di consociazione si possono dare fra colture erbacee e colture legnose, come alberi da frutto nei frutteti non specializzati, gelso, carrubo, ecc.

Le consociazioni di colture legnose con colture erbacee sono frequenti specialmente nei climi temperati che godono di una copiosa irradiazione solare e di buona riserva d'umidità nel terreno.

Però le più complesse e ricche consociazioni si hanno nei terreni irrigui dei paesi caldi. Le oasi africane offrono esempî meravigliosi di consociazioni intese a usufruire al massimo grado della forte insolazione e della ricchezza d'acqua. Così agli altissimi stipiti di palma dattilifera sono sottoposti svariati alberi da frutto, agrumi, gelsi, ecc., e sotto di questi prosperano erbai e colture ortensi svariatissime succedentisi senza sosta le une alle altre.

La coltura promiscua richiede generalmente largo uso di mano d'opera, e perciò essa è indice di coltura molto attiva con unità colturali o poderi in possesso di proprietarî coltivatori, di affittuarî coltivatori, o di mezzadri. In condizioni propizie la coltura promiscua dà maggior rendimento della coltura cosiddetta specializzata, cioè di piante separatamente coltivate in terreni diversi. Nella coltura promiscua la coltura erbacea costituisce il cosiddetto suolo e la coltura legnosa il cosiddetto soprassuolo.

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