CONSUETUDINE

Enciclopedia Italiana - II Appendice (1948)

CONSUETUDINE (XI, p. 219)

Ferruccio TOSTI
Adolfo MARESCA

Il cod. civ. del 1865 non aveva accolto alcuno dei principî giuridici generali, ormai elaborati dalla dottrina, concernenti la consuetudine, la sua fisionomia, il suo valore giuridico e le sue applicazioni. Unica norma specifica, nella legislazione abrogata, quella contenuta nell'art. 1 del cod. di commercio, nel quale si stabiliva che in materia commerciale - ove le leggi commerciali non avessero disposto - si dovevano osservare gli usi mercantili, che gli usi locali o speciali dovevano prevalere su quelli generali e che, in mancanza sia di leggi sia di usi, doveva applicarsi il diritto civile. Il cod. civ. 1942, in sede di disposizioni sulla legge in generale, ha invece introdotto alcune precise norme aventi per oggetto la consuetudine, alla quale, peraltro, è stata conferita la denominazione di "uso".

Risulta così codificato il principio, già del resto quasi pacifico in dottrina, per il quale all'uso è da riconoscersi carattere di fonte di diritto (art.1, n. 4, disp. prel. cod. civ.), mentre è delimitato con precisione il campo di efficacia giuridica proprio dell'uso. L'art. 8, infatti, sancisce espressamente al 1° comma che l'uso secundum legem può avere efficacia solo in quanto sia richiamato dalle leggi e dai regolamenti, mentre è stato ribadito che all'uso contra legem nessun valore giuridico è dato riconoscere (arg. ex art. 15), giacché solo mediante norma scritta di pari grado può abrogarsi altra norma scritta. L'efficacia riconosciuta all'uso secundum legem subisce, tuttavia, una limitazione, in quanto (art. 8 capov.) alle norme corporative, e quindi oggi - venuto meno l'ordinamento sindacale corporativo - alle norme regolanti i rapporti di lavoro e quelli fra categorie professionali, è riconosciuto carattere di prevalenza sugli usi, anche se richiamati dalle leggi e dai regolamenti, salva l'ipotesi che in esse norme sia diversamente disposto.

Infine, mentre rimane fermo il principio per cui, qualora l'esistenza di un uso affermata da una parte sia contestata dall'altra, l'onere della prova incombe sul postulante, il nuovo codice (art. 9 disp. prel.) dispone che gli usi pubblicati nelle raccolte ufficiali degli enti e degli organi a ciò autorizzati, si presumono esistenti fino a prova contraria, cosicché chi li invoca non sarà più tenuto a provarne l'esistenza, giacché l'onere della prova in contrario incomberà sull'altra parte.

Diritto internazionale.

La consuetudine è una fonte di norme giuridiche internazionali; è cioè, uno di quei processi che l'ordinamento internazionale prevede per assicurare il suo ricambio, attraverso la creazione di nuove norme e la modificazione o l'estinzione di quelle esistenti. Come l'accordo, la consuetudine risulta da un comportamento degli stessi membri della comunità internazionale, ed è quindi un procedimento di produzione giuridica, perfettamente compatibile con la struttura paritaria di tale comunità.

La consuetudine internazionale risulta dalla costante uniformità di un dato modo di agire o di non agire, osservato da parte dei membri della comunità internazionale nelle relazioni fra loro, ed accompagnato dalla convinzione ch'esso sia giuridicamente obbligatorio. La consuetudine consiste, quindi, in due distinti elementi: 1) un elemento obiettivo o materiale, che è dato dall'uso, cioè da un comportamento costantemente tenuto dagli stati di fronte a certi possibili conflitti di interessi, o in vista di certe comunanze di bisogni; 2) un elemento subiettivo o psicologico, costituito dal convincimento, gradualmente formatosi negli stati stessi, che il comportamento predetto costituisca l'adempimento di un obbligo o l'esercizio di una facoltà (opinio juris atque necessitatis). L'effetto della coesistenza dei due elementi è la creazione di una norma giuridica internazionale, regolatrice della condotta degli stati secondo la medesima linea seguita di fatto dagli stati stessi. Norme di tale natura sono, ad es., quelle relative alle immunità degli agenti diplomatici ed al trattamento dello straniero.

La consuetudine internazionale è stata diversamente configurata dalla dottrina. Secondo la dottrina tradizionale - per la quale tutto l'ordinamento internazionale ha la sua fonte nell'accordo fra gli stati - la consuetudine non è se non un accordo, che si distingue dagli altri accordi per essere concluso in modo tacito: cioè, la volontà degli stati di porre in essere o di estinguere una determinata norma sarebbe desunta, anziché da una formale dichiarazione, dalla reciproca condotta degli stati.

Una più recente dottrina ammette, bensì, che oltre agli accordi scritti, esistano accordi taciti; ma nega, da un lato, che gli accordi così conclusi siano consuetudini internazionali; e dall'altro, che quei comportamenti seguiti di fatto dagli stati, e costituenti l'elemento materiale della consuetudine, possano considerarsi quali manifestazioni di una reciproca volontà a concludere accordi. Detti comportamenti sono integrati, è vero, da un elemento psicologico, la convinzione, cioè, dell'obbligatorietà dei comportamenti stessi; ma codesta convinzione non è un atto volitivo, inteso a porre in essere la norma: essa è un atto puramente intellettivo della graduale formazione della norma medesima, un atto, quindi, che in un certo modo domina e vincola la volontà stessa. Pertanto, la consuetudine sarebbe, nell'ordinamento internazionale come in quello interno, un fatto di produzione giuridica consistente in un processo sociale indistinto.

Le conseguenze di questa configurazione della consuetudine internazionale sono - contrariamente a quelle derivanti dalla concezione della consuetudine quale accordo tacito - le seguenti: 1) il comportamento degli stati, che integra la consuetudine, non può esaurirsi in un solo momento, ma deve essere costante e reiterato; 2) la consuetudine deve essere comune a più soggetti, ma non è necessariamente reciproca: essa vincola, pertanto, anche quegli stati che non abbiano contribuito alla sua formazione, quali sono i nuovi membri della comunità internazionale; 3) essa può risultare non soltanto dall'attività esterna degli stati, quella, cioè, che essi svolgono quali subietti di diritto internazionale attraverso gli organi competenti a manifestarne la volontà agli effetti internazionali, ma anche da quelle attività interne dello stato che abbiano un rilievo internazionale (attività legislativa, amministrativa, giudiziaria); 4) poiché la norma che attribuisce efficacia obbligatoria agli accordi (pacta sunt servanda) è una norma di carattere consuetudinario, la consuetudine deve considerarsi come la fonte primaria delle norme internazionali. Ciò significa che la norma dalla quale la consuetudine riceve l'idoneità a creare, modificare ed estinguere le norme giuridiche, sarebbe la norma fondamentale o primaria sulla produzione giuridica; quella dalla quale ripetono la loro giuridicità tutte le norme internazionali, consuetudinarie, convenzionali, o di terzo grado; quella cui tutto l'ordinamento giuridico internazionale può ricondursi.

In virtù della norma fondamentale (norma postulato dell'ordinamento giuridico internazionale), la consuetudine ha un'efficacia di produzione giuridica illimitata: essa può porre in essere norme internazionali di qualsiasi contenuto; e può abrogare e modificare norme internazionali di qualsiasi natura, siano esse consuetudinarie o convenzionali. D'altra parte, poiché la norma sulla produzione giuridica relativa all'accordo non pone alcun limite all'efficacia della norma stessa, le norme create dalla consuetudine sono suscettive di essere abrogate completamente, o parzialmente, da norme consuetudinarie. Pertanto, oltre ai trattati che codificano norme consuetudinarie già esistenti (quali le convenzioni dell'Aja del 1907 in materia di diritto bellico), esistono trattati che derogano a consuetudini (per es. patto Briand-Kellog del 1928 relativo alla esclusione della guerra quale mezzo di politica internazionale); trattati che sono derogati da consuetudini abrogative (in materia di operazioni antiaeree, la dichiarazione di Pietroburgo dell'11 dicembre 1868 proibente l'uso di proiettili esplosivi); trattati, infine, che trovano nella consuetudine una particolare interpretazione (art. 18 del patto della Società delle nazioni relativo alla registrazione degli accordi internazionali).

La consuetudine - pur potendo avere anche carattere particolare, in quanto vigente fra un gruppo limitato di soggetti di diritto internazionale - esplica principalmente la sua funzione nel campo del diritto internazionale generale, che scarsamente deriva da convenzioni.

Comparata al trattato in quanto procedimento creativo di norme giuridiche internazionali, la consuetudine presenta vantaggi ed inconvenienti. Il vantaggio principale consiste nella sua flessibilità, cioè nella sua idoneità ad evolvere in modo graduale e costante, adattandosi senza scosse alle mutevoli necessità della vita internazionale. Inoltre, per il carattere di generalità, che le è proprio quando non si tratti di consuetudini particolari, essa lega tutti i membri della comunità internazionale, rendendo superflua un'adesione ed impossibile una denuncia da parte di alcuni di essi. Per contro, la consuetudine non è scevra da una certa imprecisione, causa di incertezze pericolose; inoltre, per la sua stessa natura, essa non può rinnovarsi rapidamente e in maniera adeguata ai bisogni della vita internazionale.

Bibl.: T. Perassi, Teoria dogmatica delle fonti di norme giuridiche in diritto internazionale, in Rivista di Diritto internazionale, 1917; id., introduzione alle scienze giuridiche, Roma 1938; id., Lezioni di diritto internazionale, Roma 1939; D. Anzilotti, Cours de droit international, Parigi 1929; S. Romano, Corso di diritto internazionale, Padova 1929; G. Morelli, Nozioni di diritto internazionale, Padova 1947; A. Cavaglieri, La consuetudine giuridica internazionale, Padova 1907; G. Balladore-Pallieri, La forza obbligatoria della consuetudine internazionale, in Rivista di diritto internazionale, 1928; id., Diritto Internazionale, Milano 1946; P. Fedozzi, Introduzione al diritto internazionale, Parte generale, Padova 1938; R. Ago, Lezioni di diritto internazionale, Milano 1945; Ziccardi, La costituzione dell'ordinamento internazionale, Milano 1943; Sperduti, La fonte suprema dell'ordinamento internazionale, Milano 1946; P. Heilborn, Grundbegriffe des Völkerrechts, in Handbuch des Völkerrechts di Stier Somlo, Stoccarda 1912; id., Les sources du droit international, in Recueil des cours de l'Académie de droit international, 1926; F. L. Oppenheim, Zur Lehre vom internationalen Gewohnheitsrecht, in Niemeyers Zeitschrift für internationales Recht, 1915; Kelsen, Théorie du droit international coutumier, in Rev. int. de la théorie du droit, 1939; G. Scelle, Droit international public, Parigi 1944; G. Rousseau, Principes généraux du Droit international public, ivi 1944; I. Devaux, Traité élémentaire de droit international public, ivi 1935.

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