Contatto linguistico

Enciclopedia dell'Italiano (2010)

contatto linguistico

Gaetano Berruto

Definizione e ambito

La compresenza di più lingue negli usi dei parlanti dà luogo a una situazione di contatto linguistico. Una definizione classica di contatto linguistico si trova nell’opera di Uriel Weinreich che ha aperto la via alla ricerca su questo tema: «due o più lingue si diranno in contatto se sono usate alternativamente dalle stesse persone. Il luogo del contatto è quindi costituito dagli individui che usano le lingue» (Weinreich 1953; trad. it. 2008: 3).

Il procedere degli studi ha condotto a delineare via via un concetto più sfumato e più articolato di contatto, che può essere considerato dal duplice punto di vista dei parlanti o delle lingue (Berruto 2009). Dalla prospettiva dei parlanti, due (o più) lingue sono in contatto quando sono contemporaneamente padroneggiate in qualche misura da uno o più parlanti. Dalla prospettiva delle lingue, due (o più) sistemi linguistici (che possono essere anche una lingua e un dialetto) sono in contatto quando si trovano a interagire, cioè quando le loro strutture sono esposte all’azione dell’una sull’altra. Il luogo del contatto può essere sia il singolo parlante, sia la comunità sociale nel suo insieme, sia un determinato punto o territorio geografico, come messo a fuoco in un’altra definizione classica: «il contatto linguistico è l’uso di più di una lingua nello stesso luogo allo stesso tempo» (Thomason 2001: 1).

Il contatto di lingue è strettamente associato al bilinguismo (➔ bilinguismo e diglossia): una condizione solitamente ritenuta necessaria perché ci sia contatto linguistico è che ci siano parlanti bilingui. Ma a ben vedere due lingue possono trovarsi a interagire senza che si debba necessariamente presupporre che i parlanti o le comunità siano bilingui: è sufficiente che vi siano rapporti fra comunità diverse tali che una lingua abbia una qualche presenza in una comunità che parla un’altra lingua. In questo senso, le lingue del mondo odierno sono per la gran parte a contatto con l’inglese, e ne risentono in varia misura l’influsso, senza che vi sia, o vada presupposta, effettiva conoscenza dell’inglese da parte dei loro parlanti (la cosa è particolarmente evidente per l’italiano). Il contatto linguistico è una situazione diffusa e molto comune, da considerare normale per la generalità delle comunità parlanti: ogni volta che una popolazione di una lingua si trova ad aver rapporti con una popolazione di un’altra lingua si ha infatti una situazione di contatto linguistico.

Gli studi sul contatto linguistico hanno acquistato negli ultimi decenni un notevole rilievo anche in Italia, dove spesso viene usata per indicare questo settore degli studi linguistici l’etichetta di interlinguistica (Gusmani 1993; Fusco 2008), che da altri autori è invece impiegata per indicare gli studi sulle lingue ausiliarie artificiali, in particolare l’esperanto. La denominazione linguistica del contatto ha tuttavia ormai raggiunto per quest’area di ricerca un’ampia circolazione internazionale (Myers-Scotton 2002; Winford 2003; Bombi 2005).

Aspetti sociolinguistici e conseguenze del contatto

A seconda di vari fattori sociali e culturali, il contatto può essere orizzontale, quando le due lingue hanno entrambe prestigio e un’importanza socioeconomica e culturale comparabile, o verticale (o asimmetrico) quando le due lingue hanno differente prestigio e una delle due ha una posizione dominante nella società. Il contatto può essere stabile e durare per secoli, o transeunte e verificarsi per un lasso di tempo ridotto, o essere anche solo momentaneo, legato a contingenze particolari. Può inoltre essere diffuso e intensivo, quando i rapporti fra parlanti di lingue diverse sono molteplici, fitti e continui, oppure può essere episodico e occasionale, quando i rapporti fra i parlanti sono pochi e limitati ad alcune situazioni comunicative essenziali.

L’intrecciarsi di questi fattori dà luogo a diversi tipi di situazioni di contatto (cfr. Dal Negro & Guerini 2007). In ogni situazione di contatto una lingua influisce in qualche modo sull’altra. I rapporti possono essere sia unidirezionali, quando è solo una delle due lingue in contatto (detta lingua ricevente o anche lingua replica) ad accogliere influssi dall’altra (detta lingua fonte o lingua modello), sia bidirezionali, quando le due lingue si influenzano a vicenda e si scambiano reciprocamente materiali linguistici. L’italiano è coinvolto in tutta una gamma di situazioni di contatto, sia orizzontale (contatto esterno, in genere unidirezionale, con l’inglese; contatto esterno con altre lingue di cultura dell’Unione Europea; contatto interno con il tedesco e il francese rispettivamente in Alto Adige/Südtirol e in Valle d’Aosta), sia verticale. È verticale il contatto interno con le diverse lingue di minoranza o parlate alloglotte, come quelle delle comunità greca (➔ greca, comunità), albanese (➔ albanese, comunità), provenzale (➔ francoprovenzale, comunità), ecc., e con i vari dialetti italo-romanzi (➔ dialetti) come il piemontese, il veneto, il siciliano, ecc. Il contatto coi dialetti è bidirezionale, giacché allo stesso tempo l’italiano influenza i dialetti, che tendono a convergere verso l’italiano (è il fenomeno noto come ➔ italianizzazione dei dialetti), e subisce il loro influsso (nettamente visibile nell’➔italiano regionale e nell’➔italiano popolare, oltreché nell’apporto di lessico che i dialetti hanno fornito alla lingua nazionale nel corso dei secoli; ➔ dialettismi). Il contatto nella situazione linguistica italiana si dà naturalmente anche fra diversi dialetti e soprattutto diverse varietà dello stesso gruppo dialettale. In questo caso è frequente, in aree di forte frammentazione e diversificazione dialettale, la formazione di una koinè, vale a dire una varietà di dialetto a valenza regionale o subregionale frutto dell’eliminazione di tratti percepiti come più localmente marcati e spesso modellata sulla parlata del centro principale o città capoluogo dell’area.

Situazioni tipiche di contatto in cui l’italiano è coinvolto sono anche quelle migratorie (➔ acquisizione dell’italiano come L2; ➔ emigrazione, italiano dell’). Si tratta di contatto in genere verticale, con l’italiano lingua dominante nel caso dell’immigrazione nel nostro paese (che a cavallo tra i secoli XX e XXI ha posto in contatto l’italiano con decine di lingue anche tipologicamente e geneticamente molto diverse e lontane), e lingua dominata nei molteplici casi di emigrazione italiana all’estero, fenomeno com’è noto particolarmente imponente dalla fine del XIX secolo agli anni Sessanta del XX. Fra le varietà di contatto coinvolgenti l’italiano formatesi in aree di emigrazione sono noti il cocoliche, mescolanza di italiano e spagnolo usata nei primi decenni del Novecento nella zona del Río de la Plata e in particolare a Buenos Aires, e l’➔italoamericano, una varietà di italiano con lessico fortemente americanizzato tipica dell’emigrazione italiana negli Stati Uniti.

In tempi più recenti, si sono moltiplicati i contatti dell’italiano con svariate lingue dell’immigrazione straniera nel nostro paese, e più ampiamente del commercio internazionale (Banfi & Iannaccaro 2006). Mentre appaiono ancora poco significativi, e limitati ad alcuni lessemi dell’ambito gastronomico e commerciale o dell’attualità internazionale (come kebab e sushi, o talebani) gli apporti recenti delle ‘lingue esotiche’ con cui l’italiano (sia per effetto delle immigrazioni che per l’aumento della mobilità e dei contatti internazionali) ha molti più contatti che in passato, un risultato del contatto fra l’italiano e le lingue materne degli immigrati, che per lo più apprendono spontaneamente la nostra lingua in contesto naturale, è il formarsi presso gruppi di immigrati di varietà etniche di italiano interferite dalle lingue di provenienza.

Il contatto di lingue dà luogo a tutta una serie di fenomeni linguistici e sociolinguistici e può avere esiti di diverso genere. Un contatto verticale prolungato fra due lingue in una comunità parlante può condurre alla progressiva perdita di vitalità e quindi alla decadenza e morte di una delle due lingue, in un processo noto come sostituzione di lingua. Una delle due lingue occupa via via tutti gli spazi di impiego dell’altra, finché questa non è più usata da nessuno in nessun dominio e va considerata estinta (nella comunità che la parlava). Un passo importante in questo processo è dato dalla riduzione della trasmissione intergenerazionale: la lingua in recessione viene sempre meno utilizzata nella socializzazione primaria (i genitori non la parlano più con i bambini piccoli), talché il numero dei parlanti competenti in quella lingua diminuisce fino a eventualmente azzerarsi col passare delle generazioni. Un processo di questo genere è in corso in Italia per molte lingue o varietà minoritarie, e in parte per i dialetti.

Il contatto fra lingue può però anche dare adito al fenomeno opposto: la nascita di nuove lingue. Questo avviene in situazioni in qualche modo eccezionali, come sono per es. quelle della formazione di lingue miste. Le lingue miste propriamente dette (➔ mistilinguismo) nascono da un contatto intensivo che porta due lingue a mescolarsi nel lessico e nella grammatica, con un’interpenetrazione progressiva che dà appunto luogo a un nuovo sistema linguistico.

Molto significative per i fenomeni linguistici che vi si verificano sono anche le situazioni di contatto non intensivo in un contesto fortemente plurilingue e pluriculturale con la presenza di una lingua dominante, che portano alla formazione di pidgin (➔ italiano come pidgin). I pidgin sono lingue strutturalmente semplificate e dal ridotto raggio di azione che nascono per esigenze essenziali di intercomunicazione fra parlanti di lingue molto diverse. Sono caratterizzati dall’avere una loro grammatica, diversa da quelle delle singole lingue che contribuiscono alla formazione del pidgin, e frutto di elaborazione autonoma in contesto naturale, non guidata da modelli normativi. Viene quindi ‘creata’ una nuova lingua di uso sussidiario, attraverso processi di semplificazione e di (ri)grammaticalizzazione, a partire da materiale lessicale tratto prevalentemente dalla lingua più importante nella situazione, solitamente di tipo coloniale o migratorio, nella quale si forma il pidgin. Tale lingua base è detta lingua lessicalizzatrice. Un pidgin, per definizione, non ha parlanti nativi; ma se è adottato da qualche settore della comunità parlante nella socializzazione primaria acquista parlanti nativi e può diventare una lingua pienamente sviluppata, un creolo.

L’italiano non è propriamente lingua lessicalizzatrice di alcun pidgin vero e proprio, ma nella sua storia è stato significativamente coinvolto nella formazione della lingua franca mediterranea (➔ lingua franca, italiano come), una varietà pidginizzata che ebbe fra il Cinquecento e l’Ottocento una certa circolazione nel bacino del Mediterraneo e in cui molto materiale veniva appunto dall’italiano e da volgari italiani. Ai nostri tempi, merita di essere menzionata una varietà di lingua di contatto, il Fremdarbeiteritalienisch («italiano dei lavoratori stranieri»), sviluppatasi nel secondo dopoguerra negli ambienti urbani della Svizzera tedesca come lingua veicolare fra immigrati di diversa provenienza, caratterizzata da alcuni tratti di ristrutturazione tipici dei pidgin (come per es. l’impiego di c’è / ci sono col valore di verbo pieno, «avere»: io non c’è bambini «non ho figli»). Non vanno confuse coi veri e propri pidgin le varietà rudimentali di apprendimento spesso sviluppate da parlanti stranieri di varia provenienza che vengono in contatto con l’italiano.

Anche quando non diano luogo a esiti ‘catastrofici’ come la morte o la nascita di lingue, le situazioni di contatto a lungo termine inducono di solito mutamenti a vari livelli nelle strutture delle lingue in contatto. Tali mutamenti portano spesso verso la convergenza, cioè l’avvicinamento strutturale dei sistemi: nella situazione italiana, è in genere ben visibile, e da lungo tempo, un processo di convergenza dei dialetti della campagna nei confronti dei dialetti urbani, e dei dialetti nel loro insieme verso la lingua standard.

Fenomeni linguistici del contatto

I fenomeni linguistici più tipici del contatto sono il prestito (➔ prestiti), l’➔interferenza e la ➔ commutazione di codice, nelle loro varie forme e sottocategorie. Anche se si tratta di concetti che si riferiscono a realtà complesse e la cui precisa definizione è in parte controversa, se ne può fornire una sommaria caratterizzazione nei termini che seguono.

Per prestito s’intende fondamentalmente il passaggio di materiale di superficie, e in primo luogo di elementi lessicali, parole, da una lingua a un’altra: per es., leader, termine inglese ormai acclimatato in italiano. Si noti che con il termine prestito si designa sia il fenomeno in sé, il processo, sia il singolo elemento specifico che una lingua prende dall’altra. L’interferenza concerne invece l’influsso che una lingua può esercitare su un’altra a livello delle strutture grammaticali, fonologiche, lessicali, semantico-pragmatiche. Un esempio di interferenza a livello sintattico: sono al cinema andata, detto da una bambina bilingue, dove l’ordine delle parole tipico della sintassi tedesca interferisce sulla frase in italiano.

Per molti studiosi, le categorie di prestito e interferenza ricoprono peraltro gli stessi fenomeni; mentre per altri il prestito è una sottocategoria dell’interferenza, e precisamente dell’interferenza lessicale, che comprende i due fondamentali fenomeni del prestito e dei ➔ calchi. Nel calco è in gioco non il significante straniero, bensì il significato: a materiale lessicale già esistente in una lingua viene attribuito un nuovo significato mutuato da materiale lessicale corrispondente in un’altra lingua (come per es. in pellerossa, calco del franc. peau-rouge e questo a sua volta calco dell’ingl. redskin).

Mentre interferenze, prestiti e calchi sono fenomeni che riguardano la struttura del sistema linguistico, la commutazione di codice (ingl. code-switching) si manifesta nel discorso, nell’uso del sistema linguistico che i parlanti compiono in situazione, e consiste nell’alternare due lingue, con il passaggio dall’una all’altra nel corso della stessa interazione verbale, non raramente all’interno di una stessa frase. Un esempio prodotto da un parlante bilingue italiano/francese: il y avait des jeunes qui ce la mettevano tutta! («c’erano dei giovani che …»). Un caso particolare, che per certi aspetti sta a metà fra i fenomeni che riguardano il discorso e quelli che riguardano il sistema, è la formazione di ➔ ibridismi (parole costituite da morfemi provenienti da due lingue diverse), che in particolari contesti sociolinguistici può anche essere il sintomo di una elevata compenetrazione delle grammatiche delle due lingue.

Nel corso della sua storia, l’italiano è stato in rapporti di contatto con numerose lingue di cultura, e ciascuno di questi rapporti ha prodotto manifestazioni di diversi dei fenomeni sopra elencati e lasciato sedimentazioni più o meno evidenti nel patrimonio di parole e strutture della nostra lingua. Tali rapporti sono stati particolarmente significativi, per ovvie ragioni storiche e geografiche, in epoca medievale con l’arabo (➔ arabismi) e in epoca moderna con le lingue romanze e germaniche (➔ anglicismi, ➔ francesismi, ➔ germanismi). A un prevalente influsso francese nell’Ottocento e nei primi decenni del Novecento, ha fatto seguito nel prosieguo del secolo un crescente predominio dell’inglese. L’italiano tuttavia non è soltanto stato lingua ricevente, ma ha anche esportato materiale linguistico, soprattutto a livello lessicale: in Stammerjohann (2008) sono catalogate alcune migliaia di parole italiane passate nel corso dei secoli in francese, inglese o tedesco, o anche in tutt’e tre queste lingue (come, oltre ai noti ciao, mafia, pizza, e a molti termini musicali e culinari, anche basta, bravo, far niente, malaria, salto, ecc.; ➔ italianismi).

Studi

Banfi, Emanuele & Iannaccaro, Gabriele (a cura di) (2006), Lo spazio linguistico italiano e le “lingue esotiche”. Rapporti e reciproci influssi. Atti del XXXIX congresso internazionale della Società Linguistica Italiana (Milano 22-24 settembre 2005), Roma, Bulzoni.

Berruto, Gaetano (2009), Confini tra sistemi, fenomenologia del contatto linguistico e modelli del code switching, in La lingua come cultura, a cura di G. Iannaccaro & V. Matera, Torino, UTET, pp. 3-34, 212-216.

Bombi, Raffaella (2005), La linguistica del contatto. Tipologie di anglicismi nell’italiano contemporaneo e riflessi metalinguistici, Roma, Il Calamo.

Dal Negro, Silvia & Guerini, Federica (2007), Contatto. Dinamiche ed esiti del plurilinguismo, Roma, Aracne.

Fusco, Fabiana (2008), Che cos’è l’interlinguistica, Roma, Carocci.

Gusmani, Roberto (1993), Saggi sull’interferenza linguistica, Firenze, Le Lettere.

Myers-Scotton, Carol (2002), Contact linguistics. Bilingual encounters and grammatical outcomes, Oxford, Blackwell.

Stammerjohann, Harro et al. (2008), Dizionario di italianismi in francese, inglese, tedesco, Firenze, Accademia della Crusca.

Thomason, Sarah G. (2001), Language contact, Edinburgh, Edinburgh University Press.

Weinreich, Uriel (2008), Lingue in contatto, a cura di V. Orioles, Torino, UTET (ed. orig. Languages in contact. Findings and problems, New York, 1953).

Winford, Donald (2003), An introduction to contact linguistics, Malden (Mass.), Blackwell.

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