UMBERTO I, conte

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 97 (2020)

UMBERTO I, conte

Paolo Buffo

UMBERTO I, conte. – Nacque negli ultimi decenni del X secolo, verosimilmente nel regno di Borgogna. Il soprannome Biancamano, con cui spesso l’erudizione lo ha designato, è di origine bassomedievale: compare per la prima volta in uno scritto genealogico del XIV secolo.

È certa la sua appartenenza a una delle parentele aristocratiche in seno alle quali i re di Borgogna erano soliti designare conti e vescovi; ma i tentativi di ricostruirne l’ascendenza, condotti sin dal XV secolo e spesso motivati dall’ambizione di legittimare politicamente la dinastia sabauda – è celebre l’invenzione quattrocentesca del nobile sassone Beroldo, presentato come padre di Umberto – non hanno prodotto risultati attendibili. Umberto è pertanto il primo esponente noto del lignaggio comitale che gli storici definiscono appunto umbertino, i cui membri si sarebbero presentati nel XII secolo come conti di Moriana e dal Duecento come conti di Savoia.

Il Regno di Borgogna, formatosi nell’888 intorno alla dinastia dei Rodolfingi e accresciutosi considerevolmente a metà del X secolo, fu interessato intorno al Mille da profonde trasformazioni istituzionali. L’ordinamento circoscrizionale di tradizione carolingia fu, in varie zone, svuotato di senso con l’attribuzione a chiese vescovili di un potere su interi comitati e la parallela intermittenza nella designazione di governatori laici. Famiglie legate ai sovrani e detentrici di uffici, come i Guigonidi e appunto gli Umbertini, stavano costruendo le premesse per un radicamento dinastico entro vasti settori del regno, sfruttando il possesso di importanti patrimoni e il controllo di episcopi e monasteri.

L’assenza di informazioni chiare sui legami familiari di Umberto impedisce di accertare con esattezza l’estensione e le origini delle sue basi patrimoniali. Si sa che nei primi anni dell’XI secolo esse non interessavano, come talvolta ritenuto, le valli alpine della Savoia, ma soprattutto le diocesi di Vienne, Grenoble e Belley – episcopio, quest’ultimo, forse sottoposto già intorno al Mille al controllo della parentela umbertina – ove si concentrano le attestazioni più antiche di Umberto e di altri personaggi probabilmente appartenuti alla sua famiglia. La costruzione di quel patrimonio, entro il quale erano forse stati inglobati beni di origine fiscale, era verosimilmente coincisa con la fase di potenziamento demografico e produttivo che aveva interessato la regione nella seconda metà del X secolo. Altri beni umbertini esistevano probabilmente già allora nella parte meridionale della diocesi di Ginevra.

Le prime menzioni di Umberto sono in due carte degli anni 1000 e 1003 redatte nel castrum di Boczosel, un centro del piccolo pagus di Sermorens, tra le diocesi di Vienne e Grenoble. In entrambe egli figura, insieme con un Burcardo, come testimone di concessioni eseguite dal vescovo Oddone di Belley. I tre avevano probabilmente un rapporto di parentela e si è supposto che fossero fratelli, ma quel legame non ha attestazioni esplicite. L’atto del 1003 è il primo a designare Umberto come comes. La vicinanza, già in quella fase, a re Rodolfo III – che giustificherebbe il conseguimento della dignità comitale – e la preponderanza politica di Umberto nella regione sono confermate dall’intercessione con cui, nel 1009, egli agevolò la concessione di beni e diritti, da parte del sovrano, alla chiesa di Grenoble, controllata dai Guigonidi.

Tra Otto e Novecento gli storici hanno cercato di individuare il comitato o i comitati al cui governo si collegasse il titolo usato per Umberto dal 1003, a cui nessun documento abbina mai una definizione territoriale. Il caso di Umberto non è isolato; la valle del Rodano era stata del resto precocemente interessata, nei decenni centrali del X secolo, dalla perdita di sistematicità nella nomina di ufficiali regi deputati all’amministrazione di circoscrizioni. Non è detto che il possesso della qualifica comitale abbia da subito comportato l’individuazione precisa di un territorio sottoposto al governo di Umberto e che non si legasse invece alla constatazione, da parte di Rodolfo III, del potere eterogeneo che il personaggio esercitava in quella parte del regno e al tentativo di inquadrarlo in un contesto di immediatezza regia usando una definizione di stampo funzionariale. Soltanto dopo la metà dell’XI secolo gli Umbertini avrebbero cercato di dare un ancoraggio territoriale esplicito all’insieme dei diritti di matrice pubblica da essi esercitati.

Il potere di Umberto in seno all’aristocrazia borgognona e all’entourage regio si accrebbe a partire dal secondo decennio dell’XI secolo, periodo in cui le sue menzioni in diplomi rodolfingi si fanno più frequenti. Nel 1011 Rodolfo III sposò Ermengarda, un personaggio che con Umberto intratteneva stretti rapporti e che ne facilitò senza dubbio l’ascesa politica. È possibile che Umberto ed Ermengarda fossero parenti (si è ritenuto che fossero fratelli) ma nemmeno di questo legame esistono chiare attestazioni documentarie; è certo invece che vi fosse una contiguità geografica tra alcuni nuclei patrimoniali dei due – soprattutto in seguito alle importanti concessioni presto accordate da Rodolfo III alla sposa nel comitato di Savoia – e che Umberto abbia, in anni successivi, agito nei confronti di Ermengarda in qualità di avvocato e intercessore.

Sempre a partire dagli anni Dieci il favore regio permise a Umberto di estendere la sua influenza al settore orientale del regno e in particolare alla Borgogna transgiurana, ove il conte non disponeva ancora di un patrimonio cospicuo. Nel 1018, per esempio, rappresentò un privato in una rinuncia a favore del monastero di Romainmôtier, nel Vaud. Dall’inizio del decennio successivo i suoi interventi in area transgiurana si concentrarono sui territori a cavallo del Gran San Bernardo, appartenenti alle diocesi di Sion e di Aosta (compresa, anche quest’ultima, nel Regno di Borgogna), oggetto di un controllo ancora efficace da parte dei Rodolfingi. I due principali enti religiosi di quell’area – l’episcopio di Aosta e l’abbazia vallesana di Saint-Maurice d’Agaune – erano stati governati, rispettivamente come vescovo e come prevosto, da Anselmo, fratellastro e arcicancelliere di Rodolfo III. Entro il 1022 fu il re stesso a favorire l’avvicendamento ad Anselmo del figlio di Umberto, Burcardo.

Sin dagli anni immediatamente successivi all’arrivo di Burcardo sulla cattedra aostana, Umberto agì ripetutamente nella valle in atti che riguardavano il patrimonio regio: patrimonio che, sui due versanti del Gran San Bernardo, i Rodolfingi gestivano insieme con quelli della Chiesa aostana e di Saint-Maurice, con una confusione tra beni fiscali e beni degli enti controllati che avvicinava il caso della dinastia regia a quelli di altre importanti parentele dell’aristocrazia borgognona. Tale ambiguità giustifica la partecipazione di Umberto come firmator in una permuta di beni vescovili nel 1024, mentre due anni più tardi Umberto e Burcardo permutavano, insieme, terreni che la fonte definisce tanto dell’episcopio quanto «de comitatu» (Historiae patriae monumenta..., II, 1853, coll. 115 ss., doc. 96).

Il secondo e il terzo decennio del secolo furono centrali nell’ascesa di Umberto, anche in virtù delle scelte politiche da lui effettuate nei rapporti con l’Impero.

La monarchia rodolfingia era da alcuni decenni sottoposta all’influenza dei sovrani tedeschi e sin dalla fine degli anni Dieci fu chiaro l’impegno, da parte di Rodolfo III, a trasmettere dopo la propria morte la corona di Borgogna al detentore di quella teutonica. L’iniziativa suscitò l’inquietudine della maggior parte dei lignaggi aristocratici del regno, forti dei loro radicamenti locali e di un crescente protagonismo nella gestione centrale del potere. Ebbe invece un sostenitore in Umberto, la cui area di più recente potenziamento nella regione transgiurana era del resto incuneata fra i Regni di Germania e d’Italia; la parte nord-occidentale di quest’ultimo regno, sfuggita al controllo imperiale negli anni di Arduino di Ivrea (1002-14), era ormai saldamente inquadrata nella sfera di coordinamento politico della monarchia tedesca. Non è da escludere che Umberto sia stato tra i principes borgognoni che, nel 1027, presenziarono all’incoronazione romana di Corrado II e che confermarono un privilegio con cui Rodolfo III accordava protezione ai sudditi del re danese Knut nell’attraversamento delle proprie terre.

Quando, dopo la morte di Rodolfo (1032), Eudes de Blois rivendicò la corona con il sostegno di numerose parentele aristocratiche borgognone e delle chiese vescovili da esse controllate, Umberto fornì un importante sostegno a Corrado II nella conquista del regno, mettendogli a disposizione non soltanto contingenti armati, ma anche lo strategico passaggio alpino sottoposto al suo controllo. Nel 1033, mentre i fedeli di Eudes occupavano la valle del Rodano, Umberto e la regina vedova Ermengarda, impossibilitati ad attraversare territori ostili nel Regno di Borgogna, raggiunsero attraverso l’Italia l’imperatore a Zurigo. Il cronista Wipo allude a importanti concessioni accordate in quell’occasione dall’imperatore a Umberto; è impossibile stabilirne la natura e la tradizione storiografica che le identifica con la cessione del comitato di Moriana non ha fondamenti documentari. L’anno successivo, nel contesto dell’offensiva finale di Corrado II contro i sostenitori di Eudes, Umberto accompagnò gli alleati italici dell’imperatore in Borgogna, attraverso i suoi territori e il Gran San Bernardo, fino a Ginevra. L’affermazione definitiva di Corrado come re di Borgogna ebbe luogo entro il 1037-38; è forse ad anni di poco precedenti che si riferisce un giuramento di pace destinato a valere nei pagi di Vienne, Belley e Sermorens e in alcuni luoghi limitrofi, che si è ritenuto scritto appunto per Umberto, al cui controllo erano sottoposte quelle aree. All’indomani della vittoria imperiale di Corrado II, Umberto fu probabilmente impegnato in una mediazione tra il nuovo sovrano e alcune sedi vescovili politicamente distanti dall’Impero, come quelle di Lione – occupata dal figlio Burcardo, che si era ribellato a Corrado entro il 1036 – e Moriana.

L’intesa con Umberto fu un elemento cardine della politica alpina di Corrado II e di Enrico III, che favorirono il radicamento autonomistico di un alleato sicuro in prossimità di alcuni passaggi alpini strategici. Non è un caso che il potenziamento umbertino in area transgiurana si sia intensificato a partire appunto dagli anni Trenta e Quaranta, periodo in cui compaiono anche le prime attestazioni di una presenza della famiglia in Moriana, mentre non è documentato un radicamento già nell’età di Umberto entro la contigua diocesi di Tarentaise. Negli anni Venti Umberto si limitò a gestire il patrimonio valdostano dei Rodolfingi e degli enti religiosi a essi legati; dagli anni Trenta il conte e la sua parentela espressero una politica di consolidamento basata su una serie di acquisti e permute, oltre che sulla confusione tra beni degli Umbertini e beni regi e tra questi ultimi e il patrimonio vescovile. Un’ambiguità che Umberto sfruttò anche in altri territori, come prova la menzione, nel 1036, di una «terra regis sive Uberti comitis» (L. Ripart, Les fondements idéologiques..., I, 1, 1999, p. 200), sita nel pagus Savogiensis. Quanto alla valle d’Aosta, nel 1032 il conte permutò con un ente religioso beni fondiari siti a nord della città, in parte di origine fiscale; entro il 1040, poi, acquisì da un privato ulteriori beni ad Avise e in Valdigne, che in quell’anno donò ai canonici della cattedrale e di S. Orso di Aosta. Queste transazioni permettono di individuare le due direttrici che dalla città conducevano ai valichi alpini del Grande e del Piccolo San Bernardo come ambiti geografici principali del potenziamento umbertino nella diocesi aostana. Quanto invece alla Moriana, Umberto eseguì concessioni patrimoniali a favore dell’episcopio e del capitolo cattedrale intorno al 1040.

Più a ovest, in prossimità del nucleo di radicamento più antico degli Umbertini, il conte agì, nel secondo quarto del secolo, sia a titolo personale sia affiancando, come avvocato o testimone, personaggi a lui legati. Negli anni Trenta eseguì con i suoi figli una donazione alla dipendenza cluniacense di Matassine; non è invece chiara la data, compresa fra gli anni Dieci e Quaranta, in cui Umberto e i suoi figli presenziarono a una concessione di beni da parte di molti nobili all’abbazia di Savigny. Intorno al 1030 Umberto fu intercessore per la dotazione accordata al priorato di Talloires dalla regina Ermengarda, che rappresentò in seguito come avvocato nella concessione a Cluny di beni nel Genevese. Ulteriori atti di donazione attribuiti a Umberto sono stati indicati dalla critica moderna come falsificazioni tarde.

Il legame politico che univa gli Umbertini ad alcune chiese vescovili fu chiaro sin dai primi decenni dell’XI secolo: si pensi ai casi di Aosta e verosimilmente di Belley, ma anche a una concessione di terre in diocesi di Ginevra eseguita nel 1022 dal vescovo di Langres a favore di Umberto e dei suoi figli.

Tuttavia, così come per il consolidamento patrimoniale, gli anni Trenta segnarono un intensificarsi anche dei tentativi di controllo sugli enti religiosi. Nel 1031-32 Burcardo, pur conservando la funzione di prevosto di Saint-Maurice, abbandonò la sede aostana ed entrò in possesso di quella arcivescovile di Lione, rimasta vacante, approfittando dell’appoggio del padre e molto probabilmente di Rodolfo III. La sua permanenza sulla cattedra lionese si rivelò difficile a causa dell’ostilità dell’Impero e di altri poteri della regione che ambivano a controllare l’episcopio; deposto una prima volta negli anni Trenta, Burcardo se ne ritirò definitivamente verso il 1044. Umberto controllò l’episcopio di Sion almeno dal 1037, anno della prima attestazione come vescovo di suo figlio Aimone, il quale fu anche abate di Saint-Maurice. Almeno dal 1032, poi, fu vescovo di Belley un altro Aimone, nipote di Umberto perché figlio del futuro conte Amedeo I.

L’ultimo atto che menziona Umberto è del 10 giugno 1042 e riguarda la donazione della chiesa di Sainte-Marie des Échelles (ai confini tra le diocesi di Belley e Grenoble), con altri beni, ai monaci di Saint-Chaffre du Monastier, che riprese accrescendola una donazione già eseguita nel mese di gennaio.

Qualora se ne accetti l’identificazione con l’omonimo «amicus noster», ricordato in un necrologio di Talloires, Umberto sarebbe morto il 1° luglio. Laurent Ripart (Les fondements idéologiques..., cit.), che ritiene l’atto del giugno del 1042 una donazione in articulo mortis, propone di datarne la morte entro il 1044 (perché il documento reca il signum di Burcardo che è ancora detto arcivescovo) e più probabilmente già nel 1042. È possibile che il priorato di Les Échelles sia servito anche come luogo per la sua sepoltura, che comunque non avvenne quasi sicuramente a Saint-Jean-de-Maurienne, come vorrebbe la tradizione erudita.

Umberto aveva sposato intorno al Mille una donna di nome Ancilia, il cui legame con la parentela aristocratica degli Anselmidi, sostenuto dalla tradizione storiografica, non ha chiari riscontri documentari. Ebbe quattro figli maschi, che compaiono accanto a lui in vari documenti, come attori o come garanti degli atti paterni. Oltre ai già menzionati Burcardo e Aimone sono attestati Amedeo, che si servì del titolo comitale nei domini borgognoni dopo la morte del padre, e Oddone, che non prima del 1044 ebbe nel Regno italico il titolo di marchese di Torino, in virtù del suo matrimonio con l’arduinica Adelaide, e procurò in tal modo un’effimera convergenza dei due versanti, italico e borgognone, delle Alpi occidentali sotto il controllo della parentela umbertina, che tuttavia governò con due fratelli circoscrizioni di due regni diversi e non costruì già allora – a differenza di quanto sostenuto dall’erudizione sabaudista – un principato di ispirazione patrimoniale.

Il radicamento politico nelle vallate alpine appartenenti al Regno di Borgogna fu ulteriormente potenziato dai discendenti di Umberto, ma l’influenza da questi ottenuta sulle chiese vescovili della Borgogna transgiurana non durò a lungo dopo la sua morte; ad Aosta, dove già il successore di Burcardo verosimilmente era estraneo alla famiglia, la confusione tra beni comitali e beni vescovili, di cui Umberto si era giovato, facilitò sin dagli anni centrali dell’XI secolo l’emergere di una concorrenza tra la dinastia sabauda e l’episcopio, che si sarebbe protratta fino al termine del secolo successivo.

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