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Filosofia

Nella logica, il c. di un concetto è la sua comprensione (➔). In gnoseologia, si distingue in ogni atto conoscitivo il c. o materia, che è il dato, e la forma, il principio organizzatore del dato.

Nell’estetica si distingue il c. (in generale, ciò che l’autore rappresenta, canta, dipinge, narra ecc.) dalla forma (in generale, il modo come il c. è rappresentato). ‘Estetica del c.’ si disse, in contrapposto a ‘estetica della forma’, quella corrente del 19° sec., che, scindendo il c. dalla forma, tendeva a risolvere l’arte nel primo. Contro questo dualismo di forma e c. ha reagito l’estetica italiana da F. De Sanctis a B. Croce, teorizzando l’arte come sintesi a priori di forma e c., per cui la forma si dà il proprio contenuto. La critica di tale dualismo è stata in seguito diversamente riproposta da G. Della Volpe, il quale ha rivendicato l’istanza della complementarità funzionale, all’interno del discorso poetico, di immagini e concetti, e ha inteso la forma poetica come una struttura logica e discorsiva linguisticamente differenziata dalle strutture discorsive del linguaggio comune e del linguaggio storico-scientifico.

Nel linguaggio della critica ispirata ai fondamenti dell’estetica idealista, si indica con il termine contenutismo il prevalere, in un’opera d’arte, del c., ossia di interessi pratici, di intenti polemici, di motivi psicologici o affettivi e simili, ancora grezzi. Il termine si cominciò a usare intorno al 1930, nella letteratura contemporanea, quale contrapposto polemico di calligrafismo e formalismo, per designare l’istanza di uscire dall’autobiografismo sensuale, dal descrittivismo e paesismo evocativo, dal frammentismo lirico ecc., propri della letteratura della Voce, della Ronda, e in genere del decadentismo. In linguistica, il contenutismo è invece la tendenza, operante soprattutto in sintassi e semantica, a definire le entità e categorie linguistiche senza tener conto, almeno esplicitamente, di indici formali.

pedagogia C. d’istruzione (o d’insegnamento) La materia, oggetto di studio, organizzata nelle diverse discipline scolastiche. L’espressione è adoperata quando s’intende porre l’accento su ciò che s’insegna, o deve essere insegnato, piuttosto che sui metodi d’insegnamento. Peraltro, in ogni efficace prassi didattica, c. e metodi risultano intrinsecamente connessi.

scienze sociali Analisi del c. Metodologia di ricerca sviluppata nel campo delle scienze sociali per lo studio sistematico e oggettivo delle comunicazioni, o messaggi nell’accezione più ampia del termine, che persone e/o gruppi sociali si scambiano al fine di comunicare. Scopo dell’analisi del c. è quello di interpretare i simboli che costituiscono il c. delle comunicazioni, siano esse scritte o verbali (libri, giornali, documenti, discorsi ecc.) o di altro genere (radio, cinema, TV, pittura, musica, comportamenti gestuali ecc.), in rapporto al contesto sociale entro il quale essi sono prodotti, diffusi e recepiti.

L’analisi del c. nacque negli USA verso la fine del 19° sec. e i suoi progressi più importanti sono legati alle ricerche di H.D. Lasswell. Nei primi anni Cinquanta del Novecento essa ha usufruito dell’apporto di discipline quali, per es., la psicologia ed esteso il proprio campo di applicazione a forme di comunicazione diverse da quelle scritte (comunicazioni audiovisive, arte in generale, iconografia ecc.).

L’analisi del c. presenta tuttora aspetti controversi. In particolare, si discute se debba trattarsi di una metodologia di tipo quantitativo o qualitativo e, soprattutto, se debba limitarsi a considerare il c. manifesto di una comunicazione o il suo c. latente. Viene in genere utilizzata: a) per descrivere le caratteristiche di una comunicazione; b) per esplicitarne gli antecedenti e le motivazioni; c) per individuarne gli effetti sul pubblico cui è destinata.

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