Controlimiti

Il libro dell anno del diritto 2019 (2019)

Controlimiti

Jacopo Ferracuti

La teoria dei controlimiti, come elaborata dalla Corte costituzionale, postula l’intangibilità dei principi supremi e dei diritti fondamentali dell’ordinamento costituzionale dello Stato, al fine di salvaguardare l’essenza dell’ordinamento interno nei suoi caratteri peculiari da qualunque forma di aggressione e/o interferenza che possa provenire dalle fonti interne o esterne all’ordinamento considerato. Detta teoria ha recentemente vissuto un ritorno di attualità, a causa delle polemiche registratesi a seguito della nota vicenda Taricco, e dell’esito della medesima, poiché lo strumento dei controlimiti, lungi dall’avere portata disgregativa, è parso configurarsi quale elemento in grado di ricercare il miglior equilibrio tra il procedimento di integrazione europea e le esigenze di mantenimento della specifica identità nazionale di ciascuno Stato membro.

La ricognizione. La teoria dei controlimiti

L’elaborazione della teoria dei controlimiti deve rinvenire le proprie radici nella pluralità di fonti e organi giurisdizionali che connotano la contemporanea realtà giuridica.

Tale pluralismo ha determinato, infatti, la crisi del principio dell’esclusività dell’ordinamento giuridico statuale, rappresentando, al contempo, la causa dell’elaborazione, in via giurisprudenziale, di opzioni di chiusura concepite in via di extrema ratio, con il fine di evitare irrimediabili lesioni della specifica identità del singolo ordinamento giuridico.

Con particolare riguardo all’ordinamento italiano, la descritta situazione di prefigurazione in sede pretoria di meccanismi di salvaguardia identitaria ha avuto luogo a partire dagli anni sessanta del secolo passato.

Nello specifico, la teoria dei controlimiti, come elaborata dalla Consulta, postula l’intangibilità dei principi supremi e dei diritti fondamentali dell’ordinamento costituzionale dello Stato, in quanto nucleo duro che ne plasma l’identità.

Tali principi e diritti sono meritevoli della più stretta salvaguardia, in quanto elementi identificativi e irrinunciabili nell’ordinamento nazionale, di modo che devono essere sottratti a ogni possibile aggressione e/o interferenza che possa provenire da qualunque tipo di fonte, interna o esterna. Stando agli insegnamenti della Corte costituzionale, invero, il carattere inderogabile di tali principi e diritti deve prevalere sia sulle fonti sovranazionali (così da evitare che la progressiva e inevitabile erosione della sovranità nazionale connessa ai fenomeni di integrazione europea, possa implicare l’abbandono della propria identità nazionale), sia, anche, sulle fonti interne di rango primario e in sede di revisione costituzionale. Cedono, inoltre, ai citati principi e diritti di rango sovracostituzionale anche le fonti di natura sovranazionale e concordataria. In generale, dunque, tutte quelle aventi una genesi esterna al singolo ordinamento nazionale, ivi incluse le prescrizioni contenute nella Carta europea dei diritti dell’uomo (CEDU). La questione dei controlimiti attiene, quindi, in generale alla più ampia tematica delle interazioni sussistenti tra ordinamenti giuridici differenti e ai confini delimitanti lo spazio all’interno del quale le reciproche integrazioni sono considerate ammissibili dalle rispettive carte fondamentali. La difesa del proprio zoccolo duro di principi e diritti non riguarda, del resto, solo gli ordinamenti giuridici nazionali.

Invero, ai controlimiti nazionali sono venuti presto ad affiancarsi anche controlimiti di matrice convenzionale ed eurounitaria, rispettivamente elaborati dalle Corti di Strasburgo e Lussemburgo, a dimostrazione della necessità, in qualunque ordinamento avvertita, di protezione di determinati principi e diritti forgianti l’essenza stessa dell’archetipo ordinamentale. La teoria dei controlimiti è stata, quindi, mutuata dal livello nazionale e trasposta anche sui piani europeo e sovranazionale. Essa, quantomeno a livello interno, è stata comunque costantemente fonte di ambiguità e incertezze che hanno riguardato, a titolo esemplificativo, l’assenza di una precisa enumerazione dei principi e diritti che fungono da controlimiti, nonché l’indeterminatezza della loro stessa essenza. In particolare, la questione dei controlimiti ha storicamente interessato, e interessa tutt’ora, con prevalenza rispetto agli altri contrasti, i conflitti che possono insorgere tra fonti del diritto interno e fonti del diritto dell’Unione europea.

È proprio su questo piano, infatti, che, in Italia, si è maggiormente incentrato il dibattito in ordine ad essi, al fine di individuare gli ambiti e le modalità della resistenza del nucleo duro di principi e diritti di cui si è detto al principio di primazia del diritto comunitario, questione tutt’altro che semplice, in quanto l’ammissione circa l’esistenza di regole munite di una forza di resistenza tale da eludere la cd. primauté avrebbe finito per mettere in discussione una delle regole cardine sulle quali si fonda l’iter di integrazione europea intrapreso dallo Stato italiano sin dagli albori del procedimento medesimo. La questione è stata semplicemente elusa dalla Consulta sulla scorta dell’attribuzione alla garanzia dei controlimiti della natura di extrema ratio, come tale di complessa realizzabilità, per un duplice ordine di motivazioni, giuridiche e politiche.

È comunque proprio e principalmente sul piano delle interazioni tra l’ordinamento nazionale e quello dell’Unione europea e delle relative antinomie tra rispettive fonti, che la teoria dei controlimiti ha recentemente vissuto un ritorno di attualità, a causa delle polemiche registratesi a seguito della nota vicenda Taricco, sulla quale ci si soffermerà, brevemente, nel prosieguo della presente trattazione.

La focalizzazione. La giurisprudenza sui controlimiti

In ambito nazionale, la giurisprudenza della Consulta ha attraversato varie fasi prima di assestarsi sulla posizione del riconoscimento di limitazioni al principio del primato del diritto dell’Unione europea sulle fonti di rango costituzionale, mediante l’individuazione di controlimiti alle limitazioni della sovranità nazionale discendenti dalla ratifica dei Trattati.

Invero, il Giudice delle leggi dopo aver qualificato, in un primo momento, come appartenenti al rango primario le fonti del diritto dell’Unione1, in risposta alla presa di posizione della Corte di giustizia dell’Unione europea2, è giunta a riconoscere la prevalenza dell’ordinamento europeo nelle specifiche materie previste dai Trattati, a condizione, però, che non venissero mai violati né i principi fondamentali né i diritti inviolabili dell’uomo riconosciuti e garantiti dalla Carta costituzionale3. Secondo la Corte, dunque, la primauté doveva intendersi non come priva di limitazioni, ma, al contrario, come destinata a cedere innanzi ai principi fondamentali e ai diritti inalienabili della persona. Il passo seguente è stato quello di riconoscere al giudice nazionale il potere di disapplicare direttamente le norme interne contrastanti con il diritto dell’Unione europea direttamente applicabile4. In ogni caso, anche a seguito di tale approdo, la Consulta ha comunque ulteriormente ribadito e confermato la teoria dei controlimiti, come inizialmente elaborata5. Curiosamente, nonostante in dottrina il termine controlimiti sia stato diffusamente utilizzato sin da principio, la Corte costituzionale, che mai aveva dapprima adottato siffatta locuzione, ha fatto espresso riferimento ad esso solamente pochi anni or sono nell’ambito della sentenza 22.10.2014, n. 238, così riassumendovi il coacervo di espressioni nel tempo utilizzate per indicare i principi fondamentali, i valori fondanti dell’ordinamento, i diritti inalienabili della persona umana, i principi supremi dell’ordinamento costituzionale e tutti gli altri termini utilizzati per individuare il nucleo duro caratterizzante la struttura ordinamentale interna. Nella pronuncia citata (di peculiare rilievo in quanto la Corte attiva lo strumento dei controlimiti rispetto all’ingresso, nell’ordinamento interno, di norme internazionali lesive del diritto alla tutela giurisdizionale) il Giudice delle leggi finisce per riassumere e ribadire il proprio orientamento, mettendo ben in evidenza che «Non v’è dubbio, infatti, ed è stato confermato a più riprese da questa Corte, che i principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale e i diritti inalienabili della persona costituiscano un ‘limite all’ingresso … delle norme internazionali generalmente riconosciute alle quali l’ordinamento giuridico italiano si conforma secondo l’art. 10, primo comma della Costituzione’ (sentenze n. 48 del 1979 e n. 73 del 2001) ed operino quali ‘controlimiti’ all’ingresso delle norme dell’Unione europea (ex plurimis: sentenze n. 183 del 1973, n.170 del 1984, n. 232 del 1989, n. 168 del 1991, n. 284 del 2007), oltre che come limiti all’ingresso delle norme di esecuzione dei Patti Lateranensi e del Concordato (sentenze n. 18 del 1982, n. 32, n. 31 e n. 30 del 1971). Essi rappresentano, in altri termini, gli elementi identificativi ed irrinunciabili dell’ordinamento costituzionale, per ciò stesso sottratti anche alla revisione costituzionale (artt. 138 e 139 Cost.: così nella sentenza n. 1146 del 1988)». La sentenza è emblematica dell’impostazione cd. dualista dei rapporti tra ordinamento nazionale ed europeo da sempre sostenuta dalla Corte costituzionale, tale per cui i due ordinamenti sarebbero autonomi e distinti, ancorché coordinati. A tale impianto ideologico si è storicamente contrapposto quello, per converso, di stampo monista sostenuto dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, per cui, stante l’integrazione dell’ordinamento europeo nell’ordinamento giuridico nazionale, e la conseguente integrazione dei due in un unico sistema ordinato in termini di gerarchia, le norme di diritto europeo prevarrebbero, giusto il principio della primazia del diritto sovranazionale, su quelle interne con esse contrastanti, che dovrebbero essere, dunque, disapplicate dai giudici nazionali. La descritta asimmetria ideologica è stata recentemente evidenziata da una vicenda che ha suscitato notevoli polemiche e discussioni: l’affaire Taricco, paradigmatico caso di violazione dei controlimiti. Brevemente, con la sentenza C. giust., 8.9.2015, C105/14 la Corte di Lussemburgo ha affermato la lesività della normativa italiana sulla prescrizione del reato rispetto agli interessi finanziari dell’Unione, in quanto produttiva dell’effetto di rendere impunite le frodi fiscali, e di falcidiare il gettito sovranazionale e nazionale. Secondo la Corte, il giudice nazionale è tenuto a dare applicazione all’art. 325 del TFUE, disapplicando all’occorrenza le disposizioni nazionali aventi l’effetto di impedire allo Stato interessato di rispettare gli obblighi discendenti dalla medesima disposizione, in particolar modo laddove l’applicazione interna della disciplina sulla prescrizione impedisca di infliggere sanzioni effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di “frode grave”. La pronuncia in questione, dunque, lungi dal produrre effetti circoscritti, finiva per avere un effetto dirompente, ampliando l’applicabilità del principio ivi affermato ben oltre le frodi in materia di IVA (caso specificamente trattato), per abbracciare tutte le ipotesi di frodi europee, rispetto alle quali la Corte, esigendo l’applicazione della medesima disciplina, avrebbe potuto imporre un innalzamento della tutela punitiva, non previsto nell’ordinamento interno.

I profili problematici

La sentenza Taricco, come anticipato, ha pertanto messo in evidenza profili di particolare problematicità in materia di controlimiti, specie con riguardo al rispetto dei principi di legalità e tassatività dell’ordinamento penale interno.

Molteplici sono state, sul punto, le prese di posizione di giurisprudenza6 e dottrina.

Quest’ultima, in particolare, ha visto contrapporsi chi riteneva poco opportuno e garbato invocare i controlimiti per ottenere un effetto paralizzante della pronuncia e del dictat in essa affermato e chi reputava invece necessario un intervento della Corte costituzionale per affermare definitivamente la supremazia della Costituzione sul diritto dell’Unione europea. La Consulta ha, infine, optato per una soluzione, potremmo dire, “mediata”. Il Giudice delle leggi, invero, con l’ordinanza 23.11.2016, n. 24, come efficacemente sottolineato da taluno, ha scelto di esporre lo scudo dei controlimiti, senza però opporlo7, mediante adozione di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, con la richiesta di un chiarimento in ordine ai presupposti e limiti entro i quali può essere consentita, nell’ordinamento interno, la disapplicazione di una norma penale nazionale. Per la prima volta, la Consulta ha, quindi, affrontato apertamente un caso di contrasto del diritto dell’Unione con i controlimiti interni, mantenendo in ogni caso ben salda l’impostazione ribadita nella sent. n. 238/2014, e intervenendo “a monte” per impedire il contrasto tra il diritto sovranazionale e i principi supremi dell’impianto costituzionale, limitandosi solo a “minacciarne” velatamente l’applicazione, attraverso la puntualizzazione del carattere della necessarietà che il proprio intervento avrebbe assunto, mediante attivazione della difesa garantita di principi supremi dell’ordinamento, laddove l’applicazione dell’art. 325 TFUE avesse comportato l’ingresso nel sistema interno di una regola contraria al principio di legalità in materia penale.

In sostanza, dunque, lo strumento del rinvio pregiudiziale è stato utilizzato per richiedere alla Corte di Lussemburgo di avallare la teoria dei controlimiti rispetto al diritto dell’Unione.

Il risultato che si è ottenuto è stato quello della loro europeizzazione.

La Corte di giustizia, infatti, con la sentenza 5.12.2017, C42/17, ha operato un revirement rispetto alla posizione dapprima assunta: i giudici di Lussemburgo hanno riconosciuto l’essenza del principio di legalità, di cui si è ammesso invero il carattere fondamentale nelle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e, quindi, anche nell’ordinamento europeo, e la forza di resistenza, di cui il medesimo principio risulta dotato.

È stato, infatti, affermato come il principio del perseguimento degli interessi finanziari dell’Unione, quale sancito all’art. 325 TFUE, non deve dare adito a incertezze circa il contenuto della norma penale incriminatrice e alla determinazione del regime di prescrizione applicabile e che, se così dovesse essere, l’operatore giuridico interno non sarebbe tenuto a disapplicare le disposizioni del codice penale nazionale.

Il controlimite legalità, in quanto afferente alla comune tradizione europea, assurge, così, a valore di carattere non meramente nazionale, travalicando i confini dei singoli Stati, e assumendo un carattere transnazionale, tale da essere ritenuto meritevole di tutela anche al di là dei confini dei sistemi giuridici interni. La vicenda ben dimostra, dunque, la piena attualità della tematica inerente ai controlimiti. In tal senso, il più recente atteggiamento della Consulta, come è stato messo in evidenza in dottrina8, e il caso Taricco pare darne conferma, sembra rappresentare un’efficace soluzione per scalfire il rigido atteggiamento della Corte di Lussemburgo nei confronti degli Stati membri, in quanto dà modo di individuare un adeguato bilanciamento tra contrapposte esigenze, rammentando alla Corte come anch’essa, e non solo le istituzioni europee, siano vincolate dal rispetto del principio di collaborazione. In tal modo, l’emersione continua di controlimiti, lungi dall’essere qualificata alla stregua di un elemento avente portata disgregativa, ben può venire in evidenza come opzione che permette la ricerca del miglior equilibrio tra il procedimento di integrazione europea e le esigenze di mantenimento della specifica identità nazionale che ciascuno Stato ontologicamente avverte, così concretizzando gli auspici di chi, in dottrina, ne ha già affermato la natura di risorsa dell’integrazione, in quanto rappresentativa di un meccanismo di traduzione e scambio di significati e interpretazioni tali da consentire la prosecuzione del dialogo tra differenti ordinamenti (di natura diversa) fino a trovare sintesi più stabili9.

Note

1 C. cost., 24.2.1964, n. 64, in cui la Corte afferma che l’art. 11 Cost. non avendo conferito alla legge ordinaria esecutiva del Trattato un’efficacia superiore a quella ad essa tradizionalmente propria, determina l’attribuzione alle norme europee, del rango di legge ordinaria nella gerarchia delle fonti.

2 C. giust., 15.7.1964, C6/64, Costa c. Enel.

3 C. cost., 27.12.1965, n. 98.

4 C. cost., 8.6.1984, n. 170.

5 L’impostazione iniziale è stata, in particolar modo, efficacemente ribadita in C. cost., 21.4.1989, n. 232, nonché in C. cost., 18.4.1991, n. 168 e C. cost., 4.7.2007, n. 284.

6 Se, infatti, a titolo esemplificativo, la Corte di appello di Milano aveva invocato i controlimiti con esclusivo riferimento al principio di legalità di cui all’art. 25, co. 2, Cost., la Corte di cassazione si era spinta oltre, opponendo alla Corte di giustizia non solo il principio di legalità, ma anche il diritto di difesa, il principio di rieducazione della pena, quello di ragionevolezza e, infine, il principio di separazione dei poteri.

7 In tal senso, Ruggeri, A., Ultimatum della Consulta alla Corte di Giustizia su Taricco, in una pronunzia che espone, ma non ancora oppone, i controlimiti, in www.giurcost.org, 2017, 1.

8 Ad esempio, da Anzon Demming, A., La Corte costituzionale è ferma sui “controlimiti”, ma rovescia sulla Corte europea di Giustizia l’onere di farne applicazione bilanciando esigenze europee e istanze identitarie degli Stati membri, in Giur. cost., n. 1/2017.

9 Così, D’Aloia, A., Europa e diritti. Luci e ombre dello schema di protezione multilevel, in Il Diritto dell’Unione Europea, 1, 2014, 1 ss.

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