Convivenza

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In Italia, ai fini del censimento della popolazione, per c. si intende la condizione di un insieme di persone che, senza essere legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità e simili, conducono vita comune per motivi religiosi (conventi), di cura (ospedali), di assistenza (case di riposo), militari (caserme), di pena (carceri) o altro (per es., navi mercantili). Sono considerate facenti parte della c. anche le persone addette alla c. stessa per ragioni di impiego o di lavoro e che vi vivono abitualmente, purché non costituiscano famiglia a sé stante. Foglio di c. Modello usato nel censimento generale della popolazione, per rilevare i dati relativi alle persone che vivono in collettività permanenti diverse dalle famiglie o in collettività temporanee. Patto di c. Accordo tra conviventi volto a regolare alcuni aspetti della vita in comune. La giurisprudenza lo ritiene ammissibile quando disciplina particolari aspetti patrimoniali del rapporto, prevenendo così eventuali liti. Ciò in quanto gli interessi perseguiti in virtù di tali contratti possono ritenersi meritevoli di tutela ai sensi dell’art. 1322 c.c. Pur non essendo disciplinata dalla legge, la pattuizione di tali accordi non può ritenersi vietata, poiché non si pone in contrasto con norme imperative, con l’ordine pubblico, o con il buon costume. Essa rende inoltre possibile una tutela giudiziaria in caso di inadempimento di uno dei contraenti, o quando sorgano particolari contestazioni a seguito dello scioglimento del rapporto. Va ricordato, per inciso, che in assenza di un tale accordo ogni contribuzione dei conviventi alle esigenze della famiglia di fatto sarebbe irripetibile, dovendosi configurare come adempimento di una obbligazione naturale. Le posizioni assunte in merito dalla dottrina non sono peraltro unanimi, anche se vi è accordo circa l’impossibilità di regolare contrattualmente tutti gli aspetti della convivenza, e in particolare i rapporti di natura personale. Si ritiene, invece, consentito disciplinare i modi di contribuzione alla vita comune e la misura dei rispettivi apporti, nonché il regime degli acquisti compiuti durante il rapporto. Si riconosce la possibilità di prevedere le conseguenze della cessazione della vita comune, stabilendo a carico dell’uno e in favore dell’altro convivente l’obbligo di corrispondere, anche in via periodica, somme di denaro o di trasferire la proprietà di beni mobili o immobili o il diritto di abitazione, di natura reale o personale sulla casa familiare.

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